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gioielli

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Libro proverbi bozza 4_Layout 8x12 25/11/13 11.53 Pagina 1

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Collana Gioielli 3

Direttore editoriale Mario Bottaro Redazione Catia Fabiani

Progetto grafico e impaginazione Redazione srl

Grazie al professor Franco Bampi per la revisione della grafia della lingua genovese.

Grazie alla Ditta Radif per il disegno del “ragno genovese”.

Prima edizione: dicembre 2013 Tutti i diritti riservati

© Redazione srl

Via dei Santi Giacomo e Filippo 19/6 16122 Genova

info@e-redazione.it www.e-redazione.it ISBN 978-88-95470-55-9

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Pe stâ bén

La salute

nei proverbi genovesi

A cura di

Francesco Berti Riboli e Mario Bottaro

disegni di Luca Bertolotti

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Introduzione

Iproverbi incarnano una sorta di oracolo popolare o, forse meglio, sono una sen- tenza nata dall’esperienza. Raramente un proverbio ha un autore (o, meglio, lo ha sen- z’altro avuto, ma la storia non si è occupata di tramandarne il nome): quel motto viene dal sentire comune e in genere è diventato

“legge” senza passare per la letteratura.

Esiste in genovese un “proverbio sui pro- verbi” che spiega questa origine: “I pro- vèrbi chi i fa, o l’à provae” (Chi fa i proverbi li ha provati). Ma è anche vero che alcune massime non sono nate dalla cultura di strada, ma da scrittori che hanno costruito – utilizzando un linguaggio, diciamo così,

“basso” – l’interpretazione della realtà, pro- ponendola agli altri. E spesso frasi della letteratura sono diventate proverbi o modi di dire.

Esiste anche una scienza, la paremiologia, 5

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che studia questo argomento: le sue origini sono antichissime, tanto da avere riscontri persino nella Bibbia.

Di che cosa parlano i proverbi? Della vita quotidiana. Sono sintesi di storie bizzarre o trasformazioni in prosa (o in rima) di abitudini, fatti ripetitivi, esperienze, superstizioni popo- lari. Far collezione di proverbi significa pro- vare a mettere assieme una sorta di decalogo di leggi (qualche volta contradditto- rie tra di loro: ma capita anche alle leggi della giustizia di esserlo…) che la cultura popolare ha proposto al futuro. Per quanto riguarda il dialetto genovese, grandi e attenti “collezio- nisti” sono stati Vito Elio Petrucci e Ivana e Nelio Ferrando e, in tempi più recenti, Franco Bampi: siamo tributari soprattutto al loro la- voro per questa piccola pubblicazione.

Gli studiosi dividono i proverbi tra normativi e constatativi. I primi definiscono una serie di comportamenti da seguire per ottenere l’ap- provazione sociale (in pratica sono stereotipi rappresentativi), i secondi nascono dall’espe- rienza di vita diretta e spesso denunciano

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l’invito alla rassegnazione, pur vista attra- verso l’occhialino dell’ironia o del sarcasmo.

Ed è noto come il sarcasmo, qualche volta rassegnato, qualche volta “arrabbiato”, sia uno dei tratti culturali salienti del linguag- gio popolare genovese. In questo libriccino lo si vedrà molto spesso. Anche perché qui proponiamo – magari un po' “alla larga” – i proverbi legati alla salute e al rapporto della gente con i medici e la medicina: e il sarcasmo, si sa, a volte serve anche per esorcizzare le paure (delle malattie, del di- sastro economico, del fallimento matrimo- niale, eccetera).

Le massime legate alla salute tramandate dalla tradizione genovese sono molte e quasi sempre un po’ crudeli. Quelle propo- ste in questo volumetto hanno una caratte- ristica: abbiamo scelto di non elencare i moltissimi detti che trattano (o citano) la fine della vita. In un libro pubblicato in vista del Natale, non ci sembrava – diciamo così – carino inserire frasi senza dubbio inconte- stabili come “A mòrte a no veu scûze” o “A

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sò ôa a vén pe tùtti”, né una massima di al- trettanto indubbia veridicità come “I despia- xei ammassan l’ommo”. E, a questo punto, sullo stesso filo logico, abbiamo ignorato anche il notissimo “Âia de fesûa, âia de se- portûa” (tradotto liberamente: Gli spifferi possono far male alla salute).

Abbiamo in sostanza preferito puntare sui proverbi che danno indicazioni su come pro- vare a vivere bene e su quelli che – ancora sarcasmo – irridono un po’ medici e medi- cina e risolvono alla buona i problemi del corpo umano. Trattando di salute abbiamo scelto, anche, le massime legate al “benes- sere” (ovviamente visto dal popolo) come quel “A mêgio mêxìnn-a a l’é o decòtto de cantìnn-a” (La miglior medicina è il vino), che dal punto di vista sanitario offre lo spunto a qualche perplessità, o consigli forse banali ma nati dal buon senso, come

“Chi veu stâ bén pìgge o móndo cómm’o vén” (Chi vuol stare bene prenda il mondo come viene). C’è forse qualche apparente forzatura – si noti “Chi bèlla veu divegnî

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quarcösa à da sofrî” (Chi vuole diventare bella deve soffrire qualcosa) – di dubbia in- terpretazione, ma che ci sembrava potesse essere assimilabile alla chirurgia estetica, o detti teneramente ovvi, ma nati dall’osser- vazione popolare, come “Carne chi crésce no peu stâ ch’a no mésce” (ancora libera- mente: I bambini devono essere liberi di muoversi).

Insomma, il tema è sì quello della salute e del benessere, visto attraverso la saggezza (o presunta tale) popolare, ma con qualche piccola libertà e qualche ricercata omis- sione. Il fine è far sorridere e, in alcuni casi, come per il proverbio proposto in apertura, far riflettere.

Nota 1: la grafia utilizzata è la grafîa ofiçiâ (www.ze- neize.net/grafia/index.htm) dell’Académia Ligùstica do Brénno. Grazie al professor Franco Bampi per la paziente e accurata revisione.

Nota 2: ad accompagnare i proverbi è il “ragno ge- novese” delle antiche cercamiche liguri, ancora oggi utilizzato, in particolare, dalla duecentenaria Ditta Radif per l’oggettistica di pregio.

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A dottrìnn-a sénsa bontæ a no sèrve ne pe-i pöchi ne pe-i asæ

La dottrina senza bontà non serve né ai pochi né ai tanti

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A-a giornâ d'ancheu fa o dotô

finn-a i peteu

Al giorno d'oggi fanno i dottori persino i piscialetto

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A-e dònne,

quànde stàn bén, ghe fa mâ a tésta

Alle donne,

quando stanno bene, duole la testa

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Ægua câda e serveçiâ, fàn goarî qualónque mâ

Acqua calda e clistere fan guarire

qualunque male

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A fàmme e o fréido fàn vegnî

o pelàmme néigro

Fame e freddo

fan diventare la pelle nera

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A léngoa a côre dónde o dénte o dêue

La lingua batte dove duole il dente

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Pànsa pìnn-a veu ripözo

La pancia piena deve riposare

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A töa no s'invegìsce, ma chi ghe sta tròppo s'inbecilìsce

A tavola non s'invecchia ma chi ci sta troppo s'incretinisce

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A salûte no gh'é dinæ da poéila pagâ

Non ci sono soldi per pagare la salute

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A salûte sénsa dinæ a l’é

‘na mêza moutîa

La salute senza i soldi è una mezza malattia

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Bezéugna mangiâ pe vîve,

no vîve pe mangiâ

Si deve mangiare per vivere, non vivere per mangiare

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Càrne chi crésce no peu stâ ch'a no mésce

I bambini

si devono muovere

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Çercâ o mâ cómme i mêghi

Cercare il male come i medici

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Chi bella veu divegnî quarcösa à da sofrî

Chi bella vuol diventare, qualcosa deve soffrire

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Chi scàmpa, s’alêva

Chi sopravvive, cresce

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Chi veu stâ sàn, pìsce spésso cómme o càn

Chi vuole essere sano, pisci spesso come il cane

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Chi veu stâ sàn e bén pìgge o móndo

cómm’o vén

Chi vuole stare sano e bene prenda il mondo come viene

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Chi veu vîve e stâ sàn da-i parénti

stàgghe lontàn

Chi vuol vivere e star sano, dai parenti stia lontano

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Chi veu vîve sàn e nétto se desbaràsse

prìmma d’andâ in létto

Chi vuol vivere sano e pulito si sbarazzi

prima di andare a letto

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Chi à moæ, à mêgo

Chi ha madre ha medico

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De ciù de vêgi no se peu divegnî

Più che vecchi non si può diventare

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De sêi méixi asetæ, de nêuve arenbæ, de ‘n ànno vàn, segóndo a màmma che àn

A sei mesi seduti, a nove appoggiati, a un anno camminano, secondo la mamma che hanno

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Diêta e poliscîa goarìsce qualónque malatîa

Dieta e pulizia

guariscono qualsiasi malattia

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Dónde mànca e fòrse crésce a voentæ

Quando mancano le forze cresce la volontà

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Dónde brûxa se ghe frétta

Dove brucia, ci si frega

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Fêua o dénte, fêua o dô

Via il dente, via il dolore

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Frêve tersànn-a, cû maròtto e bócca sànn-a

Febbre terzana,

culo malato e bocca sana

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I càlli di âtri, no dêuan

I calli altrui non fanno male

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I cöi rescâdæ fàn doî de pànsa

I cavoli riscaldati

provocano dolori di pancia

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I sbàgli di mêghi l'ascónde a tæra, quélli di rìcchi i dinæ

Gli errori dei medici li nasconde la terra, quelli dei ricchi li nasconde il denaro

Se o maròtto o goarìsce,

o mêgo o l’é brâvo, s’o sccéuppa, pêzo pe lê

Se il malato guarisce, il medico è bravo, se scoppia peggio per lui

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In létto, o vegétto, s’o no dòrme o pösa l’òsétto

A letto, il vecchietto, se non dorme riposa le ossa

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L'amô e a tóssa no se pêuan ascónde (no pêuan stâ covèrti) (se fàn présto

conósce)

L'amore e la tosse

non si possono nascondere

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L'ægoa do mâ a fa sànn-a a càrne inciagâ

L'acqua di mare risana le piaghe

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L'é mêgio

’n dô de stàcca che ’n dô de cheu

È meglio un dolore di tasca che un dolore di cuore

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Libera ciû ’n pétto che ’n ezèrcito de sordàtti

Libera più un peto che un esercito di soldati

Trónba de cû, sanitæ de còrpo

Liberarsi dall'aria attraverso una flatulenza fa bene

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Mêgio suâ che tremâ

Meglio sudare che tremare

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No tùtta a gràscia a l'é indiçio de salûte

Non tutto il grasso è indizio di salute

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O læte o fâ vegnî e scciàppe do cû bén fæte

Il latte fa venire un bel sedere

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O mêgo o va e o vén, e chi à o mâ

sò-u ten

Il medico va e viene e chi ha il male se lo tiene

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O mêgo pietôzo o fa vegnî

o bràsso cancrenôzo

Il medico pietoso fa venire il braccio cancrenoso

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O rîe

o fa bón sàngoe

Ridere fa buon sangue

O sàngoe inte vénn-e ghe l’émmo tùtti

Il sangue nelle vene lo abbiamo tutti

O sàngoe o no l’é ægoa

Il sangue non è acqua

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O vìn bón

o fa bón sàngoe

Il vino buono fa buon sangue

A mêgio mêxìnn-a a l'é o decòtto de cantìnn-a

La miglior medicina è il "decotto" di cantina

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Pànsa in revoluçión, són corrézze

de sànta raxón

Con la pancia in rivoluzione, c'è una sinfonia di peti

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Pe-o mâ de tésta:

mangiâ;

pe-o mâ de pànsa:

cagâ

Per il mal di testa: mangiare, per il mal di pancia:

andare di corpo

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Pìscia ciæo

e incâghite do mêgo

Piscia chiaro e fregatene del medico

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Scialàppa e scammonêa,

a se pìggia a-a matìn e a travàggia a-a séia

Scialappa e scammonea, si prendono al mattino e funzionano la sera

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Se a-a séia ti màngi cómme

’n tréuggio, a-a néutte

no ti strénzi l'éuggio

Se la sera mangi come un trogolo, di notte non chiudi occhio

Se tànto se sta a töa, o digerî o vén ’na föa

Se state tanto a tavola, digerire diventa una favola

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Sénpre bén no se peu stâ

Sempre bene non si può stare

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Se ti veu goarî bén, têgni o bràsso a-o còllo

e a gànba in létto

Se vuoi guarire bene, tieni il braccio al collo e la gamba a letto

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Tùtto s’acomòdda fêua che l’òsso do còllo

Tutto s’aggiusta, tranne l’osso del collo

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In pàsto bón e l’âtro mezàn, o mantêgne l’òmmo sàn

Un pasto buono e l’altro a metà

mantengono l’uomo sano

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Vónzi e fréiga pöca bréiga,

ti goaiæ se ti porriæ

Ungi e frega poca briga, guarirai se potrai

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Bibliografia essenziale

F. Bampi, Proverbi genovesi, Ligurpress, Genova, 2012

G. Casaccia, Vocabolario Genovese-Italiano, F.lli Pagano, Genova, 1854

I. e N. Ferrando, …Da-o tempo ciû lontan, Sagep, Genova, 1967

V. E. Petrucci, Proverbi genovesi, Scheiwiller, Milano, 1972 / Il Sileno, Genova, 1977 V. E Petrucci, Altri proverbi genovesi, Scheiwiller, Milano, 1972 / Il Sileno, Genova, 1977

V. E. Petrucci, Ancora proverbi genovesi, Il Sileno, Genova, 1977

V. E. Petrucci, Proverbi liguri. Pregi & difetti, Pirella, Genova, 1988

V. E. Petrucci, Antichi proverbi genovesi, in P. A.

Paganini, Vocabolario domestico genovese ita- liano, De Ferrari, Genova, 2000

M. Staglieno, Proverbi genovesi, A. Forni, Bologna, 1976 (ristampa anastatica dell’edizione di G.F. Gar- barino, Genova, 1869)

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Stampato dalle Arti Grafiche Giuseppe Lang per conto di Redazione srl

Genova, dicembre 2013

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