Quale missione nel mondo d oggi?

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1 Giubileo saveriano (6)

Quale missione nel mondo d’oggi?

I. I molteplici paradigmi, ‘scaduti’, da superare, delle ‘missioni’

Riassumerei la necessaria revisione impellente del discorso storico-teologico sulle ‘missioni este- re’, inevitabilmente in modo grossolano, in alcuni modelli che hanno ben motivato e animato i mis- sionari negli ultimi secoli, ma che il Concilio Vaticano II ci obbliga oggi a rifiutare o almeno a ri- pensare radicalmente:

Salve infatti tutte le buone intenzioni personali e le azioni eroiche dei missionari degli ultimi secoli, e salvi i frutti straordinari, personali, sociali e spirituali operati dallo Spirito, sempre possibili ‘a prescindere’, credo evidente che, dopo il Concilio Vaticano II:

< è teologicamente improponibile oggi il modello soteriologico apocalittico classico che incitava all’urgenza di correre a battezzare, il più possibile e più in fretta possibile (magari anche con mezzi poco ortodossi!), tutti ‘i poveri pagani’, per strapparli dalle grinfie del Diavolo e sottrarli al fuoco dell’Inferno che, altrimenti, li attenderebbe tutti inevitabilmente: Cfr LG 16; AG 7…

< è teologicamente e culturalmente errato, per noi oggi, il modello socio-culturale- religioso che esortava a correre coraggiosamente nelle terre lontane, tra i ‘primitivi’, per fare ‘tabu- la rasa’ di tutte le loro ‘superstizioni diaboliche’ e ‘depravazioni pagane’, per portare la sola ‘vera religione’, e raddrizzare così - con l’imposizione dell’osservanza dei dieci comandamenti e dei pre- cetti della Chiesa - i costumi dei pagani (cioè le tradizioni locali): Cfr # NAe 2; LG 13b…

< è antropologicamente e socialmente inaccettabile oggi anche il modello socio- culturale-politico coloniale e colonialista, di portare ovunque ‘la fede (cioè la versione tridentina) e la civiltà’ (cioè la nostra ‘civiltà’occidentale)., usando se occorre anche il braccio secolare della

‘colonia’, con qualche inevitabile ‘giusto ritorno’. Cfr GS 29; 36; 42*; 58*; AG 9*; 22*…

< E secondo l’ecclesiologia conciliare, non è più proponibile, credo, neanche un mo- dello ecclesio-centrico di ‘plantatio ecclesiae’, ecumenicamente concorrenziale, più giuridico, mo- ralistico e istituzionale che kerigmatico, carismatico, spirituale, comunitario e inculturato. È un mo- dello che ha creato degli ‘isolotti cristiani’, staccati ed estranei al loro humus culturale, indifferenti e ininfluenti per il progresso solidale nel loro contesto umano e sociale, ben lontani dall’essere im- mersi come lievito nella massa… Cfr LG 8, 9, 13, 16-17; 38*… GS 38-39. Cfr anche il decisivo cammino conciliare dall’AG alla LG e GS, con NAe, DH.

Sembra quindi evidente, alla luce del Vat. II, che i paradigmi preconciliari delle ‘missioni estere’, sotto la lente conciliare del Vangelo e del discernimento dei ‘segni dei tempi, oggi non ‘tengono’

più, e non possono più ‘motivare’ evangelicamente lo slancio missionario della Chiesa nel mondo d’oggi.

Per un confronto su questo tema, rimando al cap. 13. Missione in molti modi, conclusivo del tomo di David Bosch, La trasformazione della Missione (…), ed. Queriniana 2000. Cfr in particolare: Tutto è mis- sione? (ib. 705s); Dove va la missione? (ib. 714-16).

Colgo due-tre citazioni:

“L’impresa missionaria moderna è talmente inquinata dal fatto di aver avuto origine in stretto collega- mento con il colonialismo occidentale, da risultare irredimibile; al giorno d’oggi, è necessario trovare un’immagine del tutto nuova” (ib.715)

“La missione della Chiesa ha bisogno di essere costantemente rinnovata e riconcepita. Essa non è

competizione con altre religioni, non è attività di conversione, non è espansione della fede, non è costruzione

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del Regno di Dio; e non è neppure attività sociale, economica o politica. Eppure tutti questi progetti hanno qualche merito. (…) Considerata in questa prospettiva, la missione è, molto semplicemente, la partecipazione dei cristiani alla missione liberatrice di Gesù (…) È la buona novella dell’amore di Dio, incarnato nella testimo- nianza di una comunità, per amore del mondo” (ib. 716).

E Bosch cita già anche una riflessione drastica, perentoria di Bonhoeffer del maggio 1944, dal car- cere, sulla chiesa tedesca, chiaramente anticipatrice della denuncia frequente di papa Francesco, per tutta la Chiesa, della grave tentazione da combattere, dell’autoreferenzialità. Scriveva Bonhoeffer:

“La nostra chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come fos- se fine a se stessa, è incapace di esser portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole d’un tempo devono perdere la loro forma e ammu- tolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e

nell’operare ciò che è giusto tra gli uomini” (ib. 715).

Una vita di fede personale e comunitaria ardente, e l’impegno serio solidale con tutti, per riparare e ricostruire il mosaico vivo della fraternità universale … non rispondono forse esattamente anche alle due richieste ‘testamentarie’ di Bonhoeffer?

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II - Quale dunque il volto nuovo e l’orizzonte della missione della chiesa, nel mondo d’oggi?

Riscoprire - testimoniare - ricucire - curare la Fraternità universale, per collaborare a ‘fare del mondo una sola famiglia’ (in Cristo).

1- A me sembra ormai evidente - a partire dalla rilettura coerente delle grandi indicazioni conciliari, che ci dà oggi papa Francesco - che il paradigma impellente che meglio riassume il volto, il perché e le linee di forza della Missione della Chiesa nel Mondo d’oggi, soprattutto nella sua dimensione universale dell’Ad gentes’, è quello di collaborare a riconoscere, testimoniare e collaborare a ricostruire e ‘curare la fraternità umana universale’, ferita a morte e spesso negata e violentata, per collaborare così à “fare del Mondo

una sola Famiglia” (in Cristo).

(NB. Metto tra parentesi ‘in Cristo’ perché certo, per me ‘cristiano’, Egli è chiaramente la sorgente, ‘l’accom- pagnatore’ e l‘orizzonte ultimo del cammino storico della Famiglia umana in viaggio verso la Patria comune del Padre. Ma per la stragrande maggioranza dell’umanità Egli è solo lo Sconosciuto che si affianca con grande empatia e solidarietà all’umanità depressa e in fuga (cfr i discepoli d’Emmaus, Luca 24, 13-35), e Lui solo può farsi riconoscere - grazie anche alla mia testimonianza e solidarietà concreta - ma quando Lui lo desidera, al

‘tempo opportuno’ per ciascuno (persona, gruppo sociale, popolo).

Il paradigma della fraternità universale, da ricostruire in pienezza e nel concreto orizzonte del mondo d’oggi, non solo ha un solidissimo e multiforme fondamento biblico, dalla Genesi all’Apocalisse, con un’emergenza solare nei Vangeli-NT, ma ha anche, oggi, per di più, una risonanza umana e culturale universale, ‘nuova’, immediata, profonda, nel mondo/nell’umanità d’oggi.

Per cui, l’ideale, il progetto e ‘la cura’ appassionata della fraternità universale è già, insieme, ‘un primo an- nuncio’ evangelico concreto e fondamentale, e, contemporaneamente, un punto d’incontro sicuro e universa- le tra popoli e culture diverse, nelle loro aspirazioni più profonde: un vero, permanente ‘rendez-vous du don- ner et du recevoir’ di tutta l’umanità.

Ed è proprio papa Francesco che ha rilanciato ultimamente, con forza, il paradigma della fraternità umana universale. Certo, il Papa ne aveva parlato anche prima, ma con il“Documento sulla fratellanza umana, per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato il 4 febbraio 2019 a Abu Dhabi da Papa Francesco as- sieme al grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, dell’Università islamica Al-Azhar del Cairo,abbiamo un pronun- ciamento ufficiale assolutamente sorprendente, unico, ‘sui generis’!

Dobbiamo ancora prenderne coscienza: il Documento sulla fratellanza umana è un testo assolutamente unico e sui generis, non solo nella lunga storia delle relazioni, per lo più tumultuose, tra Islam e Cristianesimo, ma è molto ‘originale’ anche nella traiettoria del ripensamento post-conciliare del paradigma della Missione.

Non è un’enciclica papale, ma un documento interreligioso assolutamente ‘nuovo’ nella letteratura ecclesia- stica e papale. E tuttavia può avere più peso perfino di un’enciclica papale, poiché coinvolge la Chiesa catto- lica non solo ‘ad intra’ ma anche ‘ad extra’. E si pretende ‘un documento’ sia ecumenico che interreligioso, anzi universale. Un gesto, in ogni caso, e un testo profetico molto coraggioso, per chi l’ha firmato, da en- trambi le parti.

Un documento solenne assolutamente inedito, che ha la pretesa e il coraggio di parlare direttamente e autore- volmente all’immenso mondo cattolico e, implicitamente, a tutto il mondo cristiano, insieme all’immenso, variegato e inquieto mondo islamico, e indirettamente al mondo intero, con un progetto grandioso, preteso e valido per l’intera umanità di oggi!

Il Documento è però chiaramente interreligioso, ben radicato nella fede in Dio, (padre) creatore di tutti gli uomini, da cui fa zampillare i più profondi valori umani, dichiarati universali, con delle indicazioni molto pratiche e coraggiose da promuovere oggi, per costruire finalmente una convivenza umana veramente comu- ne, e render così possibile l’esplosione di una vera pace mondiale.

Ne cito l’incipit: “La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da

amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani -

uguali per sua Misericordia, - il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana,

salvaguardando il creato e tutto l’universo, e sostenendo ogni persona, specialmente le più

bisognose e povere (…)”.

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4 E poco più avanti, gli autori precisano anche l’idea di fondo e lo scopo mobilizzatore di questo Documento- manifesto originale sulla Fratellanza umana, cioè di fare :

“un documento ragionato con sincerità e serietà per essere una dichiarazione comune (tra la Chiesa cattolica e l’Islam, ndr) di buone e leali volontà, tale da in- vitare tutte le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella ‘fratellanza umana’ a unirsi e a lavo- rare insieme, affinché esso diventi una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli”.

Forte anche il caldo auspicio finale dal respiro planetario:

“Auspichiamo che questa Dichiarazione sia un invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i cre- denti, anzi tra i credenti e non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà; (…) sia simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra noi e per vivere come fratelli che si amano”.

Purtroppo ho l’impressione che il documento di Abou Dhabi sia stato accolto dal mondo cattolico con sor- presa positiva, certo, ma senza darci troppo peso, senza attivare una vera presa di coscienza collettiva pro- fonda, vigile e ‘mobilitante’, leggendolo come ‘segno dal Cielo’ e ‘kairos’!

Per fortuna (o per grazia?) il documento ha suscitato invece una speranza gioiosa in molti altri ambienti sen- sibili nel mondo intero, in evidente contro-tendenza col clima, ancora assai diffuso, di una sorda ostilità dif- fusa, talvolta anche violenta, tra le due grandi religioni, e non solo. Per grazia di Dio, esso non è restato quindi lettera morta, ma sta dando origine, lentamente, ad un vasto movimento interreligioso e sociale mon- diale che spinge per la sua attuazione concreta.

2. Ma Papa Francesco non è un tipo che si accontenta di qualche ‘exploit’ clamoroso e basta. Se è convinto di una cosa, insiste e ci ritorna su in mille modi, e ribatte il chiodo fin quando non entra. Egli aveva avuto l’impressione (più che giustificata) che il Documento di Abu Dabi fosse stato troppo presto ‘declassato’ (nel- la testa di molti, anche del mondo cattolico ed ecclesiastico), a una ‘boutade’ o quasi.

Ecco allora “Fratelli tutti!” l’enciclica-grido, l’appello del Papa da Assisi alla “fraternità universale e all’amicizia e solidarietà sociale”. Qui si dimostra che, questa della ‘fratellanza umana universale’, deve es- sere proprio ‘la’ idea fissa fondamentale nella testa e nel cuore di Papa Francesco, il leitmotiv e la traccia fondamentale che meglio può tradurre, secondo lui, il sogno del Vangelo di Gesù nel mondo d’oggi.

Non ci sono più dubbi: per papa Francesco, alla luce di una rilettura globale del Concilio e di una cruda ana- lisi della realtà sociale e mondiale d’oggi… (cfr Fratelli tutti, 1. Le ombre d’un mondo chiuso, 10-53), il so- lo vaccino anti-virus efficace, buono non solo per i cristiani ma per tutta l’umanità, non può essere che quello di metterci tutti insieme, finalmente, - uomini di buona volontà di ogni razza, lingua, popolo, nazione e reli- gione, - a ricucire le ferite profonde della nostra umanità di oggi, purtroppo caduta davvero in mano ai bri- ganti che la stanno spogliando e massacrando di ‘botte’ bestiali, fisiche e morali, abbandonandola senza scrupoli, mezza morta, sulla strada della storia (cfr Fratelli tutti, 2. Uno straniero sul cammino, 56-86).

Allora anche il paradigma fondamentale della missione universale della Chiesa oggi - ed in particolare della missione specifica ‘ad gentes’ - può ben essere quello di ri-annunciare con convinzione ed entusiasmo, a tut- ti, la grande Bella Notizia evangelica della Fraternità universale, e di impegnarci seriamente tutti insieme per ricucirla, ripulirla, risanarla e curarla a fondo da tutte le scorie (razzismi, etnocentrismi, presunzioni di ‘ec- cellenze’ e di superiorità …) e rinvigorirla con motivazioni e ideali umanitari universali, per rilanciarla su un nuovo cammino della Storia. (Cfr Fratelli tutti. Obiettivi, ideali, condizioni, modalità, mezzi: 3. Pensare e generare un mondo aperto, 87-127; 4. Un cuore aperto al mondo intero, 128-153; 5. La migliore politi- ca, 154-197; 6. Dialogo e amicizia sociale, 198-224; 7. Percorsi di un nuovo incontro, 225-270; 8. Le re- ligioni al servizio della fraternità nel mondo, 271-286).

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III. La Fraternità umana universale era /è il nuovo paradigma della missione già dal Vaticano II (e in Guido M. Conforti).

Di questo nuovo ‘paradigma della missione’, noi saveriani ne abbiamo già preso coscienza a livel- lo ideale (cfr le Costituzioni, 1983, 1.5s. 7-10. 12-14, 35*…), e abbiamo riscoperto anche con gioia il fatto, di cui possiamo essere davvero umilmente orgogliosi, che, della Fraternità universale, il nostro Padre Fondatore ne è stato chiaramente un profeta convinto, già più di un secolo prima del papa Francesco! (Cfr A. Ceresoli, “San Guido Maria Conforti, Profeta della lettera enciclica Fra- telli Tutti”, dattiloscritto, 2021).

E non solo. Perché è ora finalmente di riscoprire che il Conforti è stato ‘profeta’ della Fraternità universale, più di mezzo secolo prima dello stesso Concilio ecumenico Vaticano II!

Il quale Concilio, proprio alla fine del suo lungo profondo, coraggioso e doloroso travaglio biblico- teologico-storico-pastorale, durato vari anni, per “scrutare i segni dei tempi nuovi” (cfr GS 4- 10.11), in extremis, ha finalmente presentato, specialmente nella Gaudium et Spes, un paradigma che credo si possa dire radicalmente nuovo della Missione della Chiesa oggi.

Dice infatti il Concilio, nella bellissima e ultimissima, ‘dichiarazione di intenti’ della GS (del 7.12.

’65, il giorno prima della solenne chiusura dell’Assemblea!) che il Vaticano II vuole oggi soprattut- to “…offrire all’umanità la collaborazione sincera della Chiesa, al fine di ricostruire quella frater- nità universale che corrisponde alla vocazione umana” (GS 3/2, anche il Proemio GS 1-3; per es.

GS 2: “a chi si rivolge il Concilio”).

Ecco il nuovo paradigma della missione della Chiesa, che poi, sempre nella GS, al n°24, il Concilio riprende e propone ancor più chiaramente come la ‘vocazione umana nel piano di Dio’, cui la Chie- sa si sente chiamata a collaborare (e anticipa quasi alla lettera il Documento di Abu Dhabi e ‘Fratel- li Tutti’:

“Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trat- tassero tra loro con animo di fratelli. Tutti, infatti, creati all’immagine di Dio, che ‘da un solo uomo ha fatto che tutto il genere umano abitasse tutta la faccia della terra’ (Atti 17,26), tutti sono chiamati ad un unico e medesimo fine, cioè Dio”.

Rendiamoci allora finalmente conto che tutta la GS, è come inchinata per contemplare, rivelare, e servire proprio questa dimensione familiare, fraterna e solidale del Progetto di Dio in Cristo. Cfr., oltre a GS 1-3 e 24*, anche 32*…etc, fino a 90*-93.

Si veda per esempio anche GS n°40, dove si trova una citazione esplicita della visione missionaria profetica del Conforti:

“La Chiesa (…) cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cri- sto e a trasformarsi in famiglia di Dio”!

Il Vat. II suona a volte molto ‘confortiano’ … e molto biblico!

E che questo sia il nuovo orizzonte della Missione della Chiesa, secondo il Vaticano II, - anche al di là dei parametri classici delle ‘missioni’ e della plantatio ecclesiae, di cui parla ancora il decreto

‘Ad gentes’ - era annunciato già nella ‘nuovissima’ ed importantissima Dichiarazione Nostra Aeta-

te, promulgata nella stessa sessione finale qualche settimana prima della GS, e che propone una as-

solutamente nuova attitudine della Chiesa cattolica verso le religioni non cristiane, e in primis verso l’Islam e l’Ebraismo.

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Dopo aver infatti deprecato e condannato le parole offensive e le attitudini conflittuali del mondo cattolico nel passato contro entrambi, il Concilio impegna solennemente la Chiesa a lavorare per “ la Fraternità universale che esclude ogni discriminazione” (NAe 5) .

E dichiara solennemente:

“Non possiamo invocare Dio Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono stati creati ad immagine di Dio.

L’atteggiamento dell’uomo verso Dio Padre e quello dell’uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono tanto connessi che la scrittura dice: ‘chi non ama non conosce Dio’

(I Gv 4, 8)”. (Cfr NAe 5).

Ecco dunque, il nuovo ‘paradigma’ o la finalità immediata oggi della missione della Chiesa nel mondo d’oggi: comportarci da fratelli verso tutti gli uomini, perché tutti sono stati creati ad imma- gine di Dio.

Questo implica che il fine della missione oggi è, innanzitutto, quello di riscoprire-annunciare- testimoniare l’ideale-reale della fraternità umana universale, e collaborare poi sinceramente e soli- dalmente con tutti gli uomini di buona volontà, al fine di ricostituire, ricucire e risanare gli strappi e le sfilacciature inflittale lungo la storia: ecco le ‘ultimissime volontà’ del Concilio Vaticano II!

‘Ultimissime volontà’ che, scandalosamente, non sono state però poi recepite effettivamente da mol- te comunità cattoliche, e sono state anzi praticamente dimenticate nel post-concilio, come molte al- tre piste fondamentali del rinnovamento conciliare.

Ma ecco che Papa Francesco ha recuperato questo ‘paradigma conciliare’ della missione dal cesti-

no della carta straccia e delle ‘distrazioni’ del post-concilio, e lo ripropone con forza nella ‘Fratelli

tutti’, cercando però di ‘fare coro’, come detto, non solo con tutti i ‘fratelli cristiani’ (cfr per es. le

citazioni del Patriarca ortodosso Bartolomeo nella FT 5 o l’Incontro del 20.10.’20 al Campidoglio),

ma addirittura con i musulmani (Dichiarazione sulla Fratellanza umana firmata il 4.2.2019 ad

Abu Dhabi; l’incontro, altrettanto storico e delicato, con il grande Imam sciita, nell’ultima visita in

Iraq, nel marzo’21 scorso).

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IV. Guido M

a

Conforti, un vero Profeta della Fraternità Universale

Secondo p. Alfiero Ceresoli sx, ‘Una parola che non c’è – nella Lettera Testamento (LT) e nelle Costituzioni del 1921 – è la parola ‘comunità’; o se c’è alcune volte, è solo in senso piuttosto giuridico e disciplinare. In- vece P. Ceresoli, il nostro esploratore accanito, si imbatte facilmente in una rete di citazioni in cui risuona un altro vocabolario, il vocabolario ‘famiglia’ ‘familiare’, ‘fraterno’… a cominciare dalla celebre formulazione della finalità carismatica saveriana della missione: infatti “il saveriano (…) ha per paradigma ‘la formazione di una sola famiglia cristiana che abbracci l’umanità’” LT 1. (Cfr A. Ceresoli, Una parola che non c’è, dattiloscritto, Roma 2021).

Questo ‘paradigma confortiano’ della Missione come ‘convocazione di tutta Famiglia umana’ è già stato del resto colto e rilanciato negli ultimi decenni dalla ‘tradizione saveriana’ (cfr Const.’83, n°35), che l’ha anche messo in musica, abbreviato, in: “Fare del mondo una sola Famiglia” (vedi, per esempio, molti dei com- menti alla LT in quest’anno del centenario).

La Fraternità umana universale deve essere dunque il paradigma vivo della missione per i saveriani oggi e, come rileva ancora Ceresoli in un altro scritto (Umana Famiglia, dattiloscritto, 10 pp. luglio 2021) forma come una ‘inclusione’ molto significativa di tutta la LT. All’inizio della LT, Conforti ci ricorda infatti con forza, senza ambiguità “le finalità sublimi che si propone l’Istituto nostro, lavorando con sempre crescente ardore alla dilatazione de Vangelo nelle terre infedeli, portando così il nostro povero contributo all’avveramento del vaticinio di Cristo, auspicante la formazione di una sola famiglia cristiana che abbracci l’umanità” (LT 1).

E in chiusura, LT 11, Conforti termina richiamando il motivo (‘la causa’) del nostro essere uniti fra noi co- me famiglia:

“In questo momento in cui sento tutta la soavità della carità di Cristo, di gran lunga superiore ad ogni affetto naturale, e tutta mi si affaccia la grandezza della causa che ci stringe in una sola famiglia

…”.

E p. Ceresoli si domanda: qual è dunque la ‘causa’ di cui Conforti parla nella conclusione della LT 11? Ap- punto, quella già detta all’inizio (LT 1), - ecco l’inclusione - cioè ‘siamo una famiglia per’ (portare) così il no- stro povero contributo - all’avveramento del vaticinio di Cristo auspicante la formazione di una sola famiglia cristiana che abbracci l’umanità». Commenta p. Ceresoli (l.c.):

“Queste due espressioni, all’inizio e alla conclusione delle LT, formano una inclusione (per usare una terminologia propria dei biblisti) estremamente significativa. Noi, saveriani, ci uniamo ‘in famiglia’

proprio per dare il nostro “contributo”, “povero”, ma pur sempre un contributo, alla formazione di una umanità divenuta famiglia in Gesù Cristo. ‘Famiglia saveriana’, per fare del mondo ‘una sola famiglia cri- stiana’.

Alla domanda sulla finalità di un istituto esclusivamente missionario, la missionologia del 1900 avrebbe risposto: La salvezza delle anime… La fondazione della Chiesa… Al paradigma comune e a volte assillante della conversione e del battesimo, comune negli ultimi due e tre secoli, (Conforti invece) sostitui- sce il paradigma della ‘famiglia’.

È allora interessante ricordare quanto Conforti diceva, sottolineandone lui stesso la ‘novità’, nell’omelia del Natale 1923:

«E non è necessario, insegnano non pochi teologi, che questo desiderio (del battesimo) sia esplici- to; esso è contenuto nella volontà di quelli che ignorando la virtù ed anche l'esistenza del battesimo sono disposti a fare tutto ciò che è necessario per essere giustificati e piacere a Dio. Questa dottrina non solo non ripugna al sentire cattolico, ma è conforme al concetto che noi dobbiamo avere di Dio, della sua bontà e della sua giustizia, e che risponde alla condizione della umana natura. E una sentenza che allarga il cuore e che scioglie le difficoltà più gravi che su questo punto si possono sollevare e si sollevano da tanti. Questa dottrina riempie l'anima di gioia, fa benedire la divina Provvidenza e porta luce confortatrice sulla sorte di tanti milioni di fratelli che sono fuori della Chiesa».(vedi il tradizionale “extra Ecclesia, nulla salus”; e LG 16, del Vat.II, il 21.11.1964).

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8 Questo orizzonte missionario della fraternità umana universale non era quindi per Conforti solo un sogno da mezza estate o un’intuizione gratuita avuta nel momento solenne di fare il suo Testamento per noi suoi figli.

No. Questa era già la sua visione missionaria fondamentale profonda, che nutriva la sua spiritualità personale ed anche i suoi interventi formativi ‘normali’ ai suoi figli in formazione o in partenza per la Cina, e addirittu- ra i suoi interventi magisteriali, in cattedrale o altrove, indirizzati alla stessa comunità diocesana.

P. Ceresoli, per esempio, credo si sia divertito, in una recente ricerca: San Guido M. Conforti, Profeta della lettera enciclica Fratelli tutti, a scovare e mettere in parallelo 18+1 testi del Conforti (tratti quasi tutti dai suoi discorsi o omelie o lettere pastorali) con dei brani tratti dalla Fratelli tutti di papa Francesco. Verrebbe quasi la voglia di domandarsi: chi ha copiato chi? Certo la sintonia, pur con vocabolario diverso, ma ad un secolo e più di distanza, è stupefacente. Provare il gioco per credere! Magari prendendo in mano anche i testi confortiani più direttamente diretti alla sua Famiglia missionaria, come i Discorsi ai Partenti o le Lettere cir- colari.

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V. Il vaticinio di Cristo, auspicante la formazione di una sola famiglia cristiana che abbracci l’umanità” (LT 1), è già chiaramente nel Vangelo!

Non pretendo certo fare ora una rilettura completa del Vangelo sotto questa grande lente della Fra- ternità universale. Non l’ha fatto nemmeno papa Francesco in Fratelli tutti, dove ha basato prati- camente tutto il suo lungo e complesso discorso sulla sola affermazione-convinzione intima di Francesco d’Assisi, e sulla sola parabola del ‘buon Samaritano’ (cfr Fratelli tutti, 2. Un estraneo sulla strada, 56-86).

Potrei quindi anch’io fermarmi a contemplare-meditare questa parabola centrale ed esclusiva di Lu- ca 10,25-37. Come mostra di nuovo anche papa Francesco, è, da sola, una prova ad hominem più che convincente e coinvolgente.

Per i più esigenti, si possono comunque aggiungere innumerevoli altri testi evangelici.

Per esempio (senza pretese di completezza o esattezza scientifica):

< Voi siete il sale della Terra e la luce del Mondo (Mt 5,13-16).

< Voi dunque pregate così: Padre nostro, che sei nei cieli (…). Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6, 9-15).

< Se riservate i vostri saluti solo ai vostri fratelli, cosa fate di straordinario? Anche i pagani non fanno lo stesso? Voi dunque siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto (Mt 5, 42-48).

< (…) Al contrario, amate i vostri nemici, e fate del bene, … e voi sarete i figli dell’Altissimo che è buo- no, Lui, (anche) per gli ingrati e i cattivi. Siate misericordiosi come il vostro Padre celeste è misericordioso.

< Ho ancora altre pecore che non sono in questo ovile: bisogna che io possa condurre anche quelle.

Esse ascolteranno la mia voce, e ci sarà un solo gregge e un solo pastore. (Gv. 10, 16).

<… (Caifa) profetizzò che Gesù doveva morire, non soltanto per la nazione (giudaica), ma anche per riunire insieme tutti i figli di Dio dispersi (Gv. 11, 47-53)

< Ed io, una volta innalzato sulla terra, attirerò a me tutti gli uomini…(Gv 12,32)

Vedi anche in Mt 24, 29ss la dimensione universale e cosmica della venuta gloriosa del Figlio dell’Uomo e del Giudizio escatologico finale (Mt 25, 31-46). Dimensione universale che è già ben chiara nell’invio missionario finale:

Andate dunque, e di tutti i popoli fate dei discepoli ( …) Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo (Mt 28, 18-20)

Così commenta questo testo la Bibbia di Gerusalemme: “La missione dei discepoli è universale. Dopo essere stata annunciata come dovuto al popolo d’Israele (Mt 10,5*), la salvezza deve essere oramai offerta a tutte le Nazioni (cfr Mt 8,11; 21,41; 22,8-10; 24,14.30s; 25,32; 26,13; cfr Atti 1,8*; 13,5s; Rom 1,16*). In quest’opera di conversione universale, per quanto lunga e laboriosa possa essere, il Risuscitato sarà presente e attivo con i Suoi”.

E così, il cerchio si chiude perfettamente: da papa Francesco a Gesù nel Vangelo.

4° Papa Francesco, nella Fratelli tutti, non fa che riassumere e rilanciare…

3° ‘il paradigma conciliare’ della missione: collaborare “…. al fine di

ricostituire quella fraternità universale che corrisponde alla vocazione umana” (GS 3), 2° ‘paradigma’ che Conforti aveva già chiarissimamente e ripetutamente pronosticato più di un secolo fa (Cfr anche le ricerche sul tema dei pp. Ceresoli e Marchioron);

1° ma da riagganciare però direttamente “ al vaticinio di Cristo” (cioè al progetto stesso di Gesù

nel Vangelo, auspicante la formazione di una sola famiglia cristiana che abbracci

l’umanità” (LT1).

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* Di quale ‘fraternità universale si parla? Fraternità ‘cristiana’ o innanzitutto ‘fraterni- tà umana’?

La Fraternità umana universale è già là! Per chi crede, essa è già intessuta intimamente a partire dalla crea- zione dell’umanità, e restaurata radicalmente dalla redenzione di Cristo. Ma anche per chi crede solo alla sua coscienza e alla sua sensibilità umana profonda, la fraternità umana universale è oggi un profondo imperati- vo categorico.

Da qui emerge, mi sembra, anche la punta di diamante della missione oggi: “Nostro compito sarà quello di rivelare questa verità”! Anzi, non solo ‘rivelare’, ma impegnarci anche, insieme, con entusiasmo, per risco- prire ovunque, per restaurare, ‘curare’ e nutrire con amore e dedizione questa Fraternità umana, in solida- rietà di fede (con tutti i credenti in Cristo ed anche con tutti i credenti in Dio Creatore delle religioni, a co- minciare dal Giudaismo e dall’Islam), e in solidarietà d’amore, con tutti gli uomini di buona volontà.

Amore, solidarietà e dedizione per la ‘cura’ della Famiglia umana, la cui sorgente e modello insuperabile per noi cristiani è certamente Cristo. Non possiamo però pretendere di innalzarLo fin dall’inizio come stendardo di appartenenza e di riconoscimento esclusivo, sennò escludiamo subito Israele, e l’Islam immenso e tutti gli altri non-cristiani.

È vero che Conforti parla della “formazione di una sola famiglia cristiana”, e non genericamente di “fare del mondo una sola famiglia” (alla cui formulazione, bella ed efficacissima come slogan, farei però un rilievo, cioè il rischio di un sottofondo di pelagianesimo, come se fossimo noi, a fare del mondo…).

Mi pare tuttavia che il ‘cristiana’ sia molto sfumato, e non voglia essere ‘identitario’, almeno in Conforti:

egli lo vede come l’orizzonte finale, che si apre solo davanti agli occhi della fede apocalittica paolina in Cri- sto, e non come una tessera di identità o come un lascia-passare stampato a priori, da mostrare da chiunque vuol entrare e impegnarsi nel cantiere della ristrutturazione umana e sociale dell’umanità. Altrimenti rica- diamo nella logica ecclesiocentrica, autoreferenziale ed esclusivista della ‘cristianità’ (dichiarata ‘defunta’, anche ufficialmente dal Papa).

Per cui io parlerei, inclusivamente, della Fraternità o della Famiglia umana universale, tout court, da ri- scoprire, restaurare e ‘curare’, a tre livelli, in forza di una triplice motivazione da parte nostra:

1° poiché vedo/esperimento oggi l’unicità della Famiglia umana à livello fenomenologico-storico, antropologico e sociale, mi impegno in solidarietà con tutti gli uomini di buona volontà à rinsaldarla;

2° poiché credo in Dio Creatore unico dell’umanità, pur nella varietà storico-culturale dei popoli, mi impegno in solidarietà con tutti i credenti delle religioni a vivere, testimoniare, promuovere questa fratellan- za universale che ci è già donata da Dio a partire dalla creazione;

3° poiché credo nel Cristo Redentore e restauratore di tutta la Famiglia umana, mi impegno in solida- rietà con tutti i fratelli cristiani, a svelare-testimoniare e collaborare alla crescita, fino alla pienezza escatolo- gica, di questa fraternità umano-divina universale, già restaurata in Cristo.

Così si ha una comprensione completa del paradigma complesso della Fraternità universale, e una visione ampia, e quindi complessa, della ‘missione oggi’: senza nulla tacere o nascondere tuttavia del grande Progetto della salvezza di Dio in Cristo, ma anche senza nulla imporre agli altri, in attesa del tempo opportuno dello ‘svelamento totale’.

Il problema grosso è però questo ora, per noi missionari saveriani: come assumere senza riser- ve questo ‘nuovo paradigma’ della missione, e come ristrutturarci radicalmente, per rilanciarlo, personalmente, comunitariamente, nella formazione e nelle strutture, ‘in coerenza ritrovata’

con il carisma e la vocazione ‘speciale’ che ci è stata donata, per ‘collaborare’ anche noi ad inve- rare, oggi, nel mondo non-cristiano, questo sogno umano-divino della Fraternità universale?

(Antonio Trettel, sx- Bukavu, 15.8.’21)

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