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[3] Tutti questi erano con esso lo 'nperadore e altri baroni v'avea assai

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(1)

LIBRO XVI [I]

[c. 153r] [1] Corrado inperadore d'Alamagna è il primo nomato; fue a quello parlamento e messer Otto suo fratello, ch'era povero cherico di Frigina, Istefano vescovo di Mez nelle Reno, Arrigo vescovo d'Atol, fratello del conte Tedrigo di Fiandra, Teodius nato di tedesca terra, vescovo di Porto ch'era legato di Papa nell'oste dello 'nperadore. [2] De' principi dello 'nperio vi fue Arrigo duca d'Ostoric, fratello de lo 'nperadore, guelfo, duca e ricco uomo e possente; Federigo duca di Savoia, nepote de lo 'nperadore, di suo fratello anzi nato, che fue inperadore dopo il suo zio e bene governoe lo 'nperio per suo vigore e senno; Ermanno marchese di Verona; Bertoldo di Landa che poi fu duca di Pavia; Guiglielmo marchese di Monferrato, suocero dello inperadore; il conte di Fiandra c'avea la serocchia del marchese Guiglielmo, amendue erano alt'uomini di Lonbardia. [3]

Tutti questi erano con esso lo 'nperadore e altri baroni v'avea assai. D'altra parte vi fu il re Loys di Francia, Gottifredi vescovo di Lengres, Arnoldo vescovo di Livisies, Guido di Firenze, prete e cardinale di Roma di santo Grisogona e legato nell'oste del re di Francia, il conte Ruberto del Perche, fratello del re Arrigo, figlio del giovane conte Tebaldo di Canpagna, vallentre giovane uomo di gran cuore, elli avea per isposa la contessa Maria figlia del re di Francia; sì v'ebbe d'altri grand'uomini del reame di Francia i quali non si possono tutti nomare. [4] Questo parlamento fu la vilia di Natale, della terra d'oltremare vi fue il re Baldovino e la sua madre, la buona dama savia, onesta e vigorosa e di buona contenenza, il patriarca Folchieri di Ierusalem, Baldovino arcivescovo di Cesarie, Ruberto arcivescovo di Nazaret, Ruggeri vescovo d'Acri, Bernardo vescovo di Saiate, Guiglielmo vescovo di Barath, Adam vescovo di Belinas, Gherardo vescovo di Belleem, Ruberto maestro del Tenpio, Ramondo maestro dell'Ospedale. [5] Baroni secolari vi fue Manasiars conestabole del re Filippo di Napoli, Elimanno di Tabaria, Garardo di Saiate, Gualtieri di Cesaria, Pagano signore della terra oltra 'l fiume Giordano, Anfredi del Toron, Guido di Baruth. [6] Molti v'ebbe de li altri che tutti furono racolti dentro alla città d'Acri per prendere partito in qual maniera ellino potrebbono mellio fare la bisogna di Nostro Signore e afiebolire i suoi nemici e acrescere il podere de' cristiani. 1

[II]

[1] Molte parole v'ebbe dette per menare l'oste de' cristiani in diverse parti, ma al didietro s'accordarono tutti a una cosa e fu fermato per consiglio ch'ellino andrebbono ad assediare la città di Damasco. I·bando fu gridato che a tal giorno nomato tutti fossono apparecchiati alla città di Tabaria, questo fu nell'anno della 'ncarnazione di Cristo .MCXLVII., a dì .XXV. di maggio. [2]

Quelli due gran signori e tutti li altri vennono in quel giorno, furono tutti ragunati e apparecchiati a cavallo e a pié alla città di Tabaria, ch'è apellata nella scrittura la Cesaria Filippa. La vera croce fu là portata sì com'era usanza in quel tenpo, ch'ella andava inanzi a' gran bisogni. [3] Nel luogo parlarono i grandi uomini a quelli della [c.153v] terra che bene sapeano l'essere del paese, ispezialmente il sito di Damasco. Ellino s'acordarono tutti che giardini di Damasco fossono presi però ch'ellino attorneavano gran partita della città e aveavi di gran fortezze in che turchi si fidavano molto e bene potea essere ch'essendo presi i giardini la città non si terrebbe poi lungamente. [4]

L'oste mosse tutta insieme e passarono il monte di Libano, ch'è tra le due città di Belinas e di Damasco. Quande furono discesi delle montagne ellino venno a una città c'ha nome Darre, ne·luogo si loggiarono tutti insieme, molto fu bello a vedere l'oste, elli v'avea gran quantità di padiglioni tutti nuovi di molte maniere. [5] Elli erano presso alla città di Damasco a .IV. miglia o a .V., sì ch'ellino vedeano diliveramente la città. I turchi della città montarono su per le mura e per le torri della città a vedere l'oste dond'ellino aveano paura.

                                                                                                               

1 2 di Pavia] di baviera p. 3 Loys di Francia] l. I, con rimando nel marg. esterno I di francia 5 re Filippo]

re Baldovino f.

2 1 annotazione nel marg. esterno 1148, di mano diversa dal copista 5 diliveramente la

(2)

[III]

[1] Damasco è la migliore città della minore Soria e per altro nome si chiamava la Finice di Libane, donde il Profeta disse: «Il capo di Suria è Damasco». Un sergente d'Abram la fondò, c'avea nome Damas, da lui fu ella così appellata. [2] Ella siede in uno piano là ove il terreno è alido e asciutto, ma i lavoratori vi mettono per entro un fiume che discende dalla montagna e menalo per canali e per condotti là ove bisogna. Diverso la parte d'Oriente ha due rivi di quel fiume, là ove crescono molto gran quantità di frutti di molte maniere e durano infino alle mura della città. [3] Al mattino, quando l'oste de' cristiani fu armata, ellino feciono solamente tre schiere di tutte loro genti. Il re Baldovino ebbe la prima però che la sua gente sapeano mellio il paese che pellegrini, la seconda condusse il re di Francia, la terza e la didietro guardia condusse lo 'nperadore con la sua gente. In questa maniera se n'andarono verso la città ch'era diverso sole coricante, da quella parte onde la nostre gente andavano. [4] I giardini erano diverso bigio sì duravano bene .IV. o .V. miglia, si erano i frutti sì spessi che pareano una selva e ciascuno giardino di per sé era chiuso di muro di terra, però che nel paese non ha pietre. I giardini sono molto stretti dall'uno sentieri a l'altro ma elli v'ae una comune via che vae alla città, là ove appena puote andare un uomo solo a cavallo carico di fieno.

[5] Da questa parte è la città molto forte per le mura della terra che vi sono tante e per lo ruscello che corre per tutti i giardini e per le strette vie che sono ben chiuse di qua e di là. Tuttavia furono in concordia che per quel luogo andrebbe tutta l'oste verso la cittade per due cose, l'una fu che se i giardini fossono presi la città sarebbe molto dischiusa e di mezza presa, l'altra fu ch'elli v'avea gran quantità di frutti maturi su per li albori che molto faceano bene a quelli de l'oste e per l'acqua che v'era donde l'oste avea bene mestiere. [6] Il re Baldovino comandò che le sue genti si mettessono per li giardini ma troppo vi volea grande isforzo ad andare per là entro, però che dentro alle mura da ogni parte avea grande quantità di turchi che non restavano di trarre per l'archiere che v'erano spesse e i nostri non poteano a venire a loro e ancora v'avea di quelli che si metteano incontro a' nostri nel mezzo dalla via abandonatamente e difendeano il passo. [7] Tutti i turchi della città eran fuori per difendere a lor potere i giardini, che nostri no li occupassono. Elli v'avea torri nel verzieri alte e forti che ricchi uomini di Damasco v'aveano fatte per loro abituro quande coglievano i frutti: quelle erano bene guernite d'arceri che molto gravavano i nostri e quando ellino passavano perme le torri sì era loro gittato di grosse pietre. [8] Molto erano a grande miscapo e sovente erano fediti di lance per l'archiere, molto uccisono de' nostri uomini e cavalli sì che baroni si ripentevano ch'elli erano entrati da quella parte per assediare la città. 2

[IV]

[1] Gran disspetto ebbe il re Baldovino e sue genti e viddono ch'ellino non potrebbono venire infino alla città in cotal maniera sanza grande danaggio, allora si ritornarono e costaronsi dalla via sì cominciarono a ronpere e a battere le mura. [2] I turchi che v'erano dentro no li lasciavano venire all'altre mura mai i nostri li sorpresono e n'uccisono e ritennono presi e sì feciono i nostri [c.154r]

in più luogora. Quando i turchi ch'erano sparti per li giardini viddono che nostri andavano così abbattendo le mura e uccidevano la gente, troppo ne furono ispaventati sì si fuggirono verso la cittade e abbandonarono i giardini ed entrarono nella città a gran fiotta. [3] Appresso andarono i nostri diliveramente per li sentieri sanza niuno contradetto; i turchi providono che a nostri convenia venire al fiume, sì si guernirono di cavalieri ed arceri per difendere ch'ellino non vi potessono avenire. [4] Quando la schiera del re Baldovino ebbe trapassati tutti i giardini grande talento ebbono di venire al fiume che correa presso alle mura della città, ma quando ellino vi s'aprossimarono bene fu loro contradiato l'acqua e furono i nostri risortiti e pinti indietro, appresso si rischierarono i nostri e misonsi inanzi per guadagnare l'acqua, ma ripinti furono a dietro da' turchi. [5] Quivi ebbe zuffa asspra e fiera ma i nostri furono oltraggiati. Il re di Francia che cavalcava appresso con tutta la sua schiera si ratenne per soccorrere se mistiere fosse; lo 'nperadore ch'era didietro domandò                                                                                                                

3 5 albori] abbori 5 mestiere.] m. si 4 2 ma i] mai i

 

(3)

perch'ellino erano ristati, detto li fu che la prima schiera si conbattea co' turchi fuori della città. [6]

Quando i tedeschi udirono ciò, e' sono una gente che niente non possono sofferire, tantosto uscirono di schiera e corsono a disfreno, lo 'nperadore in persona si mise per lo mezzo della battaglia del re di Francia e passò oltre sanza ordine niuno, tanto ch'elli venne alla zuffa in sul fiume. Poi discesono tutti da cavallo e misono loro scudi davanti e tenono loro spade lunghe e asspramente corsono sopra i turchi, sì ch'ellino no li poterono sofferire anzi guerpirono l'acqua e se n'andarono dentro alla città.

[7] Lo 'nperadore fece in sua venuta alla zuffa un colpo di che l'uomo parlerà a tutti i giorni, però che un turchio il tenea molto stretto ed er'armato d'asbergo, lo 'nperadore era a piè e avea in sua mano una molto buona spada. Egli fedì il turchio intra 'l collo e la sinestra spalla: la spada discese perme 'l petto nel destro costato, l'una parte cadde mozza col capo e co la spalla e col destro braccio. [8] I turchi che viddono questo colpo non s'arestarono poi in quel luogo, anzi si fuggirono dentro alla città. Quando ellino contarono agli altri il colpo ch'ellino aveano veduto non v'ebbe sì ardito che non avesse paura, sì che molto furono spaventati ch'ellino non si potessono tenere contro a coltal gente. 3

[V]

[1] Il fiume e giardini ebbono i nostri guadagnati diliveramente, allora tenderono i loro padiglioni intorno alla città, grande agiamento aveano de' giardini in molte maniere. I saracini montarono su per le mura e riguardarono l'oste che molto era bella. [2] Quando e' furono accanpati bene, si pensarono che così gran gente aveano podere da vincere la loro città, paura ebbono grande che nostri no li asalissono di subito per lo quale ellino intrassono dentro e l'uccidessono tutti. [3] Ellino ebbono consiglio e furonsi acordati d'aserragliare tutte le rughe diverso l'oste con buone travi e tagliate e così 'l feciono a ciò che se nostri entrassono dentro i·mentre ch'ellino penassono a tagliare le barre i turchi se ne potessono andare per l'altre porte co loro famiglie. [4] Ben senbiava ch'ellino non avessono talento della città difendere longamente s'ellino fossono a miscapo quand'ellino s'ordinavano così tosti di fuggire e però era leggere cosa di fare così gran fatto com'era di prendere la città di Damasco, se Nostro Signore v'avesse voluto operare. Ma per lo peccato de' cristiani che v'erano e perché Dio volea che ciò fosse fatto per altre genti e ad altro tenpo, si sofferì che la malizia del diavolo disturbasse quella alta bisogna. [5] Molti avea nella città de' saracini c'aveano atorciato quello ch'ellino ne doveano portare quand'ellino si fuggissono, ma i più savi de' turchi sapeano che gran baroni di Soria la maggiore parte erano di molto grande convetigia di prendere e guadagnare avere e bene conosceano che la forza de' cristiani che quivi erano non potrebbono ellino vincere leggermente per la battaglia, e però provarono di vincere il cuore d'alcuni per avarizia. [6]

Ellino mandarono a quelli baroni [c.154v] loro messaggi e grande avere a loro promisono e bene neli feciono sicuri s'ellino potessono tanto fare che l'assedio si partisse del luogo. Elli è vero che questi baroni furono di quelli della terra di Soria ma i loro nomi, né lignaggi, né signoria non nomina la storia però che ancora ae di loro rede che nol sofferebbono in pace. [7] Quelli baroni, quand'ebbono inpreso il mistiere di Giuda di procacciare la tradigione contro al Nostro Signore, ellino vennono allo 'nperadore d'Alamagna e a' due Re che molto loro credeano: ellino dissono che non era stato bene proveduto d'assediare la città da quella parte de' giardini, però ch'ell'era più forte a prendere da neun'altra parte e però dissono ch'ellino richiedeano, sì come a loro signori in buona fede, che 'nanzi ch'ellino perdessono nel luogo il tenpo e la fatica ch'ellino facessono l'oste rimuovere e assediare la città da l'altra parte di rincontro là ov'elli erano, che sì com'elli diceano, da la parte diverso mezzodì e diverso Oriente non avea alberi ch'elli disturbasse di venire alla città e 'l fiume v'era sì piccolo che leggermente si potea guadare e le mura erano lae basse e fieboli, sì che non vi bisognerebbe difici rizzare anzi si potrebbono pigliare di venuta. [8] Quando que' signori li udirono così parlare e li altri baroni bene credettono ch'ellino il dicessono per buona intenzione, sì gli credettono e feciono bandire che tutti si disloggiassero e seguissono quegli baroni ch'ellino loro                                                                                                                

4 7 sua mano] s. m m.

5 7 vennono] ve(n)nono

(4)

nomarono. [9] I traditori si misono davanti e menarono tutta l'oste da quella parte ch'ellino sapeano certamente che non avea rischio d'assalto e là ove l'oste averebbe maggiore soffratta di tutte le cose, sì ch'ellino non potrebbono nel luogo dimorare i·nulla maniera, là ficcarono i traditori loro bandiere e feciono acanpare tutto intorno. [10] Ellino no stettono in quel canpo guari ch'ellino s'aviddono e seppono certamente ch'elli erano traditi e che per grande malizia li aveano fatti venire là. Ellino aveano perduto il fiume sanza 'l quale tanta gente non si potea governare e frutti de' giardini ond'ellino aveano grand'agio e diletti.

[VI]

[1] Vivanda cominciò al tutto a fallire nell'oste, sì che tutti n'aveano gran soffratta, ispezialmente i pellegrini di strane terre però che non ne potea punto venire di Soria ed ellino non se n'erano forniti, però ch'elli loro fu fatto vedere di prendere la città i·loro venuta od ellino ne troverebbono assai e che la città non si potrebbe i·nulla maniera tenere .IV. giorni e però no s'erano voluti caricare di vivanda. [2] Quando ellino si viddono in quel punto che tutte le cose loro fallivano che mistiere loro erarno molto furono crucciosi e sbigottiti e non s'intramisono d'assalire la città, però che ciò fosse pena perduta e 'l ritornare ne' giardini onde s'erano partiti non era legger cosa però che, così tosto come si furono partiti, i turchi vennono nel luogo e tante vi feciono barre e tagliate e anche li forniro d'arceri e di genti e sì s'aforzarono ne' giardini che più legger cosa sarebbe di prendere la città che di rittornare ov'elli erano acanpati. [3] E però parlarono insieme lo 'peradore e 'l re di Francia e dissono che quelli della terra in cu' ellino aveano messi i loro corpi e de' loro uomini per la bisogna di Gesù Cristo li aveano traditi troppo dislealemente e aveali menati in quel luogo a ciò ch'ellino non potessono fare la bisogna della cristianità né il loro onore, e però s'accordarono tutti di partirsi del luogo e di guardarsi bene di tradigione. [4] In cotale maniera si partirono i due maggiori signori di tutta la cristianità e i più possenti, che niente feciono a quella fiata che fosse onore né di Dio né di secolo. Molto cominciarono a schifare i baroni d'oltremare in tutti i loro consigli; quella via ch'elli aveano tenuta al venire, quella medesima feciono a ritornare, tanto che tornarono nel reame di Ierusalem. [5] Molto cominciarono a dispiacere a que' due gran signori l'essere del paese e niente non vollono poi inprendere, la minuta gente di Francia dicevano apertamente a' soriani che non sarebbe mica buona cosa di conquidere le città a loro uopo, però che turchi eran mellio che non erano ellino. [6] Inanzi che la tradigione fosse fatta dimoravano la nostra gente volontieri in Soria e molti gran beni v'aveano fatti, ma poi non poterono essere in uno accordo con quelli del paese e quando ellino [c.155r] vi veniano alcuna fiata in peligrinaggio sì se ne ritornavano i·loro paese il più tosto ch'ellino potevano.4

[VII]

[1] Molti cercarono per sapere certamente chi quella tradigione avea fatta. Colui in sua persona che questo libro fece il domandò e cerconne più fiate con molte genti del paese, diverse cose ne trovoe le quali tutte le mise in su' libro. [2] Alcuni dissono che conlte di Fiandra fu più cagione di questa cosa che niuno altro, però che così tosto com'elli vidde che giardini di Damasco erano presi sì li fu aviso che la città non si terrebbe per lungo, elli venne a lo 'nperadore e al re di Francia e al re Baldovino sì gli pregoe molto dolcemente ch'ellino li donassono quella città di Damasco quand'ella fosse presa e questo medesimo richiese a' baroni di Francia e d'Alamagna, che tutti vi s'accordarono. [3] Elli loro promettea che bene e lealmente la guarderebbe e guerreggerebbe vigorosamente i nemici di Nostro Signore. Quando i baroni di Soria l'udirono grande dolore n'ebbono e gran disdegno di ciò che così gran signore, che tanto avea gran terra in suo paese ed era venuto per lo pelligrinaggio fare, volea ora guadagnare uno de' più ricchi menbri di Soria. [4]

Mellio loro senbiava che se il re Baldovino no l'avesse in suo comandamento che l'uno di loro l'avesse e però senbiò loro che 'l conte volesse il frutto di loro travaglio. Più contenti furono che turchi la si tenessono ancora che s'ella fosse donata al conte di Fiandra e però disturbare                                                                                                                

6 1 n'aveano] naveano

(5)

s'accordarono di fare la tradigione. [5] Altri dissono che 'l principe Ramondo d'Antioccia, che molto era malizioso, che poi che 'l re di Francia si partì da lui elli non finò per male di procacciare il disinore di lui e però mandò a' baroni di Soria, ch'erano suoi amici, ch'ellino per lo suo amore disturbassono in tutte maniere il pro' e l'onore del re di Francia, a ciò ch'elli non facesse cosa che onore li fosse e per la sua preghiera aveano ciò procacciato. [5] Li altri diceano la cosa come voi l'udiste davanti, che per molto avere che turchi donarono a' baroni fue quella grande dislealtade fatta. Grande festa ne feciono quelli di Damasco quando viddono partire la nostra gente, ancora il reame di Ierusalem ne fu crucciato e isconfortato. [6] Quando l'oste fu ritornata, sì rifeciono un gran parlamento là ov'elli s'asenbiarono tutti i grandi baroni e de' minori. Là fu ragionato ch'ellino facessono alcuna gran cosa della quale Iddio fosse onorato e che di loro fosse parlato a tutti i giorni in bene e fu detto che la città d'Iscalona er'ancora de' turchi, la qual' era quasi nel mezzo del reame e s'ellino la volessono assediare da tutte parti verrebbe loro vivanda sicuramente nell'oste e però sarebbe leggeri cosa di conquidere la città, però che lungamente non si potrebbe tenere contro a tanta gente. [7] Molto fu parlato intra loro di questa cosa ma di niente s'accordarono, però ch'elli v'avea disturbatori i quali amavano più di ritornare i·loro terre che assediare cittadi in Soria. Elli parve che Nostro Signore non volesse fare niente di sua bisogna per quelle genti, così si dipartì il parlamento che neuna cosa vi fue inpresa.

[VIII]

[1] Lo 'nperadore Currado vidde che l'essere d'oltremare era in tale stato che baroni che v'erano non poteano essere in uno accordo di fare né di prendere cosa di niuno bene, i santi uomini diceano che ciò era per giudicio di Dio. [2] Elli avea molto affare per governare bene il suo inperio e però fece apparecchiare il suo navilio e presse comiato da quelli che rimaneano ed entrò in mare e rivenne in suo paese. Poi visse due o tre anni, poi morì nella città di Paraborgo e soppellito fu onoratamente nella chiesa maggiore del vescovado. [3] Questi fue buono principe piatoso e dibuonaria, grande di corpo, forte e bello, cavalieri ardito bene inteccato. Federigo suo nipote, duca di Soavia, il quale andò in peligrinaggio co lui, fu inperadore appresso di lui, giovane era allora ma di grande maniera, fu savio e vigoroso. [4] Il re di Francia, quand'elli fu stato oltremare un anno intero, [c.155v] elli fece la Pasqua della resuresione in Ierusalem, e la sua reina e suoi baroni, poi prese comiato dal re Baldovino e da li altri baroni. Elli entrò in mare e venne in suo paese, appresso ragunoe suoi baroni e per acordo di loro si disceverò da la reina Alienora, per difetto di lei e per acordo de' prelati di suo regno e per lo giudicamento di Santa Chiesa. [5] Quand'ella se n'andava in Aquitania, ch'era il suo retaggio, Arrigo duca di Normandia e conte d'Aniou la sposò inanzi ch'ella giugnesse nel suo paese.

Poco tenpo appresso morie il re Stefano d'Inghilterra sanza reda maschio e 'l duca Arrigo di Normandia fu Re appresso di lui. [6] Il re Loys prese per isposa la figlia del re di Spagna, c'avea nome Maria, ella venne in Francia giovane pulcella, poi fu molto buona dama e savia, di santa contenenza. Allora fu il Re mellio amogliato che 'n prima. 5

[IX]

[1] Da questo tenpo innanzi cominciò molto a peggiorare lo stato della cristianità d'oltremare, però che turchi aveano molto dottata la venuta di quelli gran principi, quando ellino ne li viddono partiti e' non pregiarono niente il podere de' cristiani che là erano rimasi e in sì grande orgoglio ne montarono i turchi che fu loro aviso che leggermente li potrebbono tutti ucciderli e prenderli. [2]

Sopra tutti li altri Norandin, figlio di Sanguins, fu orgoglioso e fiero e possente di guerregiare i cristiani: elli mandò in Oriente per chiedere tutti i cavalieri ch'elli potesse avere di Pagania, poi intrò co molta gran quantità di gente nella terra d'Antioccia e sì nonsi dottava mica che cristiani il potessono fare partire di canpo per battaglia e lì asediò il castello di Nepi. [3] Quando il principe                                                                                                                

8 2 soppellito fu] s. fu

9 1 annotazione nel marg. esterno Nota, di mano diversa dal copista e manicula 1 tenpo innanzi] t. in(n)anzi 2 sì non si dottava] si I d., con rimando nel marg. esterno I non si

 

(6)

Ramondo il seppe, sì com'elli era coraggioso e studioso, non volle attendere che la sua gente venisse a lui, i quali elli avea fatti richiedere, però che cotali cose elli non credea altro consiglio che 'l suo; elli si mosse con poca gente in sua conpagnia e venne colà ove l'asedio era. [4] Norandin udì dire che 'l principe Ramondo era venuto ma elli non potea credere che fosse venuto così follemente, anzi pensava ch'elli amenasse con seco tutto il suo podere e però non l'aspettò, anzi si ritrasse dall'asedio e si ricolse in u·luogo presso del luogo ov'elli fu bene al sicuro co la sua gente. [5]

Appresso mandò sue spie per sapere quanta gente il principe avea con seco e se altra gente li venia appresso. Il principe, quando vidde che coloro s'erano partiti di lui, n'ebbe molto gran gloria e cominciò ad espiare l'essere di Nonrandin e ad averlo per mente. [6] Elli era sì fatto uomo ch'elli si fidava più di sé che mistiere no li fosse, assai fortezze avea indoltre presso là ov'elli si potea ricettare salvamente co la sua gente. Anzi disse che per paura de' turchi i quali elli avea cacciati non si partirebbe del canpo e per burbanza s'abandonò alla veduta di suoi nemici a grande pericolo. [7]

Norandin che presso di lui era si fu bene proveduto che niuna gente non era più venuta al principe e bene s'avisò ch'elli non si potrebbe trenere contro a sua gran gente e però se ne venne con tutta sua conpagnia nella piazza là ov'era il principe loggiato, elli l'atorneo e acinse come s'asedia un castello da tutte parti. [8] Al mattino il principe si vidde rachiuso da tutte parti e allora conobbe certamente ch'elli non avea gente da tenersi contro a' turchi, allora si cominciò a ripentere di ciò ch'elli s'era tanto abbandonato, ma ciò fu tardi. Tuttavia elli ordinò sua schiera di quella cotanta gente ch'elli avea, elli pregoe che bene si vendessono a loro nemici che del canpare del luogo era niente. [9] La battaglia fu cominciata, i cristiani che non erano se non un poco di gente si tennono quante poterono ma nella fine furono sconfitti. Il principe con alquanti de' suoi cavalieri rimasono in sul canpo ove feciono maraviglia d'arme tanto com'ellino vivettono. [10] Il principe fece grande macello tutto intorno di lui ma nella fine, essendo lasso, l'uccisono, Norandin fu molto lieto di sì prod'uomo ch'elli avea morto e sconfitto, elli li fece colpare la testa col destro braccio, sì nel portò. [11] Tutti quelli che rimasono in sulla piazza col principe furono morti, fra li altri uomini un molto valentre uomo cavalieri c'avea nome Rinaldo del Marrois, il conte di Rodi [c.157r] gli avea data per isposa sua figlia; molti v'ebbe morti de' baroni del paese i quali io non vi soe nominare. [12] In questa maniera fu la fine del principe Ramondo il quale fu cavalieri fiero e ardito leone, non fu già mai tanto dottato come i suoi nemici dottarono lui, ma non per quanto tutto giorno fu disaventurato in via d'arme; delle gran prodezze ch'elli fece in battaglia e di belli colpi si potrebbe fare libro, ma la storia vuole parlare comunemente di ciò che l'apartiene. [12] Questa misaventura avenne l'anno della incarnazione di Cristo .MCXLVIII., del mese di giugno, il dì della festa di san Piero e di san Paolo, .XIII. anni. avea tenuta la princea, questo fu tra la città di Pamiera e la città di Ruga, in un luogo c'avea nome Fuormuras. [13] Il corpo del principe Ramondo, sì com'elli era dispezzato, fu trovato intra li altri morti per lo suo cianberlano che bene il conobbe a certe margini ch'ell'avea nel corpo. Ellino il portarono in Antioccia e soppellirollo onoratamente intra suoi anticessori nella chiesa di san Piero. 6

[X]

[1] Norandin, ch'avea fatta così gran cosa come disconfiggere e uccidere così gran loro nemico e che tanto li avea gravati per molti mali ch'elli avea loro fatti, elli fece prendere il destro braccio co la testa ch'elli avea mozza da l'altro corpo e sì la mandò a loro maggiore capitano a cu' ellino ubbidivano tutti, ciò era il califfe di Baudac; questi la fece portare per molte cittadi d'Oriente per farne lieti quelli che 'lvedranno. [2] Quando la città d'Antioccia ebbe perduto il suo principe che a quel tenpo era tenuto il migliore cavalieri del mondo, gran duolo ne feciono e gran paura aveano, tutti i cristiani ch'elli udirono ne furono crucciati e disconfortati per tutta la terra d'oltremare. [3]

Norandin conobbe bene che la princea era inorfanita però che col principe avea elli morti quasi tutti                                                                                                                

9 11 altri uomini] a. uomini 11 valentre] valentre 11 annotazione nel marg. superiore di c. 157r, L'errore è nel l†iato e no nella storia, di mano diversa dal copista, per segnalare l'errore di numerazione che passa da 155 a 157 10 1 che 'l vedranno] c. l v.

 

(7)

i baroni della princea e però sanza dotta fece a sua gente correre per lo paese e guastare e ardere ciò ch'ellino vi trovavano fuori dalle fortezze. Elli in persona cavalcava infino ad Antioccia e facea ardere le ville ch'erano ivi presso e venne infino alla badia di santo Simeon, ch'è nelle montagne molto ad alti. [4] Tra 'l mare e Antioccia tutto facea de la contrada a sua volontà, poi discese al mare il quale elli non avea mai veduto e per segno di vittoria e per mostrare che se la terra durasse più oltre elli la conquidesse, elli entroe in mare ignudo e bagnossi a veggente di tutta sua gente. [5] Poi si partì del luogo e venne al castello d'Arana, tantosto il fece assalire e preselo di venuta, elli era presso d'Antioccia a .X. miglia; elli il guernì bene di tutte le cose sì ch'elli potesse sostenere assedio e asspettare soccorso. [6] Quando la gente d'Antioccia seppono ciò si furono sì sbigottiti ch'ellino non sapeano che sì fare e aveano tal paura ch'ellino credevano che la città si dovesse perdere ciascuno giorno. Ellino non aveano altro difenditore che solamente la princessa Gostanza ch'era rimasa appresso la morte di suo signore e aveane .II. figli. e .II. figlie picciolini tutti. [7] No per quanto il patriarca Amerigo, ch'era ricco uomo d'avere ed era infino a quel punto stato tenuto avaro, ma allora fece soldare cavalieri alle sue spese e sergenti e fece bene guernire tutte le loro fortezze.

[8] Quando il re Baldovino udì la misaventura del principe d'Antiocia ben seppe che tutta la terra era in gran pericolo, molto ne fu cruccioso e ben pensa di mettervi consiglio a suo podere:

tostamente fece ragunare i suoi cavalieri e venne ad Antioccia. [9] Quand'ellino il vidono molto si confortarono di sua venuta; elli assenbiò gente d'arme del paese e venne al castello d'Arana il quale Norandin avea preso nuovamente. Elli l'asediò ma poi alquanti giorni s'avidde che non era leggere cosa di prenderlo e però se ne partì e tornossi ad Antioccia. [10] Il soldano del Conio seppe che 'l principe Ramondo era stato morto, sì gli fu aviso che buon tenpo era allora d'acrescere il suo podere sopra i cristiani. Elli ragunò una delle grand'osti che fosse tratta di Turquia gran tenpo dinanzi, poi venne nella terra di Soria e presevi città e castella per forza.7[11] Poi venne al castello di Torbassello e l'assediò ed eravi dentro il conte Iocelin [c.157v] e sua sposa e suoi figli v'erano dentro. Il Re ebbe paura ch' e' turchi non prendessono il castello e però vi mandò Giufredi suo conestabole con .LX. cavalieri per atare al conte. [12] Il conte fu molto isbigottito di quello assedio e fece trattare accordo col soldano e accordarsi in questa maniera, che 'l soldano si partì dell'asedio e 'l conte li rendè tutti i pregioni ch'elli tenea di sua terra e ancora sopra ciò li diede .XII. armadure di cavalieri. [13] Quando i turchi si furono partiti il conte venne ad Antioccia per vedere il Re e molto inngraziò di ciò ch'elli era venuto nella terra e poi prese commiato dal Re e ritornossi con sua conpagnia ad Ansart. [14] Il Re dimoroe in Antioccia e riconfortò le genti, le fortezze fece guernire e mettere al sicuro il più ch'elli poté e li altri affari del paese ordinoe sì ch'elli erano in buono punto, poi se ne partì e venne in suo reame. [15] Iocelin conte di Rodi, il quale non somigliava il suo padre anzi era folle e malvagio e non mettea sua intenzione se non in beveria e in lossurie e tutt'altre cose gli erano per niente, elli fu molto lieto quando il principe Ramondo fu morto però ch'elli l'odiava molto e no li sovenia di ciò che la sua terra n'era molto affiebolita. [16] I turchi correvano allora intorno di lui che avanti non v'osavano venire. Il patriarca d'Antioccia avea mandato ch'elli venisse a parlare a lui ed elli andava di notte con piccola conpagnia; elli discese per pisciare, i turchi erano presso di lui i quali istavano nel luogo per rubare i viandanti. [17] Il conte non se ne prendea guardia: quando i turchi il viddono fuori di sua conpagnia, solamente con u·suo scudieri, ellino li corsono sopra e presolo e menarollo in Alape in pregione. Poco istette in pregione che di misagio morie in pregione. Tutta la notte si credettono i suoi cavalieri ch'elli fosse i·loro conpagnia ma la mattina il cercarono per tutto il paese. [18] Ellino si ritornarono i·loro paese quando nol poterono trovare e contarono come per misaventura aveano perduto il loro signore e ancora non sapeano là ov'elli si fosse. Gran duolo ne feciono per la terra però che rimaneane sanza niuno signore, non dimorò guari ch'ellino seppono come il conte era in pregione nella città d'Alape. [19] La sua sposa il conpianse molto, la quale era buona dama e di santa vita e d'onesta contenenza, uno figlio n'avea e due figlie, piccioli tutti, e quello consiglio che le davano i baroni credea molto volontieri e al suo podere governava bene la terra e vigorosamente, sì che ragione era fatta per tutto. [20] Le fortezze                                                                                                                

10 9 il vidono] il vidono 12 trattare] trattatare  

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fece tutte raconciare e bene fornire di tutte cose che vi bisognavano, ella si contenea sì come buona dama che Iddio e 'l secolo ne le sapeano buono grado. In quel tenpo, sì come voi udite, era la princea d'Antioccia e la contea di Rodi al governamento di due femine. 8

[XI]

[1] Quando i baroni del paese viddono che queste due baronie erano così a miscapo sì si pensarono ch'elli non bisognava ch'ellino menassono l'affare mollemente, anzi inpresono più vigorosamente di governare loro terre. [2] Il Re e li altri baroni viddono che quelli d'Iscalona faceano loro male tutte le fiate ch'ellino poteano e però providono di gravalli sì ch'ellino non avesso il podere di gravarli.

Elli avea un'antica città presso a Scalona a .X. miglia diverso mezzodì, Gazza fu apellata, ell'era disfatta sì che persona non v'abitava; questa fue l'una delle .V. cittadi de' filistei. [3] Il Re e suoi baroni però viddono che s'ellino la potessono rifare e fornirla Iscalona era inchiusa da tutte parti dalle loro fortezze, sì che tutto giorno sarebbono in guerra da qual parte ellino si movessono. Ellino si ragunarono a un giorno nomato e vennono là e trovarono molte muraglie e chiese disfatte e pozzi ov'elli avea di buone acqua vive. [4] Ell'era in un poggetto alquanto alto ma però che 'l procinto delle mura era stato grande si viddono i baroni ch'ella non si potea tutta rifare sanza grandissima spesa e troppo vi vorebbe di cose a guernirla e però presono una parte della città e feciono mura grosse e alte, con fossi di fuori larghi e perfondi. [5] Bene vi fu tatto tosto un castello forte e poi per comune accordo fu donato a' Tenpieri perch'ellino il mantenessono. Ellino il tolsono e guardarollo molto bene; [c.158r] molte grandi invidie ne feciono a quelli d'Iscalona sì ch'ellino che soleano correre per tutto il paese a loro volontà sarebbono isuti ben contenti di potere essere al sicuro dentro i·loro ville. [6] Quella fortezza fece molto bene al reame e apresso ciò che Scalona fu presa da cristiani tenne ella gran luogo nella terra e fu quasi come confine e ritegno contro a quelli d'Egitto.

Quando la fortezza fu fatta e conpiuta il Re e suoi baroni si tornarono in Ierusalem e là lasciarono il castello nella guardia de' cavalieri frati tenpieri. [7] Appresso avenne che quando la guernigione che venia d'egitto .III. o .IV. fiate l'anno per rinfrescare e rifornire quelli d'Iscalona ella venia molto grande maggiore ch'ella non solea e passavano davanti a questo castello. I turchi assalirono il castello e stettonvi alquanti giorni ma non vi feciono niente danaggio a nostri, anzi vi perderono della loro gente, poi se ne partirono e andarne nella città d'Iscalona. [8] Da questo tenpo inanzi perderono i turchi il potere correre per la terra de' cristiani in abandono e quando i turchi d'Egitto voleano rinfrescare la guernigione d'Iscalona sì la mandavano per mare e non osavano mandarla per terra, però ch'elli si dottavano di quella fortezza. 9

[XII]

[1] In mentre che lo stato della terra di Soria era in buono punto e 'l paese era in convenevole pace, forse tanto che la contea di Rodi era quasi perduta che turchi la teneano e la princea d'Antioccia era in grande pericolo però che turchi correvano sovente e guastavano il paese, il dimonio che mai non amò pace si procacciò com'elli potesse turbare il paese con sua malizia. [2] Elli mise discordia intra cristiani e la cagione fu questa. La reina Milisetta, che molto era buona dama a Dio e al secolo, quando il suo barone fu morto si rimase con due figli ch'erano piccioli, ella guardò bene e governò il reame e figli vigorosamente e con gran senno e avea de' grandi affari consiglio co' suoi baroni. [3]

Ma ella sopra tutti conoscea bene il migliore e quelli che si partisse dal meglio e qual era il più leale il suo consiglio credea. Il suo figliuolo anzi nato, Baldovino re, facea di tutte cose alla volontà di sua madre. [4] Infra li altri baroni della terra la reina credea a uno suo cugino c'avea nome Masnadiere, grande uomo del paese: così tosto come la reina tenne il reame sì 'l fece conestabole del regno e tutta la guardia del regno li donoe. [5] Quelli si fidava tanto nella reina ch'elli ne montò in troppo grande orgoglio, sì ch'elli non facea onore a li altri baroni anzi era a tutte genti di villano risponso co ladie parole. I baroni ne cominciarono molto a odiare il podere della reina per amore di                                                                                                                

11 4 alquanto alto] a. altro 4 viddono] viddono 12 1 grande] grade  

(9)

lui e bene aveano volontà di non sofferillo se non fosse per la reina. [6] Questo Masnadiere avea isposata una gran dama del paese ch'era stata isposa di Balian il vecchio, ella era madre d'Ugo, Baldovino e Balian di Ramas, ch'era fratello di questa dama, li avea dato in dota molto grande avere ond'elli era molto ricco e però era più orgoglioso. [7] Il primo di tutti c'avea Masnadiere in grande odio si era il re Baldovino, però ch'elli dicea ch'elli li avea tolta la grazia di sua dama la reina sua madre, sì che 'l Re non potea fare cosa che volesse e no li sofferia ch'elli donasse in quel luogo ov'era bene inpiegato. [8] In questo odio il manteneano i baroni del reame e atizzavano il Re contra lui, tanto che consiglieri del Re li dissono ch'elli non sofferisse che sua madre tenesse più il reame e dicevali che a lui era grande disinore che poi ch'elli era grande e savio e non avea punto di signoria, anzi il gastigava una femina come s'elli fosse un piccolo fanciullo. [9] Il Re per loro consiglio ordinoe di fare una molto bella festa i·Ierusalem il dì di Pasqua e portare corona. Il patriarca e li altri buoni baroni che amavano il buono stato del regno il pregarono più volte ch'elli volesse che la sua madre portasse corona il giorno di Pasqua e 'l seguente. [10] Al terzo giorno, quando la buona dama non se ne prendea guardia, [c.158v] il Re venne incoronato alla chiesa e tutti i baroni con esso lui. 10

[XIII]

[1] La festa trappasa, il Re ritenne i suoi baroni con esso lui e in presenza del conte Ugo di Soissons e di Gualtieri castellano di santo Omer e altri baroni v'avea, elli mise la sua madre a ragione e sì le disse ch'elli no li parea degna cosa ch'elli istesse ogimai in tal maniera e però volea governare la terra a sua maniera. [2] Tanto parlarono i baroni co la reina ch'ella s'acordò e fu contenta che 'l reame si partisse in .II. parti e che 'l Re avesse l'una metade ed ella l'altra però ch'ell'era tutto di suo reditaggio. Bene vi s'acordarono tutti e le parti e 'l Re prese, sì ebbe Sur, Acri, città nella marina, con tutte l'aparteneze; alla sua madre rimase Ierusalem e Napoli, con tutte l'apartenenze. [3] Quando la cosa fu così ordinata e fatta, tutti credettono che buona pace vi dovesse avere intra loro e che ciascuno si tenesse contento della sua parte, ma non dimorò guari che 'l Re appellò a sé uno de' maggiori baroni della terra, il qual era di molto ardito cuore e molto gran terre avea nella terra di Finice nelle montagne che sono di sopra di Sur, Anfreon del Toron avea nome. [4] Colui fece suo conestabole e comandatore sopra tutte le cose di guerra, poi non s'atenne a tanto anzi cominciò a muovere contezione a sua madre però ch'elli dicea ch'elli ch'era Re li convenia più spendere che a sua madre per le bisogne del reame e però intendea di torre alla madre ciò ch'ella tenea e poi ne le lascerebbe al suo volere. [5] La madre vidde e conobbe ch'elli avea talento di ciò fare e però guernì Napoli e le fortezze e diella in guardia a' suoi uomini che l'aveano fatto omaggio e giurata fedaltà ed ella si stava in Ierusalem per fare guardare la città. [6] Il Re asenbiò cavalieri e altra gente e assediò Masnadiere il gonestabole in uno castello di Mirabel: tanto lo strinse ch'elli s'arendè per forza onde il fece uscire e partirsi di tutta la terra d'oltremare. Poi ne venne a Napoli e prese la città, poi si partì per venire a Ierusalem per assediarvi sua madre. [7] Dalla reina s'erano partiti i più de' suoi uomini sicché inverso di lei non guardarono né fede né saramento; alcuno ve n'ebbe che bene si tennono in sua fedaltà, ciò fu il conte Amari di Iafet e il suo figlio che giovane era, Filippo di Napoli, e Roardo il Vecchio e alcuno de li altri, ma pochi. [8] La reina udì dire come 'l figlio venia sopra lei con tutta su'oste, ella si ricettò nella torre di monte Syon però ch'era il più forte luogo della città, co lei mise alquanti de' suoi leali baroni. Il patriarca Folchieri conobbe che troppo era grande pericolo quella guerra, sì pensa che buona cosa sarebbe chi potesse concordare quella discordia e però prese con seco de' savi uomini delle chiese e gente di religione. [9] Elli uscì della città e andò incontro al Re, molto il pregò dolcemente e li richiese ch'elli lasciasse quella cosa ch'elli avea inpresa: molte ragioni li mostrò perch'elli dovea attenere l'acordo tale com'elli l'avea fatto con sua madre e che molto sarebbono lieti i suoi nemici se la quistione durasse intra loro due, però che 'l suo podere afiebolia troppo. [10] Il Re ch'era crucciato e molto iniziato contro a sua madre che(?) no li volle credere, anzi disse ch'elli non se ne ritornerebbe passo. Il patriarca che vidde bene che niente non                                                                                                                

12 6 fratello di] f. di questa di, ripetizione

13 10 madre che(?) no] madre I no, con rimando nel marg. esterno poco leggibile Iche(?)  

(10)

profittava si ritornò i·Ierusalem, ma bene li disse davanti a tutti ch'elli avea malvagio consiglio e troppo fellone. [11] Il Re venne davanti a Ierusalem e trovoe le porti serrate, elli fece loggiare la sua oste intorno e asediolla. Le genti che v'erano dentro seppono bene ch'elli era loro Re e loro signore, sì dottarono di non crucciarlo e però li apersono le porti e ricevettono con tutta su' oste. [12] Il Re così tosto com'elli fu dentro se andoe alla torre ov'era sua madre e fecevi dirizzare difici e manganelli e arceri che non finavano di trarre a coloro che dentro si difendeano. I cavalieri ch'erano dentro non s'infigneano di difendersi, anzi gittavano aque di fuori di gran cantoni quadrati e quadrella saettavano con archi e con balestra, ond'elli erano bene forniti. [13] Io non so bene quanti giorni duroe l'asalto in tal maniera come se fosse tra i cristiani e saracini; il Re vidde ch'elli non potea danneggiare coloro ch'erano co la madre nella torre, non per quanto elli avea gran dispetto di partirsene a tanto e però volle mantenere la sua fellonia. [14] Ma nella fine buone genti parlarono [c.159r] alla reina ch'era più savia e mostrarolle il male che ne segui alla cristianità del loro contendere. Tanto si tramisono ch'ellino li acordarono in questa maniera, che la reina arebbe solamente Napoli e l'apartenenze e Ierusalem rimarebbe al Re. [15] Il Re fece giurare a sua madre che di ciò ch'elli tenea del reame ella no li domanderebbe già mai niente in tutta la sua vita. In cotale maniera rivennono in buon'amore e in buona grazia il figlio e la madre e fu buona pace per tutto il reame.

[XIV]

[1] La novella venne al Re come il conte di Rodi era preso per misaventura e che tutta la terra di là era quasi come abbandonata, però che turchi cavalcavano per tutto e guastavano il paese e loro volontà e ancora quello d'Antioccia e però avea molto grande mistiere d'aiuto e di consiglio. [2]

Allora si mise il Re con sua gente ad andare in quelle parti, co lui menoe Anfroi il conestabole e Guidon di Baruth; de' baroni della terra di sua madre non poté elli avere niuno e si mandò sue lettere ch'ellino venissono apresso di lui. [3] E' venne a Tripoli e tolse con seco il conte con tutto suo sforzo, poi vennono in Antioccia isnellamente però ch'elli si dicea, ed era il vero, che 'l più possente di tutti i turchi era venuto in quel paese co sì gran gente che nullo l'osava attendere e avea già conquisa gran partita della terra, però che quelli del paese no li osavano contratenere le fortezze, anzi glele rendevano per convento ch'elli li facea conducere co le loro famiglie e cose salvamente infino al castello di Torbasel. [4] Quello era sì forte che bene credeano esservi a guarento. In questa maniera avea già presi la maggior parte delle castella del paese, ma a lui venne novelle di suo paese per le quali li convenne partirsi con sue genti e tornare in suo paese. [5] Quand'elli se ne fu partito non rimasono le nostri genti al sicuro però che Norardin, il più crudele nemico che cristiani potessono avere e molto avea gran podere di terre d'avere e di genti, tenea i nostri cristiani sì corti ch'ellino non s'osavano abbandonare fuori da loro fortezze. [6] Elli andava da l'una parte e suoi corridori mandava per tutto per guastare e per prendere quanto ch'ellino trovavano. In cotal maniera erano le genti di quel paese in grande pericolo e in grande travaglio e misagio.11

[XV]

[1] Lo 'nperadore di Gostantinopoli seppe il gran pericolo in che la terra di Rodi era, elli vi mandò tostamente un suo barone il quale vi menò molti cavalieri e grande avere vi recoe. Elli parlò alla contessa e disse che 'l suo signore darebbe a lei e a' suoi figli gran quantità di tesora ond'ellino potrebbero vivere a grande onore, s'ella li volesse dare i castelli e la terra che l'erano rimase e che lo 'nperadore col suo podere le difenderebbe bene da' turchi e ancora intendea di riavere li altri i quali erano perduti. [2] Quando il re di Ierusalem fu venuto in Antioccia elli fece venire dinanzi da sé i messaggi dello 'nperadore, e' dissono la loro domanda davanti a tutti i baroni. Il Re domandò consiglio a' baroni de la contea ma e' non furono in uno accordo, però che alquanti diceano che la terra non era insì mal punto che bisognasse dimettere la terra nel podere de' greci, li altri diceano                                                                                                                

13 13 saracini] saracini

15 2 de' greci] de g g. 2 consiglio] cosilglo

 

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che più sicura cosa ch'ellino l'avessono che di perderla e saracini la conquidessono sopra coloro che la teneano, però ch'elli no la poteano difendere. [3] Quando il Re udie la discordia de' baroni bene li parve che quello paese non si potrebbe tenere lungamente però ch'elli non vi potea dimorare per lo bisogno di suo reame a che li convenia attendere ed elli non avea il podere da potere bene guardare il suo reame e la contea di Rodi ch'erano .XV. giornate di lungi l'una da l'altra e la terra d'Antioccia ch'era in quel mezzo era già stata più anni in grande misaventura e in gran pericolo. [4] Per questo s'accordò il Re che a lo 'nperadore di Gostantinopoli fossono date le castella ch'elli domandava per le convenenze ch'elli avea proferte. Non per quanto elli non avea grande isperanza che greci, che sono molle gente e cattiva in via d'arme, potessono la terra difendere né mantenerla, ma sé a ciò venisse elli volea inanzi ch'ella si perdesse nelle loro mani che nelle sue. [5] Le convenenze furono ferme e sicurate dinanzi dal Re, la contessa e suoi figli furono bene di ciò contenti. Il Re e 'l conte di Tripoli andarono per la terra a fare diliverare le castella e le fortezze a la gente de lo 'nperadore, elli menò i greci a Torbasello, la contessa e suoi figli e li ermini e latini e chi partire se ne volle [c.159v] prese in suo condotto e diede il castello a' greci poi andoe a li altri che nostri cristiani teneano. [6] Elli diè loro Torbasel, Aut, Baravandel, Rangulat, Bila e alcuno altro, tutti questi fece il Re balliarli alla gente dello 'nperadore. Elli racolse appresso di sé gran gente co loro famiglie e arnesi di quelli che si partivano della contea di Rodi, tra quali avea femine e fanciulli e altre genti da non potersi difendere. Il Re si mise al camino e facea la sua gente andare bellamente per conducere quello minuto popolo infino in salvo luogo. 12

[XVI]

[1] Norandin, ch'era ivi presso, sapea bene che 'l Re era nella terra per conducerne fuori quelli che andare se ne voleano e per disperamento avea fatto dare le castelle a' greci, i quali erano gente molle e vile come femine. [2] Per lo malvagio covenente ch'elli vidde i·nostre genti divenne più ardito e più sicuro di prendere guerra contra loro, elli ragunoe molti turchi e credette fare gran guadagno s'elli potesse incontrare il Re, il qual era carico e ingonbrato di quella minuta gente nella quale non avea punto di difesa e de' loro arnesi ch'ellino aveano coloro i quali appena poteano portarli. [3] Appena era giunto il Re alla città di Ruluba quando Norandin giunse ivi presso, che copria tutto il paese di gente. Il Re avea già messo dentro il suo carreggio, un castello avea ivi presso c'ha nome Autab, per là ove la nostra gente doveano passare; i nostri viddono ch'elli v'avea pericolo sì misono loro gente in ischiera come per conbattere. [4] I turchi che bene sapeano che di là li convenia passare si teneano nel luogo e credevansi essere sicuri d'avere la vittoria, ma elli avenne per la volontà di Dio che nostri furono in prima il luogo salvo che turchi li potessono offendere. [5]

Dentro a un castello si riposarono la notte; il Re mandò per li suoi baroni per avere da loro consiglio quello che farebbono allo 'ndomane. Alcuno v'ebbe de' maggiori che 'l pregarono ch'elli loro donasse quel castello e co l'aiuto di Dio il credeano bene difendere contro a' turchi, l'uno fu Anfroi del Toron conestabole del Re, l'altro fu uno de' maggiori baroni della princea d'Antiocia, Ruberto di Sordavalle. [6] Il Re sapea certamente che niuno di loro non avea il podere di fare quello ch'elli promettea però non pregiò loro parole, anzi volle attenere le convenenze e fece liverare le fortezze a' greci, a quelli del castello comandò ch'ellino s'apparecchiassono di venire appresso lui. [7] Allora fu gran pietà a vedere i gentili uomini del paese i quali ne menavano loro figlie, pulcelle e loro piccioli fanciulli e lasciavano loro terre e loro magioni là ov'elli erano nati e non sapeano là ov'ellino doveano dimorare. Al partirsi v'avea gra pianto e grande istrida di quelli della terra, i nostri medesimi che ciò vedeano ne piagneano di pietà. [8] Al mattino aconciarono loro arnesi e si misono al camino, a destra e a sinestra trovarono tantosto loro nemici che li perseguivano a gran turme. I nostri c'aveano .D. cavalcature ordinarono loro schiera com'ellino cavalcherebbono, il Re fece l'avanti guardia per guarentire coloro ch'erano nella prima fronte, il conte di Tripoli e Anfroi il                                                                                                                

15 2 ch'ellino l'avessono] c. a l. 4 'nperadore di Gostantinopoli fossono] n. I f., con rimando nel marg.

esterno I di gostantinopoli

16 5 suoi baroni] s. cons b., anticipazione 5 maggiori baroni] m. p b. 8 gravassono] gravassono

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conestabole faceano quella di dietro e aveano co loro i più de' cavalieri, però ch'ellino s'avisarono che turchi li gravassono più che a li altri dinanzi. [9] I cavalieri della princea d'Antioccia cavalcavano a destra e a sinestra per guarentire coloro ch'erano nel miluogo, i loro nemici non finarono in tutto il giorno d'aprossimarsi a' nostri ed ardere in più luogora e di saettare a' nostri, sicché somieri che portavano li arnesi erano coperti di saette, sì che parea una piova. [10] Da l'altra parte era 'l caldo e la polvere sì grande e la sete che troppo era gravosa cosa a sofferire a' nostri, ma la sera nel vespro i turchi non aveano co loro vivanda e però si partirono e perderono alcuno de' loro migliori cavalieri [c.160r] e grande maraviglia si feciono de' nostri che s'erano così bene mantenuti tutto il verno, sanza alcuno malvagio senbiante, al grande disagio ch'ellino aveano sofferito.

[11] Anfroi il conestabole conobbe bene che turchi si partivano sì prese un arco, di che egli sapea molto, e li cominciò a seguire con un pieno turcasso di saette e fece loro molto dannaggio ma, quando elli si fue dilungato alquanto da nostra gente, uno cavalieri turco si partì dagli altri segretamente e misse giù sue armi e venne verso lui le mani incrociate, per segno di reverenza. [12]

Quelli venne da parte d'un grande amiraglio al conestabole il quale era suo amico come fratello, dalla sua parte lo saluta e sì gli disse che certamente in quella notte Norandin si partirebbe della terra e andrebbesene in suo paese, però ch'elli non li potea più seguire però che tutte maniere di vivande erano mancate in suo oste. [13] Il conestabole mandò per lo messaggio al suo amico salute e ringraziollo di quello ch'egli gli avea mandato, poi si partì l'uno dall'altro. Anfroi se ne venne nell'oste, la notte s'alloggiarono in uno luogo ch'avea nome Icai; quando il Re seppe i convenenti de' saracini dal suo conestabole lieto ne fu. Al mattino si rimissono al camino e sanza nullo ingronbio vennono per loro giornate in Antioccia. [14] Quando Noradin vidde che greci teneano le forteze ch'io v'oe nomate e ben si credea ch'elli non aranno quasi aiuto da' latini, elli mandava sovente i suoi corridori infino alle loro porte, donde troppo si sbigottivano quelli dentro. [15] Poi vi venne in persona con molta gente e cominciò ad assediare in prima l'una e poi l'altra, perché inanzi che l'anno fusse passato che la terra di Rodi fu data a' greci Noradin la conquise tutta per forza. E così avenne per li nostri peccati che tutta la terra di Rodi, che era così buona terra e sì piena d'ogni riccheza e guadagni, fu tolta a' cristiani e vennne nelle mani a' nimici della fede di Cristo. [16] In questo tenpo morirono tre arcivescovi ch'erano sotto il patriarca d'Antioccia, quello di Rodi, quello di Geraple e quello di Corinto, unque poscia no ne ebbe in loro chiese prelati per li cristiani, però che saracini aveano tutte sopresse. 13

[XVII]

[1] Molto fue in grande pensiero il re Baldovino in che modo la terra d'Antioccia e 'l paese d'intorno potesse essere guaranto, egli avea detto che se 'l principe non vivesse che la dama che 'l governava nol potesse bene mantenere né difenderlo e così come la contea di Rodi era perduta per difalta di signore e elli non potea dimorare nel paese per le bisogne di suo reame che sermonavano di rivenirvi e però provide che l'afare sarebbe in troppo grande pericolo quand'elli ne fusse partito. [2]

Elli disse alla princessa e l'amonesta e la pregoe molto dolcemente, poi le mostrò tutte queste cose e dissele che per mantenere alla cristianità l'onore ch'ella tenea ella s'avisasse e togliese per marito uno de' baroni che là erano e ch'egli ve n'avea assai di quegli ch'erano bravi leali e buoni cavalieri, sì che la princea sarebbe bene governata dall'uno di loro. [3] Egli era venuto col Re uno molto alto uomo di Francia, savio e di grande inpresa, pro' e fiero all'arme e molto era di grande affare e di gran podere in suo potere, Ugo di Nerla avea nome, conte di Seisons. Ancora v'era Gualtieri di F†quenberge, castellano di santo Tomer, cortese e bene parlante e di gran consiglio e cavalieri provato e buono. Un altro ve n'avea di gran senno e di gran prodezza e molto avea fatto d'arme, Raollo da Mellio avea nome. [4] Ciascuno di quelli averebbe volentieri presa la princessa per isposa s'ella volesse e bene sarebbe il paese difeso e governato per l'uno di loro, ma la princessa che bene avea provato che era marito e la piccola possanza che rimane alle dame c'hanno mariti, ella non riguardò tanto al salvamento della princea com'ella fece ad avere signoria e a fare la sua voluntade.

                                                                                                               

16 9 portavano] portavano  

(13)

[5] Ella rispuose al Re ch'ella non avea talento di sé maritare; il Re che bene conobbe lo pensamento ch'ella avea fece ragunare un grande parlamento a Tripoli là ove i baroni del regno furono e quelli della terra d'Antioccia e 'l patriarca e prelati sotto lui vi furono tutti. [6] La princessa vi venne, là fu assenbiato tutto il potere della cristianità d'oltreamare, di molte bisogne vi si ragionoe tanto che vennono a mettere consiglio nella princea d'Antioccia. Il Re e 'l conte di Tripoli che erano cugini della princessa e la reina [c.160v] che era sua parente si travagliarono di farle cambiare il suo coraggio e molto la pregarono ch'ella avesse pietà di sua terra e ch'ella prendesse per marito l'uno di quelli baroni, qualunque ella volesse. [7] Ma in niuno modo la poterono muovere di sua volontà, anzi loro rispuose ch'ella non ne farebbe niente. Ella si dicea che 'l patriarca che molto era malizioso la mantenea in quel consiglio però che mentre ch'ella era vedova elli li credea, sì ch'elli avea la signoria della princea ch'elli disiderava molto. [8] In questa maniera non poterono niente fare a quello parlamento, anzi si dipartirono e ciascuno si tornò al suo albergo.

[XVIII]

[1] Intra 'l conte di Tripoli e la contessa sua sposa avea allora contenzione, però che 'l conte era sì geloso di lei ch'elli la tenea molto corta e facevale avere invidiosa vita. La reina Milisetta, ch'era molto buona dama, era venuta a Tripoli per apaciare quella cosa e per vedere la princessa sua nipote. [2] Molto pregoe il conte saviamente ch'elli lasciasse quella follia, quella sospicione la quale egli avea presa di sua sposa, ma ciò non gli era passo né cosa leggeri. Quando la reina conobbe ch'elli non farebbe niente a ciò verso lei, sì pensò ch'ella ne menerebbe sua serocchia con esso lei in suo paese, però ch'ella viveva quivi con troppo gran misagio. [3] Ell'erano uscite amendue della città di Tripoli e messesi al cammino, il conte avea aconpagnata la princessa. La princessa avea preso comiato da lu sì si ritornorono, quando elli volle entrare pe·la porta della città e già era dentro all'antiporta i suoi fedeli gli corsono adosso co le spade, l'uccisono nel luogo e Aollo da Mellon, ch'era pro' cavalieri, era in sua conpagnia, quando vide cioe sì 'l corse ad atare ma niente fu, anzi fu morto con esso lui e i suoi cavalieri altressì che soccorrere il vollono. [4] Il Re, che nulla non ne sapea, dimorava a Tripoli e giucava a tavole; quando il grido si levoe per la città tanti seppono quella misaventura, tutti corsono all'arme e tutti quelli ch'egli incontrarono, i quali fussino disguisati di robe o di linguaggio latino, uccideano però che tutti gli teneano per assassini. [5] Quando Il Re seppe la cosa molto ne facea gran duolo, tantosto mandò per sua madre e per la contessa;

quand'ellino furono ritornate molto furono dolorose e gran pianto v'ebbe e lamento sopra il corpo, poi fu sepellito molto onoratamente. [6] Il Re fece venire i baroni della contea dinanzi a lui e fece fare a loro fedeltà alla contessa e a' suoi figliuoli; ella avea un figliuolo ch'avea presso di dodici anni, Ramondo avea nome per lo suo padre e una figliuola anzi nata di lui, c'avea nome Milisetta.

Quando il Re ebbe così ordinato l'affare egli co la sua madre e co' suoi baroni si ritornanno nel reame di Ierusalem. 14

[XIX]

[1] Non dimorò quasi poi che certi amiragli d'i turchi, fratelli, molto possenti signori, ed erano chiamati in sopranome Ioraqui, si vennono in sulla terra di Ierusalem però che la Santa Città di Ierusalem era loro retaggio, inanzi che cristiani la conquidessono. [2] In questo propensamento gli avea messi la loro madre, che ciascuno giorno gli biasimava di ciò che sì lungamente sofferivano il loro disertamento e bene loro dicea che vi doveano mettere altro consiglio. [3] Tanto gli attizò per più fiate che ragunarono tutto loro isforzo e voleano conquidere per guerra la Santa Città di Ierusalem. Ellino vennono infino a Damasco, nel luogo soggiornarono per fornirsi di tutte le cose ch'a loro bisognava, espezialmente d'arme. [4] Quelli di Damasco udirono la loro inpresa, molto ne gli biasimarono e missono pena per loro ritenere perché sapeano che ciò non era legger cosa di fornire quello ch'aveano inpreso. Quelli non vollono loro credere anzi si misono a camino e passarono il fiume Giordano e tutti insieme montarono in sulle montagne ov'è posta la città di                                                                                                                

18 4 lei] lui (in RHC: «avoit pris congie de lui», p. 791) 5 corpo, poi] c. il re p., anticipazione

(14)

Ierusalem. [5] Quando vennono al monte Uliveto, ch'è sopra la città, diliveratamente viddono tutta la città e i santi luoghi ove cristiani fanno loro perigrinaggio; infra gli altri luoghi conobbono il Tenpio di Nostro Signore che cristiani [c.161r] hanno in grande riverenzia. [6] Quando i nostri ch'erano nella città conobbero che coloro erano saracini che là su s'erano messi, gran paura ebbono ch'ellino non venissono dentro alla città però ch'ella non era ben chiusa. I grandi uomini della città erano tutti nella città di Napoli, ellino presono loro arme e si misono fuori della città, Nostro Signore pregarono che guardasse loro e la loro città di misaventura, poi se n'andarono arditamente per asenbiare a' loro nemici. [7] La via che discende da Ierusalem in Gerico e vae infino al fiume Giordano si é molto malagevole sì che chi vi va sanza niuno carico e sanza arme sì gli è gran fatica per le pietre e balsi di matrapassi, però ch'ella è tutta piena di valli e di poggi. [8] Le nostre genti s'adirizzarono in quelle parti e tanto andarono ch'ellino si giunsono a turchi, quelli no li aspettarono guari anzi tornarono tantosto in fugga. I nostri n'uccisono molti per la via che v'era gravosa che no li lasciava fuggire e assai v'ebbe de' turchi che traboccarono dalle ripe a valle i quali furono tutti fracassati sanza colpo fedire, e cavalli e uomini. [9] S'ellino ve n'avea alcuno che venisse nella buona via i nostri li erano al davanti e li dicolpavano tutti, i cavalli de' turchi ch'erano stanchi di lungo travaglio non poteano durare di fuggire sì che più di loro rimasono a piè perch'ellino non poteano mettere niuna difensa i·loro. [10] Tanti v'ebbe morti, uomini e cavalli, che nostri non poteano bene seguire quelli che si fuggivano per le vie strette ch'erano ingonbrate de' morti. Le nostre genti non attendeano a ricogliere il loro guadagno anzi metteano tutta loro pena a uccidere i loro nemici e ritenerli. [11] I nostri ch'erano raccolti i·Napoli seppono bene che turchi erano passati i·lor terre follemente e che per istretto luogo e quindi li convenia per forza passare per venire al guado del fiume Giordano e però si misono loro al davanti, ond'elli avenne che quelli che per isforzo di buon cavallo erano infin quivi fuggiti trovarono nel luogo maggiore pericolo ch'ellino non aveano lasciato, però che nostri li uccideano tutti lungo 'l [fiu]me e s'alcuno si mettea nell'acqua per iscanpare tantosto era 'negato, però ch'ellino non sapeano il guado. [12] Molto ladiamente furono sconfitti sì ch' e' turchi che orgogliosamente erano venuti per la gran gente ch'elli erano, furono tosto messi a piccolo novero e pochi furono quelli che scanparono e quelli se n'andarono tutti ontosi i·loro terre. [13] Quel giorno v'ebbe bene .MV. turchi morti, questa cosa avenne l'anno della incarnazione di Cristo .MCLII., il dì della festa di san Chimento, el novesimo anno del regname di Baldovino il quarto. Nostre genti si ritornarono con gran gioia in Gerusalem, armadure e cavalli ne portarono molti, ellino renderono onore e grazie al Nostro Signore dell'onore che loro avea donato.15

[XX]

[1] Per quella vittoria ebbono i nostri buona speranza che 'l Nostro Signore li aiutasse e mantenesse in bene s'ellino inprendessono altra cosa contro a nemici della fede, però s'accordarono tutti di gravare i turchi d'Iscalona, che molto danno a' nostri aveano già fatto. [2] Ellino s'avisarono che [i]ntorno a quella città avea grande quantità di giardini donde i loro nemici traevano gran pro' e gran diletto e s'ellino li potessono distarpare molto li arebbono daneggiati e gravati. [3] Per ciò fare [ven]nono tutti aparecchiati a un giorno nomato e furono gran gente, elli venno dinanzi alla città per guastare i frutti; quelli della città ebbono sì gran paura di nostri che niuno non uscì fuori della città per contastare a' nostri cosa ch'ellino volessono fare. [4] Per la codardia e malvagio senbiante [che]

nostri viddono fare a turchi Nostro Signore n'acrebbe il cuore a' nostri e diede loro speranza di prendere più grande cosa, sì che tutti consigliarono d'assediare la città. [5] Tantosto mandarono messaggi per tutta la terra de' [cristiani] per sermonare li altri baroni e mandarono che tutti venissono all'asedio a un giorno ch'elli loro nomarono. A tutti piacque la novella e bene vi s'accordarono e volontieri vi vennono al giorno che nomato fu loro. [6] Ellino si loggiarono con esso li altri dinanzi a Scalona e a ciò ch'ellino si tenessono più fermamente in quella cosa che                                                                                                                

19 11 tantosto] tantosto

20 3 [ven]nono] [ven]nono 5 vennono] ven(n)ono

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