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CAPITOLO 1°: IL BILANCIO D’ESERCIZIO

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CAPITOLO 1°: IL BILANCIO D’ESERCIZIO

Il bilancio d’esercizio è un documento contabile che illustra lo svolgimento della vita aziendale e gli esiti della gestione trascorsa. Esso rappresenta la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di un’azienda in funzionamento1.

1.1 LE FUNZIONI :

2. mette in evidenza il risultato economico dell’esercizio considerato, inteso come

variazione della ricchezza conferita dai proprietari causata dallo svolgimento della gestione aziendale;

3. è un rendiconto degli amministratori verso i proprietari, infatti è utilizzato come

strumento informativo per permettere ai proprietari dell’azienda di valutare l’operato degli amministratori, cioè di coloro che dirigono l’azienda.

4. è uno strumento di pianificazione e controllo2: con riferimento al passato

consente la verifica del raggiungimento di determinati obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità, con riferimento al futuro è uno strumento utile a qualificare le strategie, le politiche e i comportamenti futuri dell’azienda. 5. costituisce lo snodo centrale del sistema informativo aziendale.

1.2 QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

La base normativa per la redazione del bilancio è costituita dagli articoli del codice civile. Ad integrazione ed interpretazione sono stati emanati dei principi contabili da parte di associazioni professionali, come il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e il Consiglio Nazionale dei Ragionieri quali organismi Italiani, a livello internazionale invece opera lo IASB.

1 CNDC, Principio contabile n.11. Bilancio d’esercizio. Finalità e postulati, IPSOA, Milano, 1993, pag.

12 e segg.

2 L’idea di un controllo a carattere antecedente, concomitante e susseguente fa risalire a F. Besta, La

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1.3 LA CLAUSOLA GENERALE

L’art. 2423 al secondo comma identifica la cosiddetta “clausola generale”: “il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico dell’esercizio”3. L’attributo di verità che il bilancio deve possedere non deve essere

interpretato come aderenza ad una verità oggettiva e sostanziale poiché patrimonio e reddito sono influenzati dalla determinazione di valori stimati e congetturati come gli ammortamenti, le rimanenze finali, i fondi rischi e tanti altri. Il bilancio dunque è “veritiero” non potrà essere mai “vero”. Si comprende che la chiarezza si persegue con l’applicazione rigorosa della normativa stabilita per gli schemi di bilancio, mentre la verità e la correttezza si riferiscono ai criteri di valutazione.

Al 4° comma invece è prevista la deroga alle disposizioni di legge : “ se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione di legge è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata “.

Questo margine discrezionale deve trovare un limite pena l’innesco di potenziali abusi da parte di amministratori poco scrupolosi, ecco quindi che il legislatore limita questa regola ai soli casi eccezionali che per definizione devono essere né previsti né prevedibili. Inoltre la Nota Integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sulla situazione patrimoniale, finanziaria e sul risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile.

3 G. Ferrero, I complementari principi della chiarezza della verità e della correttezza nella redazione del

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1.4 I PRINCIPI DI REDAZIONE

L’articolo fa riferimento ai seguenti principi :

Continuità della Gestione. Poiché l’azienda si trova nella fase di funzionamento,

la valutazione delle voci deve essere fatta nella prospettiva di continuazione dell’attività;

Prudenza. Secondo tale principio gli utili attesi, ma non ancora definitivamente

realizzati, non possono essere iscritti in bilancio; Inoltre tutte le perdite, anche quelle ragionevolmente e fondatamente presunte, devono essere iscritte in bilancio ancorché non effettivamente subite. Si deve tener conto anche delle perdite e dei rischi di competenza dell’esercizio pur se conosciuti dopo la chiusura.4 La svalutazione della massa creditizia per rischio di insolvenza è un tipico esempio di come si contabilizzano le perdite anche se soltanto temute.

Competenza Economica. I costi e i ricavi vanno iscritti in bilancio in virtù della

manifestazione economica e non di quella numeraria; in tal senso i ricavi sono di competenza dell’esercizio in cui è avvenuto lo scambio o la prestazione del servizio; sono altresì di competenza i costi correlati ai ricavi.

Continuazione dei Criteri di Valutazione. Il legislatore dispone che i “criteri di

valutazione non possono essere modificati da un esercizio ad un altro”, questo per permettere la comparabilità sostanziale dei bilanci di diversi esercizi. Solo in casi eccezionali è possibile derogare a questo principio, indicando nella Nota Integrativa i motivi della deroga e l’influenza di questa sul bilancio. Inoltre mantenere gli stessi criteri di valutazione tende a ridurre anche lo spazio di manovra a favore degli amministratori nel mutare di volta in volta criteri per tentare di esporre situazioni apparentemente migliori di quelle ottenibili applicando i vecchi criteri.

Valutazione Separata. Il legislatore stabilisce che “gli elementi eterogenei

ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente”. Ciò per evitare compensazione fra valori reddituali di segno opposto5.

4 CNDC, Principio contabile n. 11…, cit., pag. 22.

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1.5 I DOCUMENTI CHE COMPONGONO IL BILANCIO :

La struttura degli schemi dei prospetti contabili componenti il bilancio sono obbligatorie, rigide e non modificabili ad eccezione di alcuni casi previsti dall’art. 2423 del codice civile. Tale impostazione tende a favorire la comparabilità dei bilanci nel tempo e nello spazio.

I documenti che fanno parte del bilancio sono:

Stato Patrimoniale

: evidenzia gli elementi attivi e passivi che compongono il patrimonio alla data di chiusura dell’esercizio; Il contenuto dello Stato Patrimoniale è disciplinato dall’art. 2424 c.c.. Ha una struttura a sezioni divise e contrapposte, da una parte ci sono le attività e dall’altra ci sono le passività; le macroclassi dell’attivo, contrassegnate da lettere maiuscole dell’alfabeto, sono quattro e sono:

- A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti;

- B) Immobilizzazioni;

- C) Attivo Circolante;

- D) Ratei e Risconti Attivi;

Il criterio di classificazione impiegato è quello “della destinazione”, anche se fa eccezione la categoria dei crediti il cui criterio è “la natura”.

Le macroclassi del passivo sono cinque e sono: - A) Patrimonio Netto;

- B) Fondi per Rischi e Oneri;

- C) Trattamento di Fine Rapporto;

- D) Debiti;

- E) Ratei e Risconti Passivi;

Il criterio di classificazione adottato in questo caso è quello della natura delle fonti di finanziamento. Partendo dal Patrimonio Netto, il legislatore ha via via inserito le poste che più si avvicinano.

Conto Economico :

mette in evidenza il risultato economico dell’esercizio. Ha una forma scalare, cioè si sviluppa in verticale, in questo modo si riescono ad evidenziare alcuni risultati intermedi .

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La struttura è articolata in cinque macroclassi6 : - A) Valore della Produzione;

- B) Costi della Produzione;

- C) Proventi ed Oneri Finanziari;

- D) Rettifica di Valore di Attività Finanziarie;

- E) Proventi e Oneri Straordinari;

• Risultato prima delle Imposte; • Imposte sul Reddito dell’Esercizio; • Risultato dell’Esercizio;

Per quanto riguarda la struttura è a “costi e ricavi della produzione ottenuta” quindi comprende tutto il complesso della produzione sia venduta che non.

Nota Integrativa :

La Nota Integrativa è il terzo documento che compone il bilancio d’esercizio. Essa agevola la lettura dei dati tipicamente quantitativi forniti dagli altri due documenti di bilancio con informazioni complementari, spesso di carattere descrittivo. La nota integrativa ha tre funzioni principali :

- 1) Funzione Descrittiva : illustra e descrive in modo dettagliato i dati che

compongono le singole voci dei prospetti contabili;

- 2) Funzione Informativa : comprende una serie di dati e informazioni che

non possono essere contenuti nello stato patrimoniale o nel conto economico;

- 3) Funzione Esplicativa : chiarisce e giustifica i valori dei dati contenuti

in bilancio alla luce dello svolgimento della gestione;

La Nota Integrativa ha un contenuto obbligatorio previsto dall’art. 2427 c.c..

Relazione sulla Gestione :

La Relazione sulla Gestione, prevista dall’art. 2428 c.c. , non è un elemento costitutivo del bilancio, ma lo correda.. Il contenuto della relazione sulla gestione riguarda quindi una serie di informazioni qualitative volte ad inquadrare le attività svolte dalla società, l’andamento complessivo dell’azienda, lo sviluppo prospettico della gestione, nonché i rapporti con società collegate e controllate.

6 P. Ferrarese, Le strutture di bilancio, in AAVV, Ragioneria 2, Consorzio per l’Università a Distanza,

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1.6 I DESTINATARI DEL BILANCIO D’ESERCIZIO

L’azienda è un sistema aperto inserito in un microsistema socio-economico e ambientale, ed in quanto tale interagisce e comunica attivamente o passivamente con i suoi “stakeholders”7. Gli “stakeholders” sono tutti coloro – soggetti ed organizzazioni –

che detengono una parte di interesse (stake) non solo commerciale, e che dipendono dall’impresa per la realizzazione dei loro obiettivi personali e da cui l’impresa è dipendente.

Distinguiamo due categorie di interessi che confluiscono sul bilancio :

Gli Interessi Interni il cui obiettivo è il mantenimento, miglioramento o ripristino delle condizioni di equilibrio aziendale e, in genere, del buon governo dell’azienda.

Questi interessi sono posti in essere dal proprietario o i soci, dagli amministratori, dai sindaci, dai dirigenti aziendali e dalle forze personali.

o Il proprietario o i soci: sono volti alla conoscenza della redditività

del loro investimento in connessione al rischio d’impresa;

o Gli amministratori: essi possono intendere il bilancio come

strumento di controllo del proprio operato;

o I sindaci: l’interesse primario dell’organo di controllo è

configurabile nell’accertamento della regolarità tecnica e della legittimità del bilancio;

o I dirigenti aziendali;

o Le forze personali: i lavoratori (operai, impiegati, ecc.)

singolarmente o attraverso le loro organizzazioni.

Gli Interessi Esterni sono quelli che fanno capo a persone, enti o istituzioni che dall’esterno si interessano della posizione dell’azienda occupata nel sistema sociale8. Questi interessi sono posti in essere dagli istituti di credito,

dai fornitori, dai clienti e consumatori,dai concorrenti e dallo Stato.

o Gli istituti di credito: sono interessati alla solvibilità e alla liquidità

dell’azienda ovvero alla sua affidabilità come debitrice;

7 Cfr. F. Ranalli, Il bilancio d’esercizio…, cit., pag. 47 e segg; A. Matacena, Introduzione allo studio…,

cit., pag. 78 e segg.

8 Cfr. M. Paoloni (a cura di ), Introduzione alla contabilità generale ed al bilancio d’esercizio, Cedam,

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o I fornitori: sono interessati ad entrare in possesso di notizie che

consentano di valutare la capacità dell’azienda-cliente di far fronte regolarmente ai propri impegni commerciali e finanziari;

o I clienti e consumatori: sono interessati ad acquisire indicazioni sulla

struttura produttiva ed elementi per valutare il rapporto fra il prezzo e la qualità del prodotto/servizio;

o I concorrenti: hanno lo scopo di confrontarsi con l’azienda per

individuare le posizioni reciproche nel mercato e per focalizzare i rispettivi punti di forza e di debolezza;

o Lo stato: è in genere interessato alle sorti dell’azienda sia in quanto

unità economica da salvaguardare e controllare, sia in quanto unità realizzatrice di scambi e produttrice di reddito fiscalmente imponibili.

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1.7 LA NATURA DELLE QUANTITA’ PRESENTI IN BILANCIO

All’interno del bilancio possono essere individuati due tipi di quantità: oggettive e soggettive.

1.7.1 LE QUANTITA’ OGGETTIVE

Le quantità oggettive si determinano tramite una semplice numerazione delle unità monetarie che, per somma, ne definiscono l’entità. E’ possibile, cosi’, stabilire una relazione biunivoca tra la quantità stessa e un numero. Queste operazioni hanno origine dalle operazioni di gestione esterna compiute durante il periodo amministrativo. La quantità oggettive possono distinguersi in monetarie e non monetarie. Sono della prima specie i valori nominali dei debiti e dei crediti, le entrate e le uscite di cassa (ossia i valori numerari certi e assimilati), il valore di fattura degli acquisti e delle vendite di beni e servizi; sono non numerarie il volume fisico di materie, prodotti finiti, merci(numero di pezzi, quintali, ecc..) desumibili dall’accertamento e i volumi fisici di acquisto e di vendita suscettibili di accertamento attraverso la fatturazione.

Le quantità oggettive utilizzano metodi di obiettiva misurazione delle corrispondenti grandezze9, metodi che conducono a dati incontrovertibili, immuni da incertezze e indeterminazione, e suscettibili di riscontro effettivo (accertamento). Per esempio, è sempre possibile effettuare un confronto tra gli acquisti iscritti in bilancio e gli importi risultanti dalle fatture. E’ quindi evidente che le quantità oggettive possono essere definite quantità certe in senso assoluto, e nei loro confronti è possibile esprimere un giudizio di verità o falsità in relazione alla corrispondenza con fatti accertabili. Ogni alterazione (volontaria e involontaria) delle quantità oggettive inserisce nel bilancio delle falsità.

Le alterazioni di quantità oggettive possono consistere sia in aumenti o in diminuzioni di date quantità accertate (ad esempio, l’indicazione di una quantità fisica di materie prime maggiore/minore a quella realmente esistente), sia nell’indicazione di elementi inesistenti (l’indicazione di un credito inesistente e quindi non accertabile mediante fatture o altri documenti contabili), sia nell’omissione di elementi esistenti (ad

9 “In quanto sono o possono essere oggetto di obiettiva misurazione con un determinato metro, queste

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esempio non vengono esposti in bilancio un debito verso una banca o un immobile di proprietà dell’impresa). Le quantità oggettive possono concorrere alla determinazione delle stime e delle congetture. Per esempio, le quantità oggettive costituite dai consumi fisici dei fattori produttivi costituiscono un elemento dei calcoli dei costi di produzione svolti per valutare gli impianti costruiti in economia e talune categorie di rimanenze d’esercizio10.

1.7.2 LE QUANTITÀ SOGGETTIVE: STIME E CONGETTURE

Le quantità soggettive derivano dalla valutazione delle operazioni in corso al termine dell’esercizio. Alla base di queste quantità vi sono ipotesi sul futuro svolgimento della gestione e sulle condizioni dell’ambiente in cui l’impresa opera. Si possono distinguere in:

a) “ipotesi di approssimazione al vero” (quantità stimate);

b) “ipotesi di soggettiva interpretazione del vero”11 (quantità congetturate).

A) LE QUANTITÀ STIMATE

Le quantità stimate si determinano tramite approssimazioni di quantità economiche che non è possibile o conveniente misurare direttamente12. Queste approssimazioni sono in vario grado soggette a incertezza dovuta a insufficienti informazioni o conoscenze sul futuro andamento della gestione. In ogni caso, è possibile effettuare, a posteriori, un riscontro tra dato stimato e dato effettivamente verificatosi.

Le quantità stimate possono essere monetarie e non monetarie. Sono esempi della prima specie il presunto importo di una fattura da ricevere per merci o materie già in magazzino; il presunto importo d provvigioni da liquidare, già maturate, ma accertabili solo nel successivo esercizio; l’importo di una fattura da emettere; i crediti e i debiti in valuta estera rilevati nella moneta di conto; gli interessi attivi e passivi da liquidare13.

10 V. Coda – G. Frattini, Valutazioni di bilancio, Libreria Universitaria Editrice, Venezia, 1986, pag. 33. 11 G. Ferrero, La valutazione…, cit., pag. 29.

12 “ La stima è una determinazione approssimativa di una quantità economica “ (C. Masini, I bilanci

d’impresa, Giuffrè, Milano, 1957, pag.62).

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Sono non monetarie le giacenze fisiche inventariate quando si rinuncia alla loro misurazione diretta (computo dei singoli pezzi), e si adotta invece una misurazione indiretta. E’ evidente come le quantità monetarie stimate si riferiscano a costi e ricavi per intero di competenza dell’esercizio che si chiude, ma accertabili in esercizi successivi in seguito alla definitiva liquidazione dei corrispondenti debiti o crediti e all’emissione o ricevimento dei rispettivi documenti.

Per completare il discorso, occorre dire che le stime possono riferirsi anche a eventi passati che, per ragioni tecniche o di convenienza economica, non sono stati osservati direttamente. Per esempio, la misura esatta del consumo di un fattore produttivo in un processo potrebbe risultare eccessivamente onerosa, per cui in caso di necessità si ricorre a dati stimati.

Per le quantità approssimate, non è possibile parlare di veridicità o falsità come per le quantità oggettive perché, essendo delle grandezze opinabili, non sono espresse da un unico numero ma da un intervallo di valori. Si può quindi solo parlare di “maggiore o minore approssimazione al vero”14. Nei confronti delle grandezze stimate è

perciò possibile esprimere solo un giudizio di attendibilità. Questo giudizio potrà darsi analizzando la credibilità delle relative ipotesi di approssimazione al vero, ossia la fondatezza delle previsioni inerenti il presumibile esito futuro delle operazioni in corso, e la correttezza delle “derivate elaborazioni estimative”15, ossia la correttezza nel calcolo delle stime. Negli elementi che costituiscono il reddito di esercizio e il capitale di bilancio, le grandezze stimate potrebbero avere un peso limitato rispetto agli altri valori. La loro importanza resterebbe comunque notevole in sede di formazione del bilancio: le numerose congetture che concorrono alla formazione del reddito e del capitale, infatti, si basano largamente su valori stimati16.

B) LE QUANTITÀ CONGETTURATE

Le quantità congetturate (definite anche astratte o relative) derivano da ipotesi soggettive con cui s’intende interpretare, in taluni aspetti, la gestione aziendale. Queste ipotesi vengono esplicate nella configurazione dei piani e programmi di gestione. A differenza delle quantità approssimate, non è possibile per le congetture una verifica né

14 P. Onida, Economia d’azienda, cit., pag. 558. 15 G. Ferrero, La valutazione…, cit., pag. 30.

16 “ Non di rado nelle determinazioni d’esercizio la stima offre base palese ad una congettura” (C. Masini,

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nel presente né nel futuro. Al termine del programma di gestione è possibile una verifica, ma questa riguarderà solo l’ipotesi nel suo complesso e la correttezza formale delle derivazioni dei valori congetturati dall’ipotesi stessa, non invece i singoli valori.

Nel bilancio d’esercizio le congetture traggono origine dalla necessità, ai fini della demarcazione del reddito e del capitale di suddividere la continua vita dell’azienda in diversi e successivi periodi amministrativi. Per il principio dell’unità della gestione nel tempo e nello spazio occorre, al termine di ogni periodo amministrativo, procedere a una scissione dei valori attribuibili ai processi produttivi che si sviluppano in un arco temporale più ampio del singolo periodo amministrativo17.

Da questa scissione, che deve seguire il principio di competenza economica, si determinano i valori congetturali che sono tradizionalmente definiti dalla dottrina economico-aziendale come “valori che si attribuiscono a diversi oggetti come scissione di valori unici comuni a tali oggetti d’imputazione”18. I valori comuni possono essere costi, ricavi, risultati parziali ottenuti dall’accostamento di costi e ricavi speciali. È ovvio che questa ripartizione è “un processo di astrazione”19 che si fonda su ipotesi di

futuro svolgimento della gestione. La ripartizione può essere sia spaziale che temporale: un fattore di produzione che partecipa a più processi produttivi è un tipico costo comune nello spazio; un impianto che viene utilizzato per più esercizi è un costo comune nel tempo.

Nel bilancio d’esercizio possono avere ad esempio natura di valori congetturati le rimanenze d’esercizio, le quote d’ammortamento, la capitalizzazione di valori comuni a più di due esercizi (si pensi alle immobilizzazioni tecniche per impianti costruiti in economia)20.

Le immobilizzazioni materiali e immateriali possono dar luogo a congetture sia nel caso di acquisto da terze economie che nella costruzione interna. Nella prima ipotesi, pur accettando che il costo di acquisto sia un valore certo, non bisogna dimenticare che gli oneri accessori di acquisto (costi di trasporto, oneri assicurativi, ecc…) e i costi di montaggio e di messa in opera, che devono essere addossati all’immobilizzazione, possono richiedere arbitrarie scissioni di costi comuni. Problemi

17 “ Un vasto genere di congetture ha lo scopo di scindere in esercizi il divenire continuo del sistema e di

consentire la determinazione dei redditi e dei capitali di bilancio” (C. Masini, I bilanci d’impresa, cit.,

pag. 68).

18 F. Superti Furga, Le valutazioni di bilancio, ISEDI, Milano, 1979, pag. 25. 19 E. Ardemani, L’impresa…, vol. 1 cit., pag. 288.

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ancora più pressanti in termini di scissione di cosi comuni si presentano ovviamente nelle costruzioni in economia.

Valori congetturati sono anche le riserve di utili, le perdite di precedenti esercizi e i saldi di rivalutazione.

Le quantità congetturate, come grandezze opinabili, non sono né vere né false, e di conseguenza non sono soggette ad alcuna alterazione. Nei loro confronti è possibile solo esprimere un giudizio di attendibilità in relazione a:

a) la congruenza delle ipotesi prescelte come fondamento delle valutazioni (ipotesi

di previsione sul futuro andamento dell’impresa e sulle prospettive di mercato e d’ambiente; ipotesi di scissione della gestione). Questa congruenza deve essere valutata in relazione ai vincoli, esogeni, che condizionano lo svolgimento della gestione aziendale;

b) la consapevolezza che la grandezza da misurare trova corrispondenza non già in

un numero, bensì in un intervallo di valori: quindi solo un “ponderato vaglio delle ipotesi fattibili può condurre ad una scelta congrua”21;

c) la coerenza tra ipotesi prescelte e valori congetturati;

d) la coerenza tra valori congetturati e rimanenti valori del sistema e quindi

coerenza dell’intero processo valutativo22.

21 G. Ferrero, La valutazione…, cit., pag. 32.

22 Cfr. G. Ferrero, La valutazione…, cit., pag. 32 e segg.; F. Superti Furga, Il significato conoscitivo della

nozione di verità nel linguaggio dei bilanci. Una proposta di definizione operativa, in Giurisprudenza commerciale, 1985, I, pag. 1032.

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CAPITOLO 2°: IL BILANCIO INATTENDIBILE

Il reddito d’esercizio e il correlato capitale di bilancio, essendo il risultato dell’accostamento di valori certi, stimati e congetturati opportunamente composti a sistema, sono, a loro volta, delle grandezze congetturate, e come tali non possono risultare né veri né falsi ma solo più o meno attendibili.

Non si può parlare di bilancio vero in senso assoluto, ma solo di bilancio economicamente corretto e quindi attendibile23. Definendo, infatti, un bilancio come

vero, si attribuisce all’intero sistema dei valori e, quindi, alle determinazioni di sintesi (reddito e capitale) una caratteristica che in realtà riguarda una singola classe di valori, ossia i valori certi. La nozione di verità come corrispondenza non è però applicabile a tutte le grandezze di bilancio. Infatti, le stime e le congetture non rappresentano un dato reale ma solo ipotetico. Per le stime e le congetture non si può quindi attuare la corrispondenza perché alla preposizione, all’enunciato manca il termine di paragone.

Il bilancio nel suo complesso, come stima di valori, non è quindi un fenomeno cui può essere impiegata la nozione di verità come corrispondenza. Poiché solo per alcune sue componenti essa trova applicazione, le espressioni che tengono meglio conto della differente natura dei valori di bilancio sono “economicamente corretto”, “attendibile”. I requisiti che le singole grandezze analiticamente considerate devono possedere per essere ritenute attendibili o economicamente corrette:

1. veridicità delle quantità oggettive, ossia la loro non alterazione, volontaria e

involontaria;

2. credibilità delle ipotesi di approssimazione al vero o di interpretazione del vero

che stanno alla base delle quantità soggettive (stime e congetture). La credibilità si estrinseca nella fondatezza delle ipotesi e dei metodi di calcolo dei valori stimati e nella congruenza delle ipotesi alla base delle misurazioni dei valori congetturati.

La determinazione di valori attendibili richiede il rispetto di tutti i postulati analizzati nella determinazione del reddito e del capitale, ossia la competenza economica (realizzazione dei ricavi e afferenza dei costi), la ragionevolezza e la prudenza nelle valutazioni degli elementi patrimoniali.

23 Sul significato dei termini vero, falso, economicamente corretto, si veda F. Superti Furga, Reddito e

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2.1 BILANCIO INATTENDIBILE SOTTO IL PROFILO

ECONOMICO

1.

Bilancio inattendibile per effetto di falsità - alterazioni rilevanti di quantità

oggettive ;

2.

Bilancio inattendibile per valutazioni non credibili - manipolazioni

rilevanti di quantità soggettive ;

3.

Bilancio inattendibile per effetto di politiche di bilancio.

2.2 BILANCIO INATTENDIBILE PER EFFETTO DI FALSITA’

LE ALTERAZIONI DI QUANTITA’ OGGETTIVE

FASI ALTERAZIONI

1) Le operazioni di gestione:

la predisposizione di documenti Predisposizione di documenti falsi: • I fatti rappresentati sono inesistenti • I fatti sono esistenti ma non sono

rappresentati nella giusta misura

• Si compiono operazioni di

gestione senza predisporre i documenti giustificativi.

Non si ha falsità quando i documenti rappresentano fedelmente operazioni di gestione economicamente scorrette. 2) La rilevazione contabile dei documenti Falsità contabile:

• Mancata corrispondenza tra i

valori indicati nei documenti e i valori rilevati in contabilità

• Registrazione di fatti non

supportati da documenti

• Distorsione della competenza

temporale nella rilevazione dei costi e dei ricavi

• Errori nella classificazione dei

valori rispetto all’ordine stabilito nel piano dei conti

3) La redazione del bilancio Si può verificare:

• Esposizione in bilancio di dati

diversi da quelli rilevati in contabilità

• Esposizione in bilancio di dati non

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Il bilancio è il risultato finale di un lungo processo di rilevazioni quantitative dei fatti aziendali. È opportuno, quindi, seguire le diverse fasi di tale processo per comprendere dove possono verificarsi le alterazioni di quantità oggettive che inseriscono delle falsità in tale documento.

La prima fase è costituita dalle predisposizione dei documenti che rappresentano i fatti aziendali24: fatture commerciali, note di credito e di debito, documentazione

bancaria e fiscale e via dicendo. Questi documenti registrando scambi con terze economie, evidenziano delle grandezze oggettive (prezzi, quantità fisiche, valore nominale di crediti e debiti); è possibile, pertanto, parlare di verità-falsità in relazione alla corrispondenza tra i documenti stessi e le operazioni di gestione.

Un documento è falso quando il fatto in esso rappresentato è inesistente (ad esempio, una fattura relativa a vendite mai eseguite, ad acquisti di merci mai effettuati, a prestazioni di servizi mai ricevute), oppure quando è esistente ma non è rappresentato nella giusta misura (tipico è il caso si soprafatturazioni o sottofatturazioni che possono riguardare sia le quantità che il prezzo: per esempio, si effettua la vendita per quantitativi o per un prezzo superiori rispetto a quanto indicato in fattura in modo da creare disponibilità finanziarie occulte).

Non si può parlare di falsità quando un documento rappresenta fedelmente un’operazione economicamente scorretta, ossia frutto di una errata scelta di gestione: ad esempio l’acquisto di un bene a un prezzo notevolmente superiore rispetto a quello che una più accurata indagine tra i fornitori avrebbe consentito di pagare (è necessario precisare, però, che dietro a questa operazione potrebbe nascondersi una frode tra l’impresa e il fornitore, tale da rendere il bilancio falso. Ad esempio, l’impresa potrebbe rivolgersi a un fornitore esterno e accordarsi di pagare un prezzo maggiore del dovuto purchè la differenza sia accreditata dal fornitore stesso su una banca estera secondo le indicazioni dell’impresa. In tale operazione si presume che il fornitore sia compiacente e che gli venga riconosciuto un compenso per la collaborazione prestata).

Una situazione opposta a quella in cui vengono creati documenti per fatti inesistenti si verifica quando si compiono operazioni aziendali senza la predisposizione di documenti giustificativi (per esempio, una vendita effettuata senza l’emissione di fattura o di altri documenti di riferimento). È ovvio che anche questo caso conduce alla

24 “ Si definiscono come fatti aziendali i risultati delle operazioni di gestione mediante le quali i soggetti

operativi negoziano sui mercati i fattori di produzione di cui necessita l’azienda e collocano sui mercati di sbocco i prodotti o i servizi oggetto dell’attività di gestione” (F. Superti Furga, Il falso in bilancio…, cit., pag. 226).

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fine a un bilancio con grandezze false, perché non vengono rilevate quantità oggettive formatesi nello scambio. I documenti, oltre a rappresentare i fatti aziendali, costituiscono anche l’input dei dati rilevati nella contabilità sistematica, ed è per questo che la loro verità – falsità si trasferisce sul risultato di sintesi delle scritture contabili, ossia sul bilancio.

Occorre quindi analizzare la seconda tappa della formazione del bilancio, che consiste nella rilevazione contabile dei documenti. Il problema della verità – falsità delle rilevazioni contabili può assumere differenti configurazioni. Il caso di falsità più evidente è quello della mancata corrispondenza tra i valori indicati nei documenti e i valori rilevati nella contabilità o addirittura nella registrazione di fatti non supportati da alcun documento perché inesistenti. Alcuni esempi possono essere dati. Si pensi alla mancata o alla duplice indicazione di un pagamento, che può essere sia volontaria (per alterare la reale situazione dell’impresa) sia involontaria, perché legata a errori nelle procedure di rilevazione; si pensi all’inserimento in contabilità di crediti o debiti inesistenti, all’indicazione di costi o ricavi maggiori/minori di quelli risultanti in fattura, all’indicazione degli acquisti/vendite al lordo dell’Iva.

Un altro aspetto della falsità contabile si riferisce all’attribuzione temporale dei componenti positivi e negativi. Infatti i costi e i ricavi (salvo ovviamente il caso di fatture da ricevere o da emettere) sono rilevati in contabilità quando è stata redatta la fattura per i beni e servizi negoziati. Si ha una falsità quando tali componenti del reddito vengono rilevati in un periodo amministrativo, mentre la data della fattura e dell’operazione si riferisce a un’altro periodo (per esempio, una fattura viene regolarmente emessa al termine dell’esercizio, ma si decide di contabilizzare il relativo ricavo all’inizio dell’esercizio successivo). La modifica della competenza temporale dei componenti di reddito può aversi mediante la predisposizione di documenti falsi, come nel caso di una fatturazione di fine esercizio per un’operazione inesistente, che viene stornata nell’esercizio successivo con documenti che l’annullano.

Diversa è la situazione che può verificarsi al termine dell’esercizio quando siano state consegnate / ricevute merci, ma non sia stata emessa la relativa fattura. In tal caso è necessario evidenziare sempre nel rispetto del principio della competenza, un componente presunto di reddito a fronte di un valore numerario presunto. Si tratta di valori soggettivi che, come tali, verranno trattati successivamente.

Un altro caso di falsità contabile si verifica quando vengono compiuti degli errori nella classificazione dei valori rispetto all’ordine stabilito nel piano dei conti.

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Questi errori, oltre a compromettere la chiarezza del bilancio, possono avere una ripercussione sul reddito e sul capitale quando alterano il principio della competenza economica: per esempio, la classificazione tra le spese di manutenzione straordinaria di costi che non incrementano la vita utile dell’impianto (e che quindi dovrebbero essere collocati tra le spese di manutenzione ordinaria e addebitati al conto economico); la classificazione della voce immobilizzazioni (e quindi la sottoposizione ad ammortamento) di costi accessori che non sono afferenti al bene o lo sono solo in parte. I dati della contabilità devono poi correttamente confluire nel bilancio. Anche in tale fase il problema di verità – falsità può porsi in termini di corrispondenza tra i valori di bilancio e i valori espressi nei saldi dei conti. Quindi non è possibile inserire in bilancio valori (costi, ricavi, crediti, debiti) che non siano stati rilevati in contabilità. Un esempio può essere dato dall’esposizione in bilancio di rimanenze di magazzino come crediti verso la clientela anziché come giacenze finali. Ciò può verificarsi quando al termine dell’esercizio le merci in giacenza, pur non essendo mai uscite dal magazzino, sono fatte apparire fra i crediti verso i clienti ponendo in essere la finzione che esse fossero state vendute a quei clienti. All’inizio dell’esercizio successivo vengono poi stornate quali resi su merci.

Questa finzione, anche se non altera la consistenza del reddito e del capitale considerando globalmente i due periodi, determina un inammissibile traslazione dei risultati dei singoli esercizi. Pertanto si viene ad avere un’immagine distorta della situazione presente e futura dell’impresa. Il controllo della verità – falsità, con riferimento alle diverse fasi della formazione del bilancio, presenta difficoltà via via decrescenti col passaggio dalla prima all’ultima fase. Infatti, l’accertamento della mancata corrispondenza tra fatti e documenti è molto più difficile rispetto al controllo, ad esempio, tra bilancio e scritture contabili. Solo un adeguato sistema di controllo interno è in grado di individuare e prevenire le alterazioni di quantità oggettive.

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2.3

BILANCIO

INATTENDIBILE

PER

EFFETTO

DI

VALUTAZIONI ECONOMICAMENTE SCORRETTE

Le principali poste del bilancio evidenziano, per ciascuna di esse, la logica da seguire per una valutazione economicamente corretta e alcune delle deviazioni, rispetto tale logica, che possono verificarsi e compromettere l’attendibilità. In questo paragrafo si vogliono evidenziare le aree critiche nel procedimento valutativo, ossia quelle che si prestano maggiormente a manipolazioni.

2.3.1 LE IMMOBILIZZAZIONI TECNICHE

Le immobilizzazioni tecniche sono fattori produttivi a fecondità ripetuta, ossia beni destinati a essere utilizzati nel processo produttivo per più esercizi. All’epoca del bilancio esse rappresentano investimenti in corso in attesa di realizzo che potrà essere diretto (tramite l’alienazione dell’immobilizzazione al termine della vita utile) o indiretto (attraverso la vendita di prodotti ottenuti con il concorsodell’immobilizzazione stessa nei vari esercizi di utilizzo). I problemi da risolvere nella valutazione delle immobilizzazioni sono di due tipi:

a) La determinazione del valore iniziale;

b) Il calcolo della quota di ammortamento.

A) Il valore iniziale

Il valore con il quale le immobilizzazioni sono accolte per la prima volta in bilancio è dato dal costo, variamente configurato a seconda delle modalità di acquisizione di tali beni:

- acquisto da terze economie – il valore originario è dato dal prezzo pagato

aumentato dagli oneri accessori (trasporto, provvigioni, spese notarili per la redazione dell’atto di acquisto, ecc..) e dei costi d’istallazione e montaggio; - costruzione in economia – il valore originario comprende tutti i costi

direttamente sostenuti per l’ottenimento dell’immobilizzazione, più una quota di costi generali di fabbricazione se l’impresa svolge in modo continuativo

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l’attività di costruzione in economia25 (sono escluse le spese generali, amministrative, commerciali);

- apporto – il valore del bene si determina sulla base del valore delle azioni

cedute al socio conferente, confrontato però con il valore di mercato o i costi attuali di costruzione in economia del cespite, al fine di verificarne la congruità. In tutti e tre i casi il valore che si ottiene è fondato su stime e congetture. Come tale esso non può essere definito con certezza, e non può essere soggetto a un giudizio di verità – falsità. È possibile però individuare alcuni casi in cui il valore iniziale dell’immobilizzazione può26 essere considerato economicamente scorretto e quindi inattendibile.

Ad esempio, un’immobilizzazione è acquistata da un impresa in liquidazione a un prezzo singolarmente basso, sia rispetto a quello che si sarebbe potuto negoziare per un impianto simile con un impresa specializzata, sia rispetto al costo che si sarebbe dovuto sostenere se si fosse costruito in economia l’impianto in parola; in tal caso, il prezzo pagato non può essere preso come base per la valutazione del bene. Infatti procedere a una rivalutazione del cespite, in base al prezzo negoziabile con un’impresa produttrice o in base al costo di ricostruzione, e all’evidenziazione di una plusvalenza patrimoniale che costituisce un componente straordinario di reddito del periodo in cui l’operazione è stata compiuta. Se non si procedesse alla rivalutazione, negli esercizi successivi verrebbe falsata la rappresentazione economica dell’impresa perché verrebbero addossate modeste quote di ammortamento commisurate al valore di acquisto singolarmente basso27.

Analogo discorso può essere fatto per gli acquisti da una società del gruppo a un prezzo superiore o inferiore a quello “normale”. In tale ipotesi il prezzo dovrà essere confrontato con quello di mercato (se esiste) o con quello desumibile dal mercato di beni analoghi: se il prezzo pagato è superiore, esso non potrà essere capitalizzato per la differenza; se invece è inferiore, la dottrina non è concorde sulla possibilità o meno d’iscrivere il valore di mercato28. Ma il prezzo di acquisto dovrebbe essere confrontato non tanto con il valore di mercato del bene, quanto con il valore d’uso che esso ha per

25 Cfr. CNDC, Principio contabile n. 16. Le immobilizzazioni materiali, Giuffrè, Milano, 1996, pag. 26.

Nei casi in cui l’attività di costruzione in economia ha carattere occasionale è accettabile escludere dalla valutazione le spese generali di produzione.

26 È stato utilizzato il termine “può” e non “è”, poiché i casi analizzati suscitano, a volte, reazioni

contrastanti nella dottrina ragionieristica.

27 In tal senso V. Coda – G. Frattini, Valutazioni di bilancio, cit., pag. 37; F. Superti Furga, il bilancio di

esercizio italiano secondo la normativa europea, Giuffrè, Milano, 1991, pag. 116.

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l’impresa, poiché un prezzo di acquisto superiore a quello “normale” di scambio può comunque essere recuperato tramite i realizzi diretti e indiretti ottenibile con il cespite.

Un ampio spazio di manovra nella valutazione delle immobilizzazioni si ha nel caso in cui oggetto dello scambio è uno stabilimento completo di impianti, macchinari e attrezzature. Il prezzo che si forma in questo scambio deve scomporsi in tanti valori distinti da attribuirsi ai singoli beni, fermo restando che il periodo di ammortamento per tutti questi fattori è differente. Questa operazione di attribuzione può dar luogo a numerosi arbitrii29. La soluzione proponibile è quella di stimare il valore di scambio delle singole immobilizzazioni e confrontare poi la somma dei valori così determinati con il prezzo dell’intera unità economico-tecnica, per procedere, se necessario, a una riduzione/aumento proporzionale dei singoli valori.

In caso di apporto da parte dei soci, si possono verificare delle sopravvalutazione dei beni non sempre giustificate. Queste si determinano quando i soci vendono, con falsi atti, dei beni alla società e compensano poi il credito di prezzo con il debito di apporto. In tal modo si viene a determinare un annacquamento del capitale perché sono emesse azioni per un ammontare superiore rispetto al valore del bene apportato. La determinazione del valore dell’immobilizzazione costruite in economia può dar luogo a numerosi arbitrii e incertezze dovuti alla necessità di procedere a scissioni di costi comuni (ad esempio i costi indiretti o gli oneri finanziari). Come parametro di riferimento per giudicare il grado di attendibilità della valutazione, può essere preso il valore di mercato del bene (oltre che il generale limite del valore d’uso)30.

Infatti se l’impresa per produrre un bene in economia sostiene costi superiori a quelli che avrebbe sopportato acquistando il bene sul mercato, non può capitalizzare l’eccedenza che non rappresenta un “valore” ma solo una diseconomia nella produzione. In tal senso i costi di natura straordinaria, quali quelli relativi a scioperi, incendi, eventi connessi a calamità naturali (ad esempio alluvioni, terremoti) sostenuti durante la costruzione dei cespiti, non costituiscono costi capitalizzabili, bensì devono essere addebitati al conto economico31. Altri esempi in cui è possibile avere una valutazione scorretta sono quelli della permuta, dei beni pervenuti alla società a titolo gratuito e dell’acquisto agevolato da contributi pubblici a fondo perduto.

29 A questo proposito cfr. M. Caratozzolo, Il bilancio d’esercizio negli aspetti contabili e civilistici,

Buffetti, Roma, 1994, pag. 256.

30 Cfr. V. Voda – G. Frattini, Valutazioni di bilancio, cit. pag. 40. 31 Cfr. CNDC, Principio contabile n. 16…, cit., pag. 26.

(21)

Per quanto riguarda la permuta, spesso la valutazione del bene acquistato avviene al valore di libro del bene ceduto in permuta. Tale soluzione non è corretta quando il bene acquistato ha un valore di mercato o un valore d’uso sicuramente superiore o quando sia con sicurezza determinabile un costo di costruzione superiore. Infatti, valutando il bene acquistato al valore di libro del bene ceduto, non solo non si rileva la plusvalenza realizzata, ma si sottovaluta il bene acquistato con conseguente calcolo di ammortamenti ridotti negli esercizi successivi.

Per i beni pervenuti alla società a titolo gratuito o a prezzo simbolico, non è corretto omettere la loro iscrizione all’attivo. Tale iscrizione deve avvenire al prezzo di mercato (se esiste), o al presumibile prezzo di mercato che si sarebbe dovuto pagare per acquistare quel bene a titolo oneroso. Al di sotto di tale limite si potrà stare solo se a ciò induce la stima del valore di utilizzazione del bene32. In contropartita del valore iscritto nell’attivo, la dottrina è divisa fra l’iscrizione di un ricavo nel conto economico e l’iscrizione di una riserva nel netto.

Quando l’acquisto di un cespite è agevolato con contributi in conto capitale, si possono avere due modalità di rilevazione. Applicando la prima, l’immobilizzazione viene iscritta nell’attivo al lordo dei contributi, e su tale valore vengono calcolati gli ammortamenti. L’ammontare del contributo è iscritto al passivo come riserva di capitale. Tale contabilizzazione è reputata corretta in quanto il valore d’uso e il valore d’indiretto realizzo (entrambi parametri essenziali per valutare un cespite) non si riducono per il fatto che parte del prezzo sia pagato da un terzo.

La seconda impostazione prevede invece l’accreditamento del contributo al conto economico gradatamente, negli esercizi di vita utile dei cespiti. Questo accreditamento può essere realizzato secondo due diverse modalità:

a) Iscrivendo il cespite all’attivo al netto del contributo;

b) Portando il contributo in un fondo del passivo e accreditandolo, alla fine di

ogni periodo, al conto economico con lo stesso tasso utilizzato per l’ammortamento del cespite.

È evidente che entrambe le modalità conducono a un reddito superiore rispetto alla prima impostazione33.

32 M. Lacchini, Modelli teorico-contabili…, cit. pag. 143; G.E. Colombo, Il bilancio d’esercizio…, cit.,

pag. 160.

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Occorre precisare che il valore iniziale dell’immobilizzazione può essere successivamente aumentato tramite la capitalizzazione di spese di manutenzione straordinaria, ossia di spese che si “concretizzano in un incremento significativo e misurabile di capacità o di produttività o di sicurezza, ovvero prolunghino la vita utile dei vari cespiti”34. È evidente che anche in questo ambito possono verificarsi arbitrii e

incertezze. Capitalizzare spese che in realtà non incrementano il valore d’uso dell’immobilizzazione comporta una sopravvalutazione del reddito dell’esercizio in cui la spesa è effettuata e una sottovalutazione del reddito dei periodi successivi a causa delle maggiori quote di ammortamento.

B) Il calcolo della quota di ammortamento

Le immobilizzazioni sono costi comuni a più esercizi. La loro partecipazione al risultato economico può avvenire in due modi35:

1) In via ordinaria, tramite il calcolo della quota di ammortamento;

2) In via straordinaria, mediante svalutazioni e rivalutazioni, e mediante le

differenze finali di realizzo.

Ci soffermeremo essenzialmente sul primo punto.

L’ammortamento è il processo attraverso il quale si ripartisce il costo delle immobilizzazioni fra gli esercizi durante i quali esse vengono economicamente sfruttate. Se questa è la teoria più diffusa nella dottrina contabile36, non bisogna tuttavia trascurare che, “per gli effetti che comunque determina sui restanti costi da rinviare al futuro, l’ammortamento è un processo quanto meno indiretto di valutazione dei cespiti in oggetto”37. Il calcolo della quota di ammortamento viene svolto in base a un piano la cui redazione richiede la conoscenza di tre elementi:

1. il valore originario (corrisponde al valore iniziale del cespite dedotto il valore di

futuro realizzo diretto che spesso si presume pari a zero);

2. il periodo di ammortamento (coincidente con la vita economica e non fisica del

cespite);

3. i criteri di riparto (criterio funzionale, criterio basato sul trascorrere del tempo,

criterio fondato sui risultati d’esercizio,ecc.).

34 CNDC, Principio contabile n. 16…, cit., pag. 22.

35 A questo proposito cfr. M. Caratozzolo, Il bilancio d’esercizi…, pag. 261.

36 Cfr. E. Ardemani, La componente economico-aziendale del bilancio d’esercizio…,in AA.VV.. 37 G. Ferrero, La valutazione…, cit. pag.91

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la necessità di determinare numerose stime e congetture per il calcolo di questi tre parametri rende molto incerto l’ammontare della quota di ammortamento e molto ampia la discrezionalità tecnica dei redattori di bilancio. È quindi necessario tener ben presente la logica da seguire per arrivare a una valutazione corretta.

Nella scelta del criterio di riparto, si reputa qui corretto il principio funzionale, ossia quello che ipotizza una relazione diretta tra quota di ammortamento e grado di utilizzo del fattore produttivo. In tal modo le immobilizzazioni partecipano al calcolo del reddito in relazione al loro concorso nella produzione38. Una volta calcolata la quota di ammortamento, il valore dell’immobilizzazione alla fine di ogni esercizio è data dal residuo costo ammortizzabile che viene rinviato a carico degli esercizi successivi. Il valore così determinato è però solo di prima approssimazione. Infatti, ricordando quanto detto circa la logica di valutazione degli elementi dell’attivo, l’altro parametro da considerare è il presunto realizzo diretto e indiretto.

Generalmente si ipotizza che il valore di futura liquidazione del cespite sia pari a zero; pertanto il valore dell’immobilizzazione al termine dell’esercizio deve essere confrontato solo con il presunto realizzo indiretto. È, quindi, inattendibile un calcolo della quota di ammortamento (e di conseguenza un valore dell’immobilizzazione al termine dell’esercizio) che rinvia al futuro costi non reintegrabili attraverso i ricavi d’esercizio dei beni ottenibili con il concorso del cespite considerato39. Tutto ciò vuol dire che per le immobilizzazioni al costo può dirsi ragionevolmente accoglibile purchè sia inferiore ai realizzi indiretti che si presumono ottenibili durante il periodo di vita utile del cespite.

Risulta evidente che l’applicazione concreta di questo principio comporta notevoli difficoltà che possono però essere “aggirate” considerando tale criterio non come principale o addirittura esclusivo, ma come “necessario correttivo al criterio del costo passato e ai criteri di ammortamento”40. In altri termini, si tratta di procedere per

“approssimazioni successive a mano a mano che l’orizzonte estimativo offre significativi spunti di revisione per modificare il tracciato del cammino ancora da percorrere”41. Come conseguenza di quanto detto, non può dirsi economicamente corretta l’adozione di piani di ammortamento rigidi, ossia di piani che non vengono continuamente rivisti in relazione alle varie possibilità di utile impiego dei cespiti nel

38 Per questa concezione cfr. G. Frattini, Contabilità e bilancio, cit.,pag. 206. 39 In tal senso cfr. G. Ferrero, La valutazione…, cit., pag. 91.

40 G.E. Colombo, il bilancio d’esercizio…, cit., pag.132. 41 G. Ferrero, La valutazione…, cit. pag.168.

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lasso di tempo futuro42. La revisione dei piani, che può portare ad accelerazioni o decelerazioni degli ammortamenti, viene svolta tenendo presente, fra gli altri, i seguenti fattori: il logorio fisico del cespite; l’obsolescenza tecnologica che può far risultare superati determinati impianti ancorché nuovi; le politiche aziendali di manutenzione e rinnovo dei cespiti; le modalità di sfruttamento dell’impianto;le coordinazioni con le altre immobilizzazioni tecniche, perché l’eliminazione di una macchina o di un impianto implica sovente la soppressione di altre macchine con cui esiste un legame tecnico, anche se quest’ultime sono di recente acquisizione e in perfetta efficienza.

Tutti questi fattori riguardano, com’è evidente, la possibilità di un utile impiego del cespite nell’azienda. È molto importante stimare correttamente la vita utile di un bene per evitare di avere cespiti completamente ammortizzati ma ancora funzionanti o, al contrario, cespiti non più utilizzabili ma ancora da ammortizzare. Le considerazioni svolte sono solo di carattere generale e dovranno quindi essere adattate, di volta in volta, alle singole realtà aziendali. Se, ad esempio, un’impresa ha a disposizione un impianto tecnologicamente superato, ma gli operatori aziendali prevedono uno sviluppo nella vendita dei prodotti ottenibili da tale impianto, o prevedono di poterlo utilizzare convenientemente per altri tipi di produzione, non è necessario rettificare i criteri di ammortamento o procedere a una svalutazione del cespite.

In conclusione, si può affermare che analizzare i fattori che influenzano la vita utile delle immobilizzazioni vuol dire “percepire i vincoli che queste pongono alla gestione”. Da questi vincoli discendono nuovi programmi di gestione i quali, a loro volta, portano a una revisione dei piani di ammortamento. Quindi il valore di un’immobilizzazione non può essere considerato attendibile quando:

1. non c’è congruenza tra programmi di gestione e l’insieme dei vincoli

che limitano l’attività aziendale (ad esempio, in seguito a un mutamento nei gusti dei consumatori o a un mutamento nelle politiche legislative che rendono più pericolosa la concorrenza estera, l’impresa continua a seguire i programmi di gestione prestabiliti senza considerare l’impatto di queste novità);

2. non c’è coerenza tra ipotesi di gestione assunte43 (ossia i programmi

di gestione) e il calcolo della quota di ammortamento (ciò vuol dire che l’impresa rivede i programmi di gestione e, per esempio,

42 A tal proposito Cfr. V. Coda – G. Frattini, Valutazioni di bilancio, cit. pag. 59; 43 Cfr. F. Superti Furga, Reddito e capitale…, cit., pag.55.

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stabilisce che un impianto non può essere più convenientemente utilizzato; questo mutamento nella vita utile dell’impianto, però, non trova poi riflesso in una modifica dei criteri di ammortamento. Oppure l’impresa, in seguito a una più rigorosa politica di manutenzione delle immobilizzazioni, che potrebbe allungare la vita utile degli impianti, non modifica i criteri di ammortamento, ossia non decelera le quote di ammortamento rispetto agli esercizi precedenti).

Il rispetto delle coerenze previste nei punti precedenti consente di evitare che il calcolo degli ammortamenti avvenga sulla base di inaccettabili politiche di bilancio, politiche che hanno sempre finalità opposte rispetto a quella di una ragionevole determinazione del reddito prodotto nell’esercizio. La possibilità di apprezzare la coerenza con la congruenza dipende anche dall’analisi di informazioni di carattere qualitativo che non emergono dai documenti contabili (stato patrimoniale e conto economico). Tali informazioni, invece, devono essere presenti nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione44 che diventano quindi utili strumenti per apprezzare il

grado di attendibilità di un bilancio.

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2.3.2 I CREDITI

La corretta valutazione dei crediti presuppone, come per ogni elemento dell’attivo, l’individuazione di due parametri: il valore nominale (che equivale al costo storico delle immobilizzazioni tecniche) e il valore di presunto futuro realizzo attraverso la riscossione. Il principio della prudenza esige che si consideri il minor valore tra i due. Poiché il valore di presunto realizzo è normalmente inferiore al valore nominale, i crediti sono iscritti in bilancio a tale valore45. Formalmente ciò avviene tramite la

creazione di un fondo svalutazione crediti che deve rettificare (direttamente o indirettamente) l’importo nominale dei crediti. Al termine dell’esercizio, è necessario quindi stimare le cause che possono incidere negativamente sul valore di realizzo dei crediti.

Tali cause possono distinguersi in perdite presunte per insolvenza; decurtazioni derivanti da contestazioni in atto; sconti, abbuoni, premi di quantità; rettifiche di fatturazione e resi su vendite; spese di incasso e di recupero. Per le perdite presunte derivanti da insolvenza, l’indagine è condotta distinguendo i crediti per i quali sussistono fondati motivi di inesigibilità, parziale o totale, dai crediti apparentemente sani.

Per i primi, si procede ad una valutazione individuale stimando le presunte perdite in relazione a diversi fattori, fra i quali: l’esposizione complessiva del cliente (maggiore è l’esposizione più sono le probabilità che si verifichino delle perdite); la scadenza del credito (quanto più la scadenza del credito è trascorsa invano, tanto più aumentano i rischi d’insolvenza); la moralità commerciale del cliente che può essere apprezzata da diverse fonti riguardanti il tenore di vita del debitore, le sue abitudini, le persone che frequenta; la situazione economico-finanziaria del debitore che può essere accertata da informazioni confidenziali di istituti di credito, dal bollettino dei protesti, dal volume degli affari, e via dicendo; le garanzie che accompagnano il credito (maggiori sono le garanzie, minori sono le probabilità di perdita, anche se non è detto che scompaiano del tutto).

I crediti, per i quali al momento della redazione del bilancio non sussistono fondati motivi per una loro inesigibilità totale o parziale, possono essere oggetto di una

45 Cfr. G. Ferrero, La valutazione…, cit. pag.169; E. Santesso, Valutazioni di bilancio…, cit., pag. 100 e

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svalutazione globale che si basa sulle percentuali applicate in passato46, rettifiche, però, in relazione a nuovi elementi che si presume influiranno in futuro sulle perdite. Tali elementi fanno riferimento alle condizioni economiche generali o particolari del settore o del paese al quale appartengono i debitori, alle politiche commerciali adottate dall’impresa creditrice (maggiore o minore selezione della clientela) e alla sua situazione economico-finanziaria.

Il calcolo della percentuale globale di svalutazione viene facilitato classificando i crediti secondo vari criteri: le zone in cui operano i debitori, l’attività svolta, le garanzie che assistono il credito, e così via. Altri fattori, oltre alle perdite per insolvenza, che possono determinare una decurtazione del credito sono le contestazioni sollevate dal cliente (in ordine alla fornitura o al tempo e luogo di consegna) o che si presume solleverà nel periodo durante il quale il prodotto è in garanzia. Vi possono poi essere rettifiche di fatturazione o resi su vendite dovute a merci difettose, prodotti eccedenti le ordinazioni, errori di conteggio nelle fatture, differenze di qualità, ritardi nelle consegne e via dicendo. Gli sconti, abbuoni e premi di quantità sono legati a diversi fattori tra i quali le abitudini della clientela, la continuità degli affari intrattenuti con essa, le politiche di vendita dell’ impresa.

Vista la molteplicità di fattori che possono determinare le perdite su crediti, è facile comprendere quanto sia ampio il potere discrezionale dei redattori del bilancio nella determinazione della percentuale di svalutazione47. La valutazione dei crediti potrà spaziare dal valore nominale(nell’ipotesi di sicura realizzazione integrale) a zero ( nell’ipotesi di perdita totale del credito), e non è oggettivamente possibile individuare la percentuale di svalutazione corretta da associare ad ogni specifica situazione di rischio.

La determinazione del presunto realizzo dei crediti risulta inattendibile se le ipotesi di gestione adottate (ipotesi che sono alla base del procedimento valutativo) non sono credibili48 o se non vi è correttezza nella determinazione delle stime. Ciò vuol dire

che le ipotesi adottate non sono coerenti con il sistema economico in cui opera l’azienda, ossia con il sistema di vincoli esistenti al momento in cui il bilancio è redatto (ad esempio l’impresa ipotizza di poter riscuotere integralmente dei crediti verso soggetti che operano in settori da lungo tempo in crisi); oppure, pur essendo presente questa “coerenza esterna”, manca la “coerenza interna” tra le ipotesi di gestione assunte

46 Cfr. L. Marchi – S. Marasca, Il bilancio…, cit., pagg.131-133; cfr. A. Di Carlo, I crediti di

funzionamento nel bilancio di esercizio delle imprese , Cedam, Padova, 1987, pagg. 64-68.

47 Cfr. G. E. Colombo, Il bilancio…, in G. E. Colombo – G. B. Portale, Trattato…, cit., pag. 317. 48 G. Ferrero, La valutazione…, cit. pag.29

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e i valori stimati (ad esempio l’impresa, per incrementare le vendite in un periodo di recessione economica, decide di adottare una politica commerciale meno selettiva verso la clientela.

La valutazione dei crediti non potrà considerarsi attendibile se l’impresa non rivede, alla luce di questi cambiamenti, le percentuali di svalutazione precedentemente adottate. Un altro esempio può essere dato dal caso in cui l’impresa, alla luce della crisi di un certo settore economico, prende atto delle difficoltà di riscossione di determinati crediti, ma effettua uno stanziamento al fondo svalutazione in maniera inadeguata).

Appare quindi chiaro come sia sicuramente scorretto calcolare in ogni esercizio la stessa percentuale di svalutazione o, peggio ancora, adeguare tale svalutazione al massimo fiscalmente deducibile, senza considerare le diverse condizioni d’impresa (se l’impresa si trova ad affrontare pressanti difficoltà finanziarie o deve mantenere un determinato volume di fatturato, le perdite nella riscossione dei crediti potranno raggiungere livelli notevoli) e di ambiente che si presume esisteranno al momento della riscossione dei crediti. Per esempio, nei periodi di stasi dell’economia generale o di difficoltà dell’impresa, le perdite per abbuoni, sconti, premi di quantità crescono di molto perché tali strumenti vengono usati come mezzi per incrementare le vendite.

Altrettanto scorretto è mantenere in bilancio dei crediti che sono di impossibile realizzo, come quelli verso un cliente fallito e nei cui confronti non esistono prospettive di riparto49. L’incertezza nella determinazione delle perdite su crediti deve, in ogni caso, far applicare criteri di svalutazione prudenziali, da cui dovranno scaturire valori adeguati ma non eccessivi. Sicuramente inaccettabile è utilizzare il fondo svalutazione crediti per distribuire le perdite su crediti nei vari esercizi al fine di stabilizzare i redditi. Tale obiettivo è contrario ai postulati del bilancio d’esercizio. Problemi particolari dovranno essere affrontati nella valutazione dei:

1. crediti a media e lunga scadenza;

2. crediti in moneta non di conto.

1. Crediti a media e lunga scadenza

I crediti a medio e lungo termine non produttivi di interesse non possono essere iscritti in bilancio al valore nominale perché in tale ipotesi la rappresentazione della

49 Se invece il cliente è ammesso ad una procedura di amministrazione controllata la valutazione è più

complessa perché, stante le prospettive di risanamento cui mira tale procedura, non è detto che si avrà una perdita totale del credito.

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realtà aziendale non potrebbe considerarsi attendibile. Infatti sarebbe violato il principio della competenza e della prudenza perché gli interessi impliciti, incorporati in tali crediti, verrebbero per intero imputati all’esercizio in chiusura. È necessario, pertanto, procedere all’attualizzazione del credito, scorporando l’interesse implicito e sospendendolo nella misura in cui non competa all’esercizio corrente. Formalmente ciò avviene sottraendo ai ricavi che hanno originato il credito l’importo degli interessi di competenza di futuri esercizi50.

2. Crediti in valuta estera

La determinazione del presunto valore di realizzo dei crediti in moneta estera richiede di considerare i rischi insiti nelle oscillazioni dei cambi. Il rischio di cambio non sussiste quando l’impresa ha predisposto tecniche adeguate per la sua copertura o quando l’impresa vanta debiti e crediti nella stessa valuta e con scadenze simili. Trascurare il rischio di cambio, e mantenere in bilancio i crediti al corso del giorno in cui è avvenuta l’operazione, conduce ad una rappresentazione non corretta della situazione aziendale.

Una corretta valutazione, invece, richiederebbe la stima del presumibile cambio di conversione all’epoca in cui si procederà all’incasso. Le difficoltà di prevedere l’andamento dei corsi dei cambi, però, rendono spesso impossibile la stima di tale valore, e pertanto si ricorre al cambio di fine esercizio.

50 Per un analisi dettagliata cft. E. Santesso – V. Sòstero, I principi contabili…, cit., pag. 513-519; CNDC,

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2.3.3 LE RIMANENZE

Le rimanenze d’esercizio sono l’espressione di operazioni e processi produttivi in corso di svolgimento al termine del periodo amministrativo51. Rappresentano pertanto valori economici comuni a due esercizi. Per la loro valutazione si pone, di conseguenza, il problema di scindere valori comuni all’esercizio che si chiude e a quello successivo. Le rimanenze sono delle quantità congetturate e a causa di questa loro natura, si prestano spesso a operazioni fuorvianti di sopravvalutazione (per anticipare dei profitti o posticipare delle perdite) o di sottovalutazioni (per posticipare dei profitti o anticipare delle perdite) che possono compromettere l’attendibilità del bilancio. È necessario, quindi, chiarire i principi da seguire per giungere ad una valutazione economicamente corretta di tali elementi patrimoniali.

Il problema delle valutazioni delle rimanenze può essere concepito o come rinvio agli esercizi futuri di costi sostenuti in passato, o come anticipazione di ricavi di vendita futuri, o come scissione tra l’esercizio in chiusura e quello successivo di risultati economici in corso di formazione. Dal punto di vista teorico, quest’ultima soluzione deve essere considerata la più valida perché esprime meglio l’essenza delle rimanenze come operazioni e processi produttivi posti a cavallo di due esercizi52.

I parametri da considerare per la valutazione delle rimanenze sono tre: 1. i costi o le quote di costi già sostenuti imputabili alle rimanenze considerate;

2. i costi o le quote di costi ancora da sostenere;

3. i ricavi prevedibili al momento in cui saranno ultimate le operazioni cui le

rimanenze si riferiscono.

Questi parametri richiedono sia la scissione di valori comuni (congetture), sia la stima di valori futuri (costi e ricavi presunti). Il margine che si ottiene dalla somma algebrica dei tre parametri visti sopra è di competenza dell’esercizio che si chiude e di quello successivo. Perciò il valore delle rimanenze va determinato in una misura compresa tra i ricavi presunti futuri (al netto dei costi di futuro sostenimento) e i costi sostenuti, tale da operare una ragionata scissione del suddetto margine fra i due esercizi consecutivi.

51 “Le rimanenze rappresentano i nessi più evidenti tra due esercizi successivi e costituiscono perciò un

importante elemento conoscitivo della continuità della gestione solo artificialmente interrotta dalla suddivisione in periodi amministrativi” (F. Superti Furga, Il bilancio di esercizio…, cit., pag.174).

Riferimenti

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