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Capitolo 2

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Capitolo 2

La Customer Loyalty

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2.1 Fedeltà e soddisfazione

Riuscire a fidelizzare un cliente è il risultato di un processo di costruzione le cui linee guida sono rappresentate da esperienze d’acquisto pienamente soddisfacenti, mai interrotte da elementi negativi che riuscirebbero a demolire il capitale di fedeltà acquistato.

Il binomio soddisfazione fedeltà visto da quest’angolazione non può allora che dirsi univoco: per fidelizzare è necessario che la soddisfazione sia cumulata, consecutiva, ininterrotta.

Una tale condizione, seppur necessaria, non può dirsi di certo sufficiente affinché ogni cliente soddisfatto possa dirsi fedele.

La funzione che lega le due entità è connotata da una sorta di inerzia che trasforma il cliente soddisfatto in fedele dopo un certo numero di esperienze positive e di contro impedisce che un cliente già fedele ci abbandoni al primo ostacolo.

Questo fenomeno è quello che l’ingegner Busacca in un suo libro definisce isteresi della fedeltà1 e che può essere rappresentato come indica il grafico successivo:

Fig.2.1

Fonte: Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore

1 Busacca, Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore, 2005

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Alcune motivazioni soggettive portano gran parte dei clienti ad essere piuttosto scettici prima di potersi dire effettivamente fedeli: in tal modo è necessario che prima cresca la soddisfazione e poi la fedeltà. Si verrà a formare così il percorso chiaro della figura considerata.

Al contrario alcuni clienti fedeli sviluppano un legame quasi affettivo con la marca, un legame così stretto che li porta ad attendere che la soddisfazione si riduca oltre un certo livello prima di avviare il processo di abbandono e dar vita al sentiero scuro del ciclo di isteresi della fedeltà.

A fronte delle motivazioni soggettive esistono anche motivazioni oggettive di natura tecnico economica che rendono il cliente riluttante a cambiare fornitore senza aver valutato l’entità dell’esperienza negativa che da sola non è in grado di giustificare o meno un “tradimento”.

Detto ciò possiamo allora affermare che un acquisto ripetuto da parte di un cliente è sinonimo di fedeltà solo se il cliente stesso, a seguito di una serie sostanzialmente positiva di esperienze d’acquisto e uso, risulti in qualche maniera legato alla marca, ovvero affianchi alla soddisfazione del momento una sorta di capitale di soddisfazione detto soddisfazione cumulata2.

In caso contrario potremmo parlare di finta fedeltà, causata dalla presenza di mercati oligopolistici se non addirittura monopolistici in cui la mancanza di alternative falsa la possibilità di definire effettivamente fedele la propria clientela.

Esisterebbe in sostanza una sorta di credito o debito di soddisfazione3 collegati ad una fedeltà stabile o a rischio del portafoglio clienti.

2 Busacca, Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore, 2005

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2.2 Momenti particolari del processo di fidelizzazione

Provando a schematizzare il processo di fidelizzazione possiamo risalire a tre momenti particolari:

Fedeltà a rischio Fedeltà in discussione Fedeltà stabile

In situazioni caratterizzate da bassa soddisfazione la fedeltà può dirsi a rischio. In questo caso è probabile che si avvii un circolo “della volatilità” rappresentabile come relazione tra soddisfazione, riduzione investimenti e volatilità della base clienti

Fig.2.2

Fonte: Stone, Direct Marketing, 2005

Un elevato ricambio della nella clientela porta ad un circolo perverso per cui un basso livello di soddisfazione incentiva i clienti a rivolgersi altrove. In questo

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modo si restringe la nostra fetta di mercato e si contraggono i margini che possiamo ottenere nonché le possibilità di investimento.

Quest’ultima conseguenza ci porta a non poter sviluppare nuovi prodotti ma nello stesso tempo impedisce anche di apportare migliorie a quelli già esistenti che no potranno perciò aumentare la soddisfazione prima così scarsa.

La fedeltà dei nostri clienti in un caso del genere sarà tanto bassa da non potersi forse nemmeno dire a rischio perché inesistente.

Il secondo momento di cui detto è il caso di fedeltà in discussione che si verifica in due casi e prevede due possibilità.

Parliamo di discussione negativa4 quando ad un contesto di soddisfazione cumulata positiva seguono esperienze negative che minano la fedeltà della clientela.

Parliamo invece di discussione positiva5 quando ad esperienze negative si sovrappongono episodi positivi di grande aiuto nel percorso di fidelizzazione. In entrambi i casi la clientela si trova in una fase di valutazione non caratterizzata

da un livello di fedeltà forte e convinto.

Denominatore comune ad entrambe le situazioni è la condizione di cambiamento ma mentre nel caso di discussione negativa essa rappresenta un passo indietro, nel caso positivo si attua appunto un passo avanti nella lunga strada che porta alla fidelizzazione della clientela.

Un ultimo caso è poi rappresentato da un livello di fedeltà stabile caratterizzato da esperienze singole e cumulate positive da cui parte un circolo virtuoso della fedeltà che in funzione delle caratteristiche del singolo settore darà vita ad un’impresa vincente.

In questa situazione l’alto livello di soddisfazione contribuirà a rendere fedeli i clienti e magari ad aumentare i margini di rientro. Sarà allora possibile aumentare gli investimenti ed innescare un ragionamento analogo e opposto rispetto al circolo perverso della fedeltà prima analizzato. Avremo la possibilità di aumentare gli investimenti, migliorare i prodotti esistenti

4 Bruno, Le risorse di fiducia dell’impresa , 2001 5 Bruno, Le risorse di fiducia dell’impresa, 2001

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e introdurne di nuovi in portafoglio facendo in modo che il livello di soddisfazione e fedeltà iniziale resti sugli standard di partenza.

In poche parole avremo un risultato piuttosto lineare: un profilo d’offerta meglio differenziato in grado di erogare maggiori benefici e minori problemi per una sempre più solida fedeltà.

Figura 2.3 Fonte: Stone Direct Marketing, 2005

2.3 Misurazione e indici aziendali di fedeltà e fidelizzazione

La fedeltà di un cliente non è una grandezza fisica e non esiste una entità che possa misurarla. Tuttavia per poter implementare una strategia di loyalty bisognerà trovare uno standard di riferimento adatto al problema trattato.

Prima di inoltraci nella questione dobbiamo far riferimento a due concetti diversi che sono il grado di fedeltà e il grado di fidelizzazione.

Il grado di fedeltà misura quanto sia abituale la relazione cliente azienda, mentre il secondo misura quanto il cliente riesca a soddisfare i suoi bisogni tramite l’azienda.

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Ad ogni cliente può inoltre essere associato un indice del suo valore attuale netto per l’azienda, il cd lifetime value (Ltv)6.

Combinando fidelizzazione ed Ltv è possibile classificare la clientela in maniera piuttosto idonea per una corretta strategia di loyalty

Ad ogni azienda possono poi essere associati indici medi di fedeltà e fidelizzazione della propria clientela calcolando anche gli indici di abbandono (o di churn) e quelli di retention7 legati alla capacità di trattenere i clienti.

Per il mercato in generale e per l’azienda in particolare, di certo, non tutti i clienti sono fedeli allo stesso modo soprattutto perché chiunque pur effettuando con regolarità acquisti in azienda può rivolgersi altrove per lo stesso prodotto con la stessa frequenza se non con maggiore intensità senza violare alcun tipo di regola. In linea generale possiamo comunque assumere che un cliente sia fedele e fidelizzato quando effettua da noi con regolarità la maggior parte dei suoi acquisti8.

Per poter misurare questa grandezza una possibile opzione sarebbe quella di adottare per la fedeltà una formula legata al concetto di vita media del prodotto mentre per la fidelizzazione si potrebbe considerare il cd budget ratio.

Il ragionamento parte dalla considerazione di definire fedele il consumatore che:

acquisti con frequenza simile alla vita media convenzionale del prodotto/servizio esaminato

Risulta quindi possibile definire una soglia al di sopra della quale il cliente è considerato fedele e al di sotto della quale è invece considerato saltuario.

Infine potremmo definire una soglia dell’intervallo di riacquisto superata la quale il cliente può dirsi perso.

Esprimendo quando detto in formule potremmo dire che

6 Busacca, Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore, 2005

7 Per approfondimenti vd A Busacca ,Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore, 2005. In questa sede ricordiamo

solo che l’indice di Churn rappresenta il rapporto tra il numero di clienti persi in 12 mesi e il numero totale di clienti del periodo. L’indice di retention invece calcola il rapporto tra i clienti che ci hanno lasciato e quelli che siamo riusciti a trattenere.

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G. di fedeltà = Vita media del prodotto/ Intervallo medio di riacquisto9

Il budget ratio assume invece assume il valore della percentuale degli acquisti che il cliente effettua in un dato periodo di tempo presso un determinato fornitore, in rapporto al totale degli acquisti che lo stesso effettua in totale per la stessa categoria di prodotti o servizi, nel medesimo periodo di tempo. La percentuale può però essere riferita al numero degli acquisti o al loro valore (margine).

In formule abbiamo stavolta:

G. di fidelizzazione cliente =

Num. Acquisti nel periodo X presso di noi /Num. Tot. Acquisti nel periodo X

G. economico di fidelizzazione cliente =

Valore acquisti effettuati nel periodo X presso di noi/Valore totale acquisti del prodotto nel periodo X

Oltre agli indici già visti ne esistono degli altri attraverso i quali si potrebbero descrivere le modalità attraverso le quali l’azienda sarebbe in grado di trattenere la propria clientela.

Il primo degli indici in questione è l’indice numerico di fedeltà della clientela definibile come rapporto fra numero di clienti fedeli (che superano cioè una determinata soglia del grado di fedeltà) e il numero totale clienti:

Fn= Cf / Ct

9 Busacca Antonio, Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore, 2005 (tutti gli indici espressi di seguito hanno la

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Un elevato indice di questo tipo rappresenta un segno positivo per l’azienda che può godere di un alto numero di clienti abituali e fedeli.

Per monitorare però ancora meglio la situazione aziendale si può ricorrere ad un altro indice che guarda alla parte economica della questione.

Con l’indice economico di fedeltà, si può infatti analizzare il rapporto fra il margine generato dalla clientela fedele e quello generato in totale. Espresso in formule l’indice sarebbe perciò dato da:

Fe= Mcf / Mt

Se anche quest’indice risultasse elevato, la situazione per l’azienda sarebbe ancor più rosea dato che così anche la clientela più importante sarebbe fedele.

La convenienza ad usare i gradi o gli indicatori appena analizzati dipende molto dalla categoria di prodotto o servizio con cui ci troviamo ad operare.

Nel caso delle utilities risulta piuttosto ridotta la convenienza ad applicare gli indicatori che avrebbero poco senso ai fini dell’analisi in un’azienda di fornitura di energia elettrica o erogazione acqua.

Lo stesso discorso non vale invece nel caso di commodities per le quali una qualche misurazione sarebbe utile quando si utilizzano strumenti quali le fidelity card.

2.4 Gli strumenti della fidelizzazione

Ogni strategia di loyalty poggia su tre pilastri fondamentali che potremmo definire le tre C.

Comprendere, Conoscere e Curare il cliente rappresentano perciò le basi da cui partire per riuscire a implementare un processo di fidelizzazione della clientela. Comprendere equivale a capire con precisione i rapporti causa effetto alla base delle percezioni di soddisfazioni (benefici, problemi, prezzo) del cliente nelle diverse fasi del processo di acquisto, uso, abbandono. Ciò va ottenuto attraverso una continua e accurata attività di segmentazione della clientela attuale e

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potenziale da realizzarsi sulla base di un sistema di ricerche sistemiche sul mercato: un osservatorio.

Conoscere è invece una sorta di disposizione ed elaborazione in modo rapido ed efficace di tutti i dati disponibili in azienda sul singolo cliente, riguarda insomma la costruzione di un customer profiling.

E’ infine il momento di Curare, cioè identificare le modalità di customer care da svolgere per il cliente nelle diverse fasi del processo di acquisto, uso e abbandono Le tre attività sono profondamente correlate, l’una nasce e finisce nell’altra senza soluzione di continuità.

Un customer care efficace non ha infatti ragion d’essere senza la conoscenza del cliente e quindi un buon customer profiling. Analogo discorso vale per l’osservatorio del mercato da cui si traggono informazioni uniche sul comportamento del cliente e sui suoi bisogni o necessità.

Analizziamo dunque ora più da vicino le singole C oggetto del nostro interesse.

2.4.1 Osservare e Comprendere il mercato

In funzione del mercato sul quale operiamo , i metodi e le strategie da utilizzare sono differenti anche se tutte legate dal comune denominatore del monitoraggio del settore, delle percezioni e dei bisogni di chi vi gravita intorno.

La costruzione di un osservatorio per fornire dati e informazioni di reale utilità deve seguire una metodologia ben precisa e deve svolgersi percorrendo fasi diverse e definite, pena la possibilità di incorrere in inutili sprechi di denaro e di tempo.

Per realizzare un osservatorio efficace nel comprendere i meccanismi di formazione del valore che stanno alla base delle scelte di fedeltà o abbandono della clientela è necessario seguire un percorso articolato in quattro fasi:

Analisi qualitativa, in questa prima fase il momento cruciale consiste nell’accertare le percezioni di soddisfazione nelle diverse fasi del processo di acquisto uso abbandono.

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La comprensione di quest’ultimo rappresenta in un certo senso la base di tutta la strategia di fidelizzazione delle aziende.

Conoscendolo appieno saremo in grado di individuare i driver della soddisfazione per ogni segmento di clientela.

L’attività in questione è di tipo iterativo in quanto all’avvio dell’osservatorio vengono formulate alcune ipotesi poi confermate o meno nel corso delle indagini.

Lo scopo ultimo sarà quello di definire una strategia competitiva individuando i punti di forza e di debolezza di cui godiamo.

Il percorso da seguire inizia con la mappatura del processo che partendo dallo schema standard descrive tutte le attività che si svolgono nel business in esame. Per ogni fase vengono poi individuati e descritti i driver che concorrono alla formazione della soddisfazione del cliente, driver ai quali corrisponderanno un insieme di fattori di successo , risorse umane e tecnologiche di cui l’azienda dovrebbe disporre per poter competere con successo.

A questo punto saremo in grado di analizzare i gap fra la nostra azienda e le altre valutando la nostra posizione rispetto alla concorrenza.

Alla fine di un così accurato percorso come ultima fase dovremmo definire le priorità dell’azione. I fattori di rilevante importanza dove il gap è maggiore, saranno quelli sui quali agire in primis per riuscire a monitorarli, guidarli e ridurli.

Analisi quantitativa, il secondo momento nella costruzione di un buon osservatorio del mercato consta di un’analisi quantitativa diretta ad un campione rappresentativo del mercato e successivamente focalizzata su un sottocampione che abbia espresso intenzione di acquistare o abbandonare nell’immediato futuro. Condurre a cadenza regolare una indagine del genere consente di verificare le ipotesi formulate nel corso dell’analisi qualitativa, ipotesi che poi permetteranno di costruire il modello di acquisto uso abbandono specifico per il settore in esame. In questo modo riusciremo ad ottenere un gran numero di informazioni sulle vendite, sulle possibilità di segmentazione del mercato, o ancora sul posizionamento competitivo rispetto alla concorrenza.

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Il fatto di condurre una tale indagine a cadenza regolare consente inoltre, di disporre di una visione dinamica dei fenomeni e della loro evoluzione nel tempo, permettendoci di realizzare una correlazione causa effetto fra la strategia adottata e il suo apprezzamento da parte della clientela10.

Un’avvertenza importante riguarda il fatto che trattandosi di interviste, per lo più telefoniche, sarà necessario scontare un po’ i risultati ottenuti: gli intervistati potrebbero infatti sopravvalutare le intenzioni di acquisto di prodotti o servizi prestigiosi,o sottovalutare l’intenzione rivolta ad acquisti necessari e poco coinvolgenti.

Le prime rilevazioni ci saranno utili per consentire una messa a punto delle nostre conoscenze pregresse in modo da renderle adeguatamente affidabili.

Se correttamente realizzato, un osservatorio del genere, si può rivelare uno strumento indispensabile per l’attività di marketing e vendita, e i report che ne derivano potrebbero diventare come veri e propri best sellers aziendali11.

2.4.2 La creazione del customer profiling

Parlando di customer profiling intendiamo la costruzione di un sistema informativo in grado di fornire per ogni cliente, i dettagli del suo comportamento d’acquisto. L’insieme di tutti questi dati convergerà poi nel “grande cervello” che è il database di un’azienda, tramite il quale riusciremo in ogni momento a conoscere le abitudini d’acquisto del nostro cliente, le sue necessità, i suoi desideri, le probabilità che i nostri prodotti possano soddisfarlo a pieno senza fargli sentire il bisogno di rivolgersi altrove.

Alla base di ogni customer profilino c’è una concezione particolarmente innovativa: in azienda per tradizione, il contatto si basa solo sull’atto di vendita ma se questa è la base naturale dalla quale partire per produrre reddito, lo stesso non vale se il nostro obbiettivo è anche quello di produrlo con clienti fedeli e non solo occasionali.

10 Busacca A., Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore, 2005

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Adottare un sistema di customer profiling significa quindi passare dalla centralità della transazione a quella della relazione.

Le informazioni di cui possiamo disporre sui nostri clienti possono essere di due tipi: descrittive e comportamentali12.

Per quanto riguarda la prima categoria possiamo averne un valido esempio considerando i dati anagrafici, socio-demografici o ancora socio-economici. Le informazioni comportamentali, fanno invece riferimento all’atteggiamento d’acquisto e uso dei prodotti e servizi forniti dall’azienda.

Individuare, separare e catalogare queste tipologie di informazioni è il primo passo da compiere per delineare il profilo dei nostri clienti.

Il passo successivo consisterà nella creazione di alcuni indici predittivi del comportamento futuro solitamente calcolati tramite particolari algoritmi che hanno come base il comportamento del cliente negli ultimi mesi13.

Un’azienda dove venga realizzato e utilizzato un sistema di customer profiling si modifica rapidamente e in maniera radicale: il cliente è “catapultato” in dentro il recinto aziendale.

I dati del profilo attraversano orizzontalmente tutta la catena del valore, dalle attività di promozione e vendita fino al customer service, mettendo in luce le insufficienze, gli sprechi, le risorse e le posizioni di privilegio.

Grazie ai dati acquisiti sarà possibile valutare e quantificare l’efficacia delle strategie adottate per la creazione di valore, potremo mirare su specifici gruppi a elevato valore con azioni di fidelizzazione.

Sarà inoltre possibile valutare i cambiamenti nel valore attuale netto della base clienti e classificare i punti di forza e debolezza classificando l’efficacia del customer service.

In concreto per realizzare il sistema sarebbe consigliabile dividere in fasi il percorso che partirà da una prima realizzazione pilota per la quale verrà estratto un campione di clienti sui quali verranno disegnate e provate le domande più interessanti per il profilo da disegnare.

12 Busacca A., Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore, 2005

13 Nottola C., Rossignoli C., Intelligenza artificiale in banca. Tendenze evolutive ed esperienze operative

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Sarà poi il momento di trasferire i primi dati, cosi ottenuti, su un hardware per applicarli alla totalità dei clienti ( realizzazione in semi scala), e trasformarli in procedure autometaiche di aggiornamento e distribuzione dati. Il profiling diviene così un vero e proprio database che racchiude ogni prezioso segreto sul nostro capitale più prezioso: la clientela fedele.

2.4.3 Il customer care.

Abbiamo vegliato sul mercato, abbiamo conquistato la clientela e abbiamo fatto tesoro delle sue caratteristiche, non ci resta altro che curare questo prezioso capitale per evitare che possa subire le intemperie del tempo.

Il customer care , soprattutto nelle aziende di servizi, è la principale interfaccia nel rapporto azienda cliente e lo strumento più importante per la realizzazione di una qualunque strategia di fidelizzazione.

Sia i clienti attuali che quelli potenziali vi si rivolgono per il reperimento di informazioni tecniche, amministrative e commerciali e per la soluzione di problemi di vario tipo.

In settori quale quello del turismo, il customer care assume un ruolo ancor più significativo a seguito della numerosità e della disomogeneità delle relazioni che l’azienda instaura con il cliente finale.

In questi settori assistiamo al convergere di diversi fattori come l’interazione diretta dell’azienda con l’utente (tramite la rete) , la crescita della disomogeneità della clientela e ancora l’ampliarsi della gamma di prodotti e il verificarsi di punte di contatti stagionali (o di eventi particolari).

Tutti questi fattori rendono estremamente complessa la gestione del cliente finale e impongono al customer care un intervento costante a supporto dell’azione svolta dall’azienda.

Spesso per il grande impegno richiesto, le aziende continuano a vedere il customer care come un problema di risorse , da risolversi con la dotazione di un

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buon numero di personale addetto allo scopo o attraverso l’affidamento ad aziende esterne14.

In realtà pare corretto affermare che solo adottando una ben precisa architettura e facendo leva sui dati identificativi di ogni singolo cliente è possibile realizzare un customer care in grado di definirsi come vantaggio competitivo sostenibile e formidabile strumento di loyalty15.

In pratica perché si possa parlare effettivamente di vantaggio competitivo dobbiamo coniugare efficacemente due valenze: risorse umane di elevato livello e tecnologie sofisticate.

I componenti della prima categoria, devono fare della soluzione di problemi comuni ed episodici, il loro pane quotidiano.

Ingredienti essenziali diventano calma, cortesia e professionalità verso ogni tipo di richiesta.

Per quanto riguarda la tecnologia invece, bisogna stare “passo avanti ai tempi”, consentendo al cliente di arrivare con semplicità all’operatore giusto strutturando il sistema su quattro livelli, ognuno dei quali è basato sulle informazioni relative ad ogni cliente ottenibili dal database.

In questo modo il flusso dei contatti viene gestito in maniera da rendere efficiente l’attività degli operatori di ciascun livello, rendendo sempre più semplice la “parte” del cliente.

14 Nottola C., Rosignoli C., Intelligenza artificiale in banca. Tendenze evolutive ed esperienze operative a

confronto. Franco Angeli, Milano 1995

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Figura 2.4 I quattro livelli di un sistema di Customer care Cliente Internet Rete di vendita Identificazione chiamate Customer profiling database Scheda cliente Vip service Sistema automatico info generali Retention team Assistenza commerciale Assistenza amministrativa Assistenza tecnica 100% ? % 85% 15% 18% 6%

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La figura 2.4 illustra come si distribuiscono le percentuali di chiamata: fatte cento le chiamate entranti, circa l’85% viene indirizzato ad un sistema vocale che guida il cliente nella risoluzione automatica dei problemi più comuni. La percentuale di clientela “vip” viene indirizzata invece direttamente ad operatori che cercano di risolvere il più velocemente possibile il problema ( più comunemente chiamato disguido).

Accanto al processo descritto, più adatto ad un customer care telefonico, può essere previsto un sistema con funzioni simili ma basato su contatti in rete.

I vantaggi di questa alternativa investono diversi campi quali l’accessibilità (24 ore su 24, 365 giorni l’anno), l’interattività, la completezza e soprattutto l’economicità sia per l’azienda che per il cliente ( magari dotato di particolari offerte telefoniche per l’accesso).

L’efficacia di questo tipo di architettura si basa, com’è evidente, sulla funzione chiave del database: gli indici di profiling rendono possibile l’azione di filtro e indirizzo che i diversi livelli esercitano sui contatti in arrivo. In tal modo il carico degli operatori ( o della rete) risulta minimizzato e viene garantita una elevata qualità del servizio. Il legame con la rete di vendita trasforma il customer care in un efficace strumento di vendita, direttamente in fase di colloquio con il cliente e indirettamente tramite l’aggiornamento della scheda cliente resa successivamente disponibile per la forza vendita. Il risultato complessivo del processo porta dunque ad un più elevato numero di contatti, ad un più elevato grado di autonomia degli operatori e di approfondimento delle informazioni ( come mostra la figura 2.5)

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Figura 2.5 Identificazione chiamate Vip service Retention team Assistenza tecnica commerciale Sistema vocale automatico Internet Numerosità dei contatti Livello di approfondimento delle informazioni Grado di autonomia degli operatori C u s t o m e r p r o f i l i n g Elevato Elevato

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2.5 Le azioni di fidelizzazione

Le azioni di fidelizzazione che rappresentano la concentrazione della strategia possono dividersi in tattiche ( rapide ma imitabili); strategiche ( più difficoltose ma esclusive); proattive ( quasi a creare i bisogni del cliente) o reattive ( in azione solo dopo la manifestazione del bisogno)16.

In ogni caso la chiave di tutto risiede nella loro articolata e coordinata esecuzione durante un processo basato sulle informazioni e sulle analisi che derivano dagli strumenti di base.

Se conoscenza, comprensione e cura sono i pilastri della fedeltà, le azioni possono dirsi i mattoni necessari a costruire nel concreto una strategia di loyalty e possono essere facilmente individuate partendo dalla struttura stessa del valore della soddisfazione.

Tutte le azioni in grado di aumentare i benefici richiesti dal cliente, quelle in grado di dimezzare i problemi di acquisto, apprendimento e uso e quelle che possono contribuire alla riduzione dei livelli di prezzo, contribuiscono naturalmente ad incrementare i livelli di soddisfazione istantanea cumulata e a consolidare un comportamento d’acquisto fedele da parte del cliente.

Di grande utilità alla valutazione dell’impatto di ogni iniziativa sulla clientela è una classificazione delle azioni secondo due criteri: orientamento e fase.

L’orientamento, tattico o strategico, caratterizza l’orizzonte temporale e competitivo che si vuole adottare per l’azione stessa.

La fase, nell’ambito del processo acquisto - uso-abbandono, caratterizza la natura stessa dell’azione e il tipo di risultati attesi.

Le azioni con orientamento strategico tendono a creare strutturalmente valore per il cliente anche scontando un tempo di realizzazione lungo, mentre le azioni tattiche sortiscono effetti più rapidi ma facilmente attaccabili.

Sulla fase, che caratterizza la natura stessa dell’azione, agiscono invece le azioni proattive e reattive.

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Le prime tendono ad evitare l’avvio delle fase di insoddisfazione e perciò la volontà di tradire, le reattive invece con un intervento post, cercano di recuperare il cliente dopo l’avvio del processo di abbandono.

Azioni tattiche, strategiche, reattive e proattive si combinano insieme per formare un tutt’uno nelle strategie aziendali e facilitare i processi di fidelizzazione (fig.2.6)

Figura 2.6 La curva della soddisfazione

Fonte Stone, 2005 Soddisfazione attesa Gap di soddisfazione Ricerca

attiva Familiarizzazione Uso normale

Tempo s o d d i s f a z i o n e

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Come mostrato dalla figura la combinazione di queste azioni riesce ad arginare e a reagire in modo più o meno veloce ai diversi problemi.

Dall’incrocio di azioni tattiche e reattive abbiamo la possibilità di gestire velocemente la disdetta per i clienti già convinti effettuando per gli “indecisi” delle azioni di recupero.

Dall’incrocio invece di azioni strategiche e proattive potremmo far nascere soluzioni ancora diverse come la diretta prevenzione dei problemi e migliorando la familiarizzazione17.

Per comprendere meglio la classificazione di queste azioni, cerchiamo di vederle singolarmente.

2.5.1 Azioni strategiche

Si tratta di interventi strategici che mirano a creare strutturalmente una maggiore soddisfazione nel cliente.

Tale risultato può essere ottenuto seguendo due possibili strade: la prima consiste nel migliorare i benefici erogati e ridurre i problemi imposti al cliente per incrementare il valore che esso attribuisce al nostro prodotto.

La seconda via vuole invece la riduzione dei costi, allo scopo di avere prezzi sensibilmente inferiori pur mantenendo un livello qualitativo sostanzialmente analogo alla concorrenza.

Questo tipo di azioni sono per loro natura caratterizzate da un elevato impatto sulla struttura organizzativa e produttiva dell’azienda, possono dar luogo ad effetti rilevanti in termini di fidelizzazione nel medio lungo termine, e ove disegnate facendo perno sulle competenze distintive dell’impresa, hanno il vantaggio di una limitabilità difficoltosa da parte della concorrenza18.

17 Per approfondimenti vd Costabile M.,La misurazione della customer satisfaction,2001 e Busacca A.,

Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore,2005

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Per definizione possiamo dunque annoverare tra le azioni strategiche quelle che intervengono sul posizionamento, così come quelle basate su di un efficace customer care che faccia leva su un sistema più o meno evoluto di customer profiling.

2.5.2 Azioni tattiche

Questo tipo di azioni si ripropone l’obiettivo di ottenere effetti rapidi in termini di riduzione del tasso di abbandono della clientela con interventi non strutturali ma di facile e veloce realizzazione.

Le azioni in parola hanno un impatto modesto o nullo sulla struttura aziendale, ma sono caratterizzate da effetti rapidi ma limitati, e purtroppo, possono attivare spirali imitative da parte della clientela.

2.5.3 Azioni proattive

Sono interventi che mirano a far si che il cliente non prenda mai seriamente in esame la possibilità di rivolgersi ad un altro fornitore.

Sono centrate per lo più sulle due fasi più critiche del processo di acquisto- uso- abbandono: la fase di familiarizzazione e la fase di percezione del problema. Le azioni proattive mirano a far si che il cliente rimanga soddisfatto all’interno del normale ciclo d’uso.

Una tipica azione del genere consiste nel realizzare un programma di innovazioni di prodotto e di servizio in grado di mantenere la gamma d’offerta sempre avanti alla concorrenza.

Le azioni di fidelizzazione che appartengono a questa famiglia hanno dunque l’obiettivo di far entrare e di mantenere stabilmente il cliente all’interno del normale ciclo d’uso.

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In altre parole mirano ad erogare maggior valore rispetto alla concorrenza e ad un corretto prezzo nella fase di ingresso e nelle tre fasi del normale ciclo d’uso:

- familiarizzazione - uso normale

- valutazione, riacquisto e orientamento - percezione del problema

Nella familiarizzazione, successiva all’acquisto, si verifica il più rapido calo di soddisfazione di tutto il processo d’acquisto (fig. 2.7).

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Figura 2.7 Azioni strategiche proattive

Fonte Busacca, Costruire la fedeltà 2001

Il cliente confronta le aspettative con la realtà del prodotto/servizio e, non avendo ancora un buon livello di familiarità con le funzioni, le prestazioni ne i servizi aggregati, tende a sentirsi tradito e, nel caso peggiore, ove il livello di soddisfazione resti basso per un periodo rilevante di tempo, è facile che si avvii il percorso di abbandono. Percezione bisogno Accettazione concetto Ricerca attiva Scelta e acquisto Scelta, acquisto, disdetta Ricerca attiva Percezione problema Accettazione nuovo concetto Familiarizzazione Uso normale Valutazione, riacquisto, orientamento

Azioni

strategiche

proattive

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Ciò particolarmente vero nei beni e nei servizi complessi come quello del turismo, mentre negli altri (che trattano beni più tangibili) il problema tende a presentarsi man mano che le tecnologie informative fanno il loro ingresso.

L’utilizzazione di sistemi evoluti di pagamento, l’adozione di carte fedeltà, sistemi home e non-store retail, stanno ad esempio trasformando il settore della distribuzione che diviene sempre più digitalizzato e complesso.

Molte delle azioni che consentono una facile familiarizzazione permettono anche un uso normale più agevole.

Sono tuttavia proprie di quest’ultima area le azioni che consentono di mantenere e sviluppare nel tempo la soddisfazione anche in presenza di azioni di contrasto da parte della concorrenza.

Lo sviluppo di nuovi prodotti o il ridisegno di quelli attuali, rappresenta una delle armi più potenti per mantenere il cliente nel normale ciclo d’uso, specialmente se si opera in settori altamente concorrenziali.

In questi casi infatti il mercato è sottoposto ad una forte pressione competitiva e l’obsolescenza dei prodotti incalza sempre più velocemente rendendo essenziale condurre una continua attività di segmentazione del mercato tramite gli strumenti della fidelizzazione per individuare le aree dove va accentuandosi un gap di prodotto e le ragioni di questo.

Agendo in questo senso, si propongono nuove soluzioni alla clientela ottenendo un doppio vantaggio: si incrementano i volumi di acquisto e si arresta sul nascere, l’eventuale processo di abbandono19.

Le azioni destinate invece a facilitare una valutazione positiva, il riacquisto o l’orientamento ad altri potenziali clienti, mirano ad incrementare la percezione positiva che il cliente riporta in merito al prodotto successivamente alla sua utilizzazione.

Tale percezione impatta fortemente sia sulla decisione di riacquisto che sull’influenza che il cliente può avere sugli altri parlando del prodotto.

Il riacquisto è uno dei momenti in cui la fedeltà risulta essere veramente a rischio ed è qui che entra in gioco un efficiente sistema di customer profiling che deve

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essere in grado di segnalare per tempo quei clienti che si avvicinano al passaggio critico in modo da poter assumere le iniziative più idonee.

Ed infine tocca all’ultima categoria di azioni proattive che sono quelle mirate all’eliminazione dei problemi. Se attuate in tempo, prima addirittura che questi si manifestino risultano essere le più idonee a permettere sia la soddisfazione che il riacquisto che la fidelizzazione.

Tutto ciò può essere graficamente riassunto con uno schema che evidenzierà ogni passaggio analizzato.

Figura 2.8 Classificazione delle azioni di fidelizzazione

Fonte Busacca, 2001 Migliorare la familiarizzazione Prevenire la percezione di problemi Facilitare e migliorare l’uso normale Facilitare la valutazione positiva, il riacquisto e l’orientamento Gestire efficacemente il problema non risolto

Creare barriere al passaggio di un altro fornitore Effettuare azioni di recupero Gestire autorevolmente la disdetta REATTIVE PROATTIVE T A T T I C H E S T R A T E G I C H E

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2.5.4 Azioni strategiche reattive

A questa famiglia di azioni appartengono quelle che hanno come obiettivo una gestione tempestiva e mirata del problema non appena si presenta.

Si tratta per lo più di azioni mirate dunque a gestire efficacemente il problema non risolto (e non a prevenirlo come le proattive), cercando di intervenire sul cliente che ha sperimentato una esperienza negativa per soddisfarlo almeno nella soluzione di questo.

In alcuni casi è tuttavia impossibile rimediare ed è qui che balza all’occhio la differenza fra l’azienda realmente motivata ad orientarsi verso la customer loyalty e quella che invece ne fa solo un punto in più per meravigliosi progetti solo cartacei.

La front line della prima tipologia di impresa risponde prendendosi direttamente carico del problema e, ove sia realmente possibile, trovarvi una qualche soluzione con iniziative che il cliente possa trovare adeguate, giuste e rispettose della sua fedeltà alla nostra “marca”.

Addirittura si tratta di imprese che agiscono con la figura di un garante del cliente, un super customer care che opera in molto rigoroso e con una capacità di intervento fuori gerarchia per difendere il cliente e adoperarsi in sua vece nella gestione di tutte le operazioni necessarie per risolvere il problema e lasciarlo soddisfatto.

Le azioni reattive si collocano nelle fasi più a valle del processo di abbandono: quando il cliente tende a rescindere il legame con l’azienda che può operare innescando un processo come quello rappresentato nella figura successiva in cui si mostra il posizionamento di queste azioni nel trinomio acquisto- uso- abbandono.

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2.6 Realizzare una strategia di fidelizzazione

Analizzata la teoria , studiati modelli e metodi di misura e visti i building blocks di una corretta strategia di fidelizzazione , si può passare dalle parole ai fatti decidendo anzitutto di fare della loyalty una scelta strategica .

Dopo aver preso una tale decisione bisogna iniziare ad analizzare i processi di loyalty del mercato di riferimento passando per la caratterizzazione del settore, il benchmarking internazionale settoriale e intersettoriale e la descrizione del settore.

Attuata questa fase, si realizza quella della costruzione di un osservatorio, un database e un sistema di customer care per passare così all’ultima parte. In questa fase bisognerà aguzzare al massimo l’ingegno, selezionando le azioni più promettenti, quelle da avviare subito e quelle per le quali aspettare tempi più maturi.

La scelta dovrà comunque tener conto delle nostre potenzialità attuali in termini di fidelizzazione: situazione di normale competizione, di pericolo o di emergenza. Percezione bisogno Accettazione concetto Valutazione, riacquisto, orientamento Accettazione

nuovo concetto Scelta, riacquisto, orientamento Ricerca attiva

Azioni strategiche

reattive

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Decidere di mettere la fedeltà dei clienti e soprattutto la fedeltà della clientela migliore, al top delle nostre priorità non è certo una decisione facile né da prendere né da implementare.

Nella maggior parte delle aziende, infatti, i sistemi di reporting, i sistemi premianti e la cultura stessa del personale tendono a privilegiare l’acquisizione e la conquista di fette di mercato piuttosto che la cura dei clienti già acquisiti. Questi sono spesso considerati come un dato di fatto, un patrimonio aziendale consolidato e ben conservato.

D’altra parte, una volta che la forza vendita è incentivata ( anche economicamente) a trovare nuovi clienti, il fatto che qualche vecchio contatto ci sfugga è considerato quasi come uno scotto da pagare. Una tale concezione, se da un lato può risultare corretta per settori in sviluppo su cui si affaccia sempre nuova clientela, dall’altro risulta disastroso e rovinoso per la generalità delle aziende.

La redditività cala infatti man mano che i costi di vendita si dilatano : se la nuova clientela ha un “valore”, per l’azienda, minore della vecchia risulta allora necessario acquisirne sempre di più per mantenere volumi e fatturato.

Smuovere l’intera macchina aziendale per sensibilizzarla al problema non è certo un compito facile: è necessario calcolare il conto economico per cliente e mettere a confronto quelli inerenti i nuovi contatti con quelli dei clienti di vecchia data. Se il valore dei clienti che ultimamente ci hanno abbandonato risulta eccessivo e se gli indicatori di redditività risultano in calo allora è possibile che tutto il managment capisca, si muova e si convinca della necessità di valutare l’importanza del capitale clienti acquisito.

A questo punto è essenziale seguire un percorso logico e strutturato in tre fasi (facendo tesoro degli errori commessi da altre aziende che ne hanno fatto esperienza prima di noi).

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Nomina del loyalty manager

Caratterizzazione del settore in cui si opera Benchmarking internazionale e intersettoriale Analisi e descrizione del mercato di riferimento Realizzazione del sistema di misurazione

FASE 2- REALIZZAZIONE DEGLI STRUMENTI Osservatorio

Customer profiling Customer care

FASE 3- PIANIFICAZIONE E REALIZZAZIONE Selezione delle azioni

Definizione della sequenza Lancio del cambiamento

( Fonte Busacca A. ,Costruire la fedeltà, Il Sole 24Ore,2005)

2.6.1 Analisi dei processi di loyalty

Come per ogni azione della nostra quotidianità, il primo passo da compiere in questa situazione è quello di capire di cosa stiamo parlando, a cosa andiamo incontro, quali sono le regole del gioco nel settore in cui operiamo ( con riferimento ai meccanismi di ricerca della fidelizzazione).

Innanzitutto può essere utile prendere in considerazione la creazione di una figura il cui compito principale sia quello di impostare, realizzare e verificare le azioni di loyalty. In primo luogo questa sorta di super visore contribuisce fattivamente alla definizione della strategia di loyalty, poi la realizza ed infine la controlla per vedere se tutto procede secondo i piani e soprattutto se i piani coincidono con quanto desiderato.

Accettato l’incarico, il primo vero compito del loyalty manager sarà quello di definire con precisione criticità e articolazione del settore in cui si opera.

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Di questo il manager dovrà imparare a conoscere ogni segmento e ogni esigenza che può manifestarsi all’interno dei vari gruppi, ma soprattutto dovrà conoscerne così a fondo le caratteristiche da poter riuscire immediatamente ad arginare eventuali problemi.

Bisogna dunque conoscere ogni attività che forma la catena del valore dell’azienda più competitiva per riuscire a costruire il piano di un’azienda ideale in cui trovare il meglio di ogni funzione.

Il termine benchmarking, con cui di solito viene indicato questo concetto, in realtà oggi amplia accezione indicando l’analisi di tutti i metodi e le tecniche adottate dai concorrenti (nazionali e internazionali) in materia di loyalty, con lo scopo di individuarne le migliori.

Quello che stiamo considerando è comunque un momento della fase di analisi del mercato e proprio per questo non bisogna mai incappare nell’errore di copiare idee altrui ma di partorire da queste idee nuove, migliori e, se possibili, non complementari ma supplementari.

Attuate le scelte migliori in tal senso, possiamo addentrarci ancor più nella conoscenza del nostro settore, segmentandolo e dividendolo, per quanto possibile, in gruppi omogenei di consumatori con caratteristiche, di certo non uguali, ma il più simili possibile.

Al termine di questa azione disporremo di una visione chiara e condivisa di come è articolato il mercato in cui operiamo e soprattutto di quali potrebbero essere i driver della fedeltà che presidiamo correttamente e quelli per i quali siamo ancora deboli.

Ultimo step dell’analisi è ora quello di realizzare un sistema di misurazione adatto alla nostra strategia utilizzando gli indici già esaminati in precedenza.

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Come già detto, il primo strumento da realizzare è un buon osservatorio tramite cui tracciare nel tempo i cambiamenti nel settore e analizzare gli andamenti nelle propensioni e percezioni verso l’azienda.

Per concretizzare l’oggetto bisognerà disporre di un nutrito numero di addetti di età diversa, che scendano sul campo, si mimetizzino tra i componenti del nostro target e inizino a “vivere” le loro stesse sensazioni, a confrontarsi con gruppi d’acquisto e perciò a guardare da dentro il problema da affrontare. In tal modo riuscirà anche più facile trovare soluzioni adatte ai disagi che vivono i nostri clienti e che potremmo magari individuare meglio guardandoli dalla loro angolazione.

Costruiremo così un buon sistema di customer profiling per ogni contatto, finché l’insieme di dati non convergerà nella creazione di quel database di cui non potremo più fare a meno soprattutto se vogliamo fare del CRM la nostra mission. A questo punto disponiamo di tutte le informazioni, i metodi e gli strumenti per progettare e realizzare il corretto mix di azioni tattiche e strategiche in grado di mantenere elevato il livello di fedeltà e fidelizzazione della clientela.

Le valutazioni che ci competono a questo punto constano del trasferimento di ogni tipo di azione nel nostro settore. Sarà il momento di scegliere quelle più adatte alla nostra situazione e soprattutto la sequenza di implementazione idonea alla nostra situazione competitiva in termini di fidelizzazione20.

2.7 Conclusioni.

Quasi tutti i concetti analizzati finora non sono di certo nuovi e forse addirittura ovvi.

Si perde nella notte dei tempi la concezione di un cliente che ha sempre ragione, si sente sempre più spesso parlare di servizio ai clienti, fidelizzazione,

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importanza del capitale acquisito e di clienti come partner, ma ormai forse se ne sente solo parlare.

La tendenza a considerare i profitti di breve termine come obiettivi primari si fa sempre più strada nei CDA di ogni azienda e i successi costruiti sull’aumento annuo dei fatturati divengono il pane quotidiano della pratica aziendale.

Affidare la fidelizzazione a qualche citazione di rito durante la presentazione di strategie e bilanci, non è certo cosa saggia.

Il vero valore e il vero zoccolo duro di un’impresa vincente oggi non fanno più capo alle strutture fisiche e alla produzione di massa: in mercati così competitivi, veloci e soprattutto saturi riuscire a trattenere i propri clienti risulta essere la mossa giusta per sopravvivere.

Comprendere e curare il cliente non sono azioni legati a concezioni moralistiche e di buon senso ma sono fattori redditizi e vitali. E’ solo gestendo con prudenza i nessi economici tra creazione di valore e fedeltà che si generano flussi di cassa sostanziosi e magari ripetibili.

Per ogni azienda impegnata nella costruzione di una strategia di loyalty, il percorso da seguire non può essere visto come una funzione da affidare ai componenti di uno staff ma come una questione d’onore un sintomo di salute e modernità dell’azienda.

La fedeltà non è perciò solo un importante mezzo per tenere stretti i clienti ma è una corsia preferenziale per il successo, è la base della concatenazione fedeltà- creazione di valore- fiducia verso l’azienda dunque nuova fedeltà.

Su questa base, poi, dipendenti investitori e clienti genereranno circoli virtuosi di profitto, crescita e valore duraturo.

Figura

Figura 2.3 Fonte: Stone Direct Marketing, 2005
Figura 2.4 I quattro livelli di un sistema di Customer care      Cliente  Internet  Rete di vendita Identificazione chiamate  Customer profiling  database  Scheda cliente  Vip service   Sistema automatico info generali  Retention team Assistenza commercial
Figura 2.5   Identificazione  chiamate  Vip service  Retention team  Assistenza tecnica commerciale  Sistema vocale automatico  Internet  Numerosità dei  contatti  Livello di  approfondimento  delle informazioni  Grado di autonomia degli operatori Customer
Figura 2.6  La curva della soddisfazione
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