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DI R IQUALIFICAZIONE DELL ’A REA S TUDIO PER UN P ROGETTO C APITOLO 4

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C

APITOLO

4

S

TUDIO PER UN

P

ROGETTO

DI

R

IQUALIFICAZIONE DELL

’A

REA

4.1. Linee guida stabilite per il progetto di riqualificazione.

4.1.1. La creazione di un centro “artificiale”.

La ricostruzione storica delle trasformazioni subite dalla città ci permette di individuare le linee guida per tracciare un’idea progettuale consona alla sua identità.

Abbiamo sottolineato le caratteristiche di città

prevalentemente turistica, vissuta pertanto non solo dai residenti ma anche da visitatori sporadici, nonché da tutti i pendolari che ogni giorno vi affluiscono per lavoro. Il nuovo progetto pertanto dovrà soddisfare le esigenze di tipologie diverse di utenti: da una parte i residenti che necessitano di centri di ritrovo e di interscambio sociale e i lavoratori che richiedono facilità di accessi e di sosta in prossimità delle aree commerciali e direzionali, dall’altra i turisti che agli aspetti positivi di un ambiente per sua natura pregevole affiancano quelli negativi dovuti principalmente a problemi di mobilità. 35

Da un punto di vista sociologico possiamo ritrovare anche in una modesta città come Viareggio i segni dell’evoluzione del concetto di costruzione architettonica ed urbana, dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri.

35

“Il Progetto Versilia ’93 presentato dalla mercuri S.r.l. di Firenze per conto dell’Azienda di Promozione Turistica della Versilia, contiene una serie di indagini campione, eseguite presso i turisti, dalle quali si evince che l’immagine positiva che è accreditata alla Versilia, si basa principalmente sulle seguenti considerazioni: l’ambiente pregevole, la possibilità di fare turismo integrato, la presenza di locali di intrattenimento e di discoteche, la bella spiaggia e la presenza di beni culturali ed artistici.

Al contrario l’immagine negativa che appanna in parte i giudizi positivi precedenti scaturisce dalle seguenti carenze: la scarsità di parcheggi, la poca pulizia, il traffico caotico e rumoroso, la scarsità di parchi pubblici, di manifestazioni e di cortesia.” Prof. Ing. Roberto Pierini, Trasporti come, ETS 1996.

(2)

210 La corrente specificatamente razionalista del Movimento Moderno, prodotto della società industriale, si opponeva al modello della città antica per applicare le scoperte tecnologiche e scientifiche. Si trattava di un concetto che poteva divenire distruttivo se mirato all’abbattimento dei centri storici e di tutto ciò che riguarda il passato. La

posizione marginale di Viareggio rispetto al concetto

effettivo di città (potremmo definirla come un grande paese soprattutto relativamente ai rapporti interpersonali, in cui “tutti conoscono tutti”) le ha permesso di conservare la sua

identità e le sue caratteristiche storiche nonostante

l’avvento della rivoluzione industriale. Tuttavia, se il Movimento Moderno ha lasciato deboli tracce sul territorio, il

Movimento Post Moderno a mio avviso, ha influenzato

prepotentemente lo sviluppo della città. Nella società post industriale viene meno la fiducia nella programmazione e nella pianificazione del territorio o del singolo edificio perché la maggiore complessità del “sistema urbano” 36 non è più gestibile dalla singola capacità del progettista. Si tende a localizzare le industrie all’esterno della città (è quello che

avviene a Viareggio con il potenziamento della zona

industriale nel quartiere Varignano e con lo sviluppo della zona portuale) ma allo stesso tempo gli insediamenti residenziali cominciano a diffondersi nel territorio, la periferia diventa sempre più importante e si viene a creare un’area continua (città diffusa), non pianificata ma che nasce spontaneamente. La città perde il proprio “naturale” centro produttivo e acquista una pluralità di piccoli centri: alla zona industriale del Varignano si affiancano la zona di attività portuale in Darsena e la fascia litoranea di attività turistica.

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Il fisico chimico Ilya Prigogiene teorizza lo sviluppo urbano con equazioni termodinamiche e formazione di disequilibrio. La città, definita come “sistema urbano”, tende a disorganizzarsi e ad evolvere verso uno stato di disequilibrio. Pertanto la fine della città industriale è da attribuire ad una crisi di organizzazione da un punto di vista sociale; il passaggio alla società post industriale si ha creando un nuovo ordine particolare che risponda alle nuove esigenze sociali e di mercato.

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211 La città diventa tessuto urbano policentrico che si sviluppa intorno alle attività lavorative, ma risulta priva di un vero e proprio centro di vita sociale; se in Europa e in America del nord gli architetti cominciano a progettare centri artificiali di divertimento, nella piccola città di Viareggio questo non avviene. Il vecchio nucleo di primo sviluppo urbano, non essendo più centro predominante di attività lavorative, subisce un fenomeno di risemantizzazione in perfetto accordo con il concetto di “centro storico” post moderno: all’interno di esso vengono riscoperte e rivalutate le stesse strutture del passato ma cambia la loro funzione. Le attività produttive lasciano il posto a piccole botteghe

artigianali, spesso ricavate al primo livello delle

abitazioni. A complicare i tentativi di pianificazione c’è la diffusione di un sistema di affitti estivi caratteristici del luogo: se nella stagione invernale il centro è ancora abitato dai viareggini, questi nella stagione estiva lasciano le loro residenze ai turisti. La città sembra quindi cambiare completamente assetto in funzione delle stagioni e risulta molto difficile conferirle una forma che possa rispondere alle esigenze diverse dei suoi utenti. In ogni caso questo tentativo di risemantizzazione del centro risulta avere un buon successo da un punto di vista sociale. Ancora oggi gli abitanti della città che si recano in centro dicono “vado a Viareggio” e così identificano il centro storico come luogo effettivo di vita sociale in accordo con le teorie post moderniste che descrivono un cambiamento di concetto di luogo rispetto ai periodi precedenti: ad esso infatti non si attribuisce più un valore esclusivamente fisico ma questo si arricchisce di un valore sociale. Nel centro storico si fa vita comune, è un punto di ritrovo in cui si ricorda il passato, si vive il presente e si progetta il futuro. Nel mondo moderno e industriale il centro della città era il cuore direzionale delle attività produttive, nel post industriale si opta invece per una società produttiva acentrica e di conseguenza nasce l’esigenza di creare un nuovo centro

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212 “artificiale”, un luogo che sia punto di riferimento per i

cittadini: la città post moderna è il luogo della

comunicazione, della società civile.

Se i problemi derivanti dall’inquinamento industriale sono stati risolti con lo spostamento del settore all’esterno del centro della città, in esso nasce un nuovo problema legato al conflitto fra gli abitanti e le attività che vi si sono stabilite e che necessitano di comode vie d’accesso.

La struttura urbanistica risulta estremamente vincolata dal consolidato e non modificabile impianto a scacchiera, per lo più caratterizzato da strade di piccola dimensione che creano problemi di flusso stradale e di inquinamento acustico e atmosferico e che rendono disagevole il raggiungimento delle attività presenti nel centro. Per ovviare a questa situazione si può pensare di sfruttare l”AREA SALOV” per ricreare un centro artificiale distaccato che possa accogliere una parte delle attività commerciali e comunicare direttamente con il centro storico sfruttando la sua vicinanza fisica. La posizione dell’AREA SALOV infatti permette il raggiungimento agevole del centro sia da parte del pedone o del ciclista sia da parte di mezzi collettivi. L’individuazione delle aree a parcheggio all’interno del nuovo progetto di riqualificazione permette non solo il soddisfacimento degli indici urbanistici per la corretta progettazione dell’area stessa ma anche la creazione di parcheggi scambiatori che permettano una migliore

vivibilità del centro. Il Cavalcavia rimane l’accesso

carrabile alla città, il progetto del sottopasso ciclabile e pedonale a termine del viale Tobino sulla ferrovia diventa fulcro di una nuova politica di comunicazione ecologica con la “Vecchia Viareggio”.

Oltre a ricreare un centro artificiale

artigianale-commerciale-direttivo, le dimensioni dell’AREA SALOV

permettono anche uno sviluppo residenziale verso est, ossia nella direzione caratterizzata da zone omogenee A e B.

L’obiettivo principale è quello di ricreare un vero e

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213 affollamento e inquinamento del centro storico, che sia facilmente accessibile per sfruttare al meglio i propri fondi commerciali, che risulti vivibile e interessante agli abitanti della zona e che possa anche essere punto di partenza turistica per i visitatori della città.

Inoltre l’area ha importanza storica. In essa infatti sorgeva il castello di Viareggio, la costruzione che ha dato avvio all’urbanizzazione del territorio. La creazione di una piazza in corrispondenza del sito del castello permette di segnare il centro ideale della Viareggio primordiale e può rievocare le antiche abitudini di vita sociale. Parallelamente ad esso (e in contrapposizione) si individuerà il centro artificiale della nuova Viareggio commerciale precedentemente descritto.

4.1.2. La congestione veicolare nei centri urbani.

Il fenomeno della congestione veicolare ha assunto in questi ultimi anni un aspetto preoccupante soprattutto perché oltre al fastidio abituale degli automobilisti che in città rimangono bloccati in lunghe code, si sta determinando anche un progressivo deterioramento della qualità ambientale, la caratteristica che ha determinato la fortuna della Versilia.

Assume pertanto un interesse prioritario la ricerca di soluzioni che possano ridurre l’inquinamento gassoso, visivo, acustico e sonoro e che restituiscano le strade all’uso dell’uomo, sia esso turista o cittadino.

L’ulteriore espansione commerciale registrata negli ultimi tempi, a cui è corrisposta un’analoga capacità di attrazione in termini di acquirenti, ha prodotto incrementi dei volumi di traffico, caratterizzati da punte molto alte concentrate nei giorni festivi e nell’estate. Ciò ha complicato il problema perché al tradizionale modello di tranquillità delle zone residenziali più prestigiose, si sono sovrapposte le esigenze di accessibilità proprie delle aree commerciali e il contatto fra queste zone a diversa

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214 destinazione ha provocato situazioni insostenibili sul piano dei necessari requisiti ambientali.

Il protrarsi di questa situazione ha portato allo stato attuale che oltre a determinare una crisi di carattere infrastrutturale ha indotto una crisi del modello insediativo. Come la mobilità è direttamente condizionata nei suoi obiettivi e nelle sue strutture dal sistema territoriale, allo stesso modo il territorio è influenzato nei suoi sviluppi dal sistema della mobilità. Questo binomio mobilità-territorio dovrebbe essere caratterizzato da una reciproca integrazione.

Riportiamo tratti di un’analisi di Corrado Messeri su questo tema.

“(…) Fino a qualche anno fa, nella definizione

dell’assetto del territorio, specialmente a livello comunale, non si è tenuto conto in maniera corretta del tema traffico che si è caratterizzato come un elemento che si viene a sovrapporre al tessuto territoriale già definito. La capacità di osservare il problema nel suo aspetto più generale fa parte della cultura urbanistica.”

“(…) Il tema del rapporto mobilità-territorio si deve quindi evidenziare al momento della definizione degli strumenti operativi, con le opportune relazioni fra pianificazione del traffico e pianificazione urbanistica, sia a livello territoriale, sia a livello comunale. A livello urbano è indispensabile pertanto una connessione fra il Piano del traffico e il Piano Regolatore Generale; fra il piano destinato a regolare la mobilità e il piano destinato a definire e caratterizzare la struttura della città. Inoltre, poiché l’impianto urbanistico delle nostre città risale a tempi antichi risulta strutturato in risposta alle condizioni di vita e alle esigenze di qui tempi. Su quell’impianto si sono sovrapposte le stratificazioni successive fino i tempi moderni, affidando alle vecchie strutture il compito di soddisfare le nuove esigenze, dovute prima alla rivoluzione industriale, poi all’avvento e allo sviluppo della motorizzazione (…). Nella città si è perduto il rapporto fra

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215

il cittadino e il proprio ambito urbano. La strada si è progressivamente trasformata: le esigenze da soddisfare sono quelle dell’automobile, e il “cittadino-pedone” è sempre più emarginato (…)”.

“La soluzione, ieri come oggi, sta nel ricercare il

necessario e equilibrio e il giusto rapporto tra le trasformazioni connesse con il processo evolutivo di una società moderna e la loro compatibilità ambientale, rimanendo l’ambiente in cui l’uomo vive e opera l’elemento fondamentale da privilegiare nella ricerca di un progresso concreto e non illusorio.”

“(…) L’attuale stato di conflittualità, che nasce

dall’inerzia con cui si è subito la trasformazione della strada da “ambiente urbano” a “canale di traffico”, deve essere superata recuperando il rispetto dell’ambiente per l’uomo, recuperando quindi in primo luogo le aree pedonali, quel connettivo che, come luogo di incontro e di relazione, fa di uno spazio un ambiente di vita.”

“(…) La separazione fra circolazione del pedone e quella dell’automobile è stata peraltro un obiettivo primario di molti studi per le città del nostro secolo: dalle immagini utopistiche del Sant’Elia, alle proposte di Le Corbusier, dagli schemi delle “città nuove” di questo secondo dopoguerra in Inghilterra e in Francia in particolare, alle conclusioni del rapporto Buchanan con la teorizzazione dell’”architettura del traffico”, fino alle proposte di Richards per le città del futuro. Molte di queste proposte sono però ancora oggi collocate fra le utopie mentre nelle nostre città il problema traffico si aggrava sempre più e ormai non riguarda soltanto le grandi aree urbane, a livello metropolitano, ma anche i centri di media e più piccola dimensione. E riguarda in particolare i centri turistici; nati per fruire di un ambiente naturale (…)”. 37

37

C. Messeri, Mobilità e territorio: principi e metodologie d’intervento con particolare riguardo al problema nei “centri turistici”.

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216 Il rapporto Buchanan pubblicato nel 1963 nel volume “Traffic in Touwns” affronta il tema del binomio “traffico-uso del suolo” assegnando particolare rilievo al parametro “ambiente”, cogliendo quindi uno degli aspetti fondamentali e prioritari. Il rapporto affronta il problema introducendo i concetti di “accessibilità” e di “ambiente”. Per accessibilità si intende “la facilità di accesso di veicoli per gli utenti”. Con il termine “ambiente” si esprime il “concetto di un luogo libero dai pericoli e dagli inconvenienti del traffico motorizzato”. Dalla stessa definizione di accessibilità e di ambiente, risulta che questi due termini sono spesso in conflitto fra loto: è chiaro infatti che se si permette che un luogo venga raggiunto da un elevato numero di macchine (ottenendo una buona accessibilità) si aumentano i pericoli e gli inconvenienti del traffico (compromettendo il livelli ambientale). Con queste premesse il rapporto è in grado di precisare il problema, che viene così definito:” si tratta di realizzare una efficiente distribuzione, o accessibilità, di molti veicoli a molti edifici e in maniera tale da raggiungere un livello ambientale soddisfacente”. Il rapporto affronta quindi “una ipotesi di lavoro” rifacendosi al concetto base della “circolazione nei corridoi e nelle stanze”, concetto che riconduce il problema del traffico urbano al problema della circolazione quale si presenta nella progettazione di un qualunque edificio.

Se non ci fossero i corridoi e le stanze fossero “passanti”, cioè con porte che si aprono fra una stanza e

l’altra, il traffico interesserebbe tutte le stanze,

disturbando quindi le attività proprie di ogni stanza. Questo non significa che tutto il traffico si svolge nei corridoi e che nelle stanze non vi sono movimenti; è certo però che in ogni stanza non ci sarà traffico estraneo; ogni stanza avrà il traffico che gli compete. Sulla base di questo principio nelle città si dovranno avere “stanze urbane” ambienti positivi, dove la gente possa vivere, lavorare e spostarsi a piedi “in ragionevole libertà dai pericoli e dai disagi del traffico

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217 motorizzato”, e dovranno essere organizzati “corridoi urbani” rete stradale complementare per effettuare la distribuzione del traffico agli ambienti. La città viene quindi immaginata secondo una struttura cellulare formata da aree ambientali disposte entro una maglia di grandi strade di distribuzione.

Le aree ambientali risultano caratterizzate da una

accessibilità compatibile con il livello ambientale richiesto. In ogni area cioè, in relazione alla qualità ambientale voluta e definita dagli standard ambientali (valori massimi relativi ad una serie di parametri: rumori, esalazioni di gas di scarico, vibrazioni, ecc.) deriverà un certo volume di

traffico ammissibile, che se non è sufficiente al

raggiungimento di un certo livello di accessibilità, provoca o l’abbassamento dello standard ambientale, o la riduzione dell’accessibilità, o la possibilità di apportare “ad un certo prezzo” delle modifiche all’area. In conclusione quindi vengono prese in considerazione tre variabili:

1. lo standard ambientale, 2. il livello di accessibilità,

3. il costo richiesto da modificazioni fisiche.

La soluzione del problema traffico quindi, nelle conclusioni del rapporto Buchanan, pone grosse difficoltà di ordine economico nelle città esistenti, dove il disordine degli edifici e la inadeguatezza delle strade non consentono di ottenere un buon livello ambientale e insieme un buon grado di accessibilità, se non a prezzo di modificazioni fisiche onerose e non sempre ammissibili; ma apre nuove prospettive per la definizione dell’assetto funzionale delle città attraverso quella che il Buchanan chiama l’”architettura del traffico”: “un campo di progettazione nuovo” dove “gli edifici e le strade di accesso vengono progettati come un insieme costituente la base del tessuto urbano”. Non più quindi un sistema di progettazione per gli edifici e un altro per le strade, ma un unico processo dove gli edifici sono progettati ai fini di un efficiente e coerente sistema di traffico.

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4.1.3. Un’”architettura urbana” nell’AREA SALOV.

Spazio, struttura, linguaggio: concetti quasi superati, o

almeno divenuti meno centrali in un contesto dove

l’architettura è chiamata a risolvere problemi di grande complessità. Gli edifici sono sempre più “macchine” e ciò che appare è solo la parte emergente di qualcosa che interagisce con altre strutture attraverso connessioni invisibili.

L’architettura dell’edificio assume il ruolo di

riqualificatore ambientale all’interno di un contesto urbano spesso degradato e si trasforma in input di architettura urbana, inizio di una trasformazione che coinvolge parte della città. Una città che deve rappresentare le esigenze dei suoi abitanti e pertanto essere allo stesso tempo oggetto tecnico orientato alla produzione e luogo di rappresentazione sociale: la modernità ha sviluppato un’opinione pubblica e la città è divenuta sede di attività culturali e quindi luogo di autorappresentazione collettiva.

Se l’architettura antica era volta alla celebrazione del “bello” (estetico e funzionale) di un edificio, l’architettura moderna deve affrontare i problemi derivanti dallo sviluppo industriale che ha negato alla città il confronto diretto con il contesto naturale. È così che la “città” diviene luogo esclusivo dell’architettura.

“ (…) Il termine città ha perduto il senso intrinseco affettivo, individuante e sociale di civitas nel momento stesso in cui ha perso la definizione “finita” del corpo fatto ad arte, aperto alla nascita e all’ospitalità, ma concluso. Sciolta nell’urbanizzazione che prolifera ovunque dietro la formazione delle reti di alimentazione, ciò che si chiamava città non possiede alcuna delle forme di relazione superiori all’immediatezza della prossimità. L’urbanizzazione non possiede per definizione urbanità alcuna. In compenso consuma il suolo che concepisce tecnologicamente come spazio disponibile, lo sterilizza e abbatte a deserto di significati, disponendolo così all’intervento. Si forma una distanza incolmabile dalla natura che porta con se la colpa e il

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disagio di una perdita. La speranza utopica nell’universo tecnico razionale e uniformatore o egualitario appare insopportabile. Il distacco dall’istanza radicale della modernità inaugura l’epoca postmoderna come assunzione di una responsabilità nuova e diversa: essa non può più aspirare a collocarsi sotto la protezione di un “paradigma” di azione sul mondo univoco e onnicomprensivo, ma deve rischiare i suoi giudizi su ragioni testimoniate, quindi relative ed esposte a smentita.

Prendono di nuovo rilievo la personalità dell’autore, il suo itinerario di formazione e la forza del rapporto dialettico con il contesto sociale che lo chiama a operare. Tornano in dominante il sapere disciplinare, le interrogazioni su cui si è costruito, gli attingimenti in cui ha creduto, infine i motivi di insoddisfazione. Torna perciò al centro dell’interesse la questione dello stile come segno d’identità, di identificazione, che appartiene alle opere e rimanda agli autori e al pubblico (locale e internazionale), nella domanda reciproca di comprensione o comunicazione. Progetto e stile dell’architettura si confrontano in relazione ad alcuni interrogativi: come deve far segno l’architettura? Come deve rapportarsi alla cultura storica della città che l’architettura ha inciso nel suo tessuto stesso? Come deve contenersi rispetto alla tecnologia? Interrogativi che, emergendo singolarmente e nell’intreccio con gli altri, orientano una tendenza nella ricerca architettonica, originando un approccio tecnologico, neourbano, semiologico.

L’architettura attuale si ripiega su se stessa e propone una nuova esplorazione delle sue ragioni esistenziali, dei suoi principi concettuali, dei suoi fondamenti simbolici.

Alla luce della critica al razionalismo, consci della discontinuità che ha irrevocabilmente segnato, gli architetti ripercorrono le tappe della storia dell’architettura in due direzioni che si intrecciano non senza contrapporsi: una linguistica, alla ricerca dei fondamenti della comunicazione non verbale dell’architettura; l’altra “archeologica”, nel

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senso di Foucault, alla ricerca di un sapere fondativo inscritto nella città.(…)

In Europa si è imposta la questione della città. L’alterità dell’urbanizzazione attuale rispetto alla città storica nella sua forma medioevale, ricomposta tra Cinquecento e Settecento e ampliata a partire dall’Ottocento. La perdita di “urbanità” come conformità dei luoghi a una socievolezza manifesta in uno stile d’uso, l’anonimato come disaffezione, incuria, abbandono hanno portato a una ricerca emulativa con il passato. Da Stirling a Krier e a Rossi l’architettura europea ha scandagliato il problema. E l’idea rossigna della città analoga nelle auratiche di una costruzione metafisica ne costituisce il più alto attingimento teorico. Sul piano, poi, dell’incisione nel tessuto vivo della città vale l’approccio pragmatico di Stirling la cui Staatsgalerie, museo con teatro, biblioteca e scuola di musica produce contemporaneamente una definizione tipologica e un brano di città, mettendo in comunicazione pedonale le zone in alto, fitte di vicoli, alle terrazze che danno sulle autostrade urbane e sulle nuove espansioni.

Un cenno infine all’espressione tecnologica nell’opera di Foster e di Piano che, con il Centre Pompidou, segna la trasformazione del centro di Parigi, una delle più significative e traumatiche violazioni del nostro tempo. Parigi è oggi uno dei più interessanti cantieri in cui l’architettura si mette alla prova. Se ne può trarre una suggestione: nelle contraddizioni metropolitane di un centro direzionale anonimo, icona di un’”erma”, il cubo di cento metri di lato (la Grande Arche de la Défense) ripropone nell’immagine della misura il desiderio di cielo.” 38

L’AREA SALOV e le aree ad essa limitrofe sono state scenario per molti anni di costruzione caotica e intensiva dal punto di vista sia edificativo che strutturale di mobilità. Il

risultato è la formazione di un ambiente saturo

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221 contraddistinto dall’assenza di significati e lontano dalla condizione di buona vivibilità. Si è creato nella zona un vero e proprio deserto tecnico: tipico prodotto della struttura della città post industriale, può essere definito come “non

luogo” data l’assenza di comunicazione che lo

contraddistingue; consiste in un deserto artificiale

costruttivo in cui non vivono né uomini, né animali, e pertanto sinonimo di degrado del territorio. La zona potrebbe infatti essere descritta come un’unica grande rotatoria utilizzata esclusivamente dalle automobili. È triste pensare che uno degli ingressi principali ad una bella città sia così insignificante e non sia sfruttato per testimoniare la forte identità della vera Viareggio. La zona, in origine, aveva importanza strategica: la presenza del castello e il suo diretto rapporto con il canale Burlamacca, collegamento naturale con il mare, sono i motivi per cui è nato un tessuto urbano, è cresciuto e ha dato vita alla città. Recuperare questo diretto contatto con la natura, vera artefice della nascita di Viareggio, deve essere il punto di partenza per restituire un significato importante a quest’area senza valore.

Rifiutando l’approccio funzionalista in cui la

progettazione viene ricondotta a una fredda formula funzionale da applicare e la percezione sensoriale di un ambiente viene completamente tralasciata, si opta per un processo più “umano” che permetta attraverso la comunicazione dell’architettura il confronto di pensieri, idee e sensazioni fra il progettista e i cittadini. L’architettura urbana necessiterà di uno spazio comune che rievochi la tradizione della città e narri la sua storia: da territorio di sbocco sul mare, a cittadina

turistica, infranta dall’avvento industriale e infine

recuperata dal degrado di un deserto artificiale.

“Come deve far segno l’architettura?” A mio avviso deve riconoscere i fulcri essenziali da cui si sviluppa il concetto di luogo, con i suoi significati economici o sociali, e individuarne le vie di accesso e di fuga. Si andranno a

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222 definire nodi di sosta, accentratori di vita sociale e frutto degli obiettivi di progetto, e percorsi interessanti, con scorci visivi che inducono verso di essi. In una società basata sulla promiscuità di pensieri e di azioni la definizione esclusiva di punti di sosta e di percorsi credo che ormai debba essere in parte superata. Il punto di sosta deve godere di caratteristiche interessanti e pertanto deve acquisire una certa dinamicità: lo sviluppo circolare genera di per sé l’idea di movimento, anche se solo visivo, cosicché il fruitore non avverta un senso di noia nell’attendere la sua prossima azione. Così, anche il percorso deve acquisire una certa staticità, deve invogliare il suo utilizzatore a

guardarsi intorno, a scoprire nuovi scenari, nuovi

significati, nuove prospettive.

L’obiettivo fondale di un’architettura urbana è quello di definire luoghi vivibili dai propri cittadini, fruibili dai propri lavoratori, godibili dai propri visitatori. Deve trasmettere i propri motivi di esistenza, comunicare i propri problemi e ricercarne le soluzioni; deve raccontare attraverso una sensazione, un’emozione, la sua storia.

4.1.4. La pianificazione della sostenibilità in Europa. 39

La società europea si presenta fortemente urbanizzata, tuttavia non tutte le nazioni e le città sono nella stessa fase di sviluppo: alcune crescono,altre sono in uno stato di maturità, altre ancora decadono. A partire dagli anni ’60 sono

maturate molte critiche all’approccio autoritario e

funzionalista del modernismo riconducibili schematicamente a due tipi di esperienze: lo studio delle morfologie e tipologie dei centri storici alla ricerca della memoria semantica della città perduta, cui si possono ricondurre anche le pulsioni del post-moderno (S. Muratori, A. Rossi, L. e R. Krier, O.M.Ungers, etc.); il recupero della città come “luogo dell’abitare” ove si svolge un processo di costruzione dello

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223 spazio che scaturisce dal rapporto uomo-natura e si alimenta

dell’esperienza dell’abitante come interlocutore del

pianificatore stesso (Bottero, 1993).

Allo stato attuale la questione ambientale ha messo in crisi l’ecosistema urbano e fatto emergere con forza la necessità di integrare le politiche di sviluppo con quelle di tutela e salvaguardia dell’ambiente, in cui la pianificazione del territorio è chiamata a fornire un utile e fertile contributo. Il problema si può riassumere nei seguenti punti chiave:

- la congestione colpisce tutte le grandi città europee;

- le città piccole e medie reagiscono meglio delle altre;

- la competizione fra le città è molto elevata;

- le diversità di reddito e l’emarginazione sociale si espandono;

- la pressione migratoria aumenta costantemente;

- le reti di mobilità sono in grande espansione;

- la riqualificazione ha assunto un peso notevole

sviluppando rapporti di sinergia pubblico/privato;

- le reti di cooperazione sviluppano visioni strategiche avanzate per far fronte alle sfide ambientali, economiche e sociali (Mega, 1995).

In molti paesi europei sono state introdotte, nei documenti di indirizzo della programmazione, indicazioni su come interpretare la nuova etica ambientale nella formazione dei piani e dei programmi di sviluppo e di modifica del territorio. Anche il Comune di Viareggio (in voce della sezione Urbanistica) ha redatto un Piano Strutturale che tiene conto delle politiche di pianificazione sostenibile, in accordo con le direttive europee.

Per comprendere appieno il concetto di sostenibilità, così come è emerso nei congressi internazionali della Organizzazione delle Nazioni Unite, della Comunità Europea e dei paesi membri, se ne tratteggia brevemente i riferimenti ai

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224 protocolli di intesa, etc.) che hanno contribuito a formarne la definizione, gli obiettivi e le possibili strategie, che ci si prefigura di mettere in atto per conseguirla.

Il contenuto di questi documenti è di generale interesse,tuttavia fra tutti emerge la definizione di sviluppo sostenibile contenuta nel rapporto Bruntland, che introduce i concetti di equità generazionale (distribuzione delle risorse fra gli appartenenti alla generazione presente) e equità inter-generazionale (il mantenimento del benessere per le generazioni future) (CAMAGNI,1996).

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225 L’applicazione di questi principi all’organizzazione delle nazioni e dei popoli sulla terra, stante la situazione attuale, comporta cambiamenti di tale rilevanza che sembra problematico riuscire a stabilire le strategie, i tempi e i modi in cui ciò sarà possibile, ancor più difficile sarà stipulare accordi concreti e trattati fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo che hanno situazioni, esigenze e bisogni completamente diversi.

4.1.4.1. Politiche ed obiettivi per lo sviluppo sostenibile.

Il problema della concretizzazione di politiche capaci di perseguire l’obiettivo dello sviluppo sostenibile non è di semplice soluzione, ma complessivamente, sembra riconducibile ad alcune grandi categorie di interventi sulla struttura di sistemi che governano la società attuale, che hanno tempi e modalità d’attuazione diverse e che si possono molto sinteticamente riassumere in tre punti:

1. Contenimento;

Politiche di contenimento degli attuali livelli di inquinamento attraverso la messa in atto di politiche di breve periodo orientate a contenere o ridurre i consumi delle risorse al di sotto della soglia di rigenerazione delle stesse

(riduzione dell’input nel metabolismo urbano); questo

indirizzo è riconducibile a diversi ambiti di intervento che presuppongono l’assunzione di stili di vita più responsabili nei confronti delle politiche dei trasporti, dei consumi energetici, della produzione di rifiuti, etc., tanto che potremmo definire questo tipo di atteggiamento come tendente all’autosostenibilità delle comunità locali (MAGNAGHI,1990).

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226 2. Sostituzione;

Politiche di medio periodo tese a ridurre il consumo di risorse ambientali attraverso la riduzione del consumo di materie prime e la loro sostituzione con altre riproducibili capaci di garantire la continuità di funzionamento dei processi di sviluppo in atto e un flusso costante di utilità e di consumo nel medio periodo. Una politica di questo tipo si fonda sulla capacità di dare risposte pronte e dinamiche ai cambiamenti che possano verificarsi nel sistema (sostituzione della benzina con olio vegetale, o uso dell’acqua depurata in sostituzione di quella naturale).

3. Innovazione;

Strategie che puntano a modificare il punto di equilibrio fra il delta di sviluppo e quello di tutela delle risorse,

rese possibili dalla ricerca, la comprensione e

l’utilizzazione di processi ambientali innovativi che spostino in avanti il rapporto fra sviluppo e consumo di risorse. In particolare la ricerca di diversi modelli di sviluppo, ecologicamente orientati ha consentito di sperimentare nuove forme di organizzazione spaziale e aperto finestre fino a ieri

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227 impensabili verso il raggiungimento di nuovi e avanzati equilibri tra il dominio dell’uomo sul territorio e i diritti connaturati dell’ambiente stesso. Innovazione nella gestione dei processi di sostenibilità all’interno dei quali debbono trovare un punto di equilibrio dinamico ed evolutivo l’ambito economico, l’ambito sociale e quello ambientale (SACHS,1995).

Gli obiettivi specifici del Programma di Azione

Ambientale che sono stati indicati ai paesi partecipanti alla conferenza dell’ONU su ”Ambiente e Sviluppo” (RIO DE JANEIRO 1992) sono, ad esempio, riassunti nella Agenda 21. In particolare vorremmo richiamare in una breve sintesi gli obiettivi che riguardano più strettamente la sostenibilità urbana.

Il programma di azione ambientale per le città deve promuovere:

- forme sostenibili di trasporto e uso dell’energia, - la gestione integrata dell’uso del territorio, - la fornitura di infrastrutture per l’ambiente,

- il miglioramento nella gestione degli insediamenti umani in relazione al loro metabolismo,

- la pianificazione e la gestione degli insediamenti in situazioni a rischio (geologico, idraulico, etc.)

- la nascita di industrie delle costruzioni sostenibili,

- lo sviluppo delle risorse umane e quello delle

competenze,

- la possibilità di un’abitazione adeguata per tutti,

- la partecipazione collettiva nella pianificazione e

gestione del territorio.

Emerge dal documento l’esigenza di gestire il territorio nella sua globalità, con riferimento ai sistemi urbani, ai sistemi di mobilità, ai problemi sociali più rilevanti (abitazioni) nonché alla presenza di adeguate infrastrutture ambientali. Vi si esprime un forte indirizzo nella direzione della costituzione di un processo strategico volto a incoraggiare e controllare la messa in atto di politiche

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228 ambientali partecipate, tese a riorganizzare lo sviluppo verso forme di sostenibilità di lungo periodo (HILLE,1995).

Le attività necessarie al perseguimento degli obiettivi di sostenibilità territoriale si possono individuare nelle seguenti azioni, da esplicarsi soprattutto a livello delle (LA21) Agende 21 locali:

- valutare l’entità degli impatti sul territorio e

sull’ambiente derivanti dalla crescita urbana in

relazione ai processi di urbanizzazione e diffonderne i risultati (incremento di consapevolezza);

- istituzionalizzare approcci partecipativi per sviluppare un dialogo fra gli attori coinvolti (aumento del peso dei saperi locali, delle associazioni, degli individui, etc.

all’interno del processo di pianificazione del

territorio);

- promuovere piani integrati di uso del suolo e della mobilità (con aerei, treni, metrò, tram, auto, biciclette e pedoni, in rapporto alla situazione ambientale e privilegiando i mezzi di trasporto ecologici);

- verificare la presenza o la previsione delle necessarie infrastrutture ambientali atte a eliminare il carico antropico sull’ambiente.

Le suddette azioni si richiamano anche alla necessità di istituire procedure di controllo del tipo della valutazione

ambientale strategica (VAS) ovvero alla necessità di

sottoporre programmi e piani urbanistici a valutazione di impatto ambientale per verificarne la coerenza rispetto agli obiettivi e alle strategie dello Sviluppo Sostenibile.

Su questa strada si sono incamminati molti paesi europei e anche alcune regioni italiane (anche l’Amministrazione comunale di Viareggio ha redatto un Piano Strutturale sulla base delle politiche proprie allo Sviluppo Sostenibile) che hanno istituito una sorta di procedura valutativa della compatibilità ambientale degli strumenti di programmazione e di pianificazione del territorio.

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