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CAPITOLO IV TILLIE OLSEN: VITA E OPERE GIOVANILI

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CAPITOLO IV

TILLIE OLSEN: VITA E OPERE GIOVANILI

4.1 Vita1

Tillie Lerner (adotterà il cognome Olsen dal 1944) nasce a Omaha, Nebraska, nel 1912 da genitori russi immigrati in America dopo il fallimento della rivoluzione del 1905.2 I Lerner non praticavano la fede ebraica tuttavia avevano mantenuto saldi certi principi tradizionali come quelli della responsabilità comunitaria e dell’aiuto reciproco che si rispecchia in una forma di socialismo umanitario volto a sradicare le ingiustizie e le diseguaglianze. Samuel Lerner, padre della scrittrice, diviene segretario del Partito Socialista del Nebraska dopo essersi occupato di questioni sindacali e di diritti dei lavoratori per molti anni. La giovane Tillie, seconda di sei figli, cresce in un contesto di povertà generalizzata, eppure riesce a frequentare le scuole superiori pur senza terminarle. La scuola sarà per lei oggetto di aspre critiche, poiché nella sua ottica essa reitera il sistema della diseguaglianza sociale, anziché aiutare i suoi allievi a emanciparsi dall’indigenza. Si forma grazie ai testi della biblioteca cittadina e alle letture casalinghe, per lo più riviste e saggi di argomento politico. Quando si imbatte in “Life in the Iron Mills” di Rebecca Harding Davis rimane profondamente colpita sia per la forza della scrittura che per i temi sociali trattati.3 Harding Davis guiderà tutta la produzione di Olsen che, in età matura, si adopererà per far ripubblicare questo e altri testi ormai dimenticati dall’editoria e dalla critica. Durante gli anni della Depressione abbandona gli studi per supportare economicamente la famiglia, si iscrive alla Young Communist

1

Cinzia Biagiotti, Silenzi infranti. La scrittura di Tillie Olsen, Urbino, QuattroVenti, 2005.

2

La rivoluzione del 1905 fu scatenata dalla dura repressione della guardia imperiale che sparò sulla folla radunatasi per una manifestazione pacifica sotto il palazzo dello zar a San Pietroburgo. Il popolo insorse e lo zar Nicola II fu costretto a concedere il riconoscimento delle libertà politiche e l’istituzione di un parlamento elettivo, la Duma. Il movimento non seppe mantenersi coeso e così la rivoluzione fu soffocata.

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League e nel 1932 subisce un arresto per aver contribuito all’organizzazione di un movimento

sindacale tra gli operai di un’industria di carne in scatola. Poco dopo nasce Karla, la prima di quattro figlie, che deve il suo nome a Karl Marx. Nel 1933 si trasferisce a San Francisco, dove risiederà per tutta la vita. Nel 1936 va a vivere con l’attivista sindacale Jack Olsen, che sposerà nel 1943 e da cui avrà Julie, Kathie e Laurie. La disapprovazione per la politica repressiva di Stalin e un certo maschilismo di fondo incrinano i suoi rapporti con il Partito Comunista, che abbandonerà definitivamente nel 1948. A partire dalla metà degli anni Trenta e durante il Maccartismo, è oggetto di controlli da parte del FBI per il suo impegno politico; sono anni molto intensi, in cui nascono le figlie e in cui lavora duramente per contribuire alle spese famigliari. Si occupa anche della “questione femminile”, promuovendo e tenendo corsi sull’argomento presso la sede cittadina della Young Communist League. Già negli anni Trenta Olsen scrive e pubblica una serie di testi che raccolgono consensi dalla critica e che si iscrivono nel contesto letterario del realismo

proletario. Queste opere ci restituiscono la voce di una giovane autrice attiva nel Communist

Party, eppure dotata di un’indipendenza di pensiero che si sarebbe rafforzata negli anni. L’attività di scrittrice a tempo pieno ha inizio solo a metà degli anni Cinquanta quando, con la quarta figlia in età scolare, riprende a scrivere. Gli anni che seguono sono contrassegnati da un’attività febbrile, un vero climax di lezioni, pubblicazioni e riconoscimenti pubblici. Per quanto la sua produzione sia esigua e discontinua, è caratterizzata da una potenza lirica che si mescola alla grande onestà intellettuale e all’interesse per la società civile. La sua voce libera, proletaria e fuori dal coro è arrivata fino alle più grandi università e ha ricevuto onori e premi importanti. Altro aspetto della sua carriera è l’impegno con la Feminist Press per il recupero di testi fuori stampa di autrici dimenticate. Grazie a lei “Life in the Iron Mills” di Rebecca Harding Davis e Daughter of Earth di Agnes Smedley sono stati ristampati e hanno ottenuto la visibilità e il successo meritati.4

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4.2 Opere giovanili (1926- 1934)5

Per apprezzare la ricchezza della scrittura olseniana è necessario inquadrarla nel particolare momento storico da lei vissuto. La prima produzione consta di due poesie (“I Want You Women Up North to Know” e “There Is A Lesson”), due reportages (“Thousand-Dollar Vagrant” e “The Strike”) e “The Iron Throat”, incipit di un romanzo pubblicato nel 1974 col titolo di Yonnondio.6 Questi testi possono essere ascritti alla corrente del realismo proletario, che prende vigore all’inizio del secolo Ventesimo e ottiene maggior diffusione negli anni Trenta. A causa della crisi economica e della povertà dilagante, i socialisti e i comunisti americani ottennero un vasto consenso popolare e anche la letteratura prese a occuparsi dei ceti più poveri, che mai prima di allora erano stati indagati. Due saggi di Michael Gold (“Towards Proletarian Art” e “Proletarian Realism” ) sono considerati i capisaldi della nuova corrente artistica, che si ripropone di ritrarre la dura realtà delle lotte sindacali e delle ingiustizie subite con l’intento di suggerire un radicale cambiamento sociale. 7 Già a inizio secolo gli intellettuali della sinistra avevano preso a riunirsi sotto l’egida del giornale The Comrade, ma con Gold furono fissate le caratteristiche formali del

realismo proletario. Lo scrittore dovrà attenersi ai fatti, senza indugiare in sentimentalismi,

virtuosismi ed esagerazioni drammatiche, infatti solo l’aderenza al vero e una scrittura chiara e diretta possono descrivere veramente la realtà operaia. Dovrà, inoltre, raccontare la propria esperienza proletaria mettendo in evidenza, oltre alla durezza, la grande dignità e la forza d’animo dei lavoratori. Lo scopo della letteratura operaia è duplice: in primis informare e rendere consapevoli, in secondo luogo adoperarsi per cambiare la struttura della società.

5 Cinzia Biagiotti, op.cit. 6

Tillie Olsen, “I Want You Women Up North To Know”, The Partisan, May 1934, p. 4; “There Is A Lesson”, The Partisan, April 1934, p. 4; “Thousand-Dollar Vagrant”, New Republic, 24 August 1934, pp. 67-69; “The Strike”, The Partisan Review, vol.1, n. 4, September-October 1934, pp. 3-9; “The Iron Throat”, Partisan Review, vol.2, n.2, April-May 1934, pp. 3-9. D’ora in avanti compariranno rispettivamente come: “IWYW”, “TIAL”, “TDV”, “TS”, “TIT”.

7

Michael Gold, “Towards Proletarian Art”, Liberator, February, 1921; “Proletarian Realism”, New Masses, September, 1930.

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La prima delle due poesie trae origine da una missiva giunta al quotidiano New Masses presso cui Olsen lavorava al tempo. La lettera, scritta da Felipe Ibarro, denuncia le condizioni di lavoro in un’industria tessile texana, in cui le operaie cuciono abiti per bambini dall’alba al tramonto per pochi spiccioli. L’autrice decide di utilizzare i dati della lettera stessa, come i nomi delle operaie e i loro salari, per rendere più forte la sua testimonianza. Si rivolge direttamente alle signore del nord, che acquisteranno quei graziosi abitini nei vari negozi delle loro città, affinché si rendano conto di essere partecipi dello sfruttamento di donne e madri come loro. Le quattro lavoratrici citate – Catalina Rodriguez, Maria Vasquez, Catalina Torres, Ambrosa Espinoza - portano sui loro corpi i segni della sofferenza e dello sfruttamento capitalistico. Collegare i graziosi vestiti alle operaie che li hanno confezionati serve a palesare l’ingiustizia del sistema economico occidentale, in cui la corsa alla produzione e all’acquisto contribuiscono a mercificare i lavoratori. L’obiettivo del capitalista è di scindere l’oggetto finito dal processo produttivo che l’ha immesso sul mercato. Ricordando che dietro gli abiti si nascondono persone sfruttate, si rompe la catena di cecità voluta dagli industriali e si diventa consumatori e cittadini consapevoli:

I want you women up north to know How those dainty children’s dresses you buy At macy’s, wanamakers, gimbels, marshall fields,

Are dyed in blood, are stiched in wasting flesh, Down in San Antonio, “where sunshine spends the winter.” 8

La seconda poesia si ispira a un fatto di cronaca risalente al 1934 e pubblicato sul San

Francisco Chronicle: in Austria il governo guidato dal nazista Engelbert Dollfuss chiude le scuole a

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seguito dell’uccisione di due attivisti socialisti.9 Oltre alla violenta repressione delle voci dissidenti operata dal governo austriaco, Olsen denuncia il tentativo di falsificare la realtà, chiudendo le scuole per proteggere i bambini dal rischio dell’azione di pericolosi sovversivi. Quello che stava accadendo in Europa, la diffusione di governi totalitari e la soppressione delle libertà personali, non poteva che portare alla tragedia; la scrittrice vede in nuce gli sviluppi infausti di questa politica del terrore. Le strade europee non erano sicure, non a causa dei dissidenti, ma per l’odio che il nazismo stava diffondendo. La forza della dittatura colpisce chi non si piega e lo fa in modo esemplare, così da far tacere anche chi avrebbe voluto dissentire. Nel momento in cui la poesia viene composta, il Partito Comunista considerava anche i socialisti come nemici della rivoluzione, da qui il senso delle ultime tre strofe:

Down with Fascism! Down with Social Democracy!

Long live our Soviets

Il modello è l’Unione Sovietica, intesa come risultato politico duraturo generatosi da un movimento popolare. Con l’inizio della politica delle epurazioni, Olsen si distacca da queste posizioni e dal partito, pur continuando a propugnare la fondazione di una società nuova e senza discriminazioni.

Nel 1934 Olsen pubblica due reportages, testimonianza della sua partecipazione attiva allo sciopero dei marittimi di San Francisco. Durante la manifestazione sindacale del 5 luglio, la polizia sparò sulla folla uccidendo due lavoratori e un passante. A seguito di questo gravissimo atto di

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sangue, conosciuto come “Bloody Thursday”, fu indetto uno sciopero generale per il 16 luglio, come atto di protesta verso l’operato della polizia.

In “Thousand Dollar Vagrant” è narrata l’esperienza dell’arresto della scrittrice, rea di trovarsi in un appartamento con altri comunisti durante i controlli che seguirono i fatti del 5 luglio.10 Gli uomini furono picchiati (tra loro anche il futuro marito Jack Olsen), mentre lei fu subito interrogata e fornì delle false generalità per tutelare la figlia Karla, che si trovava a casa da sola. Nel reportage si tace questo particolare, in linea col pensiero sessista interno al Partito Comunista per cui l’identità personale deve assoggettarsi alla militanza politica. I poliziotti e il giudice incarnano il sistema repressivo e la scrittrice li descrive come esseri bestiali ( “bulls”, “gorillas”), anche se riconosce in alcuni di loro delle caratteristiche umane. Il messaggio politico traspare dalle vicende, dal modo in cui l’autrice e i suoi compagni sono stati trattati pur non avendo commesso alcun reato; alla fine Olsen sarà condannata per vagabondaggio e la sua cauzione fissata a mille dollari. Questa esperienza personale è raccontata per dare voce agli scioperanti e alle altre persone arrestate e abusate nel corso di quei giorni.

“The Strike” tratta dei fatti relativi al “Bloody Thursday”. Olsen contravviene a quelle che sono

le regole formali del reportage: non è testimone oculare dei fatti e non scrive “a caldo” eppure riesce a comunicare la sua partecipazione empatica ai fatti. Il punto di vista adottato è quello dei marittimi e la loro versione si scontra con quella proposta dalle testate giornalistiche, che si schierano dalla parte dei padroni. Il registro impiegato è altamente retorico, ricco di artifici e di contrapposizioni che rendono il lettore il più possibile partecipe delle vicende. Il socialismo umanitario della scrittrice emerge anche nei suoi primi scritti, dall’esigenza di personalizzare un genere “freddo” e di testimoniare la profonda dignità dei lavoratori. L’autrice non aderisce del tutto né alla forma letteraria del reportage, né all’ ideologia di partito: già a partire dalle prime

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pubblicazioni, emerge il desiderio di costruire una società più consapevole e più attenta alle esigenze di coloro che non hanno voce:

I was not down...by the battlefield. My eyes are anguished from the pictures I pieced together from words of comrades, of strikers, from the pictures filling the newspapers. I sat up in headquarters, racked by the howls of ambulances hurtling by, feeling it incredible the fingers like separate little animals hopping nimbly from key to key, the ordered steady click of the typewriter, feeling any moment the walls would crash and all the madness surge in. Ambulances, ripping out of nowhere, fading; police sirens, outside the sky a ghastly gray, corpse gray, an enormous dead eyelid shutting down on the world. And someone comes in, words lurch out of his mouth, the skeleton is told, and goes again... And I sit there, making a metallic little pattern of sound in the air, because that is all I can do, because that is what I am supposed to do.11

Da questa ultima riga della citazione si può comprendere la forte componente etica della scrittura olseniana, elemento che non verrà mai a mancare.

“The Iron Throat” costituisce l’incipit del romanzo Yonnondio: From the Thirties pubblicato nel 1974.12 La storia editoriale del testo è articolata; nel 1934 furono pubblicate le prime sette pagine, che ottennero riscontri positivi dalla critica, ma successivamente il progetto fu accantonato per necessità contingenti. Nel 1972 Jack Olsen trova in soffitta il materiale relativo a “The Iron Throat”, i primi quattro capitoli già ultimati e il materiale per i successivi. Dopo due anni esce Yonnondio, la cui vicenda editoriale è indicativa della produzione “a singhiozzo” dell’autrice, che non ha mai smesso di pensarsi e considerarsi scrittrice anche quando le esigenze famigliari l’hanno spinta verso altre attività. Queste pagine iniziali rientrano nella prima produzione olseniana, perché sono state scritte negli anni della Depressione e, in linea con i dettami del realismo proletario, la realtà presentata è quella di una famiglia operaia schiacciata dal sistema capitalistico. Gli Holbrook - Jim e Anna, i genitori, Mazie, la figlia maggiore di otto anni, Will, di cinque, Ben, di tre e un neonato- vivono in un contesto estremamente povero, il padre lavora nella vicina miniera mentre Anna accudisce la casa secondo la divisione dei compiti tipica del tempo. Jim, frustrato da un lavoro

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Tillie Olsen, “TIAL”, The Partisan, April 1934.

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durissimo in cui ogni giorno lui e i suoi compagni rischiano di morire, scarica la propria aggressività bevendo e picchiando la moglie che, a sua volta, si sfoga sui bambini. In questo mondo fatto di paura, minacce e violenza le voci narranti sono affidate a Mazie ed Anna che, in quanto donne, pagano doppiamente il giogo della povertà. Si aggiunge un terzo narratore, onnisciente, che si inserisce quattro volte nel racconto primo per meglio inquadrare la situazione lavorativa (primo-quarto brano), per criticare la poetica borghese (secondo brano) e per descrivere la realtà scolastica e le sue lacune (terzo brano). La “gola di ferro” del titolo ha diverse stratificazioni di significato: in primo luogo rivela il legame con Life in the Iron Mills di Rebecca Harding Davis, testo che descrisse la dura vita degli operai in una ferreria a metà Ottocento e, in secondo luogo, introduce la personificazione della miniera come Terra, figura femminile che punisce i minatori per averla violata. I lavoratori sfidano la Terra per portare via il ferro e perciò devono sottostare alla sua ira che si scatena improvvisamente. Sin da subito la narrazione ci trasmette il senso di angoscia che gli Holbrook provano al suono della sirena che scandisce i turni di lavoro ma che, se risuona in orari diversi, annuncia gli incidenti e le probabili morti. Il testo può essere suddiviso in tre parti, di cui la prima introduce personaggi e tempo narrativo; il punto di vista è quello della piccola Mazie, la cui innocenza è contaminata da un contesto così crudele e permeato di paura. Anche per Andy Kvaternick è il momento di prendere il suo posto in miniera; i genitori avrebbero desiderato per lui un destino migliore ma, alla morte del padre, uno stipendio si rende assolutamente indispensabile. Anna si rattrista al pensiero del ragazzino costretto a un lavoro infernale e ai sogni di emancipazione che sua madre aveva per lui. È questo il tema della prima intrusione autoriale (e della seconda sezione) ovvero la durezza di un sistema votato al solo guadagno, che spersonalizza gli uomini, rendendoli incapaci di un qualsiasi contatto umano che non sia bestiale. Anna, invece, sembra discostarsi da questa regressione e condivide il desiderio di Marie Kvaternick che i figli possano avere prospettive migliori. Desidera che i suoi bambini godano

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di un’edication che li affranchi da quella vita miserabile. Per Mazie non sogna un matrimonio, ma una vita libera dal fardello famigliare, anche se questo dovesse significare farsi suora. Nella terza sezione del racconto è Mazie a essere protagonista, mentre chiede al padre se davvero – come le ha detto la mamma – riceverà un’istruzione e potrà avere quelle possibilità che ora le sono negate. La bambina è simbolo della speranza verso il futuro: speranza che ancora non sappiamo se potrà realizzarsi concretamente.

A questa produzione – di argomento prettamente politico e sociale - si aggiungono quattro componimenti poetici (“At Fourteen Years”) e un racconto (“Not You I Weep For”) che l’autrice scrisse tra i quattordici e i diciannove anni. Questi testi sono stati pubblicati solo nel 1993 da Paul Mandelbaum in un’antologia che raccoglie le opere giovanili di molti artisti contemporanei.13 La prima poesia fu scritta per la sorella Vicki, che imparò a leggere a soli due anni e mezzo. Alcuni dei suoni dell’alfabeto (“A-B-C-D”) sono ripetuti all’interno del componimento, come fosse una sorta di cantilena che aiuta a memorizzarli con più facilità. All’orecchio della bambina, questi suoni risultano privi di senso, assumeranno un loro significato quando li utilizzerà per comunicare. La lingua è sì, mezzo di emancipazione, ma è anche strumento di isolamento, soprattutto per chi non riesca a padroneggiarla del tutto. Il riferimento è ai genitori di Olsen e a chi, come loro, proveniva da altre nazioni e tradiva con la pronuncia le proprie origini. La parola può essere associata a una “gabbia” o una “catena” quando non consente al parlante di esprimersi e anzi lo relega in un angolo della società.

Il secondo testo si può dividere in due sezioni antitetiche: una prima in cui l’io poetico esprime in prima persona i propri desideri e una seconda che indica la realtà dei fatti. La giovane Olsen attinge al campo della fiaba e del mito per i desideri espressi, come camminare sulle stelle, avere

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Tillie Olsen, “At Fourteen Years” e “Not You I Weep For”, in Paul Mandelbaum (ed.), First words: Earliest Writings From Favorite Contemporary Authors, Chapel Hill, Algonquin Book of Chapel Hill, 1993, pp. 380-383 e pp. 384-405.

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un letto fatto di nuvole oppure provare a essere una formica. Questi desideri, il cui denominatore comune è la ricerca della bellezza, si scontrano con le difficoltà del quotidiano che la ragazzina vive ogni giorno. I suoni e gli odori provenienti dalle vicine industrie alimentari sono terrificanti e rimandano a immagini deprimenti “like a tortured heart”. Questo mondo voluto dagli uomini è così angosciante da schiacciare la bellezza della natura, alla quale tutti aneliamo per essere felici. La delicatezza onirica dei sogni cozza irrimediabilmente con un contesto alienante che vorrebbe schiacciare l’uomo tra i suoi ingranaggi. È possibile vedere già una timida critica alla civiltà industriale e alla sua scala dei valori. L’immaginazione non è sufficiente per evadere da un presente così opprimente e, anzi, rende più difficile la vita di tutti i giorni.

Il terzo componimento è di argomento naturalistico. La terra ricoperta di neve rimanda a diverse immagini: la bianca coltre è paragonata ad un sudario, mentre i solchi dell’aratro nella terra sono ferite, guarite dalla neve che vi penetra all’interno. La scrittrice si immedesima con il paesaggio che vede dalla finestra, tanto che la neve esercita anche su di lei il suo ruolo di protezione: “the snow/that covers you/will be also my shroud”. L’ultimo testo è, come il primo, rivolto alla sorellina Vicki, familiarmente chiamata Yetta. È una ninnananna insolita in cui non si utilizzano le rime per catturare l’attenzione del bambino, ma altresì immagini ricche di mistero e di atmosfera fiabesca. La formazione del periodo è articolata e la scelta degli aggettivi rivela il precoce talento di Olsen. Le immagini suggestive e il linguaggio allusivo rimandano alla poesia romantica, con cui era probabilmente entrata in contatto e mostrano in nuce le sue grandi capacità letterarie.

“Not You I Weep For” è il primo racconto di Tillie Olsen, composto quando aveva solo 19 anni. Le vicende hanno inizio con la fortuita lettura del necrologio di una ragazza, Nena Asarch, deceduta per polmonite. La scrittrice riconosce nella giovane del giornale l’amica “Fuzzie”, così chiamata per i capelli crespi. La sua morte spinge l’autrice a volerne eternare il ricordo, mossa dal

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desiderio di combattere l’oblio del tempo che cancella le storie e le tracce terrene dei più derelitti. Un altro scopo è quello di denunciare l’estrema indigenza delle famiglie proletarie attraverso un testo che mette al suo centro la voce dei più deboli, coloro che la società solitamente condanna al silenzio. La lezione di Gold e di Rebecca Harding Davis si fondono con la concezione socialista e umanitaria di Olsen, dando vita a un racconto ibridato con il reportage in cui il narratore (intradiegetico e omodiegetico) è attore della storia, conferendo ad essa maggiore veridicità. Sei sono le sezioni in cui è suddiviso il testo, due di cornice (una donna intenta a stendere il bucato al sole) e quattro di narrazione. La storia procede per analessi ed ellissi e ci riporta indietro agli anni in cui Tillie e “Fuzzie” erano compagne di scuola. Non mancano accuse dirette verso l’istituzione scolastica, colpevole di perseguire il solo fine dell’istruzione senza educare gli allievi e senza interessarsi del loro sviluppo emotivo. Le due ragazzine provengono entrambe da un contesto sociale di grande povertà e la scuola non offre loro alcuno strumento per potersi creare un futuro migliore. Come spesso capita nell’età adolescenziale, le due legano moltissimo in poco tempo: entrambe amano la natura, la letteratura e sognano di poter un giorno emanciparsi da quella miseria. “Fuzzie” mostrerà all’amica la sua camera, di cui va particolarmente orgogliosa: in realtà è solo una sudicia stanzetta a cui lei cerca di donare un minimo di decenza e decoro abbellendola alla meglio. Quello spazio, così lontano dalla “room of one’s own” di woolfiana memoria, è metafora degli sforzi del proletariato e dell’impossibilità di rovesciare il proprio destino se non rivoluzionando l’intera società. L’ultimo incontro è segnato da toni cupi: “Fuzzie” giace malata, nella cameretta regnano disordine e sporcizia, ma il suo amore per la letteratura rimane intatto. Ha preso a scrivere e legge all’amica di sempre i suoi componimenti, sterili perché la sua vita di lì a poco non potrà offrirle altro che sofferenza.

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4.3 Yonnondio: dagli anni Trenta agli anni Settanta 14

Negli anni Trenta Tillie Olsen è una giovane donna che si sta confrontando con la difficile vita della madre single e della scrittrice proletaria. Per quanto animata da una passione inesauribile, nel 1937 è costretta ad abbandonare la stesura del romanzo di cui “The Iron Throat” rappresentava l’incipit, per far fronte alle necessità quotidiane sue e della figlia Karla. Nonostante le difficoltà oggettive, Olsen manterrà vivo questo suo spirito artistico, ma riuscirà a coltivarlo pienamente solo a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Come abbiamo già detto, nel 1972 Jack Olsen ritroverà in soffitta il manoscritto con i primi quattro capitoli ultimati e gli appunti relativi a successivi quattro. Grazie a un prezioso lavoro di editing e non di riscrittura, come volle sottolineare l’autrice (“it is all the old manuscript, no rewriting, no new writing”)15 il romanzo esce nel 1974 ma la scrittrice continua a lavorarci fino al 1994, quando cura una nuova edizione corredata di frammenti inediti e di una nota autoriale.16 Il testo incompiuto diventa così pretesto per aprire un varco tra l’autrice e il lettore e guidare quest’ultimo all’interno di un progetto affascinante seppure irrealizzato. Yonnondio: From the Thirties è un titolo doppio, ricco ed emblematico che rimanda ad aspetti tra loro compositi.

“Yonnondio” è un termine della tribù nativa americana degli Irochesi e indica il concetto di “lamento”. Oltre a ciò è il titolo di un componimento di Walt Whitman tratto da Leaves Of Grass e riportato in epigrafe. 17 Il poeta canta il senso della perdita e fa riferimento alle tribù di Nativi che, nell’America di metà Ottocento a lui contemporanea, pareva stessero davvero soccombendo. La parola che dà il titolo alla poesia è usata come nome proprio, ma si intuisce che nasconda altri molteplici significati, poiché nella tradizione orale dei Nativi la parola è portatrice vitale e attiva di

14 Cinzia Biagiotti, op.cit, pp. 79-124. 15

Ibidem, p. 80.

16

Tillie Olsen, Yonnondio: From the Thirties,New York, Delacorte Press/Seymour Lawrence, 1974.

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messaggi e non può essere imbrigliata in una sola definizione. Il lamento è per chi scomparirà, schiacciato dall’economia e dall’avidità e la scrittura, per Whitman come Olsen, è il mezzo attraverso il quale coltivare la testimonianza e la memoria. La seconda parte del titolo (From the

Thirties) fa riferimento al decennio durante il quale il grande progetto del romanzo è nato, è stato

modificato e successivamente accantonato. Yonnondio nasce negli anni Trenta e tutto il materiale utilizzato per la sua pubblicazione nel 1974 è stato scritto in quel decennio. L’opera certosina portata avanti dagli anni Settanta agli anni Novanta non ha intaccato la potenza della storia, né la sua ambientazione; al contrario, il lavoro di editing è stato condotto con l’intento di non ledere la forza della narrazione che nasceva dal contesto in cui era stata pensata e messa su carta. Le vicende, invece, appartengono agli anni Venti, gli anni precedenti la grande Depressione. Gli operai, i contadini e i minatori vivevano con grandissime difficoltà ben prima della Depressione, segno che l’economia capitalistica era portatrice di diseguaglianze anche durante i Roaring

Twienties. Olsen avrebbe voluto realizzare un progetto di ampio respiro, un romanzo di

formazione proletario che seguisse le vicende della protagonista Mazie dall’infanzia all’età adulta. La durezza della vita, sperimentata già da bambina, e la voglia di emanciparsi attraverso l’istruzione sarebbero stati i due perni delle vicende sullo sfondo dell’America degli anni Venti e Trenta. Il romanzo, come abbiamo visto, ha avuto una storia editoriale articolata ed è stato pubblicato incompleto con una epigrafe finale esplicativa a cura dell’autrice:

“Reader, it was not to have ended here, but it is nearly forty years since this book had to be set aside, never to come to completion. These pages you have read are all that is deemed publishable of it. Only fragments, rough drafts, outlines, scraps remain- telling what might have been”.18

Il testo rispecchia la libertà di pensiero della scrittrice, che, pur afferendo al Partito Comunista, si è sempre riservata di dissentire dal pensiero dominante. Olsen scardina in parte i dettami del

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realismo proletario, dando voce a una madre e a sua figlia: i simboli più compiuti della discriminazione sociale ed economica. La testimonianza di Anna e Mazie, così come quella di Marie Rogers, protagonista del romanzo di Agnes Smedley, si ergono potenti in un decennio che non dava spazio alle donne: sia Yonnondio che Daughter of Earth hanno anticipato le istanze femministe che si sarebbero realizzate pienamente solo quaranta anni dopo. 19

Il romanzo consta di otto capitoli, il setting varia poiché gli Holbrook si spostano in cerca di prospettive lavorative migliori; il capofamiglia all’inizio delle vicende è impiegato come minatore in Wyoming (capitoli uno e due), poi come agricoltore in South Dakota (capitoli tre e quattro) e infine come operaio in Nebraska (ultimi quattro capitoli). Jim negli spostamenti porta con sé la moglie Anna, la figlia Mazie, i figli Will, Ben, Jimmie e la neonata Bess. La terza delle intrusioni autoriali a cui ho accennato sopra, fa riferimento a un personaggio delle vicende, Elias Caldwell che vive vicino agli Holbrook in South Dakota. L’uomo è anziano, saggio e molto istruito e vede nella curiosità di Mazie una dote da coltivare e incentivare contro le brutture della vita: “Mazie. Live, don’t exist. Learn from your mother, who has had everything to grind out life and yet has kept life. Alive, felt what’s real, known what’s real. People can live their whole life not knowing”. 20 L’uomo muore e lascia alla bambina dei libri che il padre Jim venderà non appena gli saranno consegnati; questo triste episodio sembra rappresentare la condizione senza speranza dei proletari e la loro impossibilità di risollevarsi. L’ultima interruzione fa riferimento a un collega del capofamiglia, come lui operaio nel conservificio. Dopo un grave incidente, verificatosi per l’incuria dei padroni e i ritmi insostenibili di lavoro, Jim Tracy decide di licenziarsi. Nell’intervento si spiega che per lui è ancora possibile ribellarsi a tali ingiustizie perché egli ancora non ha bocche da sfamare. Quando dovrà provvedere ad altre persone, perderà la sua capacità di autoaffermazione e si voterà al dio-lavoro permettendogli di prendere tutto se stesso per pochi spiccioli.

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Agnes Smedley, Daughter of Earth, Feminist Press, New York, 1973. Originally published in 1929.

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All’inizio delle vicende gli Holbrook vivono in una squallida cittadina mineraria del Wyoming e il capofamiglia Jim lavora presso la miniera locale come tutti gli uomini abili del posto. Le mogli e i bambini sono perennemente angosciati per le sorti dei loro cari: il suono della sirena annuncia l’inizio e la fine dei turni di lavoro ma anche incidenti e morti. Le condizioni sottoterra sono spaventose, non esistono misure di prevenzione e spesso ci sono padri, figli e fratelli che non fanno ritorno alle loro case. La negligenza dei proprietari poggia anche sull’omertà dei lavoratori, che non protestano per non perdere il loro impiego. Jim è frustrato, il suo unico sfogo è bere e picchiare la moglie, che a sua volta scarica sui figli la propria rabbia. La miniera è percepita come un’entità pericolosa di sesso femminile che punisce gli uomini per aver violato le sue viscere e li trattiene a sé come fossero sue creature. Mazie una sera è vittima incolpevole dei fantasmi del minatore Sheen McEvoy, ossessionato dalla miniera dopo che un incidente gli ha sfigurato la faccia. Trovando la bambina da sola, la solleva di forza e minaccia di buttarla dentro uno dei cunicoli come una sorta di offerta sacrificale per sedare la rabbia della “gola di ferro”. Per fortuna passa una guardia che riesce a mettere in salvo la ragazzina e a riportarla dal padre, seduto al bar a bere. La paura per ciò che poteva succederle convince Jim e Anna a cambiare vita. La famiglia lascerà il Wyoming per il South Dakota, dove lavoreranno come agricoltori e potranno vivere in un ambiente meno rischioso e più salutare. In Aprile il progetto di trasferirsi si realizza e gli Holbrook cominciano la loro nuova vita rurale; la primavera carica di profumi e colori incanta bambini e genitori, sorpresi dalle carinerie dei nuovi vicini di casa. I primi mesi passano così, ricchi di gioia per questa vita che sembra loro così promettente. Mazie conosce Elias Caldwell, l’uomo protagonista della terza intrusione, in cui lei troverà interesse e voglia di comunicare. In autunno i bambini cominciano la scuola, che per Mazie rappresenta un grosso motivo di disagio perché dal confronto con gli altri alunni si rende conto della povertà estrema della sua famiglia. Anche il fatto di non saper leggere e di essere perciò ammessa alla prima classe con coetanei del fratello minore

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è per lei un iniziale motivo di vergogna. Non viene meno la critica olseniana all’istituzione scolastica accusata di acuire le differenze sociali e perseguire come solo scopo quello della conoscenza senza prestare attenzione all’emotività degli alunni. Con l’arrivo della neve le cose si fanno più difficili, la scuola chiude e Anna sprofonda sempre più in una forma di apatia che la porta a trascurare la casa e i figli. È di nuovo incinta e ciò non fa che rendere la loro situazione economica ancora più precaria. Dopo la nascita del bambino si spostano in Nebraska, presumibilmente a Omaha, dove Jim trova lavoro in un mattatoio industriale. L’impatto con il nuovo ambiente è da subito negativo: l’odore nauseabondo proveniente dalle industrie alimentari, i rumori assordanti delle macchine, i tuguri sovrappopolati da cui escono bambini scheletrici e cenciosi li impressionano. Anna cerca un’ occupazione per sostentare la famiglia, mentre Mazie e Will cominceranno a frequentare la scuola locale. Anche qui l’approccio è molto difficile perché sono additati come campagnoli e ignoranti dall’insegnante che li presenta alla classe. I soldi non bastano mai, Jim picchia la moglie e i figli, Anna si lascia andare e deperisce a vista d’occhio: il marito l’ha violentata e ciò le ha procurato un aborto. È questo uno dei momenti drammatici del capitolo, in cui la violenza e la frustrazione sembrano raggiungere il loro massimo. L’altra climax si raggiunge con la descrizione di uno spaventoso incidente avvenuto nel mattatoio e causato dai ritmi inumani e dalla mancanza di sicurezza. Come in miniera, Jim si salva ma resta profondamente impressionato pur nella consapevolezza di non potersi rifiutare di lavorare. C’è una scena di grande complicità tra madre e figlia, forse l’unica di tutto il romanzo: Anna porta i bambini a passeggiare e indica loro piante e fiori coi loro nomi. Mazie è affascinata da questa sua nuova veste, così sognante e dolce da renderla quasi irriconoscibile ai suoi occhi. Saranno le insistenti esigenze dei suoi fratelli a riportarle alla realtà e ai loro doveri. Anche nella pagina finale è descritto un raro momento di serenità, con la piccola Bess che sbatte il coperchio di un barattolo sul tavolo dando prova delle sue capacità fisiche appena acquisite. La piccola è simbolo della

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speranza verso il futuro, dell’inesausta voglia di vita e di positività che i bambini sanno comunicare con la loro semplice presenza. Il capitolo finale, forse il più cupo degli otto, si conclude con una scena di tranquillità famigliare ma sappiamo dall’autrice che non era quello il finale previsto. Dagli appunti e dai frammenti pubblicati nell’edizione del 1994 si evince che la famiglia Holbrook non è riuscita a risollevarsi. Ben è morto, Jim ha abbandonato la famiglia e Anna si trova di nuovo incinta. Tenterà con ogni mezzo di abortire ma ciò la farà finire in fin di vita all’ospedale. I suoi figli sono al suo capezzale, guidati dalla presenza di Mazie che come sempre protegge i fratelli come fosse una vice-madre. Tuttavia Olsen aveva previsto per Mazie un destino diverso: sarebbe diventata un’insegnante consapevole e attenta verso le esigenze dei bambini.

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