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2. Lo zuccherificio di Ceggia

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2. Lo zuccherificio di Ceggia

Prima di introdurre le vicende dello zuccherificio di Ceggia, ho ritenuto opportuno raccontare per sommi capi la storia della cittadina, dalle sue origini fino ai primi decenni del XIX, e descrivere il suo sistema territoriale, al fine di collocare più precisamente la nascita dello zuccherificio. In particolare, un capitolo è dedicato all'opera di bonifica attuata nel comprensorio del Basso Piave, a cui appartiene Ceggia. In questi terreni, sottoposti all'azione di risanamento idraulico, la barbabietola trovò le condizioni migliori di sviluppo, perché adatta a crescere in maniera ottimale in terreni alluvionali, soggetti a lavorazioni profonde. La modernità dei metodi di lavorazione permise di ottenere ottimi risultati, sia da un punto vista qualitativo, che quantitativo; la barbabietola divenne presto il più rapido e proficuo fattore di valorizzazione delle terre di recente bonifica. La zona in questione diventò in breve tempo la migliore area bieticola italiana e data la facilità di approvvigionamento della materia prima fu scelta per la costruzione dello zuccherificio.

2.1. Ceggia: la storia e il suo territorio

Lo zuccherificio sorge a Ceggia, un comune in provincia di Venezia, situato tra il capoluogo regionale e la città di Portogruaro; il Comune è servito dalla strada statale triestina n.14 della Venezia Giulia, dalla strada provinciale n. 58 e dalla ferrovia, nel tratto che va da San Donà di Piave a Portogruaro.

Ceggia appartiene al sistema territoriale del Basso Piave, termine con cui si intente il territorio compreso tra i comuni di Jesolo, Musile di Piave, Fossalta di Piave, Noventa di Piave, Torre di Mosto, Eraclea, San Donà di Piave e Ceggia. Il territorio del Basso Piave si sviluppa tra il corso di due fiumi: il Livenza e il Piave, quest'ultimo, in particolare, è stato interessato, nel corso dei millenni, da numerose tracimazioni che hanno determinato il carattere paludoso di tutta l'area geografica circostante604.

604

Il territorio collocato tra il corso dei fiumi Livenza e Piave Vecchia (Piave) anticamente era il bacino paludoso, geograficamente riconosciuto come antico “Lago della Piave”. Il territorio del Basso Piave si formò proprio in questa zona, interessata dal trascinamento a valle dei detriti portati dai due fiumi sopra menzionati. Questo fenomeno determinò, in prossimità della linea di costa, il formarsi di dune e barene. Queste barriere

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Ceggia si trova esattamente al limite tra le terre emerse, dette anche terre “alte”, e le paludi, posizione da cui sembra derivare l'origine latina del nome, cilium (ciglio), ad indicare la sua posizione di frontiera605. La distinzione tra terre emerse e terre paludose è tuttora leggibile nel

territorio comunale, diviso, dalla via Annia all'epoca del dominio romano e, dalla via statale Triestina oggi, in due conformazioni territoriali e paesaggistiche assai diverse. A nord, in direzione di Treviso, le terre emerse, quelle più densamente abitate, caratterizzate dalle tracce dell'antica centuriazione romana606e dal vecchio assetto agricolo, formato dalle ville dei nobili

veneziani; a sud, le terre paludose, caratterizzate dai campi aperti del tipico paesaggio della pianura veneta e oggetto delle grandi trasformazioni delle bonifiche, nonché, dell'industrializzazione dell'agricoltura607.

naturali impedivano l'entrata dell'acqua salata dal mare verso i terreni interni e, allo stesso tempo, l'uscita delle acque dolci dei fiumi e il deflusso dei loro detriti verso il mare, determinando la formazione e il deposito di sedimenti. Il Basso Piave, che per buona parte è situato sotto il livello del mare, corrisponde, quindi, ad aree che un tempo erano paludose, e che in seguito furono bonificate dall'uomo, in S. Padovan, A. Patti, M.G. Simonetto, Il Basso Piave. Paesaggi, sapori e tradizioni. Guida turistica e culturale del Basso Piave, Progetto Tekne, 2010, p. 7.

605

Ivi, p. 12. Secondo un'altra fonte, la tradizione farebbe derivare il nome Ceggia dal latino cilia maris, ovvero cigli, ad indicare le rive del mare, in Documento preliminare, Piano di assetto del territorio, Comune di Ceggia (adottato con D.G.C. n.94 del 04 Dicembre 2007, approvato con D.G.C n. 78 del 12 Agosto 2008), disponibile all'indirizzo: http://www.confindustria.venezia.it/nordestimpresa%5CGuideSchede.nsf/weblink/310c1? OpenDocument, p. 6. Un'altra ipotesi riguardo l'origine etimologica del nome è quella che lo fa derivare dal latino cilium (ciglio) per il fatto che il paese si trovava sul “ciglio” del fitto bosco di querce che anticamente ricopriva tutto il territorio della zona, in A. Mariani, Il 57° gruppo intercettatori teleguidati, Ceggia (Ve), 1991, p. 25.

606

I Romani intervennero nel territorio a nord-est di Ceggia, modificandone radicalmente l'aspetto, con due grandi interventi: l'opera agrimensoria a sud di Oderzo e la sistemazione e prosecuzione dei tracciati di navigazione interna iniziati dagli Etruschi. Per mezzo della fotografia aerea sono state rilevate tracce dell'antica sistemazione idraulico-agraria nella zona tra Ceggia e Staffolo (frazione del comune di Torre di Mozzo). Tale centuriazione sembra risalire all'89 a.C, quando Oderzo in seguito alla guerra sociale, ottenne la cittadinanza di diritto latino, divenendo poi municipium romano. Il decumano massimo di questa centuriazione si troverebbe sulla linea Oderzo- Ceggia, mentre l'ultimo cardo meridionale lungo la linea Ceggia-San Donà, in F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, Trasformazioni nel paesaggio agrario e industriale di una terra di confine. Ceggia, terra al limite tra il dolce e il salso, I parte, anno 2004 Progetto di educazione ambientale per Ceggia, Centro Internazionale Civiltà dell'Acqua Onlus, Mogliano Veneto (Tv).

607

“Se nelle zone “alte”, esenti dal ristagno delle acque, l'agricoltura nei secoli si era mantenuta viva secondo le possibilità dei sistemi produttivi e delle condizioni economici-sociali, in quelle inferiori, dopo la bonifica del territorio, si progettarono e si studiarono le nuove colture produttive: avena, frumento e trifoglio e poi la barbabietola trovò le condizioni migliori di sviluppo perché atta a crescere in maniera ottimale proprio in terreni alluvionali, freschi e assoggettati a lavori profondi”, in Documento preliminare Piano di assetto del territorio, op. cit., p. 7.

(3)

Il centro urbano è attraversato dal canale Piavon608, un corso d'acqua che attualmente scorre

per gran parte all'interno di un antico alveo del Piave609 e che per secoli ha costituito un

importante mezzo di comunicazione dall'interno verso la laguna, consentendo agli abitanti notevoli scambi commerciali.

I numerosi reperti (anfore, suppellettili, monete) rinvenuti nella zona, la via consolare Annia610

e i resti del ponte611, che si trovava lungo il suo percorso, testimoniano la presenza di un antico

insediamento di origine romana. I primi contatti tra i romani e i veneti si ebbero nel III secolo a.C, mentre nel 186 a.C la regione venne inglobata completamente nell'impero romano, come decima regione. La via Annia rappresentò un punto di riferimento per tutta la campagna circostante: creò i primi rapporti tra gli insediamenti già presenti sul territorio e favorì gli scambi commerciali. La strada, nel corso del tempo, subì varianti e modifiche al suo percorso e rimase in uso fino al X secolo, quando le disastrose alluvioni e le invasioni barbariche, che colpirono questo territorio, ne segnarono la fine.

Con l'avvento delle invasioni barbariche e il crollo dell'impero romano (476 d.C) cominciò così un lento abbandono e spopolamento di queste terre612; all'opera di distruzione compiuta

dai popoli barbari si aggiunse anche l'azione di alcuni fenomeni idrologici che provocarono notevoli disordini ambientali, come l'alluvione del 589613 d.C, che causò il cambiamento del

608

Il tracciato del canale Piavon ha origine ad Oderzo (Tv) e sfocia nel mare Adriatico all'altezza di Porto Santa Margherita, presso Caorle. Il canale costituiva una naturale via di comunicazione tra Oderzo e il mare, ciò fece di questi territori la meta preferita della nobiltà veneziana, quale luogo di villeggiatura idoneo per la costruzione delle loro ville, in Documento preliminare Piano di assetto del territorio, Ivi, pp. 11-12.

609

“Il fatto che il Piavon fosse un ramo morto del Piave è attestato, oltre che da antichi documenti (dove il Piavon è chiamato Plave sicca, Plavicella, Plagiane), anche dai depositi fluviali a Piavon e da frammenti di argini tuttora esistenti nella località Ronche, Ivi, p. 12.

610

La strada romana partiva da Adria e percorrendo l'intero arco adriatico arrivava fino ad Aquileia. Per quanto riguarda la datazione gli storici sono ancora in dubbio: alcuni sostengono sia stata costruita nel 153 a.C. dal console T. Annio Lusco, poiché la data era vicina a quella della fondazione della colonia di Aquileia e della penetrazione romana nel territorio dei veneti; altri ritengono che sia stata costruita nel 131 a.C dal console T. Annio Rufo, contemporaneamente alla costruzione della via Popillia, che collegava Adria con Rimini, in F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, op. cit.

611

Il ponte romano (I secolo d.C) fu costruito per attraversare il canale Piavon. I suoi resti, in particolare, le fondamenta in arenaria, i piloni e le due testate, sono venuti alla luce nel 1948, in “Documento preliminare, Piano di assetto del territorio...”, op. cit., p. 5.

612

“L'arrivo dei barbari e soprattutto dei Longobardi provocò, con la distruzione di mote città romane, tra cui Oderzo e Altino, anche vaste migrazioni di abitanti verso i litorali ancora controllati dai bizantini e, un progressivo deterioramento delle strutture viarie e agricole organizzate dai romani”, in F. Cellotto, P. Frasson, Ceggia immagini ritrovate, Venezia, Tipografia Sagittaria, 1997, p. 11.

613

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corso di alcuni fiumi614. Con la conquista dell'Italia ad opera dei longobardi615 e la divisione

della penisola in due parti, regno longobardo e regno bizantino, il territorio in cui sorgeva Ceggia sembra si trovasse all'interno dei confini barbari616, caratterizzato da un'economia

primitiva e senza nessuna forma di commercio e in un totale stato di abbandono. In seguito alla discesa in Italia di Carlo Magno e alla capitolazione del regno longobardo (774 d.C), i territori dell'entroterra, compresi quelli di Ceggia, precedentemente dominati dai barbari, passarono sotto il dominio imperiale; mentre quelli verso il mare passarono alla repubblica veneziana. Alla fine del X secolo, in seguito ad una donazione imperiale617, la Pieve di Oderzo

con tutto ciò che era abbracciato dal Piave e dalla Livenza, fino alle paludi e al mare618, quindi

anche il territorio di Ceggia, divennero feudo del vescovo di Ceneda (oggi Vittorio Veneto). Con l'inizio del basso medioevo, il borgo di Ceggia acquistò maggiore importanza e interesse, soprattutto per la caratteristica, indicata dal suo nome, di trovarsi su un ciglio di terra più alto rispetto al livello delle paludi. È probabile che il borgo di Cegla619 (Ceggia), sia sorto intorno

al XII secolo, nei pressi di un passaggio doganale, detto palada620, di proprietà del comune di

Treviso, posto sulla foce del Piavon, che aveva lo scopo di controllare le merci che transitavano dalla Marca Trevigiana fino a Venezia e viceversa. Nel 1317621, il vescovo di

Ceneda cedette Ceggia ai Da Camino622, signori di Treviso, che ne mantennero la proprietà

614

“Fu probabilmente in quest'occasione, o comunque in questo periodo di disordini idrologici, che il Piave spostò il suo corso verso Levante formando vari rami di foce, perdendo comunicazione con il Sile e lasciando in secca molti canali che da questo erano originati. Il Piavon che era uno di questi (chiamato per questo Plave Sicca), risentì profondamente della trasformazione, perse ogni importanza commerciale, impoverendo ulteriormente le terre vicine, in Ibidem.

615

I longobardi scendono in Italia nel 568 d.C guidati da Alboino, in Ibidem.

616

“Non è ancora molto agevole, per scarsità di documenti, definire la linea di confine tra i possedimenti bizantini, lungo la costa, e quelli longobardi, dislocati più a monte;...”, in F. Cellotto, P. Frasson, op. cit., p. 11.

617

L'imperatore Ottone III, il 29 Settembre 994, confermò una donazione precedentemente fatta da Carlo Magno al vescovo di Ceneda, Ivi, p. 12.

618

“Doniamo e confermiamo quanto è compreso in quelle terre e in quei confini, cioè dal corso del Piave fino al mare, e insieme di là fino al litorale;...”, in Ibidem.

619

Il nome compare negli statuti trevigiani del 1313 e nei catasti trevigiani del 1314, in F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, op. cit., p. 3.

620

Le palade erano stazioni daziarie, fortificate, situate lungo le vie d'acqua; oltre che nei porti le palade erano d'obbligo nei punti in cui i corsi d'acqua attraversavano un confine. Nell'elenco delle palade trevigiane (bucchas sive confinia) verso la laguna, compare appunto Cegle, vedi W. Dorigo, Le vie d'acqua veneziane nel Medioevo, Venezia, 1988, in A.C .Quintavalle (a cura di), Le vie del Medioevo, atti del convegno I internazionale di studi (Parma, 28 Settembre- 1 Ottobre 1998), Milano, 2000, pp.131-135.

621

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fino al 1382623. Durante il XIV secolo, Venezia, il cui dominio si sviluppava prevalentemente

sulla costa, iniziò ad interessarsi anche dei territori dell'entroterra, tra cui Ceggia. Il piccolo borgo, che aveva già in precedenza attirato l'attenzione di Venezia per l'abbondanza di legname624 e pascoli, nonché per la sua posizione strategica sul Piavon, nel 1389625 passò

definitivamente sotto il dominio veneziano e fu aggregato alla podesteria di Motta di Livenza. Sul finire del medioevo, Ceggia si presentava ancora come un centro piccolo e poco popolato; tale condizione peggiorò notevolmente durante i secoli successivi, poiché Venezia fu incapace di fronteggiare alcuni problemi idraulici626 che, a partire dal XVI secolo, causarono

l'ampliamento della zona paludosa627 e, di conseguenza, un aggravamento delle condizioni

sanitarie ed economiche della popolazione, comportando uno scarso progresso demografico. La situazione non migliorò neppure in seguito all'intervento di alcuni patrizi veneziani che, durante il XVI secolo, acquistarono ampie proprietà a nord di Ceggia; essi, infatti, costruirono le loro residenze in zone alte, lontane dalle paludi e al riparo dall'aria malsana, inoltre, poiché le terre coltivate erano per loro sufficienti, non si interessarono ad avviare nessuna opera di bonifica. Abbiamo notizia che, nel 1625628, Ceggia, con le sue sette ville (Predarca, Ceia,

Saletto, Noghera Prà di Levada, Zancana, Gayniga e Colonne)629, contava 700 abitanti, mentre

circa un secolo dopo ne contava 1021. In questo periodo, tra il XVII e il XVIII secolo sorsero anche i primi consorzi idraulici, con l'obiettivo di regolamentare le acque, per recuperare e poi mettere a coltura le terre salmastre. Le conquiste napoleoniche portarono, nel 1797, alla

622

I Da Camino erano potenti signori feudali che dal castello di Motta di Livenza dominavano il territorio circostante, sino ai confini con la Serenissima, in Il Veneto paese per paese, Enciclopedia dei comuni d'Italia, Vol II, Firenze, Bonechi, 1997-1999, p. 41.

623

Ibidem.

624

Il territorio comunale era prevalentemente boschivo per la presenza della selva carbonia, su cui, introno all'XI secolo, i Dogi vantavano diritti venatori. Venezia bisognosa di legnami per l'edilizia e la cantieristica navale, fece riscavare il canale Piavon, che era seminterrato, così da non avere ostacoli nella navigazione, e iniziò l'opera di disboscamento. Attualmente della selva restano soltanto dei toponimi e una piccola area residua chiamata Bosco di Olmè, in “Documento preliminare Piano di assetto del territorio...”, op. cit., pp.5-6.

625

F. Cellotto, P. Frasson, op. cit., p. 14.

626

I problemi idraulici che Venezia non riuscì a fronteggiare furono causati da alcuni fenomeni: l'insabbiamento delle lagune, il progressivo rialzo dell'alveo dei fiumi, l'interramento di alcuni canali, il depauperamento dei boschi e il continuo bradisismo negativo, F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, op. cit., p. 3.

627

Questa tendenza ebbe il suo culmine nel 1664, con la formazione del “Lago della Piave”, e determinò per circa 300 anni un lento e costante avanzamento degli acquitrini e delle paludi, in F. Cellotto, P. Frasson, op. cit., p. 14.

628

“Documento preliminare Piano di assetto del territorio...”, op. cit., p.6.

629

(6)

caduta della Repubblica di Venezia e, in seguito, alla creazione del Regno d'Italia (1805-1815); con l'introduzione di un nuovo assetto amministrativo, Ceggia, nel 1806, diventò Comune e fu aggregata al Dipartimento del Tagliamento (oggi provincia di Treviso)630. Dopo

la sconfitta di Napoleone, con il Congresso di Vienna, nel 1815, Venezia e il Veneto entrarono a far parte del Regno Lombardo-Veneto, sotto il dominio austriaco. Per Ceggia, così come per tutta la zona compresa tra i corsi d'acqua del Piave e del Livenza, durante la prima metà del XIX secolo, iniziò un lento periodo di ripresa e di trasformazione del territorio, in particolare, con il recupero delle terre sommerse dagli acquitrini, al fine di renderle nuovamente produttive. Un vero e proprio mutamento si verificò soltanto a partire dalla seconda metà del XIX secolo, quando, nel 1866631, il Veneto entrò a far parte del Regno d'Italia e il nuovo

apparato statale stimolò da subito l'avvio di opere di bonifica; da quel momento, infatti, il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti e il conseguente aumento demografico632

furono progressivi e continui. L'intensa opera di trasformazione del territorio fu interrotta dall'inizio della prima guerra mondiale; lo stabilizzarsi del fronte sulla linea del Piave provocò la distruzione delle opere di bonifica realizzate. Ceggia, così come tutto il Veneto orientale, fu occupata dagli austriaci e subì gravi danni ad opera delle artiglierie italiane. Alla fine della guerra, il paese, stremato e con una popolazione notevolmente ridotta, fu interessato da una grave crisi economica; soltanto dopo alcuni decenni, grazie soprattutto alla realizzazione dello Zuccherificio, nel 1929, Ceggia si trasformò in un centro fiorente e industrioso633.

630

Nel 1807 Ceggia fu trasferita al Distretto di San Donà di Piave, facente parte del Dipartimento dell'Adriatico, l'odierna provincia di Venezia, a cui tuttora appartiene, in Ibidem.

631

F. Cellotto, P. Frasson, op. cit., p. 17.

632

“Nel 1819 la popolazione di Ceggia era di 1100 abitanti;...Nel 1828 la popolazione di Ceggia saliva a 1404 con un aumento di circa 16 unità annue;...Nel 1857 la popolazione locale era di 1604 persone; nel 1914 era di 2500, nel 1924 era di 3400, ed oggi si avvicina a 6000”, in Ibidem.

633

Oltre allo zuccherificio sono da menzionare altre attività industriali che contribuirono allo sviluppo economico di Ceggia: l'officina Pasqualini del 1924, con 50 dipendenti, realizzava macchine agricoli e strumenti per il lavoro nei campi; una filanda, datata 1920 circa; il calzaturificio Citron, nel 1925, fabbricava zoccoli e contava quasi 30 dipendenti; la distilleria Cristofoletti, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX; l'officina meccanica F.lli Fingolo, nel 1925, Ivi, pp. 80-89.

(7)

2.2. L'opera di bonifica

L'opera di bonifica contribuì alla creazione dell'odierno territorio del Basso Piave634,

ricavandolo dalla palude compresa tra le terre emerse della Bassa Trevigiana e il litorale marino, dalla Laguna Veneta al fiume Livenza; il lavoro di risanamento idraulico, igenico ed agricolo ha interessato una superficie di circa 60 mila ettari635. Dal 1880, fino al 1938636, lo

Stato italiano concentrò una serie di interventi legislativi, sanitari e finanziari atti al recupero di questo territorio ad un uso produttivo; tali interventi portarono alla cosiddetta Bonifica Integrale italiana, che rappresenta una delle massime operazioni di trasformazione ambientale su scala europea637.

Come già accennato nel capitolo precedente, l'opera di difesa dalle paludi e dalle alluvioni dei fiumi iniziò con i romani638, per poi essere interrotta e in parte cancellata dalle invasioni

barbariche. Durante il governo della Repubblica Veneziana, del cui dominio, a partire dalla fine del XIV secolo, facevano parte anche i terrori di Ceggia, le condizioni dell'entroterra peggiorano notevolmente. Venezia, anziché provvedere alla bonifica delle zone paludose, ne favorì l'espansione, in quanto rappresentavano un importante baluardo in difesa della città. Tuttavia, durante il XVI secolo, non mancarono alcuni tentativi di bonificare e rendere coltivabili i terreni; tali interventi erano affidati all'iniziativa privata639, la quale assumeva in 634

Vedi p.186.

635

Il territorio del Basso Piave e la bonifica (n. Ia), in Itinerario sezione bonifica, presso il Museo della bonifica della città di San Donà di Piave (VE).

636

G. Baldo, Terre nuove: paesaggi di bonifica nel Veneto orientale, Catalogo della mostra omonima tenutasi al Museo del paesaggio, Torre di Mosto, nel 2011, Venezia, Cicero, 2011, p. 11.

637

Gli interventi della Bonifica Integrale hanno radicalmente trasformato il paesaggio italiano, hanno dato vita ad un nuovo territorio: da un passaggio vuoto, privo quasi di presenza umana, caratterizzato solo da paludi, valli allagate, stati ambientali deteriorati, si è passati ad un paesaggio caratterizzato da città, insediamenti rurali e grandi reti infrastrutturali. Il nuovo territorio grande quasi quanto il Veneto è caratterizzato da una terra prevalentemente pianeggiante e si estende per gran parte sulla costa, con una profondità di 10-20 chilometri, Ibidem. In merito all'opera di bonifica in Italia, vedi P. Bevilacqua, M. Rossi Doria (a cura di), Le bonifiche in Italia dal '700 ad oggi, Bari, Laterza, 1984, oppure E. Novello, La bonifica in Italia: legislazione, credito e lotta alla malaria dall'unità al fascismo, Milano, F.Angeli, 2003.

638

“ I Romani,...attraverso la razionale organizzazione della terra avevano provveduto a controllare le acque in modo da raggiungere un equilibrio idraulico che, eliminando le zone acquitrinose era in grado di prevenire gli impaludamenti e il pericolo di rovinose esondazioni lungo gli appezzamenti. A tal fine avevano predisposto che i limites fossero paralleli ai corsi dei fiumi e perpendicolari alla costa con un orientamento a sud-est. Per prevenire le alluvioni dei fiumi invece, avevano predisposto opere di arginature e li avevano resi navigabili”, F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, op. cit., p. 2.

639

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concessione dallo Stato la realizzazione dei lavori da intraprendere640, che a sua volta erano

progettati dalla Magistratura dei Provveditori sopra i beni inculti641. Un maggiore interesse per

l'opera di bonifica si verificò nel corso del XVII secolo, in corrispondenza dello sviluppo dell'agricoltura; nel corso del secolo nacquero i primi Consorzi di scolo e di difesa642, che

avevano l'obiettivo di mettere a coltura e rendere produttive vaste estensioni di nuove terre. La Repubblica di Venezia, seppur molto attenta all'attività di regolamentazione idraulica, era mossa più da esigenze di igiene pubblica, che dalla volontà di incrementare la produttività agraria. Tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX, nonostante le condizioni fossero migliorate rispetto al passato, la metà del territorio corrispondente al Basso Piave era ancora paludoso643. Per consentire ai Consorzi di svolgere l'opera di bonifica, il territorio fu diviso in

due parti644, in bacini di scolo aventi caratteristiche comuni, corrispondenti ai diversi Consorzi

e, funzionalmente alle modalità di deflusso delle acque (a scolo naturale o meccanico)645. I

opere idrauliche e per la loro manutenzione, salvo il contributo dello Stato per quelle maggiori, in F. Benvegnù, L. Merzagora,“Mal aere e acque meschizze”: malarie e bonifica nel Veneto, dal passato al presente, Mestre (VE), Andrea Mazzanti & C. Editori, 2000, p. 109.

640

L'insieme dei lavori da intraprendere per l'opera di bonifica (scolatori, ponti, canali, chiuse, ecc) veniva detto retratto, Repubblica Serenissima. Magistratura senatoria Semplicemente Serrata, disponibile all'indirizzo: http://www.veneziamuseo.it/REPUBBLICA/mar_sen_ss_probin.htm

641

Il Magistrato sopra i Beni Inculti venne istituito il 10 Ottobr 1556 per “bonificare, irrigare e mettere a buona cultura i molti luoghi inculti” del territorio sotto il dominio di Venzia “di modo che si produrrà una gran quantità di biave che porterà beneficio a questa città e ai nostri sudditi”. Esso si occupava quindi delle bonifiche della terraferma e della concessione di acque per irrigazione e per uso di mulini e opifici, in “Organizzazione politico-amministrativa della terraferma nei sec. XVI e XVII”, in Raccolta priva di I. Franzin, pp.19-20.

642

“Nel Basso Piave se ne contavano 14; la loro costituzione abbraccia un lungo periodo (1680-1880); erano retti da appositi statuti e norme dettati, prima, dalla Repubblica Veneta, indi dall'Amministrazione Austriaca ed infine dal Regno d'Italia. Le opere realizzate dai “consorzi idraulici” riflettevano, in particolare, le arginature e le reti scolanti dei rispettivi bacini; erano eseguite e mantenute tutte a spese dei proprietari. Il beneficio che questi ne traevano era di difendere dalle acque esterne le zone basse già coltivate ai margini della palude e di utilizzare la produzione spontanea delle zone sommerse: strame, canna, qualche pascolo, caccia e pesca.”, La bonifica idraulica nel territorio nei secoli XVI, XVII e XVIII. I consorzi di scolo (n. II), in “Itinerario sezione bonifica...”, op. cit., vedi anche L. Fassetta, La bonifica del Basso Piave. Vita e vicende dei consorzi di bonifica riuniti di San Donà di Paive nella trasformazione del territorio tra il Sile e il Livenza, Stampa Castaldi, 1993, pp. 36-39.

643

“...oltre 25.000 ettari dei complessivi 56.000 erano interessati da acque permanentemente stagnanti...”, in F. Benvegnù, L. Merzagora, op. cit., p. 109.

644

Il territorio era diviso in due parti: a nord dell'attuale statale 14 Triestina dove i terreni sopra il livello del mare sono a scolo naturale, anche se il deflusso delle acque deve comunque essere rafforzato con apposite opere idrauliche; a sud, il territorio formato da terreni in gran parte sotto il livello del mare, dove le acque piovane ristagnando determinano un territorio in gran parte paludoso e, dove il reflusso delle acque è possibile solo attraverso azioni di carattere meccanico, in G. Baldo, op. cit., p. 30.

645

Lo scolo naturale è possibile per quei terreni che, posti generalmente sopra il livello del mare, possiedono una pendenza naturale capace di far defluire le acque di ristagno fino al mare, attraverso dei canali appositamente scavati. Lo scolo artificiale, o meccanico, viceversa, riguarda i terreni posti sotto il livello del mare, dove per far defluire le acqua di ristagno è necessario avvalersi di un complesso sistema idraulico, Ivi, p. 35.

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primi Consorzi operarono prevalentemente in territori a scolo naturale, cercando di favorire il flusso delle acque con opere di arginatura e scavo di canali; il loro obiettivo era strettamente funzionale allo sviluppo delle attività agricole e di allevamento all'interno dello proprio bacino. Soltanto dopo la metà del XIX secolo, iniziarono i primi prosciugamenti a deflusso artificiale e si aprì l'epoca della bonifica meccanica privata. Con l'avvento della macchina a vapore e la possibilità di applicare il motore agli apparecchi atti al sollevamento dell'acqua (ruote idrauliche, turbine, eliche, ecc.), iniziarono così i primi prosciugamenti meccanici e, sempre intorno alla metà del secolo, si diffuse l'utilizzo dell'idrovora646 (figg. 1 - 2).

646

L'idrovora è una pompa atta ad aspirare l'acqua ed situata all'interno di un apposito fabbricato; l'impianto idrovoro è circondato da un sistema di bacini di riferimento, in Ibidem.

Figura 1 – Esempio di impianto idrovoro: Idrovora del Ragnanione, esterno. Fonte: L'industria della memoria, disponibile all'indirizzo: http://www.industriadellamemoria.it/scheda.asp?MS=1&ID_Scheda=32

(10)

Nel territorio di Ceggia, una sistematica opera di risanamento idraulico fu avviata soltanto alla fine del XIX secolo; tra le principali bonifiche (48 in totale)647, generalmente private648, che

interessarono questo territorio, sono da menzionare: la bonifica della famiglia Genovese649, in

località Maliso, quella Sorano Zeno650 in località Canalat e quella Franchetti651 in località Prà di

647

L. Fassetta, op. cit., p. 71.

648

“Se per <<bonifica privata>> si intende quella bonifica che è stata fatta a sole spese ed a tutto rischio dei proprietari, bisogna dire che, in pratica, tutta la attività bonificatoria di prima della legge 22-3-1900, n. 195 è tutta <<privata>>; tanto quella <<individuale>>, fatta cioè dalle singole proprietà, quanto quella <<consortile>> fatta cioè per conto di collettività comprese in una unità territoriale interessata da un servizio idraulico comune.”, Ivi, p.47.

649

“La bonifica Genovese era posta lungo il rettifilo del Canale Piavon, a valle di Ceggia e misurava circa 220 metri. Venne realizzata nel 1894 dalla ditta Augusto Genovese mediante la costruzione di un'idrovora che scaricava nel canale Piavon le acque convogliate dal Collettore Taglietto.”, in F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, op. cit., p. 4.

650

“La bonifica Sorano Zeno aveva una superficie di circa 140 ettari e si estendeva lungo il lato sinistro del Piavon a valle del centro. Nel 1880 la ditta costruì un idrovora sul Canale Piavon ma il prosciugamento fu solo parziale a causa della morbosità dei terreni e della poca tenuta degli argini .”, in Ibidem.

651

“ La bonifica Franchetti,..., riguardò i <<terreni palustri della vasta proprietà del barone Franchetti, compresi tra il nuovo Caseratta e il confine con Torre [...], che nel 1890 furono prosciugati con una piccola idrovora posta a cavallo della collettrice (attuale canale Franchetti) dotata di turbina e motrice a vapore.”, in F. Cellotto, P. Frasson, op. cit., p. 78.

Figura 2 - Idrovora del Ragnanione, interno idrovore in funzione. Fonte: Ibidem.

(11)

Levada. Le numerose difficoltà tecniche e finanziarie incontrate dalle imprese, impedirono alle prime bonifiche di raggiungere risultati apprezzabili e spesso furono destinate al fallimento652. La bonifica di una determinata area comportava una serie di problemi tecnici che

soltanto se tutti adeguatamente risolti portavano al successo dell'opera bonificatoria, tra questi: l'individuazione di un'area omogenea, delimitabile con argini sicuri, tali da garantire soltanto il prosciugamento di quei terreni; la costruzione o la sistemazione di argini che impedissero l'afflusso di acque esterne; la realizzazione di una serie di canali di scolo confluenti in un punto in cui l'idrovora potesse scaricare esternamente le acque653. Queste

strutture venivano realizzate manualmente, da squadre di manovali (badilanti e carriolanti), talvolta supportati dall'utilizzo di sistemi rudimentali di meccanizzazione, come l'attrezzatura Decauville, che contemplava dei carrelli da miniera su rotaia, trainati da muli, per il trasporto della terra derivata dalle operazioni di scavo. Le prime macchine idrovore erano costituite da motori a vapore, alimentati con lo strame654, che azionavano pompe, oppure, turbine; non

sempre questi sistemi di pompaggio assicuravano una corretta riuscita, particolarmente nelle bonifiche di vaste zone. La tecnologia della bonifica, dall'era delle bonifiche private in avanti, ha seguito una progressiva evoluzione, sia per ciò che riguarda le pompe655 sia i motori656.

Mutarono anche le dimensioni dei bacini in cui la bonifica operava, divenendo progressivamente più ampie (da 100-200 ettari si passò a 2000)657. Per quanto riguarda la

realizzazione dei canali e le relative operazioni di scavo e carico del materiale, almeno fino al 1910658, erano eseguite a mano; soltanto dopo la I guerra mondiale, con l'introduzione delle

draghe659 è stato possibile ridurre il carico del lavoro manuale e contemporaneamente

aumentare notevolmente la produttività.

652

In merito alle problematiche ed agli insuccessi di alcune delle principali bonifiche private del Basso Piave, si veda L. Fassetta, op. cit., pp. 48-50.

653

F. Benvegnù, L. Merzagora, op. cit., pp. 109-110.

654

“L'utilizzo dello strame come fonte energetica è caratteristico di questa prima fase della bonifica privata non solo nel Basso Piave ma anche in altre aree come il rodigino; questa soluzione era contraddistinta da una struttura esterna ben visibile come la ciminiera”, Ivi, pp.110-111.

655

Ivi, p. 111 e, p. 113, vedi anche L. Fassetta, op. cit., pp. 169-173.

656

Fino al 1900 le pompe utilizzate erano azionate da motori a vapore alimentati con con lo strame (sono riportati anche casi di motori a gas povero e a vento). A questi sono seguiti i motori Diesel e, successivamente, i motori elettrici, che rispetto ai primi presentavano alcuni vantaggi: dimensioni ridotte, un avviamento molto più agevole, con minor richiesta di manodopera, oltre a minori necessità di manutenzione, in F. Benvegnù, L. Merzagora, op. cit. p. 111 e p. 113, vedi anche L. Fassetta, op. cit., pp. 163-169.

657

F. Benvegnù, L. Merzagora, op. cit., p. 112.

658

(12)

Le difficoltà incontrate dalle bonifiche private, oltre alla necessità di intervenire su superfici paludose più ampie, costrinsero lo Stato, già alla fine del XIX secolo, a riconoscere l'importanza dell'opera di bonifica, considerandola di fondamentale utilità pubblica (portava significativi vantaggi igienico-sanitari e consentiva il recupero di vaste zone all'agricoltura) e ad intervenire a sostegno dei privati. A tal proposito nel 1900 fu emanato il Testo Unico sulle Bonifiche (R.D. 22.03.1900, n. 195)660 con cui, per la prima volta, si affermava il valore

collettivo della bonifica e si prevedevano i primi finanziamenti da parte dello Stato per l'esecuzione di tali opere, da affidare successivamente in concessione a Consorzi di privati. Tra il XIX e il XX secolo sorsero, così, i Consorzi di bonifica collettiva, che sostituirono, sia i vecchi Consorzi di scolo e difesa, sia le bonifiche private; tra questi sono da menzionare: l'Ongaro Superiore, il primo Consorzio ad essere stato costituito nel 1901661; quello di

Cavazuccherina, costituito nel 1902662; infine il Consorzio di Bella Madonna costituito nel

1903 che, con una superficie di 6.605663 ettari, interessava i Comuni di San Donà di Piave,

Torre di Mosto e Ceggia. L'attività di quest'ultimo iniziò soltanto intorno al 1912664, a causa di

ritardi nella concessione dei lavori665 e fu presto interrotta dallo scoppio del primo conflitto

mondiale. La guerra determinò un forte rallentamento e arretramento delle opere di bonifica, in particolare, l'invasione austriaca, nel 1917666, comportò la distruzione di quanto era stato

realizzato fino a quel momento, con il conseguente riallagamento del territorio e il ritorno della palude e della malaria. Dopo la guerra vennero ripresi i lavori di bonifica che si

659

Macchine capaci di muoversi in terreni sommersi dalle acque e di escavare, mediante una catena di secchie, il terreno e di allontanarlo lateralmente. In L. Furlan, La nascita delle bonifiche nel Basso Piave: problematiche idrauliche, agronomiche ed umane in C. Polita (a cura di), Il Basso Piave. Un cantiere di sperimentazione culturale e ambientale tra acqua e terra: dall'antichità ai giorni nostri, Biennegrafica, Musile di Piave, 2006, p. 60. Il Consorzio Bella Madonna, nel Canale Piavon e il Consorzio Ongaro Inferiore nel Canale Brian, furono i primi ad adottare le draghe galleggianti a secchie, nel 1915, in L. Fassetta, op. cit., p. 144.

660

L. Furlan, op. cit., p. 57.

661

I primi Consorzi di “bonifica” nel Basso Piave (1900-1916). Le opere distrutte dalla guerra nel 1917-1918 (n. IV), in “Itinerario sezione bonifica...”, op. cit.

662

Ibidem.

663

C. Bortolotto, Delle bonifiche e dei problemi agrari e sociali annessi, Istituto editoriale nazionale, Milano, 1930, p. 163.

664

F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, op. cit., p. 4.

665

L. Fassetta, op. cit., p. 74.

666

“Gli austriaci, all'altezza della Villa Ronchese, tagliarono il nuovo letto del fiume, abbreviando il percorso tra gli scali e il paese. All'orizzonte si osserva la pianura allagata per motivi strategici: l'intento era quello di rallentare un eventuale avanzata al di qua del Piave delle truppe italiane.”, in F. Cellotto, P. Frasson, op. cit., p. 54.

(13)

concentrarono in particolare, tra il 1919 e il 1921; le terre nuovamente prosciugate, tornarono ad essere produttive, con un notevole miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e alimentari, che immediatamente dopo il conflitto si erano seriamente aggravate. A partire dagli anni '20 la bonifica delle terre malsane ed improduttive iniziò, così, ad assumere una particolare importanza politica ed economica. A partire dal quel momento il territorio del Basso Piave cominciò ad essere considerato un sistema territoriale altamente dimostrativo delle possibilità offerte dall'opera di bonifica e dotato di una adeguata organizzazione tecnica, tale da poter costituire un modello per le sistemazioni idrauliche e agrarie di altre zone del Paese. Con il Congresso Regionale Veneto delle Bonifiche667, tenutosi nel 1922, a San Donà di

Piave, il problema della bonifica divenne definitivamente un problema nazionale, di cui lo Stato si assumeva la piena responsabilità. Si stabilì che l'opera di bonifica fosse affidata ai Consorzi dei proprietari che, quali enti concessionari dello Stato, si occupavano delle opere di pubblica utilità; allo stesso tempo erano i responsabili e i garanti dei doveri relativi alla proprietà privata per la sistemazione agrario-fondiaria dei terreni bonificati. Durante il congresso furono affrontati tutti i problemi riguardanti la Bonifica Integrale, ossia: problemi idraulici della difesa territoriale, del flusso delle acque, del prosciugamento delle paludi; problemi economico finanziari relativi alla gestione della bonifica e alla trasformazione fondiaria; problemi agronomici riguardo l'utilizzo delle terre ricavate dalla bonifica; infine problemi sociali concernenti la manodopera contadina da insediare nella bonifica668. Un

aspetto molto importante, che emerse dal Congresso, fu la necessità di provvedere, oltre che alla bonifica igienica e idraulica, anche al recupero delle terre, attraverso uno studio approfondito della trasformazione agraria del territorio bonificato. La bonifica idraulica e quella agraria risultarono così essere inscindibili; se la prima era il mezzo, la seconda diventò il fine dell'opera di bonifica669. Quando, con la fine della prima guerra mondiale, i vari

Consorzi ripresero i lavori tennero presenti entrambi gli aspetti (idraulico e agrario); il Consorzio della Bella Madonna che, come già detto, operava anche nel Comune di Ceggia, fu diviso appositamente in tre fasi che prevedevano: l'installazione di idrovore e il

667

F. Cellotto, P. Frasson, op. cit., p. 78. Dal lavoro del congresso derivarono, la legge del 1023 n. 3256 e il R.D 13.02.1933 n.215, che sono alla base di tutta la nuova legislazione sulla bonifica in Italia, vedi La Bonifica Integrale. Congresso nazionale a S. Donà di Piave nel Marzo 1922 (n.VII), in “Itinerario sezione bonifica...”, op. cit.

668

Ibidem.

669

(14)

prosciugamento della terra670, la messa a coltura dei terreni bonificati e l'ammodernamento di

alcuni impianti, infine l'attuazione di interventi destinati a migliorare la produttività e l'industrializzazione dell'agricoltura671. I lavori del Consorzio di Bella Madonna furono

ultimati dopo la guerra; in seguito alla bonifica agraria e al processo di appoderamento si verificò una crescita significativa sia della popolazione672, sia della produttività673. Le zone più

alte, esenti dal ristagno delle acque, avevano mantenuto, nei secoli, un'agricoltura viva, conformemente a quelle che erano le possibilità dei sistemi produttivi e delle condizioni economiche e sociali proprie delle varie epoche. Nelle zone più basse, invece, invase dalle acque, dopo l'opera di risanamento idraulico, furono progettate e studiate nuove colture, tra queste, la barbabietola. Lo sviluppo e il consolidamento di questa nuova coltura, che in queste zone, come già precedentemente accennato, trovò condizioni ottimali di crescita, portò alla nascita dello Zuccherificio, attraverso il quale fu possibile soddisfare appieno le esigenze di industrializzazione dell'agricoltura, nonché la volontà autarchica imposta dal regime fascista674.

Alla fine degli anni '30 il comprensorio del Basso Piave poteva considerarsi completamente risanato dal punto di vista idraulico e pienamente attivo per quanto riguardava la produzione; l'opera di bonifica, dalla fase operativa era passata a quella di regolare conduzione e manutenzione.

670

“I macchinari sono divisi in tre gruppi: Bacini Fossà con un motore elettrico di 210 HP e con un motore Diesel di 225 HP, Bacino Staffolo con un motore elettrico di 210 HP e con un motore Diesel di 225 HP, Bacino Livenza con un motore elettrico di 105 HP e con un motore diesel di 125 HP”, in C. Bortolotto, op. cit., p. 163.

671

F. Bovo, M. Santiglia, F. Zanin, op. cit., p. 4.

672

La popolazione prima della bonifica ammontava a 6.000 abitanti, mentre dopo la bonifica se contavano 12.000, in C. Bortolotto, op. cit., p. 163.

673

Ivi, p. 164.

674

L'autarchia fu uno degli obiettivi principali del regime fascista. L'intenzione dei provvedimenti autarchici fu quella di realizzare l'autosufficienza economica della nazione, eliminando il ricorso alle importazioni estere e favorendo lo sviluppo del lavoro e della produzione interna, vedi pp.70-71.

(15)

2.3. Lo zuccherificio dal 1929 al 2001: la lotta per la salvaguardia

I lavori per la costruzione dello zuccherificio iniziarono nel 1928, promotrice dell'iniziativa fu la Società anonima Zuccherifici Nazionali. Quest'ultima, già “Zuccherificio & Distilleria Alcools Gulinelli”, fu costituita il 22 Aprile 1905675, con un capitale sociale di 138 milioni di

Lire, diviso in 920 mila azioni del valore nominale di 150 Lire ciascuna676. La durata della

Società era fissata in cinquant'anni, fino al 31 Dicembre 1955677, il suo scopo era la produzione

dello zucchero, dell'alcool e di altri prodotti affini, in Italia, nelle sue colonie ed anche all'estero. La Zuccherifici Nazionali, nel 1929, incorporò altre due Società; la fusione, certificata con atto notarile il 23 Novembre 1929678, riguardò la Società Ligure Mantovana per

la fabbricazione dello zucchero, con sede a Genova e un capitale sociale di 1 milione di Lire679,

e la Lamone Società Agricola Industriale, anch'essa situata a Genova, con un capitale di sociale di 6 milioni di Lire680.

Il 23 Novembre del 1930681, la ditta Zuccherifici Nazionali dichiarò la cessazione della propria

attività in Ceggia, a seguito della fusione con Eridania Società Industriale; a partire da quel momento, la gestione e l'amministrazione dello stabilimento passarono alla nuova società S.A Eridania Zuccherifici Nazionali.

L'attività produttiva dello zuccherificio iniziò nel 1930, e centinaia di persone, agricoltori e lavoratori stabili e stagionali, giovarono del benessere che questa nuova realtà industriale portò a tutta la zona. Lo stabilimento, da un lato, dava la possibilità agli agricoltori di coltivare una pianta assai remunerativa e quindi di incrementare i loro redditi; dall'altro risolveva il problema della disoccupazione locale: “...basta solo soffermarsi all'uscita degli operai dalla Fabbrica, specialmente nel periodo di lavorazione, per comprendere quante famiglie hanno trovato pane e quanto benessere può derivare da questa importante costruzione. Questo senza tenere conto di tutto il personale che lavora fuori della Fabbrica ma

675

Statuto della Zuccherifici Nazionali, in, Archivio del Registro Imprese della Camera di Commercio di Venezia (d'ora in poi ARICCVE), Registro ditte, fascicolo n. 23650, intestato a Zuccherifici Nazionali S.A.

676

Ibidem.

677

Ibidem.

678

ARICCVE, Registro ditte, fascicolo n. 23650, intestato a Zuccherifici Nazionali S.A.

679 Ibidem. 680 Ibidem. 681 Ibidem.

(16)

nell'orbita della stessa.”682 Durante la prima campagna saccarifera furono seminati 2.392683

ettari di terreno a barbabietole e consegnati allo stabilimento 667.538684 quintali di prodotto,

pagato a quel tempo 10,47685 Lire al quintale; la fabbrica, il primo anno di attività, superò i 10

mila quintali686 di lavorazione giornaliera. La produzione proseguì con una certa tranquillità

fino al 1943, successivamente, lo scoppio della II guerra mondiale causò una drastica riduzione della superficie coltivata a barbabietole687 e della quantità di prodotto688 consegnato

allo stabilimento per la lavorazione. Dopo la guerra l'attività dello zuccherificio riprese regolarmente, raggiungendo ottimi risultati: nel 1951 “...la campagna saccarifera sia nella durata che nella produzione ha battuto il record”689. Nel Dicembre del 1956 si iniziò a

vociferare che lo stabilimento sarebbe stato smantellato e trasferito nel sud d'Italia690. Arrivata

la notizia della chiusura, il paese intero e gli operai, insieme alla rappresentanza di fabbrica, si schierarono in difesa del loro stabilimento. Alle manifestazioni di piazza, che data la loro intensità richiesero persino l'intervento delle forze dell'ordine, seguirono l'azione sindacale e l'intervento delle autorità cittadine presso il governo; sia il sindaco, Pietro Pavan, che il vescovo Monsignor Carraro si recarono personalmente a Roma per incontrare Onorevoli e Ministri. In questa situazione di estrema gravità, le maestranze, che rischiavano di perdere il posto di lavoro, decisero, inoltre, di intervenire chiedendo aiuto direttamente all'ora presidente del consiglio Antonio Segni. Il consiglio di fabbrica riuscì a parlare con il presidente Segni grazie ad Antonio Marson, un dipendente dello zuccherificio, la cui cognata, all'epoca, lavorava presso la cugina di Segni. L'intervento del presidente del Consiglio fu decisivo, il disegno dell' Eridania non trovò compimento e lo zuccherificio continuò a lavorare. In un

682

Società Anonima Zuccherifici Nazionali. Stabilimento di Ceggia, raccolta privata di Irene Franzin, p. 24.

683

Documento del 1 Dicembre 1999 relativo ai dati di produzione della zona di approvvigionamento dello zuccherificio di Ceggia dall'apertura della fabbrica, raccolta privata di Livio Giacomini.

684

Ibidem.

685

Ibidem.

686

“Società Anonima Zuccherifici Nazionali...”, op. cit.,p. 23.

687

Nel 1944 la superficie coltivata scese a 800 ettari e nel 1945 a 513,45; rispetto ai 2.412 ettari del 1943, Ibidem.

688

Nel 1944 e nel 1945 furono consegnati rispettivamente allo stabilimento 195.654 e 159.263 quintali di barbabietole, contro i 605.529 quintali del 1943, in Ibidem.

689

Estratto dal Bollettino parrocchiale del Gennaio 1951, in Lo zuccherificio di Ceggia, raccolta privata di I. Franzin.

690

(17)

articolo691 del settimanale Famiglia Cristiana, dedicato allo zuccherificio di Ceggia, è riportata

la testimonianza di Antonio Marson, il “maestro”, così come erano chiamati gli operai specializzati, relativa all'incontro con il presidente del Consiglio Segni; nell'articolo suddetto è riportato anche il testo del telegramma spedito da Marson alla famiglia Segni, datato 15 Marzo 1957, in cui esprimeva la sua gioia per aver salvato la fabbrica: “Felicissimi Eridania conferma ufficialmente stabilità lavoro zuccherificio”692.

Nel 1964 fu ampliato lo stabilimento, nonché, ammodernata e automatizzata gran parte dei reparti produttivi; di conseguenza la potenzialità della fabbrica aumentò, raggiungendo una produzione giornaliera raddoppiata, pari a 35.000 quintali693. Nel Settembre del 1972 lo

stabilimento arrestò la produzione per una settimana, in seguito alla serrata messa in atto da Eridania: la Società decise, infatti, di non accettare la materia prima, costringendo fuori della fabbrica lunghe file di carri agricoli e camion carichi di barbabietole, che i produttori avevano portato inutilmente per consegnarli allo stabilimento; inoltre comunicò la volontà di mettere in cassa integrazione le maestranze fisse e di sospendere gli stagionali. Eridania motivava questa sua azione con l'impossibilità di proseguire un regolare ciclo di lavorazione a causa degli scioperi preannunciati dai sindacati, nell'ambito della vertenza per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. L'azione unitaria di lavoratori, sindacati, forze politiche ed Enti locali, dopo una settimana portò alla revoca della serrata e i lavoratori, orgogliosi del risultato ottenuto, seppur molto amareggiati per gli ingenti danni694 causati dall'azione di Eridania, il 26

Settembre 1972695 rientrarono nello zuccherificio e fecero ripartire la produzione. Nel 1979,

Attilio Monti696, il maggiore azionista dell'Eridania, cedette la Società al gruppo Ferruzzi697. La 691

In “Zucchero amaro”, articolo di A. Laggia, in Famiglia Cristiana anno LXXI N.9 4 Marzo 2001, pp. 56-58, raccolta privata di D. Giacomel.

692

Ivi, p. 44. Una copia del telegramma è presente in Archivio Zuccherificio di Ceggia, raccolta privata di L. Giacomin (d'ora in poi AZC), anno 1957-1990.

693

Lavoratori e agricoltori uniti per la salvaguardia dello zuccherificio di Ceggia e della bieticoltura Veneto-Friulana, DVD a cura di: Amici dello zuccherificio di Ceggia.

694

“Si calcola infatti che almeno il 50% della produzione bieticola, che avrebbe dovuto essere lavorata in questo zuccherificio (complessivamente circa 1 milione e 200 mila quintali è già andata persa o è inutilizzabile.”, vedi “L'Unità” del 24 Settembre 1972, in AZC, anno 1957-1990.

695

“L'Unità” del 27 Settembre 1972, in Ibidem.

696

L'Eridania era passata sotto il controllo del petroliere ravennate Attilio Monti (1906-1994) nel 1966; egli approfittò di una fase discendente delle quotazioni borsistiche delle azioni dell'azienda e ne acquistò il pacchetto di maggioranza, in M. E.Tonizzi, op. cit., pp. 160-161. Nel 1979, quando il suo impero petrolifero era oberato dai debiti e si trovava in gravissime difficoltà, Attilio Monti cedette il pacchetto di maggioranza dell'Eridania al gruppo Ferruzzi per 100 miliardi di Lire, Ivi, p.191.

697

L'imprenditore Serafino Ferruzzi (1908-1979) era attivo nel commercio cerealicolo a partire dall'immediato dopo guerra; impegnato anche nella produzione di cemento armato e nel settore agroindustriale, nonché

(18)

nuova proprietà, in seguito ad un progetto di ristrutturazione, inviò ai Ministeri dell'Industria e dell'Agricoltura la richiesta per la chiusura di due stabilimenti, quello di Polesella (RO) e quello di Ceggia, adducendo le seguenti motivazioni: la carente produzione di barbabietole nel bacino bieticolo nell'anno 1979, l'insufficiente produttività e la scarsa potenzialità dello stabilimento, dovute all'arretratezza degli impianti e, infine, l'attuazione di un processo di razionalizzazione degli stabilimenti in Italia, che imponeva di portare la loro produzione a 600/700.000 quintali ciascuno698. Dopo un duro confronto tra le parti, nel Febbraio del 1980, si

giunse ad un accordo in collaborazione con il Ministero dell'Agricoltura e Foreste, in base al quale, oltre a Polesella, avrebbero cessato l'attività gli stabilimenti di Lendinara e Rovigo, del Gruppo Montesi, mentre quello di Ceggia sarebbe rimasto aperto e sarebbe stata rinviata l'eventuale chiusura. Nell'Ottobre del 1980699, la proprietà espresse nuovamente la volontà di

sospendere l'attività produttiva di Ceggia, così come di altri suoi stabilimenti, adducendo le stesse motivazioni dell'anno precedente e, mettendo in pericolo l'occupazione di 85 lavoratori fissi, 250 stagionali, oltre ad un centinaio di autotrasportatori700; l'intervento del Ministero

competente riuscì a rimandare nuovamente la chiusura di Ceggia, almeno fino alla stesura dall'incipiente piano di settore. Durante i primi anni '80 la produzione bieticola, nella zona di approvvigionamento dello zuccherificio, aumentò notevolmente, passando da 2.968 ettari701

seminati nel 1979 a 5.619702 nel 1981; tale incremento fece sperare che l'area bieticola facente

capo allo zuccherificio di Ceggia potesse diventare uno tra i bacini bieticoli più grandi d'Italia, per quantità di materia prodotta e per qualità, ossia in termini di resa zuccherina. Nel 1982, in seguito alle direttive della Comunità Europea, relative al contingente di produzione di zucchero assegnato all'Italia, il Ministero dell'Agricoltura impose una notevole riduzione degli ettari destinati a semina703. Per effetto di questa limitazione, il bacino bieticolo di Ceggia passò

proprietario di vaste proprietà in Sud America e di una flotta di navi specializzate nel trasporto di carichi secchi, in Ibidem.

698

Rappresentanze sindacali unitarie zuccherificio di Ceggia (a cura di), Cronistoria della lotta per la salvaguardia dello zuccherificio, raccolta privata di D. Giacomel.

699

Il 29 Ottobre 1980 l'Eridania inviò ai ministeri dell'Agricoltura e dell'Industria l'annuncio della chiusura dello stabilimento di Ceggia, articolo del 14 Novembre 1980, in AZC, anno 1957-1990.

700

“Il Gazzettino” del 5 Novembre 1980, in Ibidem.

701

Ibidem.

702

Ibidem.

703

“In base alla riduzione di ettari da seminare a bietole, per la campagna 1982, stabilita d'intesa tra gli industriali saccariferi e le Associazioni dei Produttori, con l'intento di contenere il surplus di zucchero prodotto in Italia nella campagna 1981 e per rispettare le direttive CEE; come consiglio di fabbrica dell'Eridania di Ceggia, giudichiamo discriminatorio il metodo adottato per la ns. zona bieticola”. Lettera del Consiglio di

(19)

da 6500 ettari704 coltivati a 4.900705, con una conseguente riduzione della produzione di bietole

che passò da 3 milioni di quintali706 a 2 milioni e mezzo707. Il 28 Ottobre 1982708 l'Eridania

comunicò ancora una volta ai ministeri dell'Agricoltura e dell'Industria la volontà di chiudere, in Veneto, ben tre stabilimenti: Ceggia, Ficarolo e Lendinara. In seguito alla richiesta di chiusura della fabbrica e all'avvio delle procedure di licenziamento da parte della Società, i lavoratori, per protesta, si riunirono in un assemblea permanente presso i locali dello stabilimento709; mentre il 3 Febbraio 1983 fu organizzato uno sciopero generale di due ore,

programmato dalle organizzazioni sindacali, che vide tutta la cittadinanza in piazza a difendere la realtà produttiva più importante del paese. L'appello dell'intera comunità non fu sufficiente ad evitare, il 23 Febbraio, l'invio delle lettere di licenziamento710. Il giorno

successivo, la Direzione dello stabilimento, attraverso un comunicato, dichiarava711 che un

gruppo di ex dipendenti della Società si era introdotto all'interno della fabbrica mettendo in atto l'occupazione dello stabilimento. Quest'ultimo rimase chiuso per quasi cinque mesi, continuamente presidiato dai lavoratori; fino al 23 Maggio, quando la fabbrica riaprì i battenti. Dopo un'estenuante lotta, sostenuta dai lavoratori, dagli agricoltori, dagli enti locali e regionali, nonché, grazie alla forte coesione delle forze politiche, si riuscì ancora una volta a scongiurare la chiusura dello zuccherificio. Nel Marzo 1984712 il Comitato Interministeriale

per la Programmazione Economica (d'ora in poi CIPE) approvò il piano di risanamento settoriale713, che prevedeva una serie di interventi atti alla ristrutturazione dell'industria

saccarifera nazionale, tra cui un processo di concentrazione produttiva, che avrebbe

fabbrica indirizzata alla Società Eridania Z.N nella persona del Direttore Generale Ing. Adelmo Mantovani, Ceggia 7 Marzo 1982, in Ibidem.

704 Ibidem. 705 Ibidem. 706 Ibidem. 707 Ibidem. 708 Ibidem. 709

La decisione dei lavoratori fu comunicata tramite telegramma il 24 Gennaio 1983, vedi copia del telegramma, in Ibidem.

710

Vedi l'originale delle raccomandate inviata da Eridania ai dipendenti, in Ibidem.

711

Comunicato di diffida da parte della Società datato 24 Febbraio 1983 con cui si invitavano i lavoratori a sgombrare i locali dello stabilimento entro le 48 ore, in Ibidem.

712

“La Nuova Venezia” del 28 Novembre 1984, in Ibidem.

713

(20)

inevitabilmente determinato la chiusura di numerosi impianti. Lo zuccherificio di Ceggia, nonostante il suo bacino bieticolo stesse diventando il primo in Italia per ettari seminati e barbabietole prodotte714, fu inserito ancora una volta nella lista degli stabilimenti da chiudere:

nell'Aprile del 1984715, il Ministero dell'Agricoltura stabilì che, con la campagna saccarifera di

quell'anno, lo stabilimento avrebbe terminato la produzione di zucchero; si prevedeva l'avvio, seppur non ben definito, di iniziative sostitutive nell'area interessata. Contemporaneamente si andavano delineando chiaramente le enormi potenzialità di quello che sarebbe diventato il più importante bacino bieticolo italiano; alcuni studi, infatti, avevano dimostrato la possibilità di produrre, per un periodo molto lungo, oltre 9 milioni di quintali716 di barbabietole. Con la

delibera del 13 Febbraio 1986, il CIPE, in presenza di un bacino bieticolo che produceva 10 milioni di quintali717 di barbabietole, impegnava il Ministero dell'agricoltura e delle foreste ad

inserire nella proposta di aggiornamento del piano bieticolo-saccarifero nazionale la permanenza e la ristrutturazione dell'impianto di Ceggia718. L'Eridania, a fronte di questa

decisione, acquistò circa 30 ettari719 di terreno per ampliare lo stabilimento e, nel 1988, attuò

importanti interventi, come la metanizzazione di alcuni impianti e l'ampliamento della centrale termica. Nel Settembre 1988, l'Eridania presentò all'Amministrazione comunale di Ceggia un piano di ampliamento e ristrutturazione dello stabilimento, che fu approvato da quest'ultima il 19 Dicembre successivo. Tale operazione, che doveva attuarsi in tre anni, avrebbe dotato lo stabilimento di una potenzialità produttiva di 70 mila quintali720 di

barbabietole lavorate al giorno, prevedendone poi un ulteriore sviluppo potenziale. Eridania avrebbe realizzato tale intervento solo se il Ministero dell'Agricoltura avesse dato seguito alla delibera del CIPE, di cui sopra; il Ministro allora in carica, Mannino, era però intenzionato ad aggiornare il piano di settore, in quanto scaduto alla fine del 1988, questo allungava

714

Tra il 1979 e il 1984 il bacino bieticolo dello zuccherificio di Ceggia è passato da 2.968 ettari e una produzione di 1.650 milioni di quintali di barbabietole a 8.238 ettari e una produzione di 4.800 milioni di barbabietole, in “Cronistoria della lotta per la salvaguardia dello zuccherificio...” , op. cit.

715 Ibidem. 716 Ibidem. 717 Ibidem. 718

Delibera del 13 febbraio 1986, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 56 l'8 Marzo 1986, in AZC, anno 1957-1990.

719

Cronistoria della lotta per la salvaguardia dello zuccherificio...”, op. cit.

720

(21)

inevitabilmente i tempi per un'eventuale ristrutturazione dello zuccherificio, mettendone nuovamente a rischio l'esistenza.

Nel frattempo, nel 1990, l'Eridania, gestita da Raul Gardini721, alla guida del gruppo Ferruzzi

dal 1979, acquistò per circa 60 miliardi di lire722 alcuni stabilimenti723 del gruppo saccarifero

Montesi, giunto al fallimento dopo un crollo finanziario.

Da questa operazione di accorpamento e acquisizione nacque una nuova società chiamata Industria Saccarifera Italiana (ISI), su cui Eridania aveva un controllo diretto. Con questa operazione Eridania riuscì a salvare e mantenere in produzione i quattro zuccherifici ex Montesi, ristrutturandoli grazie ai fondi della società finanziaria Risanamento Agro Industriale Zuccheri-Ribs spa724 e alle risorse economiche di Finbieticola, la finanziaria dei bieticoltori725.

La delibera del CIPE del 1986, che come abbiamo detto poco sopra, prevedeva l'inserimento dello zuccherificio di Ceggia nel piano di risanamento nazionale, non fu accolta e, di conseguenza, non fu attuato nessun potenziamento dello stabilimento; questo nonostante fossero presenti le condizioni necessarie alla sua realizzazione, tra cui: l'opportunità di poter accedere agli aiuti della finanziaria pubblica e, i brillanti risultati ottenuti dal suo bacino bieticolo, il primo in Italia e tra i migliori in Europa726.

Nel 1992 il Gruppo Eridania conferì la totalità delle attività agroindustriali alla nuova società Eridania Beghin-Say727, che aveva la propria sede in Francia; contemporaneamente tutti gli

impianti produttivi italiani dell'ex Gruppo Eridania, compreso quello di Ceggia, vennero

721

Dopo il passaggio di Eridania da Monti al Gruppo Ferruzzi, la presidenza della società fu affidata a Giuseppe De Andrè, mentre, la vice presidenza a fu assegnata a Raul Gardini (1933-1993), genero di Searfino Ferruzzi, che ne diventerà presidente nel 1981. A partire da questa data Gardini si impegnò nella conquista della società Francese Beghin-Say; egli, già dal 1979, aveva progressivamente ridotto le attività legate al commercio dei cereali, per spostare gli interessi del gruppo in Europa, concentrandosi sull'industria saccarifera. Gardini consolidò la posizione dell'Eridania in ambito nazionale e mise a frutto il pacchetto azionario della Beghin-Say, ottenendo il controllo del colosso saccarifero francese tra il 1982 e il 1985, in M. E. Tonizzi, op. cit., p. 191.

722

Cronistoria della lotta per la salvaguardia dello zuccherificio...”, op. cit.

723

Pontelongo (PD), Casei Gerola (PV), Finale Emilia (FE) e Fano (PS).

724

La Ribs era una società interamente a capitale pubblico. Inizialmente disponeva di risorse pari a 150 miliardi, poi raddoppiati, e aveva lo scopo di favorire, con una partecipazione limitata ad un periodo massimo di 5 anni, la costituzione di nuove società, erogando finanziamenti agevolati che potevano essere estesi anche a società già esistenti che acquisivano da gruppi saccariferi in crisi gli impianti più validi portandoli, a seguito di adeguati investimenti, ad una gestione economicamente remunerativa, in M.E.Tonizzi, op. cit., pp. 184-185.

725

Alla fine del processo di ristrutturazione e conversione degli impianti saccariferi, rimanevano in Italia 23 stabilimenti attivi.

726

Nel 2000 la superficie destinata alla coltivazione della bietola in Europa è di 1.854,524 ettari; in Italia è 245 mila ettari, 44 mila ettari in Veneto di cui 17 mila nel bacino del Veneto orientale e Friuli. Le rese medie di saccarosio per ettaro erano di: 115,3 q.li in Francia; 97,7 q.li in Germania; 80 q.li in Italia e, nel caso specifico di Ceggia 101,3 q.li., in “Lavoratori e agricoltori uniti per la salvaguardia dello zuccherificio di Ceggia...”, op. cit.

(22)

trasferiti alla nuova società Eridania zuccherifici nazionali spa, che insieme alla ISI, rappresentava l'attività saccarifera della società francese, di cui sopra, nel nostro paese. Nel 1995 si verificò un calo produttivo, a causa di condizioni climatiche avverse, quali: periodi di siccità subito dopo le operazioni di semina e piogge intense durante il periodo di raccolto; a queste difficoltà si aggiunsero i contrasti sempre più accessi tra la Società e i bieticoltori, nonché, nel 1991, lo spostamento del bacino bieticolo da Mirano (VE) al fiume Livenza, in favore dello zuccherificio di Pontelongo (PD), che comportò una perdita di oltre 8 mila ettari728 di seminativi. Come abbiamo visto i tentativi di chiudere la fabbrica, nel corso

degli anni, sono stati molteplici729; se altri stabilimenti nel frattempo venivano fatti fuori

(Portogruaro-VE-, San Michele al Tagliamento-PN-, Cervignano-UD-), quello di Ceggia resisteva, ma: “...come una nenia incessante, lenta, silenziosa, la voce che dava chiuso anche questo impianto non ha mai smesso di spegnersi, al punto che nessuno ci credeva.”730 Come

racconta il Dr. Gianfranco Gasperini, direttore dello zuccherificio per circa un ventennio (dalla metà degli anni '70 all'inizio degli anni '90), c'era anche chi ci scherzava sopra, egli ricorda:“...Gardini non è mai venuto allo zuccherificio di Ceggia e l'ho conosciuto in due occasioni e mi sono presentato e allora lui un po' ridendo ha detto: << ah il direttore dello zuccherificio di Ceggia è lo stabilimento che deve sempre chiudere ma che non chiude mai>>”731. Nel 1996 il Ministero per le risorse Agricole Forestali ed agro-alimentari, decretò

727

La società francese Beghin-Say derivava dalla fusione tra la Societè des raffineries et sucréries Say, fondata nel 1898, e la Beghin, nata nel 1821. La Beghin-Say, oltre ad operare nel settore saccarifero, occupava un posto di rilievo nell'industria cartaria. Nel 1973 Eridania acquisì una partecipazione nella nuova società francese e nel 1974, insieme a quest'ultima, costituì la Società Interzuccheri che aveva per oggetto il commercio nazionale e internazionale della derrata, in M. E.Tonizzi, op. cit., pp.188-193.

728

“Lavoratori e agricoltori uniti per la salvaguardia dello zuccherificio di Ceggia...”, op. cit.

729

Sul futuro della fabbrica c'erano sempre dubbi, le voci relative alla sua chiusura circolavano frequentemente. Lo zuccherificio, prima della chiusura definitiva, ha vissuto tre tentativi di chiusura da parte di Eridania: 1980, 1982e 1985. Come racconta il Dr. Gasperini, allora direttore dello stabilimento, fu lui a dover gestire, purtroppo, tutte e tre queste minacce di chiusura: “ sono stati anni molto amari,..., e i momenti amari si riferiscono soprattutto ai momenti in cui ho dovuto inviare a tutti i dipendenti le lettere di licenziamento, l'invito ad andare in banca per prendere la liquidazione e quindi c'è stata dell'amarezza in tutto questo”, in L'odore dello zucchero. Storia di una fabbrica, di un territorio e delle sue genti, un film di Nic Pinton, Produzione: MB Srl (Multimedia & Broadcast) Venezia, 2005. Sul futuro della fabbrica c'erano sempre dubbi, le voci relative alla sua chiusura circolavano frequentemente l'Eridania, per non smentirsi, a fine campagna, annunciava la volontà di smantellare l'impianto, per poi disdirla ogni volta; il Dr. Gasperini, ancora, ricorda: “...qualche volta però avevo da qualcuno dell'Eridania delle notizie che non erano negative sul futuro e io sempre con la dovuta cautela ho cercato di trasferire queste notizie sul consiglio di fabbrica e sugli operai e infatti per tre anni l'Eridania aveva tentato di chiudere ma si è ritirata ogni volta”, in Ibidem.

730

“L'odore dello zucchero. Storia di una fabbrica...”, op. cit.

731

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