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Capitolo 5 Considerazioni finali

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Academic year: 2021

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Capitolo 5

Considerazioni finali

Dopo aver dato uno sguardo ai servizi presenti in Lucca e aver ascoltato ciò che le persone senza fissa dimora hanno dichiarato di loro stesse, cercheremo ora di trarre alcune considerazioni finali.

Nella realtà di Lucca, molti sono i servizi che a diverso titolo hanno come utenza le persone senza fissa dimora e, quasi tutti, fanno capo ad Associazioni di volontariato, laiche e di ispirazione cattolica, e a congregazioni religiose. Il fenomeno dei senza fissa dimora esiste, ma solo le strutture del volontariato sembrano le uniche capaci di organizzare una risposta alle esigenze di queste persone e, nello specifico, in Lucca sono molto attivi la Caritas diocesana, il Gruppo Volontari Accoglienza Immigrati e la Croce Verde, che operano da diversi anni in questo settore.

I bisogni e le esigenze di coloro che vivono in uno stato di grave emarginazione sono solo in parte riferibili ai bisogni primari, materiali e di sopravvivenza: infatti, per chi conduce sulla strada la propria vita molto importante risulta essere la necessità di avere da mangiare, da dormire e di che lavarsi; tuttavia, nei colloqui è emersa una più importante occorrenza: avere relazioni affettive, essere considerati, importare a qualcuno. In effetti, non sempre queste persone si sono rese disponibili a parlare, e questo si è rilevato un problema notevole nella stesura

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di questo lavoro, ma quando questa difficoltà o ritrosia è stata superata ed è stato possibile l’incontro, tutti hanno lungamente ringraziato per l’ascolto e l’attenzione dimostrata nei loro confronti. Senza dubbio, il peso della solitudine è avvertito da tutti: qualcuno cerca di mascherarlo e lo nega persino a se stesso, altri lo manifestano senza remore.

Vi è infatti, al di là delle pressanti richieste di cibo, di un letto e di una doccia (richieste che peraltro si riproducono quotidianamente), una urgente necessità di impostare rapporti relazionali con chiunque mostri la sensibilità e la disponibilità a dialogare, ad ascoltare, a capire (ma anche a condividere); in altri termini, emergono con forza bisogni che autorizzano a ritenere quello dei senza fissa dimora una situazione ed un vissuto di sofferto isolamento sociale, umano ed affettivo. Come già sottolineato nei capitoli introduttivi, la figura “romantica” del barbone (nella iconografia di senso comune), che esce per scelta libera e ragionata dalla società e dalle sue regole che rifiuta “in toto”, va gradualmente scomparendo: i senza fissa dimora sono una realtà eterogenea, con biografie di vita estremamente diversificate, non facilmente riconducibili ad “idealtipo” (sebbene, specie nei comportamenti, possano essere riscontrati alcuni elementi comuni); il lonesome hobo statunitense, il clochard francese non esistono quasi più, sostituiti da una fascia di popolazione che attraversa trasversalmente classi di età e di condizione sociale, che assume contorni labili e non ben definiti, ma che anche in Italia, nelle grandi e medie città, sta assumendo una rilevanza non trascurabile1.

In Lucca, la maggioranza dei senza fissa dimora proviene da paesi stranieri, come Romania, Nord Africa e Albania, e molti di loro sono in Italia senza un regolare permesso di soggiorno: il vivere per strada, là dove non esiste una rete di supporto, sembra essere una tappa obbligata. Parlando con alcuni responsabili dei servizi, è stato sottolineato come la situazione si sia aggravata dopo la metà di gennaio, quando, a seguito dell’entrata della Romania nell’Unione Europea e trascorse le feste natalizie, una grande ondata di rumeni è arrivata in Italia e,

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A. Salvini, L’emarginazione grave: il caso dei senza fissa dimora, in: E. Taliani e T. Telleschi (a cura di), Devianza e società. Dialoghi e proposte da Pisa, Maria Pacini Fazzi Editore, 1992.

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quindi, anche nella città lucchese, incrementando il numero di coloro che vivono in condizioni di povertà estrema.

I dormitori non ospitano solo immigrati, ma anche italiani: un chiaro segno che la povertà riesce a raggiungere tutti, indistintamente dal paese di nascita, dal colore della pelle e dallo status sociale. Colpisce, infatti, il caso di Gino, pensionato che si è ritrovato costretto ad appoggiarsi all’asilo notturno della Croce Verde perché sfrattato: queste persone che soffrono la loro condizione sono molto più vicine a noi di quanto comunemente si pensi.

Anche le cause che conducono allo scivolamento in questa inevitabilità di sopravvivere alla giornata sono molteplici e non così impossibili nel loro verificarsi: coloro che lasciano il proprio paese di origine alla volta dell’Italia sono pieni di speranze e di desideri e lo scontro con una realtà, che risulta essere più cruda e grigia rispetto a quello che si racconta e si immagina, pone la persona in una sorta di disincantamento e lo scoraggiamento comincia la sua corsa; altre volte, è l’aver avuto problemi di tossicodipendenza o problemi psichiatrici a causare una rottura con il resto della società e la persona si isola sempre di più, finché più nessuno desidera chiederle se necessita di qualcosa, tranne i volontari che ogni giorno prestano servizio ai centri di ascolto. Durante gli incontri presso i servizi, ho potuto notare con chiarezza la presenza di persone con disturbi psichiatrici: uno di loro è un ragazzo giovane, non parla e non presta cura alla sua persona; come lui, altri si ritrovano soli, completamente, e non c’è dialogo o relazione che possa recare loro quel tepore di un rapporto interpersonale.

Uno degli aspetti più problematici dell’esistenza quotidiana dei senza fissa dimora è rappresentato senza dubbio dalle fonti di sostentamento, attraverso cui poter riprodurre la propria esistenza, perché la vita si pone spesso ai limiti della sopravvivenza. Coloro che hanno accettato di parlarmi e di incontrarmi hanno dichiarato di non essere degli scioperati o dei vagabondi, come si è creduto e si crede tuttora di loro, ma hanno riferito di aver lungamente lavorato fino al raggiungimento della pensione, o di lavorare nel mercato nero, con tutti i possibili rischi che questo comporta, o comunque di avere talvolta anche una buona esperienza lavorativa.

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Una delle domande ricorrenti che ho posto ai senza fissa dimora che ho incontrato è stata quella di descrivere la loro giornata-tipo e le loro abitudini: certamente, non avendo una propria casa e pernottando al dormitorio, tutta la giornata viene trascorsa in giro per le strade e ognuno, nella propria solitudine, che mai viene condivisa, trova dei posti dove passare le ore, magari al coperto soprattutto nella stagione invernale. Ho conosciuto due senza fissa dimora che hanno organizzato la loro giornata prestando servizio come volontari alla mensa e al dormitorio dove anche loro mangiano e dormono. Una giornata vuota, che non presenta in sé alcun obbiettivo, riesce a spengere anche il carattere più positivo: a volte, tra le espressioni e il tono di voce emerge un po’ di rassegnazione, anche se a parole si afferma il contrario. Un caso differente è quello di Ervin, minorenne che ha trovato in Italia la possibilità di studiare e di farsi esperienza nel campo della ristorazione: qui la giovanissima età dà un tono e un colore decisamente diversi in merito ai progetti e alle aspirazioni della vita.

In genere, per quanto riguarda le aspettative, le più ricorrenti sono quelle di trovare una sistemazione abitativa, lavorativa e familiare: i più giovani desiderano farsi una famiglia e avere dei figli. Sono speranze e desideri molto semplici e ognuno li manifesta e li difende con molta serietà e fermezza.

Parlando con queste persone ho avvertito come la distanza, che spesso ci si immagina, fra noi che abbiamo una casa e loro che invece aspirano ad averla, sia in realtà poco estesa: certo, a molti di noi non capiterà di lasciare l’Italia alla volta di un altro paese in cerca di lavoro o di fortuna, ma anche gli italiani sono stati emigranti e, probabilmente, coloro che hanno fatto questa scelta si saranno trovati a vivere in un forte disagio i primi tempi in un paese straniero; oppure, non ci capiterà di andare in pensione e di essere sfrattati e finire per appoggiarci ai servizi per senza fissa dimora, ma la vita non finisce mai di sorprendere e a volte di sconcertare.

L’emarginazione grave si pone come preoccupante spia di una più complessa carenza di risposte strutturali relative a corrette ed efficaci politiche dell’occupazione, della casa, dell’assistenza socio-sanitaria, dell’istruzione; ma si pone anche come spia di un malessere sociale diffuso anche ai livelli più alti della

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stratificazione sociale; un malessere che coinvolge strutture di senso dell’esistenza umana, all’interno di una società che innalza a valori il successo, il denaro, la produzione ed il consumo, senza considerare le ragioni degli altri, estromettendo coloro che, secondo propri ritmi bio-psicologici e sociali non si adeguano e/o non si rendono funzionali al sistema2.

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