• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 DIRITTO D’ASILO E STATUS DI RIFUGIATO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO 2.1 L’evoluzione legislativa in materia d’asilo in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 2 DIRITTO D’ASILO E STATUS DI RIFUGIATO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO 2.1 L’evoluzione legislativa in materia d’asilo in Italia"

Copied!
47
0
0

Testo completo

(1)

1

Capitolo 2

DIRITTO D’ASILO E STATUS DI RIFUGIATO

NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

2.1 L’evoluzione legislativa in materia d’asilo in Italia

È l’articolo 10, comma 3 della Costituzione Italiana del 1948, il quale prevede che << lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’esercizio

effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge >>1.

Nella versione definitiva dell’art. 10 comma 3 la sola negazione dei diritti di libertà viene considerata una condizione sufficiente alla protezione. Il testo precisa inoltre che anche se i diritti di libertà reclamati dal richiedente asilo sono previsti dalla Costituzione del Paese di provenienza, se ne deve comunque verificare l’effettività del loro esercizio. Il diritto d’asilo viene attribuito allo straniero al quale nel suo Paese sia << effettivamente impedito l’esercizio anche di una sola delle

libertà garantite dalla Costituzione italiana>>2, un diritto soggettivo

1 L’asilo costituzionale è rimasto, per tanti anni, un concetto praticamente disapplicato fino al 1997, quando una sentenza della Corte di Cassazione ha indicato il tribunale ordinario come organo competente per decidere sulla concessione dell'asilo ai sensi della Costituzione, anche in assenza di una legge applicativa. Tuttavia, la legge di applicazione, a tutt’oggi, non è mai stata realizzata.

2 Circa la nozione di “libertà democratiche” l’Assemblea costituente allude alle libertà garantite nell’ordinamento italiano, tra le quali sono da includersi sia il diritto alla vita, presupposto primo all’esercizio di tutti gli altri diritti, sia le libertà essenziali ad una forma di Stato democratico, come la libertà di circolazione e soggiorno senza limitazioni di carattere politico (art. 16), la libertà di riunione pacifica e senz’armi (art.17), la libertà di associazione non segreta, né militare (art.18), la libertà di religione (in tutte le sue forme tutelate dall’art.19), la libertà di manifestazione del pensiero (art.21), diritto di sciopero (art.40), la libertà di svolgere un lavoro e una professione di propria scelta (art.4), il diritto del lavoratore a ricevere una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del proprio lavoro e in ogni caso sufficiente a garantire a sé ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art.36). Diversamente, il semplice stato di disoccupazione nel Paese di provenienza non può configurarsi quale titolo all’asilo, anche perché il diritto al lavoro previsto dall’art.4 della Costituzione non soltanto non

(2)

2

perfetto di entrare e di soggiornare nel territorio dello Stato, almeno al fine della presentazione della domanda di asilo alle autorità italiane.

Si nota che il concetto di straniero titolare del diritto d’asilo previsto dalla Costituzione non afferisce alle sole persone perseguitate così come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato. Nell’ordinamento italiano, lo straniero fruisce del diritto d’asilo nel caso cui alla persona sia impedito fruire delle libertà democratiche anche se non vi sia una persecuzione individuale.

La definizione italiana, meno restrittiva di quella proposta

internazionalmente dalla Convenzione di Ginevra3, comprende di

conseguenza tutti quegli stranieri che fuggono dal proprio Paese per salvare la propria vita, per tutelare la propria sicurezza o incolumità dal pericolo grave ed attuale derivante da situazioni di guerra, conflitti civili, disordini gravi e generalizzati. La Convenzione rappresenta il primo documento che affronta su scala internazionale e in maniera compiuta la questione dei rifugiati, a partire dalla determinazione delle condizioni per l’attribuzione del relativo status e dai diritti ed obblighi scaturenti da tale

condizione giuridica.4

comporta il diritto al conseguimento di un’occupazione, ma è comunque riservato esclusivamente al cittadino. L’accesso al lavoro dello straniero residente all’estero è infatti regolato dalle restanti norme del sistema del diritto degli stranieri, cosicché dal diritto d’asilo, si devono escludere coloro che ricercano più favorevoli condizioni di lavoro.

3 Alla fine del 1951, si registra infatti in Europa la presenza di circa 1.250.000 rifugiati sotto il mandato dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Oltre a quelle geopolitiche, le conseguenze giuridiche e sociali provocate dalle dittature e dalle guerre della prima metà del secolo scorso, portano alla convocazione della conferenza internazionale del 28 luglio 1951, al termine della quale è aperta alla firma la cosiddetta Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato.

4 In questo senso la Convenzione di Ginevra si pone nel solco tracciato da una serie di accordi internazionali precedenti stipulati perlopiù sotto l’egida della Società delle Nazioni che, a partire dall’inizio del secolo ed in occasione di eventi bellici di particolare gravità, hanno predisposto normative

ad hoc per la protezione dei rifugiati che tali conflitti causavano. Si tratta in particolare dell’accordo del

1921 relativo ai rifugiati russi, a quelli del 1924, 1926 e 1928 in favore dei profughi armeni, assiri, assiro-caldesi, ruteni, montenegrini, ebrei e turchi, nonché di quelli, adottati sempre sotto l’egida della Società delle Nazioni, del 1933 per i rifugiati provenienti dalla Spagna e del 1938 per coloro che fuggivano dalla Germania e dall’Austria sotto le persecuzioni del regime nazista.

(3)

3

L’Italia aderisce alla Convenzione di Ginevra attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica n. 722 del 24 luglio 1954 adottando – insieme a pochissimi altri paesi – su summenzionata “riserva geografica” per cui il riconoscimento dello status di rifugiato in quei anni è attribuito ai soli individui di provenienza europea.

Le autorità italiane, infatti, pur avendo più volte espresso la volontà di ritirare la riserva, la mantengono per diversi anni con la motivazione che l’Italia è l’unico Paese occidentale a confinare con due aree geografiche da cui provengono esodi di rifugiati: l’Europa dell’est e l’area afro-asiatica. Mentre la limitazione “temporale” viene eliminata relativamente

presto con la ratifica del Protocollo di New York5, per il ritiro della

“riserva geografica” bisogna aspettare il mutamento dello scenario politico internazionale della fine degli anni ottanta, caratterizzato dalla caduta del Muro di Berlino da un lato, e dall’avvio del processo di armonizzazione delle politiche europee in materia di immigrazione ed asilo, dall’altro.

La “riserva geografica” viene infatti abolita solo alla fine del 1989 mediante il decreto legge 416 del 30 dicembre 198, poi convertito nella legge 39 del 28 febbraio 1990, più comunemente denominata legge Martelli. Nel periodo tra il 1952 e il 1989 vengono presentate in Italia

188.188 domande di asilo6. Per quanto riguarda la composizione nazionale

del flusso dei richiedenti essa necessariamente rifletteva l’esistenza della “riserva geografica”: la stragrande maggioranza dei potenziali rifugiati proveniva infatti dall’est europeo.

L’intensificarsi dei flussi era conseguenza prevalentemente dei vari tentativi di rivolta dei paesi sotto il dominio sovietico, ed in particolare

5 La legge 14 febbraio 1970 n. 95 di ratifica summenzionato Protocollo di New York del 31 gennaio 1967.

(4)

4

della rivolta ungherese del 1956, della cosiddetta “primavera di Praga” o del colpo di stato in Polonia a seguito delle manifestazioni del sindacato Solidarnosz. Dagli anni settanta in poi tuttavia inizia ad arrivare in Italia un numero sempre maggiore di potenziali rifugiati extraeuropei, in particolare di origine mediorientale (rifugiati iraniani dal regime di Khomeini), o disertori e sfollati del conflitto tra Iran e Iraq ecc.) e sudamericani (persone che fuggono dalle dittature latino-americane). Alcuni di questi, nell’ambito delle misure straordinarie di cui si è già accennato, vengono riconosciuti rifugiati in deroga alla “riserva geografica”. Nonostante il numero relativamente esiguo di domande, solo una minima parte dei rifugiati opta per la permanenza i Italia. A dimostrazione di ciò, nel 1978 sono presenti in Italia solo 1.500 rifugiati riconosciuti.

Con l’intensificarsi dei flussi dei rifugiati extraeuropei nel periodo tra 1980 e 1989 vengono riconosciuti quali rifugiati “sotto mandato” da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, 6.499 persone. Inoltre, a seguito della legge Martelli, di cui si parlerà ampiamente in seguito, 1.320 rifugiati extraeuropei, chiedono la “conversione” del proprio status in quello di rifugiati ex Convenzione di Ginevra. In ogni caso, secondo i dati dell’ACNUR aggiornati al 31 dicembre 1991, soltanto 12.203 rifugiati riconosciuti dal Governo italiano risultano “stabiliti in

Italia”.

Come visto nei paragrafi precedenti, per oltre tre decenni, il tema del diritto d’asilo viene trattato in via residuale all’interno del più ampio dispositivo nazionale dedicato all’immigrazione. La situazione cambia, anche se solo parzialmente, sotto il decreto n. 416 del 30 dicembre 1989,

convertito nella legge n. 39 del 28 febbraio 19907.

7 La legge Martelli ebbe il merito di affrontare la questione della situazione dei rifugiati. Venivano abolite le riserve alla Convenzione di Ginevra del 28 Luglio 1951, che stabilivano il diritto di asilo solo

(5)

5

Tale legge – meglio conosciuta come legge Martelli – stabilisce <<le norme urgenti in materia di asilo politico, ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e apolidi già presenti nel territorio dello Stato>>, definendo nell’articolo 1 alcuni aspetti rilevanti sul tema dell’asilo quali, ad esempio, la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Il decreto legge 416 è la prima norma nazionale in cui viene utilizzata l’espressione “asilo politico”. Il decreto autorizza inoltre il Governo a riordinare la procedura d’asilo nonché il sistema di assistenza materiale in favore dei richiedenti asilo attraverso decreti da emanare entro sessanta giorni dall’entrata in vigore dello stesso. Ciò sempre nell’intento – in un’ottica puramente transitoria della norma adottata, infatti, da un provvedimento legislativo d’urgenza – di rinviare la regolamentazione più ampia della materia ad una successiva e purtroppo mai adottata

legislazione organica8. L’approvazione della legge avveniva in un

contesto comunitario completamente nuovo, caratterizzato proprio in questo periodo dal processo di abolizione delle frontiere interne nonché dall’adozione dei primi strumenti comunitari vincolanti in materia d’asilo.

Uno dei principali motivi dell’abolizione della riserva consisteva, infatti, nella soddisfazione di una delle condizioni necessarie per la firma della Convenzione di Schengen nonché della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello stato competente per l’esame della domanda

per i rifugiati provenienti da Paesi europei. Si prendeva inoltre l’impegno di riordinare gli organi e le procedure atte a valutare le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato ed era ben chiarito quando non era possibile chiedere tale riconoscimento (art. 1). L’ingresso di cittadini stranieri nel territorio dello Stato era consentito per motivi di studio, turismo, lavoro autonomo, o subordinato, per motivi di cura, ricongiungimenti familiari e ragioni di culto (voluto espressamente dalla Santa Sede). Cfr. www.interno.it/leggemartelli.html.

8 In effetti già durante la conversione in legge del decreto n. 416, il Governo lascia ad intendere la volontà di presentare una legge attuativa dell’art. 10, comma 3, della Costituzione, che però non verrà mai definita. Per un maggior approfondimento vedi: PRETROVIÇ N., Rifugiati, profughi, sfollati, Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Milano, 2011, pag.32.

(6)

6

d’asilo9.

La procedura d’asilo descritta nella legge Martelli può essere suddivisa in due parti. La prima parte dell’art. 1 riguarda gli aspetti relativi all’accesso del richiedente asilo sul territorio italiano, di cui all’art.1 comma 4, vengono elencate le “cause ostative all’ingresso”. La seconda parte della legge riguarda invece la modalità di presentazione della domanda di asilo.

Dalla legge Martelli in poi tale procedura si svolge dinnanzi alla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, divenuta operativa nel marzo 1991, con conseguente cessazione delle funzioni svolte fino ad allora dalla già menzionata Commissione paritetica di eleggibilità. La Commissione centrale, istituita ai sensi del D.P.R 136 del 15 maggio 1990, è presieduta da un prefetto e composta da un funzionario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, uno del Ministero degli Affari Esteri e due del Ministero dell’Interno. Alle riunioni della Commissione partecipa altresì, con funzioni consultive, un rappresentante

dell’ACNUR10.

La legge 39/90 regolamenta inoltre alcuni aspetti relativi ai diritti sociali e civili dei rifugiati, così come definiti nella Convenzione di Ginevra. In base alla stessa, il rifugiato può fruire non solo dei diritti riconosciuti agli immigrati regolari ma, oltre a questi, dei diritti relativi ai rapporti civili, di lavoro e di assistenza sociale diventando, di fatto, equiparabile a un cittadino italiano.

9 Nessuno dei due strumenti poteva applicarsi ad un Paese che continuava a riconoscere l’asilo solo ai cittadini di determinate nazioni.

10 PRETROVIÇ N., Rifugiati, profughi, sfollati, Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Milano, 2011.

(7)

7

Il problema principale della normativa – destinato ad aggravarsi ulteriormente negli anni successivi – riguarda invece la durata della procedura d’asilo, ossia il periodo compreso fra l’ingresso del richiedente nel territorio nazionale e il provvedimento finale della Commissione.

In questo arco di tempo, il richiedente asilo è tenuto a ricevere quelle garanzie minime di tutela e assistenza che, una volta riconosciutogli lo status di rifugiato, si allargheranno ad abbracciare uno spettro più ampio

di diritti11. A tal proposito, all’art. 1 comma 7, la legge Martelli tratta

alcuni aspetti basilari relativi all’assistenza, accordando ai richiedenti asilo <<privi di mezzi di sussistenza o di ospitalità in Italia>> un contributo di prima assistenza erogato dalle Prefetture. Tale contributo, articolato i seguito nel decreto del Presidente della Repubblica del 15 maggio 1990, n. 136 (D.P.R. 136/1990), non tarda a rilevarsi ampiamente insufficiente, soprattutto a fronte dei tempi di attesa della risposta della Commissione in merito alla domanda di asilo. Il contributo previsto veniva infatti erogato per un periodo massimo di quarantacinque giorni, di fronte a tempi di attesa che, a seguito delle emergenze umanitarie degli

anni novanta, talvolta raggiungevano anche ventiquattro mesi12. La nuova

procedura viene messa infatti a dura prova fin dall’inizio della sua applicazione, che peraltro coincide con l’inizio dei flussi massici che accompagnano le crisi albanesi del 1991 e quella del 1997, la guerra civile in Somalia del 1992 e, soprattutto, l’esodo dall’ex-Jugoslavia (1991-1995); 1998-1999). Le continue ondate di migrazioni forzate, provenienti in particolare dall’area balcanica, destabilizzano ulteriormente il già

precario sistema d’asilo definito dalla legge Martelli13.

11 Ibidem.

12 Il contributo inizialmente era pari a 25.000 lire e successivamente venne aumentato a 34.000 lire. Vedi: PRETROVIÇ N., Rifugiati, profughi, sfollati, Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Milano, 2011, pag.35.

13 La Legge 39/90 rappresenta un importante passo in avanti, ma non esaustivo, verso una regolamentazione complessiva della materia.

(8)

8

Anche se in Italia continuano ad arrivare decine di migliaia di persone che, pur non soddisfacendo pienamente quesiti della Convenzione di

Ginevra14, sono comunque bisognose di una qualche forma di protezione.

Ed è proprio la legge Martelli che vieta esplicitamente il respingimento dello straniero <<verso uno Stato ove possa essere soggetto di

persecuzioni per motivi di razza, sesso, opinioni politiche, condizioni personali o sociali ovvero possa rischiare di essere rinviato verso uno Stato ove non sia protetto dalla persecuzione>>, essa però non prevedeva

la “condizione giuridica” di tale straniero né, di conseguenza, aspetti

assistenziali durante la permanenza dello stesso sul territorio nazionale15.

La mancanza di un disegno complessivo e di forme di coordinamento tra i vari attori che lavorano nell’ambito dell’asilo sul territorio nazionale, crea delle difficoltà nell’accoglienza e nella tutela dei rifugiati e, più in generale nella gestione del fenomeno, che continua a gravare quasi esclusivamente sulle zone di arrivo degli stranieri in fuga dal proprio Paese. In molte città Italiane infatti si sviluppano, già a partire dal 1992, azioni autonome di accoglienza a favore degli sfollati dalle guerre, organizzate nella maggior parte dei casi da associazioni e gruppi di sostegno informali e talvolta supportate dagli Enti locali.

Diversamente da quanto accade nei centri d’accoglienza governativi di grosse dimensioni, questa nuova forma d’accoglienza è attenta alla singola persona, proponendo interventi personalizzati e collocandola al centro delle iniziative promosse in suo favore.

14 In particolare in relazione al mancato elemento di persecuzione individuale.

15 Infatti secondo le stime fornite dal Ministero dell’Interno, dall’ottobre 1991 all’ottobre 1995 sono concessi permessi di soggiorno umanitari ad oltre 57.000 profughi della ex Jugoslavia. Mentre solo poche migliaia di profughi vengono ospitate in strutture di accoglienza predisposte dal Ministero dell’Interno o per conto della Croce Rossa Italiana, situati soprattutto nell’Italia Settentrionale – la stragrande maggioranza della popolazione viene abbandonata al suo destino.

(9)

9

Solo in seguito, con l’avvio di forme di coordinamento o di rete16 che

vengono predisposte anche nel tentativo di qualificare il ruolo degli

operatori dell’accoglienza17 si gettano le basi di quello che diventerà il “il

modello italiano d’accoglienza”18.

Nel 1995, il decreto legge n. 451/1995 convertito nella 1. 563/1995 (la cosiddetta legge Puglia) prevede l’istituzione di alcuni centri di prima accoglienza per le <<persone prive di qualsiasi mezzo di sostentamento ed in attesa di identificazione o espulsione>>. In relazione alle tematiche dell’asilo, tali strutture svolgono quindi una funzione di primo intervento, garantito solamente fino al rilascio del permesso di soggiorno per richiesta

d’asilo.19 Portata molto maggiore ha invece la l. 49/98 (denominata legge

Turco-Napolitano)20. Benché varata con l’intento di regolamentare

organicamente l’intera materia dell’immigrazione, tale testo legislativo non interviene affatto nella necessaria riforma della normativa sull’asilo contenuta nella legge Martelli. Di conseguenza, l’intera procedura per l’ottenimenti dell’asilo, disciplinata dalla legge 39/90, rimane praticamente immutata.

Le disposizioni normative del “Testo Unico concernenti la disciplina

dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (d.lgs. n. 286

del 25 luglio 1998) introduce tuttavia diverse disposizioni che intervengono su alcuni importanti aspetti in materia, confermando per esempio, il principio di non-refoulement (art. 19), introducendo all’art. 20 la cosiddetta “protezione temporanea” in caso di eventi eccezionali, o

16 In tal senso merita particolare attenzione l’esperienza dell’ICS – Consorzio italiano di solidarietà. 17 Sottolineando in questo modo l’importanza di un lavoro non improvvisato e non qualificato, ma che richiede professionalità e preparazione.

18 Alcune delle esperienze avviate in questi anni (Trieste, Ivrea ecc.) sono confluite direttamente nelle successive esperienze di Azione Comune, del Programma Nazionale Asilo e del Sistema di Protezione per i richiedenti asilo e rifugiati di cui si parlerà ampiamente in seguito.

19 La legge Puglia, è tuttora in vigore sull’intero territorio nazionale.

(10)

10

predisponendo l’istituzione dei centri di prima accoglienza per stranieri presenti regolarmente sul territorio dello Stato (art. 40). Questo ultimo articolo, definisce la possibilità che le Regioni, in collaborazione con Province e con Comuni, e con le associazioni e le organizzazioni di volontariato, allestiscano strutture ricettive in grado di ospitare stranieri regolarmente soggiornanti <<che versino temporaneamente in situazioni

di disagio e siano impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze>>. Ed è proprio in questo periodo che il processo di

armonizzazione delle politiche comunitarie in tema del diritti d’asilo subiscono una forte accelerazione, caratterizzata dal passaggio da una fase di cooperazione intergovernativa in materia di asilo ad una fase di piena

“comunitarizzazione”21.

Infatti grazie al sostegno della Commissione europea e del Ministero

dell’interno, si propone di rispondere all’emergenza kosovara22 attraverso

la creazione di una vera e propria rete di servizi territoriali di accoglienza per i richiedenti asilo. Tale network – comprensivo dei servizi di assistenza legale, accompagnamento nella procedura dell’asilo e inserimento sociale – viene realizzato sul territorio di trentuno comuni distribuiti in dieci regioni italiane.

L’obbiettivo di Azione comune è di promuovere un nuovo modello di accoglienza che privilegi centri di accoglienza di piccole e medie dimensioni distribuiti su tutto il territorio nazionale e che risponda alle

21 Solo a partire dal Trattato di Amsterdam è lecito parlare di competenze comunitarie in materia di asilo. Infatti, prima di questo momento si era parlato di “cooperazione intergovernativa” si veda ZAGATO L., “Le competenze della UE in materia di asilo dopo i trattati di Amsterdam e di Nizza e

nella prospettiva del Trattato su una Costituzione per l’Europa”, in Zagato L., Verso una politica comune del diritto di asilo, Padova, 2006.

22 Il progetto Azione comune avviato operativamente il 12 luglio 1999, si apre ai rifugiati di tutte le altre nazionalità. Il progetto, infatti, prevedeva inizialmente degli interventi rivolti solo alle popolazioni coinvolte nella guerra del Kosovo; in seguito li ha estesi ad un’utenza più ampia e non selezionata in base alla provenienza geografica.

(11)

11

esigenze delle diverse categorie di beneficiari23. Successivamente sarà

sviluppato il Programma nazionale d’asilo e il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), l’offerta di servizi prevista da Azione comune non riguarderà solo l’accoglienza materiale: l’assistenza ai beneficiari all’interno della rete contempla la promozione di percorsi che facilitano l’integrazione dello stranieri nella società italiana.

Oltre ai servizi volti a garantire “vitto e alloggio” sono proposti, sia all’interno dei centri di accoglienza sia sul territorio locale, dei “servizi trasversali” quali l’assistenza medica e psicologica, l’orientamento sociale, il ricongiungimento familiare, la consulenza legale, servizi di

interpretariato e di mediazione culturale24.

Avviato ufficialmente il 10 ottobre del 2000 con la stipula di un Protocollo di intesa tra il Ministero dell’Interno, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Associazione nazionale comuni italiani e diventato operativo nel luglio 2001, il Programma nazionale asilo nasce come frutto di un percorso condiviso volto a dare ulteriore impulso alla creazione di un sistema organico di assistenza ai rifugiati. Il Programma nazionale asilo (PNA), riesce nell’intento di costruire una rete nazionale fondata sull’impegno degli enti locali che assumono un ruolo di grande rilievo nell’implementazione dei servizi di accoglienza ed integrazione di richiedenti asilo e rifugiati. Il PNA rappresenta un’esperienza pilota caratterizzata da significativi elementi di originalità, sia rispetto alla precedente situazione italiana, sia rispetto ad altri contesti

europei25.

23 Azione comune (2000), Rapporto finale, Roma.

24 Tali servizi riservano un’attenzione particolare alle categorie vulnerabili come per esempio le donne sole con i bambini, i minori non accompagnati, le vittime di tortura e i malati.

25 Il PNA è infatti il primo esempio in Europa di modello di “governance” verticale e orizzontale nel settore dell’asilo, in grado di garantire cioè il coordinamento tra i vari livelli di governo centrale e gli

(12)

12

Il passo successivo si ebbe diversi anni dopo con un dispositivo noto anche per le ampie polemiche che ha sollevato, ovvero la nota legge n. 189, approvata il 30 Luglio 2002, di <<Modifica alla normativa in materia

di immigrazione e di asilo>> (la cosiddetta Bossi-Fini)26. La legge apporta significative modifiche alla legge 40/98 (meglio conosciuta come Turco-Napolitano) ma allo stesso tempo, rivista piuttosto radicalmente l’art. 1 della legge Martelli.

I quadro normativo delineato dalla legge Martelli prevedeva che l’istanza di asilo fosse esaminata dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, organo unico con sede a Roma. La l. 189/2002, attuata in gran parte dal D.P.R. 303/04, istituisce invece sette Commissioni territoriali presso le Prefetture – uffici territoriali di Governo di Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone e Trapani. La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato viene trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo a cui sono attribuiti compiti di indirizzo e coordinamento delle Commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime e di raccolta dei dati statistici. Sempre all’art. 1-ter, è introdotta, in aggiunta alla procedura ordinaria, una procedura semplificata per la definizione dell’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale procedura si applica in particolare ai richiedenti asilo obbligatoriamente trattenuti nei cosiddetti Centri di identificazione, ovvero nelle seguenti tipologie di casi:

attori locali presenti sul territorio e di dare luogo a una rete di servizi che non si presenta più come somma di singoli progetti, piuttosto, come un sistema coordinato di accoglienza.

26 Per un maggiore approfondimento vedi:

http://www.interno.gov.it/mininterno/site/it/sezioni/servizi/legislazione/immigrazione/legislazione_42 4.html

(13)

13

a) A seguito di una domanda di asilo presentata dallo straniero fermato per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque in condizione di soggiorno irregolare;

b) A seguito della presentazione di una domanda di asilo da parte di uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento.

La legge tratta anche i casi in cui il trattamento non è obbligatorio, bensì facoltativo. Ai sensi dell’art. 1-bis, comma 1 della legge, <<i richiedenti asilo possono essere trattenuti nei Centri di identificazione>> nei casi in cui:

a) Deve essere verificata o determinata la nazionalità o l’identità dello straniero qualora lo stesso non sia in possesso di documenti di viaggio o di identità, oppure abbia, al suo arrivo, presentato documenti risultati falsi;

b) Devono essere verificati gli elementi su cui si basa la domanda di asilo, qualora tali elementi non siano immediatamente disponibili; c) Lo straniero è in pendenza del procedimento concernente il

riconoscimento del diritto di essere ammesso nel territorio dello

Stato27.

Per quanto riguarda la procedura semplificata, oltre alla possibilità di ricorso ad un’eventuale decisione negativa della Commissione territoriale viene introdotta l’istanza di riesame. La richiesta di riesame adeguatamente motivata – avente cioè ad oggetto elementi determinati al fine del riconoscimento dello status di rifugiato che siano preesistenti ma non adeguatamente valutati in prima istanza o sopravvenuti successivamente – deve essere presentata dal richiedente asilo alla

27 In caso di trattamento facoltativo il provvedimento del Questore stabilisce il periodo massimo di permanenza nel centro del richiedente asilo, in ogni caso non superiore a 20 giorni.

(14)

14

Commissione territoriale competente entro cinque giorni dalla comunicazione della decisione negativa sulla concessione dello status di rifugiato. La procedura si svolge dinnanzi alla Commissione territoriale che si è pronunciata per la prima volta sulla domanda di asilo, integrata da un membro della Commissione nazionale. Contro la decisione negativa della Commissione territoriale integrata ed entro quindici giorni dalla comunicazione, viene inoltre accordata la possibilità di presentazione del ricorso presso il Tribunale, in composizione monocratica, territorialmente competente. Il ricorso, tuttavia, non prevede alcun effetti “sospensivo”: in caso di rigetto della domanda, il richiedente asilo è soggetto all’allontanamento, la cui esecuzione non è sospesa neanche in caso di ricorso al giudice ordinario. In altre parole, un richiedente asilo raggiunto da “diniego”, in base alla legge 189/02 può essere espulso dall’Italia anche in presenza di un ricorso giurisdizionale avverso alla decisione della Commissione territoriale.

Tuttavia, il richiedente, per le sole ipotesi di procedura semplificata, può domandare al prefetto l’autorizzazione a restare sul territorio nazionale in attesa di conoscere l’esito del ricorso. La portata delle norme di cui sopra ha, tra gli altri, il risultato – a differenza di quanto accadeva in precedenza – di rendere più celere la procedura di esame delle istanze di asilo riducendone i tempi di attesa, risolvendosi ad uno dei principali problemi della fase precedente.

Pur non provvedendo una riforma organica dell’art. 10 comma 3 della Costituzione, il testo legislativo propone significative modifiche con gli art. 31 e 32 specialmente in relazione alle procedure relative al riconoscimento dello status di rifugiato. In particolare, l’art. 32 della legge Bossi-Fini istituisce:

(15)

15

 Una doppia procedura di asilo: semplificata, per tutti i richiedenti

asilo trattenuti obbligatoriamente nei cosiddetti Centri di Identificazione e di permanenza temporanea; ordinaria, per tutti i richiedenti asilo che non sono soggetti all’obbligo di trattenimento;

 Un nuovo sistema di accoglienza realizzato attraverso l’istituzione

dei Centri di identificazione (CIE) e del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR).

2.1.1 Gli strumenti normativi e le procedure per il

riconoscimento dello status di rifugiato

Il Decreto legislativo 25/2008, in attuazione della Direttiva 2005/85/CE relativa alle <<procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato>>, modifica radicalmente le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato intervenendo in merito al trattamento del richiedente e afferendo quindi all’intero impianto nazionale dell’accoglienza cosi come definito

dalla legge 189/0228.

Per quanto riguarda gli aspetti procedurali, in conformità ai due differenti status introdotti dalla Direttiva “qualifiche”, la domanda d’asilo, in base al decreto, assume la denominazione di <<domanda di protezione internazionale>>. L’espressione <<domanda di asilo>> viene infatti sostituita con la <<domanda di protezione internazionale>>, riferendosi alla presentazione di un istanza di protezione diretta ad ottenere lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

28 Si noti che il decreto legislativo n.25/2008, ancor prima della sua attuazione, è stato oggetto di proposte di modifica e integrazione. E’ stato, infatti, emanato un ulteriore decreto legislativo (3ottobre 2008, n. 159) che provvede a modificare alcune delle disposizioni contenute nel precedente decreto di recepimento della Direttiva “procedure”.

(16)

16

Allo stesso modo, la definizione <<richiedente protezione internazionale>> sostituisce la dicitura <<richiedente asilo>> che, tuttavia, non scompare del tutto dalla normativa (nello stesso decreto legislativo n. 25/2008 si disciplinano i <<centri di accoglienza per i richiedenti asilo>>. Negli articoli 26-32 del decreto è dettagliata altresì la procedura di esame della domanda la cui presentazione avviene presso la Questura o il posto di polizia di frontiera che inoltra la domanda alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, preposte all’esame delle singole istanze come già è

previsto dalla legge 189/0229.

Arrivato in Italia, lo straniero viene accolto e soccorso nelle strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco, denominate CPSA (Centri di Primo Soccorso e Assistenza), caratterizzate da una permanenza degli immigrati all’interno, per il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri centri (generalmente 24/48 ore).

I CPSA sono strutture abbastanza recenti, istituite con un decreto interministeriale del 16 febbraio 2006 e destinate ad accogliere gli stranieri intercettati e soccorsi in mare, per fornire a loro una prima

assistenza basilare e generica30. Successivamente, il migrante che non ha

ancora definito il suo status giuridico viene accolto nei CDA31 (Centri di

Accoglienza), per il tempo strettamente necessario alla definizione dei

29 Il numero di tali Commissioni è stato portato peraltro da sette a dieci, con apposito decreto del Ministro dell’Interno del 27 ottobre 2007. Con lo stesso decreto sono state individuate le sedi e le circoscrizioni territoriali in cui le stesse hanno competenza di operare.

30 MARCONI L., E ANASTASIA S., “Lampedusa non è un Isola”, cit., pag.282.

31 La nascita dei CDA risale al 1995 e, in particolare, è legata al decreto legislativo 451/1995, convertito nella legge n. 563 del 1995, chiamata “legge Puglia”, la quale instituiva gli allora chiamati CTA, Centri Temporanei di Accoglienza. Tali strutture, inizialmente allestite solo nella città di Brindisi, Lecce e Otranto, serviranno a tentare di evitare interventi d’accoglienza improvvisati e a diminuire il consueto ricorso a provvedimenti emergenziali di protezione civile per affrontare il numero sempre più cospicuo di arrivi di cittadini stranieri.

(17)

17

provvedimenti amministrativi relativi alla sua posizione sul territorio nazionale.

Per quanto riguarda la definizione dei tempi di permanenza all’interno di queste strutture, la normativa italiana presenta una carenza. Non vi è, infatti, alcuna precisazione, ma si afferma che gli stranieri devono rimanervi esclusivamente per il tempo necessario all’adozione dei

provvedimenti questorili (art.23 del d.P.R. 394/1999)32.

Sia i CPSA che i CDA, quindi, sono caratterizzati dal fatto che lo straniero vi permane per un tempo breve, e questo condiziona la tipologia e la strutturazione dei servizi offerti all’interno dei centri. Analizzando il “capitolato di appalto” di entrambi è possibile notare infatti, come siano forniti i servizi di assistenza generica alla persona, quali il servizio di mediazione linguistica e culturale, l’informazione sulla normativa concernente l’immigrazione, i diritti e doveri e la condizione dello straniero, le regole comportamentali del centro, i servizi di barberia e lavanderia e anche i servizi di assistenza sanitaria, do pulizia e igiene ambientale, cosi come la fornitura di kit per gli ospiti e dei pasti per il tempo di permanenza di questi. Inoltre, nei CDA sono garantiti anche servizi di sostegno socio-psicologico, con particolare attenzione alle categorie vulnerabili (quali i minori, le vittime di tortura, abusi o violenze, i portatori di handicap fisici o mentali…), e l’organizzazione del tempo libero tramite attività ludico-ricreative, sportive, culturali e quelle dedicate all’espletamento delle funzioni religiose.

(18)

18 Procedura si soccorso

Successivamente, dopo questa prima fase di accoglienza, il migrante può essere indirizzato verso due alternative: o essere espulso e quindi

entrare in un CIE33 per le pratiche ad esso associate, oppure essere

destinatario delle misure di protezione e quindi poter usufruire dei centri CARA o della rete SPRAR.

Procedura identificazione ed espulsione

33 La nascita dei CIE, cosi denominati con decreto legge 23 maggio 2008 n. 92 risale al 1998 con la legge n. 40/98 (detta “Turco-Napolitano”), con la quale si è affermata giuridicamente la possibilità di trattenere i destinatari di provvedimenti di espulsione in apposite strutture definite Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA).

ARRIVO STRANIERO SOCCORSO (CPSA) ACCOGLIENZA TEMPORANEA (CDA) IDENTIFICAZIONE (CIE) ESPULSIONE

(19)

19 Procedura protezione

Come abbiamo visto la domanda è propedeutica all’avvio delle procedure per la determinazione dello stato competente all’analisi della stessa e al rilascio, al richiedente, di un attestato (nel caso sia inviato in un centro di accoglienza per richiedenti asilo o in un centro di trattenimento) oppure di un permesso di soggiorno della durata di tre mesi rinnovabile fino al perfezionamento della procedura (nel caso non le venga disposta l’accoglienza nei summenzionati centri). Il decreto abolisce altresì la doppia procedura prevista della normativa precedente nonché la suddivisione tra trattamento facoltativo e obbligatorio.

PROTEZIONE CARA SPRAR PROTEZIONE TEMPORANEA RIMPATRIO VOLONTARIO PROTEZIONE INTERNAZIONALE INTEGRAZIONE PROTEZIONE UMANITARIA

(20)

20

Sono previsti infine tempi più brevi per decidere in merito ad alcune istanze specifiche, come nei casi di:

 <<domande palesemente fondate>>;

 <<domande presentate da richiedenti appartenenti alle categorie

vulnerabili>>;

 <<domande presentate da richiedenti per i quali sono stati disposti

l’accoglienza in un CARA34 o il trattenimento in un CIE, fatto

salvo il caso in cui l’accoglienza sia disposta per verificare o accertare l’identità del richiedente>>.

Dal momento della permanenza sul territorio italiano il profugo, non destinatario di un provvedimento di esclusione, può ottenere una delle protezioni previste dall’ordinamento europeo e, al contempo, nazionale. La tutela immediata e temporanea viene attuata secondo la direttiva europea n.2001/55 del 20 Luglio 2001 definita direttiva “sfollati”, con lo scopo di istituire norme minime per la concessione della protezione

temporanea35.

34 I CARA, istituiti nel 2008 per accogliere i richiedenti asilo per un periodo massimo di 35 giorni, sono centri di accoglienza che si pongono agli antipodi rispetto al modello di accoglienza diffusa. Possono ospitare dai 100/150 migranti fino ad un massimo di 1.500/2.000; inoltre, come ha notato l'UNHCR, «non tutti i CARA offrono gli stessi servizi di accoglienza: in particolare la qualità dell’assistenza varia

da centro a centro e non sempre raggiunge standard adeguati, in particolare per ciò che riguarda l’assistenza legale e psico-sociale». Dato che spesso la permanenza in questi centri va ben al di là di

quanto previsto dalla legge istitutiva, molti richiedenti asilo si trovano a trascorrere lunghi periodi di tempo in strutture che sovente non presentano - come ha osservato l'UNHCR - standard qualitativi adeguati.

35 La durata della “protezione temporanea” è pari ad un anno, prorogabile di sei mesi in sei per un periodo massimo di un anno. Le persone vengono dotate di titoli di soggiorno e possono esercitare qualsiasi attività lavorativa e partecipare ad attività formative. Inoltre gli Stati membri provvedono affinché sia dato un adeguato alloggio o comunque i mezzi necessari per ottenere un’abitazione e, laddove le persone non dispongono di risorse sufficienti, sia dato loro aiuto nei termini di assistenza sociale, contributi al sostentamento e cure mediche. Le persone che godono della protezione temporanea possono presentare in qualsiasi momento una domanda di asilo. Terminata la protezione temporanea (o anche il corso di questa) gli Stati membri adottano tutte le procedure affinché si possa consentire il rimpatrio volontario (o forzato, nel solo caso di cessazione della protezione).

(21)

21

Gli attori coinvolti, che giocano un ruolo centrale nel far funzionare l’applicazione pratica della norma sono il Consiglio, la Commissione, nonché naturalmente gli Stati membri coinvolti. L’istruttoria compiuta dalle Commissioni territoriali ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, comporta la valutazione, caso per caso, della sussistenza di <<atti di persecuzione>> che, elencati all’art. 9 della Direttiva europea sulle procedure, devono essere sufficientemente gravi per loro natura o frequenza da rappresentare una violazione importante dei diritti umani e, comunque, riconducibili ai motivi individuati dalla Convenzione di Ginevra.

Durante la procedura d’esame della domanda, lo straniero ha infatti il diritto di rimanere nel territorio dello Stato. La domanda che non è stata presa tempestivamente non può essere respinta, bensì esaminata tenendo conto della situazione individuale e della situazione nel Paese di origine. Il decreto inoltre non prevede che la domanda sia considerata automaticamente inammissibile se il richiedente proviene da un Paese considerato non sicuro. La Commissione competente valuta se riconoscere o meno una forma di protezione internazionale dopo aver ascoltato il richiedente in sede d’audizione o in base alla documentazione inviata

qualora sia ritenuta sufficiente36.

In merito alle singole domande di protezione internazionale37, le

Commissioni territoriali possono prendere le seguenti decisioni:

36 La Commissione territoriale può omettere l’audizione del richiedente qualora reputi di avere sufficienti motivi per accogliere la domanda, in base agli elementi forniti dal richiedente e in tutti i casi in cui risulti certificata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale. In caso di audizione davanti alla Commissione territoriale di un cittadino straniero appartenente alle cosiddette categorie vulnerabili e portatore di particolari esigenze, può essere ammesso al colloquio anche personale di sostegno per prestare la necessaria assistenza. Al colloquio può assistere un legale.

37 Il percorso del richiedente protezione si avvia al momento di entrata nel territorio dello Stato membro e in particolare nel momento in cui presenta la domanda di “protezione internazionale”, unita ad una

(22)

22

Riconoscere lo status di rifugiato;

Riconoscere lo status di protezione sussidiaria

 Non riconoscere alcuna protezione38

 Raccomandare, in via residuale, il rilascio del permesso per motivi

umanitari qualora, pur non riconoscendo la protezione sussidiaria, la commissione rilevi la sussistenza di <<gravi motivi di carattere

umanitario>>39.

Elemento nuovo nell’ordinamento italiano riguarda la fase di impugnazione ovvero la fase di tutela giurisdizionale dei richiedenti che, a seguito del diniego, possono presentare ricorso al Tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto della Corte d’appello in cui si trova la

Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento40.

La norma prevede espressamente che il ricorrente rimanga sul territorio nazionale in qualità di richiedente protezione internazionale fino all’esito della seconda istanza. Rispetto alla procedura precedente, quindi, il

documentazione del richiedente, presso l’ufficio di polizia di frontiera o presso l’ufficio della Questura territorialmente competente. Dal momento di cui ha presentato richiesta di asilo, può disporre dell’accesso alle misure di accoglienza, qualora i mezzi di sussistenza siano insufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per la salute e per il sostentamento proprio e dei propri familiari. Questo compito di valutazione è svolto dalla Prefettura la quale si occupa anche di accertarsi della disponibilità dei posti di accoglienza all’interno delle strutture (alloggi, case private, centri, alberghi… e nella rete SPRAR) e la successiva comunica del trasferimento della persona nei suddetti centri alla Questura e alla Commissione territoriale.

38 Il diniego della protezione deriva dalla carenza dei requisiti per il rilascio di protezione internazionale. 39 La protezione riconosciuta per “motivi umanitari” rappresenta un’ulteriore possibilità di ottenere un permesso di soggiorno, laddove non sia stato ottenuto in altro modo, in quanto non rispondente ai casi previsti per il riconoscimento della protezione internazionale. La protezione umanitaria è una forma di protezione diversa rispetto allo status di rifugiato e allo status di protezione sussidiaria, ed è disciplinata dal Testo Unico sull’Immigrazione e richiamata dal cosiddetto Decreto procedure ai fini della sua applicazione nell’ambito della procedura di asilo.

40 Il ricorso deve essere presentato, pena l’inammissibilità della domanda, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento e allo stesso è allegata copia del provvedimento impugnato. Nei soli cosi di trattenimento nei cosiddetti Centri di permanenza temporanea, il ricorso deve essere presentato nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al Tribunale che ha la sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede il centro. In caso di ricorso lo straniero è ammesso al gratuito patrocinio, ove ne sussistono le condizioni.

(23)

23

ricorso, in caso di rigetto della domanda, “sospende” l’efficacia del

provvedimento di espulsione41. In questo modo, viene introdotto e

disciplinato, per la prima volta in Italia, il cosiddetto “ricorso sospensivo”, richiesto per anni al legislatore dai principali organismi di tutela internazionali e nazionali, quale ulteriore strumento di tutela dei

richiedenti protezione42.

Il decreto legislativo riconferma il ruolo della Commissione nazionale per il diritto di asilo alla quale, oltre a riconoscere le funzioni attribuite dalla precedente normativa relativamente al potere decisionale di revoca

e di cessazione della protezione43, assegna anche compiti di costituzione e

aggiornamento di una banca dati informatica per le informazioni utili al monitoraggio delle richieste di asilo. Alla stessa viene inoltre affidata la costituzione socio-politica ed economica dei Paesi di origine di richiedenti ed il monitoraggio dei flussi di asilo.

Per quanto riguarda la composizione dei membri, la Commissione Nazionale è presieduta da un Prefetto ed è formata da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario dalla carriera diplomatica, da un funzionario dalla carriera prefettizia in servizio presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione e da un dirigente del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno.

41 Questa previsione tuttavia non si applica allo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione trattenuto in un Centro di permanenza temporanea o in Centro di accoglienza per richiedenti asilo. Inoltre, il ricorso non sospende l’efficacia del provvedimento di espulsione qualora la domanda sia considerata inammissibile.

42 Il ricorso è impugnabile anche nel caso in cui l’interessato abbia chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. 43 La Commissione nazionale per il diritto di asilo, nella precedente procedura, aveva <<compiti di

indirizzo, coordinamento delle Commissioni territoriali, di formazione aggiornamento dei componenti delle medesime, di raccolta di dati statistici oltre che poteri decisionali in tema di revoche e cessazione degli status concessi>>.

(24)

24

La Commissione è validamente costituita con la presenza della maggioranza dei componenti e delibera con il voto favorevole di almeno tre componenti. Alle riunioni partecipa, senza diritto di voto, un rappresentante del delegato in Italia dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Gli aspetti relativi all’accoglienza e all’assistenza

Come abbiamo già avuto modo di vedere precedentemente, la procedura introdotta dalla direttiva “procedure” non fa più riferimento al trattenimento se non per alcuni casi di espulsione. Tra gli articoli abrogati dal decreto vi sono infatti anche quelli introdotti dalla legge 189/02 che prevedono il trattenimento nei Centri di identificazione e la relativa procedura semplificata per i richiedenti asilo in regime di trattenimento. Di conseguenza, i Centri di identificazione vengono sostituiti con i cosiddetti Centri di accoglienza per richiedenti asilo (il cui acronimo è CARA) che – come si vedrà anche in seguito – non sono più luoghi di

trattenimento dei richiedenti, ma piuttosto strutture di prima accoglienza44.

In base alla nuova disposizione, l’invio presso i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo avviene in casi specifici, in particolare quando:

 È necessario verificare o determinare la nazionalità o l’identità del

richiedente, ossia quando lo stesso non è il possesso dei documenti di viaggio o di identità, ovvero se al suo arrivo nel territorio dello Stato ha presentato documenti risultati falsi o contraffatti (in questi casi il trattenimento non è superiore a 20 giorni);

44 Si continua tuttavia a parlare di trattenimento nei casi in cui il richiedente sia inserito in un CPT – Centro di permanenza temporanea (in seguito denominato CIE – Centro di Identificazione ed Espulsione).

(25)

25

 Il richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato

per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo (permanenza non superiore a 20 giorni);

 Il richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato

in condizioni di soggiorno irregolare (permanenza non superiore a 35 giorni);

 Il richiedente ha presentato la domanda - anche se già

precedentemente trattenuto in un CPT – essendo destinatario di un provvedimento di espulsione amministrativa o di respingimento

(permanenza non superiore a 35 giorni)45.

Da queste disposizioni, si evince che la nuova disciplina lascia pressoché invariata, nella sostanza, la situazione normativa precedente relativa all’accoglienza e all’assistenza dei beneficiari. I casi per cui nel decreto di <<accoglienza nei CARA>> sono gli stessi per cui

precedentemente si parlava di <<trattenimento nei CIED>> e le stesse

strutture in cui sorgono i CARA coincidono con precedenti CIED. A

differenza dei CIED, tuttavia, i CARA sono aperti, gli ospiti, cioè, hanno

la facoltà di uscire nelle ore diurne, indipendentemente dal motivo che ha reso necessaria l’accoglienza nonché la facoltà di richiedere al prefetto un permesso di uscita per i periodi superiori giustificati da <<rilevanti motivi personali>>. Allo scadere dei termini per l’accoglienza – qualora la richiesta di asilo non sia stata ancora esaminata – il richiedente deve lasciare il centro e gli viene consegnato un permesso di soggiorno di tre mesi rinnovabile fino alla decisione della Commissione in merito al suo status.

45 In quest’ultimo caso si registra un cambiamento sostanziale rispetto alla precedente normativa che prevede il trattamento in un CPT nei casi di espulsione.

(26)

26

Il profilo sociale del titolare dello status è definito nel decreto di recepimento della cosiddetta Direttiva “qualifiche”. Tra i vari aspetti trattati, la Direttiva specifica i diritti che derivano dalla situazione di protezione internazionale, equiparando i beneficiari ai cittadini nell’accesso all’occupazione e all’istruzione, alla libera circolazione, all’integrazione e all’alloggio.

I titolari dello status hanno diritto all’assistenza sanitaria e sociale, al rilascio della patente guida, alla tutela giurisdizionale dei propri diritti e al rimpatrio qualora decidono volontariamente di fruirne. Al titolare di protezione sussidiaria, inoltre, sono riconosciuti essenzialmente gli stessi diritti sociali garantiti al rifugiato. Tra questi è di particolare interesse quello relativo al mantenimento del nucleo familiare, che consente allo straniero titolare della protezione sussidiaria la possibilità del ricongiungimento familiare - seppure vincolato a determinati criteri di reddito e alloggio – e i suoi famigliari, che non hanno diritto a tale status, di ottenere un permesso di soggiorno per motivi famigliari.

2.2 Il piano di Accoglienza della Regione Toscana

Il diritto d’asilo e le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato sono di competenza dello Stato. Tuttavia le Regioni, nell’ambito della loro potestà legislativa, possono svolgere un ruolo importante sostenendo interventi di protezione, accoglienza ed integrazione sociale dei rifugiati e favorendo la costruzione di una rete di servizi territoriali. Difatti, oltre alla già ricca ed articolata attività normativa a livello nazionale – maturata anche in seguito al recepimenti della legislazione comunitaria – nello stesso periodo di riferimento viene promossa anche un’intensa attività legislativa a livello regionale.

(27)

27

Infatti, nonostante la Costituzione italiana attribuisca allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di immigrazione e di condizione giuridica dello straniero, le Regioni possono avvalersi degli strumenti legislativi al fine di facilitare la promozione, sul territorio di propria competenza, di politiche di accoglienza e di integrazione sociale degli stranieri. Le Regioni hanno, cioè, la possibilità di realizzare, attraverso appositi strumenti normativi, interventi autonomi di accoglienza e integrazione sociale e culturale degli stranieri tout court, e di conseguenza, anche dei titolari di protezione internazionale. La stessa disciplina del TU 286/98 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello stranieri”) dispone all’art. 1, comma 4, <<nelle materia di competenza legislativa delle Regioni, le disposizioni del presente testo unico costituiscono

principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione>>46.

Più in generale si prevede che le Regioni ed Enti locali adottino <<provvedimenti concorrenti al perseguimenti dell’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana>>47.

46 La modifica del Titolo V della Costituzione ha ulteriormente ampliato le competenze regionali in alcuni settori chiave quali la formazione professionale, i servizi sociali e l’istruzione.

47 A tal fine, la Legge 40 del 1998 istituisce anche il Fondo nazionale per le politiche migratorie confluito successivamente nel Fondo nazionale per l’inclusione sociale. Vedi: PRETROVIÇ N., Rifugiati,

profughi, sfollati, Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Milano, 2011,

(28)

28

Oltre agli interventi di carattere normativo, le azioni delle Regioni sono tese ad individuare e diffondere buone prassi in materia e ad assicurare il supporto e l’autonomia finanziaria alle iniziative realizzate

territorialmente48.

Infatti è passato oltre un anno e mezzo da quando la Regione Toscana ha cominciato ad attuare il modello di accoglienza diffusa. Modello che ha voluto dare un risposta innovativa al notevole incrementi dei flussi di profughi provenienti dai Paesi del Nord Africa nei primi mesi del 2011. Dichiarando la disponibilità di accogliere 3.500 persone.

A seguito di questa presa di posizione il Governo individuò un'area del territorio toscano nella quale collocare i migranti: la scelta cadde su Coltano, area situata nella provincia di Pisa, in prossimità del confine con la provincia di Livorno. Questa ipotesi non fu preventivamente condivisa né con la Regione Toscana, né con gli enti locali interessati. Il Presidente della Regione si oppose alla decisione del Governo ed ottenne una proroga

dell'arrivo dei primi 500 migranti destinati in Toscana49.

Allo stesso tempo, dopo una rapida consultazione con gli enti locali, propose un modello di accoglienza “decentrato”, che contando sulla collaborazione del terzo settore e del volontariato rendesse possibile il superamento della logica delle grandi concentrazioni in favore dell'accoglienza distribuita sui territori. Nacque così il cosiddetto “modello di accoglienza diffusa”, basato sulla dislocazione dei migranti in centri più piccoli, sul coinvolgimento delle autonomie locali e

48 Alcune Regioni prevedono in certi casi l’eventualità di partecipare al sostegno dei progetti locali finanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

49 Si vedano, a titolo di esempio, alcuni articoli apparsi sui quotidiani di quei giorni: Rivolte

anti-profughi: a Pisa niente tendopoli, in “La Nazione”, 30 marzo 2011; Vogliono fare qui un vero Cie: Pisa e la Toscana accusano il governo, in “Il Tirreno”, 30 marzo 2011; La soluzione Coltano: una scelta del governo miope e illegittima, in “Il Tirreno”, 30 marzo 2011

(29)

29

dell’associazionismo e sul rigetto del modello proposto dal Governo

nazionale (quello dei grandi “centri-contenitore”)50.

La regione Toscana cosi come le altre regioni italiane ha voluto rispondere allo stato di emergenza umanitaria decretato dal Governo Italiano nel febbraio 2011 a seguito dei flussi migratori verso la Penisola originati dai noti eventi che hanno interessato i Paesi del Nord Africa.

Questo si nota dal accordo siglato il 4 aprile 2011 tra Prefettura di

Firenze e la Regione Toscana51 in concomitanza con l’arrivo dei primi

profughi sul territorio regionale, ha delineato la suddivisione dei compiti e dei ruoli tra i diversi soggetti istituzionali. In base allo schema proposto, la Regione, in collaborazione con le amministrazioni locali e le associazioni di volontariato, si è inizialmente adoperata per rendere disponibili strutture ricettive per una capienza massima di 500 persone, affidando per un periodo di sei mesi i servizi di accoglienza al sistema del volontariato e di protezione civile. La prefettura di Firenze si è occupata del raccordo delle attività realizzate a livello regionale mentre le altre Prefetture localmente interessate si sono fatte garanti della sicurezza delle strutture d’accoglienza e della correttezza degli adempimenti procedurali. La regione, inoltre, è stata individuata come soggetto titolato per la stipula dei contratti-convenzioni per la gestione dell’accoglienza mentre la copertura economica è stata delegata al Commissario straordinario per l’emergenza.

50 BRACCI F., Emergenza Nord Africa, I percorsi di accoglienza diffusa, Analisi e monitoraggio del sistema. Pisa, University Press.

51 L’accordo quadro tra la Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Firenze e la Regione Toscana siglato il 4 aprile 2011 è stato approvato dalla delibera della Giunta regionale n. 222/2011.

(30)

30

Risale a maggio 2011, la sottoscrizione del Protocollo d’intesa tra Regione, le Province e l’ANCI Toscana per l’emergenza umanitaria

relativa all’eccezionale afflusso di cittadini dai paesi del Nord Africa52 al

cui interno sono articolati gli accordi presi per proseguire sulla strada dell’implementazione del nuovo sistema d’accoglienza.

Tabella.1 Distribuzione territoriale dei migranti

Popolazione Pop. % su tot. Toscana Distribuzione teorica migranti ogni 10.000 arrivati in Italia Distribuzione teorica massima per 50.000 migranti Toscana 3.730.130 100,00% 702 3510 Provincie Massa Carrara 203.642 5.46% 38 192 Lucca 392.182 10.51% 74 369 Pistoia 292.108 7,83% 55 275 Firenze 991.862 26,59 187 933 Livorno 341.453 9,15% 64 321 Pisa 414.154 11,10% 78 390 Arezzo 348.127 9,33% 66 328 Siena 271.365 9,33% 51 255 Grosseto 227.063 6,09% 43 214 Prato 248.174 6,65% 47 234

(31)

31

Questi dati sono stati raccolti dal monitoraggio realizzato

dall’osservatorio Sociale Regionale nei primi sei mesi del 201253,

complessivamente sul territorio sono state accolte 1519 persone. In questo Protocollo vi è un articolo in cui si parla esplicitamente di “modello toscano d’accoglienza”, ribadendo ufficialmente i tre aspetti che l’hanno connotato: l’assegnazione diffusa sul territorio dei profughi, la preferenza per strutture di piccole o medie dimensione ed il distinguo tra associazioni di volontariato di protezione civile da coinvolgere limitatamente alla prima accoglienza e le associazioni di volontariato sociale, a cui poter affidare la fornitura di servizi d’accoglienza.

Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana scrive:

<< cosi è iniziato il lavoro: cercare le strutture disponibili ad ospitare

piccoli gruppi di profughi, contattare il volontariato religioso e laico, le Prefetture, i Comuni e le Provincie per organizzare la gestione dei centri, respingendo sul nascere la logica “concentrazionaria” sposata dal governo e disegnata più sul modello del carcere e della separatezza che su quello di una accoglienza lungimirante e intelligente…. La Toscana ha sbugiardato l’ipotesi dell’invasione migratoria, ha sconfitto la paura, ha mostrato di aver ben saldi nelle più minute pieghe del territorio e tra le sue caratteristiche sociali e culturali il senso di responsabilità, la capacità, di venire incontro al bisogno e di affrontare i problemi con coraggio e organizzazione, senza fronzoli o retorica>>54.

53 BRACCI F., (a cura di), Emergenza Nord Africa, cit.pag.49.

54 L’e-book è scaricabile al seguente indirizzo: http://toscananotizie.it/ wpcontent/ uploads/2011/06/arrivano dal mare.pdf. è realizzato da Toscana Notizie, agenzia di informazione multimediale della Giunta regionale Toscana, ed è edito da Quintacopertina- Fabrizio Veneranti Editore, Genova, in TOMEI G., Se venti mesi vi sembran pochi, Gli effetti del programma ENA in provincia di Pisa.

(32)

32

L’affidamento della gestione nella maggior parte dei casi ad enti locali e ad organismi del terzo settore e del privato sociale è avvenuto in coerenza con l’obiettivo di promuovere <<l’istituzione di un sistema regionale che favorisca modalità condivise e partecipate di governo del fenomeno migratorio, anche in relazione al sistema del welfare e dello sviluppo locale>> enunciato dalla Legge regionale 29/2009 Norme per

l’accoglienza, l’integrazione partecipe e la tutela dei cittadini stranieri nella Regione Toscana55.

Al 1° gennaio 2011 i permessi per protezione internazionale, richiesta

asilo o motivi umanitari sono 3.201, su un totale di 166.132 permessi56.

Ne consegue che i migranti ospitati nell'ambito del sistema ENA determinano un incremento di quasi il 50% (per l'esattezza +47,5%) dei titoli di soggiorno rilasciati per motivi legati all'asilo in Toscana. Il quadro delle persone accolte per area di origine mostra una nettissima prevalenza di migranti appartenenti a Paesi dell'Africa Occidentale (rappresentano il 71% del totale). Seguono, a grande distanza, l'Asia Sud-orientale ed il Nord Africa. Se passiamo al dettaglio per nazionalità, si può osservare che i tre gruppi nazionali con il maggior numero di persone accolte sono tutti dell'Africa Occidentale: Nigeria (432 persone), Mali (191) e Ghana (177).

Se consideriamo gli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti in Toscana al 1° gennaio 2011 (295.490), i migranti dell'ENA rappresentano lo 0,4% del totale. Se invece si considera l'insieme della popolazione residente in Toscana (3.749.813 unità), l'incidenza percentuale scende allo 0,03%. Il termine di comparazione più interessante è però quello con i titolari di un permesso di soggiorno per motivi legati all'asilo in Toscana. In totale, sul territorio regionale sono

55 Ibidem.

(33)

33

stati coinvolti 110 Comuni in cui sono state attivate ben 135 strutture, di cui 95 attive fino alla conclusione dell’emergenza.

È importante constatare il maggiore livello di complessità del profilo degli accolti in Toscana rispetto a quello desumibile dai dati riguardanti le altre regioni con le quali è possibile effettuare una comparazione. In Toscana sono ospitate persone appartenenti a 33 Paesi diversi: i primi 5 paesi per numero di presenze incidono per il 64,9% (985 su 1.519), percentuale inferiore rispetto a quella rilevabile in Umbria (69,2%), Puglia

(67,7%) ed Emilia Romagna (87,2%)57. Tra le persone accolte in Toscana

il maggior numero di arrivi si registra nel mese di maggio 2011 (tabella 2) dove risultano 369 rifugiati. Nel solo giorno 11 giugno risultano essere arrivati ben 282 dei 1.519 migranti accolti nel sistema ENA regionale (il

dato è presente nel database della protezione Civile per 2/3 degli accolti)58.

Tabella. 2 – Mese di arrivo delle persone accolte in Toscana

Mese v.a. % vert.

Febbraio 2011 1 0,1% Marzo 2011 11 1,1% Aprile 2011 73 7,1% Maggio 2011 369 35,8% Giugno 2011 282 27,4% Luglio 2011 132 12,8% Agosto 2011 162 15,7% Totale risposte 1.030 100%

57 Si veda Regione Umbria, Emergenza profughi Nord Africa. Situazione al 13/09/2011, Centro regionale Protezione Civile; Soggetto Attuatore Puglia, op. cit., p. 29; Fiorini, op. cit., p. 16

58 Per i migranti accolti in Puglia il picco degli arrivi è avvenuto nel mese di maggio. Nel solo giorno 12 maggio sono arrivate 119 persone. Soggetto Attuatore Puglia, op. cit., p. 24

Riferimenti

Documenti correlati

Filippo MIRAGLIA - Responsabile Nazionale ARCI sull' Immigrazione Paolo ARTINI - Responsabile Sezione Protezione dell'UNHCR in Italia Luca PACINI - Responsabile

Pull factors for migrant health professionals include both active and passive recruitment by high-income countries, job vacancies in high-income countries with concomitant

Principio di diritto che non può essere esente da critiche poiché si pone in assoluto contrasto con quella che è la ratio ispiratrice dello strumento della pausa feriale, volto

Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i cittadini extracomu- nitari e gli apolidi presenti in Italia alla data del 31 dicembre 1989

che a stretto rigore la credenza della morte del figlio non costituisce un motivo. Anche l'ALLARA, op. cit., pago 151 sembre- rebbe dell'opinione che solo il

Non si deve infatti dimenticare che, oltre all’Asilo e alla Protezione Sussidiaria messi in campo a livello dell’Unione, anche le leggi nazionali possono offrire diverse

È stato al riguardo affermato in giurisprudenza che tra le due figure - quella dell’asilante e quella del preteso rifugiato - vi è in via di principio una

La seconda accoglienza è garantita dai progetti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), istituito nel 2002, ridenominato Sistema di protezione per