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Capitolo VIII Caduta dei Titani

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Academic year: 2021

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8.1 - La Caduta dei Titani

Fra le opere di soggetto mitologico appartenenti all’esigua produzione profana del nostro pittore, Binotto1 ha incluso anche un dipinto di collezione privata, pubblicato per la prima volta da Christiansen2 circa un decennio fa e da questi attribuito all’artista. Lo studioso statunitense faceva, innanzitutto, notare che nel prezioso libro dei conti del Lotto essa non era stata menzionata e tantomeno compariva fra gli esemplari messi in vendita o all’asta intorno alla metà del XVI secolo per sua volontà. Il soggetto era riconosciuto come Caduta dei Titani.

La composizione (fig.1) è divisa in due parti contrapposte. La porzione inferiore della tela immortala i nemici dell’Olimpo, i Titani - tre figure dall’accentuata volumetria e audacemente scorciate - mentre rovinano pesantemente verso il basso. Quella superiore ospita invece una schiera di divinità impegnate nello scontro, strette attorno a Giove che – in piedi sulle ali di un’aquila – ha fra le mani delle saette che scaglia con furia sui nemici. Christiansen vedeva nella posa del dio un richiamo al motivo classico del Laocoonte.

In alto a destra - seduta su un arcobaleno e con un piede appoggiato su di un globo – sta Giunone (fig.2), accompagnata dal suo tradizionale attributo, il pavone. La dea, nella cui posa mi sembra di ravvisare l’eco del cupido che compare nella Danae di Correggio (fig.4), si volge verso il figlio, Vulcano, che sta alla sua sinistra in attesa di ordini, probabilmente per chiedergli più armi. Il dio del fuoco impugna un martello e con quello indica un amorino che regge sulle spalle una cesta carica della nuova artiglieria. Alla sinistra e alla destra di Giove troviamo le divinità dall’indole più battagliera e dall’aspetto più feroce: il dio della guerra, Marte che - con in una mano lo scudo e nell’altra una lancia - sta per scagliare la sua furia sui tre Titani già in caduta e una Minerva “valchiria” dalle forme ben tornite, dotata anche lei di lancia, elmo e uno scudo con la testa di Medusa.

Alle due estremità della composizione, uno di fronte all’altro, riconosciamo chiaramente Plutone - dio degli Inferi, accompagnato dal cane a tre teste Cerbero - e Nettuno, che ha in mano l’inconfondibile tridente.

1

M. Binotto, in Lorenzo Lotto, Milano, 2011, pp. 249-259.

2

K. Christiansen, A Lotto « novità » : The Fall of the Titans, in Mélanges en homage à Pierre

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In alto a sinistra, “contempla” la scena un canuto e alato Saturno che, con un arco in una mano, con l’altra si regge ad un bastone; sotto di lui stanno Cupido e Venere alata (fig.3). È proprio la presenza di queste ali che faceva pensare a Christiansen che nel dipinto in esame Lotto non avesse inteso rappresentare quest’ultima in qualità di dea dell’amore, bensì come “Venus Victrix”3. Trattenendo il figlio - che mostra un atteggiamento guerriero piuttosto inusuale - , il capo chinato su di lui, Venere sembra quasi istruirlo sul da farsi. Oltre ad evidenziare l’inusualità dell’attributo delle ali associato alla dea e ad insistere dunque sulla rarità del soggetto, il critico individuava un interessante precedente de motivo in una placchetta bronzea pubblicata da Pope-Hennessy4 (fig.5) in cui Venere alata è accompagnata da Cupido.

Lo studioso, facendo giustamente notare la resecatura dei bordi della tela, proponeva di riconoscere nella figura che compare all’estremità destra, di cui scorgiamo solo parte del copricapo, Mercurio, che con un braccio teso indica i Titani.

Fig.2 Giunone Fig.3 Venere Vittrice e Cupido

3

Per la descrizione di Venere “Vittrice” vedi V. Cartari, Imagini delle dei de gl’antichi, ed. a cura di G. Auzzas, M. Pastore Stocchi, Vicenza, Pozza, 1996, pp. 475-478.

4

J. Pope-Hennessy, Renaissance bronzes from the Samuel H. Kress Collection, reliefs, plaquettes,

statuettes, utensils and mortars, Londra, Phaidon Press, 1965, p. 92, n. 325. Christiansen affermava:

«La Venere alata è di una certa rarità, ma appare con Cupido su una placchetta padovana del tardo

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Fig.4 Correggio, Danae, 1531-32 circa, dettaglio del Cupido

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8.2 - Fonti letterarie

A quali fonti avrebbe guardato il nostro Lotto? Il critico era convinto che questi non si sarebbe ispirato al mito nella versione offerta da Ovidio, bensì come riportato da Esiodo5 e Apollodoro. Mentre in Ovidio si narra del tentativo, fallito, dei giganti di raggiungere l’Olimpo impilando immense montagne l’una sull’altra, per poi essere fatti precipitare dalle divinità olimpiche sulle costruzioni stesse - ne abbiamo una trasposizione esemplare nell’affresco realizzato da Giulio Romano a Palazzo Tè, nella Sala dei Giganti - nei due autori greci, al contrario, sono i Titani, ovvero i progenitori dei Giganti, ad essere cacciati dall’Olimpo e relegati nell’ “oscurità eterna” del Tartaro. Qualche secolo più tardi, Boccaccio - che conosceva la versione originaria del mito secondo cui i Giganti sarebbero stati generati dal sangue di Urano e avrebbero avuto code di serpente al posto delle gambe - fondeva insieme le due storie nella Genealogia degli Dei. Lotto, dunque, si sarebbe attenuto alla descrizione fornita da Esiodo raffigurando degli esseri dall’aspetto quasi “primitivo”, omettendo, però, le code di serpente. Un altro aspetto del mito che Christiansen metteva in evidenza riguarda il ruolo svolto dai Ciclopi; nella versione narrata da Apollodoro erano questi - dopo essere stati liberati dal Tartaro - ad affiancare Giove nella lotta contro i Titani, e non Saturno e Vulcano come risulta dal dipinto lottesco. Mentre Giulio Romano li aveva inclusi nella rappresentazione dell’episodio (fig.6) - anche se schierati dalla parte dei nemici dell’Olimpo - non si può affermare con altrettanta certezza che i Titani di Lotto fossero in realtà dei Ciclopi, a causa del danneggiamento della tela in corrispondenza dei loro volti. Sull’attribuzione a Lotto dell’opera in esame lo studioso non aveva alcun dubbio e ad esempio faceva notare le affinità da lui riscontrate fra i putti raffigurati nella tela e quelli presenti in altre opere degli anni ’30 e ’40 del ‘500. Nello specifico, Cupido richiamerebbe il San Giovannino della Sacra Famiglia con Angeli del Louvre (fig.7), i cherubini che dispensano petali di rosa nella Madonna del Rosario della chiesa di San Domenico a Cingoli6 o quelli che sostengono la Vergine nell’ Assunzione in San Francesco ad Ancona.

5

Esiodo, Teogonia, Milano, Rizzoli, 1998.

6

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Fig.6 Giulio Romano, particolare della Sala dei Giganti, 1532-35, Mantova, Palazzo Te

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Lo stesso proprietario del dipinto lo avrebbe, del resto, rassicurato circa la paternità lottesca mettendolo al corrente del fatto che prima di lui già Giuliano Briganti e David Ekserdjian vi avevano riconosciuto la mano del pittore. Considerati i suddetti raffronti Christiansen propendeva per una datazione della Caduta dei Titani piuttosto tarda, al terzo e quarto decennio circa del XVI secolo, avvicinandola addirittura alla

Presentazione al Tempio per l’analogo stato di incompletezza che egli riscontrava

nell’opera. D’altro canto, il critico ipotizzava anche che la tela potesse risalire ad un’epoca precedente: nel trattamento “vigoroso” delle figure e quello “graduale” dello spazio, l’opera - accostata ad un rilievo - avrebbe potuto richiamare lo stile degli affreschi dell’Oratorio Suardi di Trescore, intrapresi da Lotto nel 1524. Ad esempio, le figure dei tre titani sembrerebbero modellate in una maniera affine a quella delle figure di eretici (fig.8-9) che sulle pareti dell’oratorio sono mostrati mentre cadono dai loro “piedistalli” assumendo pose fortemente scorciate.

Fig.8-9 Figure di eretici, Storie di Santa Barbara, 1524, Bergamo, Trescore Balneario, Oratorio Suardi

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8.3 - I Titani di Lotto: richiami iconografici nell’opera di Tiziano

Nel dipinto, Lotto avrebbe cercato di rivaleggiare con Tiziano emulandone lo stile eroico, di cui quest’ultimo aveva dato prova nella Fucina di Vulcano7, tela realizzata per il soffitto della sala del Palazzo Pubblico di Brescia, di cui resta memoria nell’incisione su rame (fig.10) di Cornelis Cort8 (1533-36/1578), nonché nella famosa Battaglia di Spoleto9, grande tela commissionatagli nel 1513 per adornare il soffitto di una Sala del Palazzo Ducale di Venezia, ma dipinta solo fra 1537 e 1538. A proposito di quest’ultima, Christiansen, suggeriva che il titano raffigurato da Lotto in basso a sinistra, che in una posa contorta abbandona il capo all’indietro e solleva un braccio, si potesse ispirare direttamente ad uno dei cavalieri - quello posto in primo piano a sinistra (fig.13) - raffigurati nella tela tizianesca, nota solo attraverso il disegno preparatorio (fig.11), la copia conservata agli Uffizi (fig.12) e alcune incisioni dall’originale. Lo studioso individuava, inoltre, “alcuni punti in comune” fra uno degli altri due titani - non specifica quale - e “una figura immediatamente adiacente a quel soldato”. La parola “adiacente” è piuttosto ambigua. Essa sembrerebbe riferirsi al soldato dai glutei torniti che nella Battaglia è ritratto di schiena, leggermente in secondo piano rispetto al cavaliere alla sua sinistra (fig.13). La sua posa potrebbe richiamare vagamente il titano raffigurato da Lotto a destra, ma le somiglianze non sembrano poi così evidenti: anche se entrambe le figure hanno il braccio destro teso verso il basso e la gamba destra flessa all’indietro - ciò è più accentuato nel titano - il punto di vista è diverso; il soldato è ritratto da dietro, il titano - che tra l’altro impugna nella sinistra uno scudo - quasi di profilo e con la schiena inarcata all’indietro. D’altro canto, lo studioso avrebbe potuto riferirsi anche alla figura rannicchiata a testa in giù, che nella Battaglia sta al limite del bordo inferiore della tela (fig.14).

7

Nell’ottobre del 1564 Tiziano stipulava un contratto con il quale si impegnava a realizzare tre tele raffiguranti rispettivamente La Fucina di Vulcano, Brescia, Minerva e Marte, Cerere e Bacco. Nel ’66-’67 queste erano terminate e nel ’68 spedite ai committenti ai quali, tuttavia, non sarebbero piaciute; al rifiuto sarebbe seguito un aspro litigio con il pittore per i pagamenti. Il 18 giugno 1575 i soffitti andavano distrutti a causa di un incendio.

8

L’incisione, un bulino, è ricordata come L’officina di Vulcano, I Ciclopi forgiano le armi di Brescia e I Ciclopi o La fucina di Vulcano. Cfr. H. Tietze (Titian: the paintings and drawings, Londra, Phaidon Press, 1950), L. Puppi (a cura di, Tiziano. L’ultimo atto, catalogo della mostra, Belluno, Palazzo Crepadona, Pieve di Cadore, Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore, 15 settembre 2007 - 6 gennaio 2008), Milano, Skira, 2007 e R. Pallucchini (Tiziano, Firenze, Sansoni, 1969).

9

Cfr. H. E. Wethey (Mythological and Historical Paintings, in The Paintings of Titian, Londra, Phaidon Press, 1975).

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Fig.10 Cornelis Cort, La fucina di Vulcano, incisione su rame (copia da Tiziano), 1564-68, 412 x 394 mm, Bassano, Museo Civico.

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Fig.12 Battaglia di Spoleto, copia dall’originale perduto di Tiziano, Firenze, Galleria degli Uffizi

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Fig.14 Soldato, dettaglio della Battaglia di Spoleto, copia da Tiziano

Anche se questa dà le spalle allo spettatore sembrerebbe richiamare il titano che occupa la posizione centrale: entrambi sono accucciati e hanno la testa volta di lato. Mentre è chiaro che il titano brandisca un bastone, purtroppo non si riesce a distinguere cosa il soldato impugni con il braccio destro, che peraltro è rivolto verso l’alto (e quindi verso il bordo inferiore della tela).

Christiansen riscontrava dei parallelismi con altre due opere di Tiziano. Si tratta dei teleri realizzati per il soffitto della chiesa di Santo Spirito in Isola (ora presso la sacrestia di Santa Maria della Salute, Venezia) fra 1543 e 1544: Caino che uccide

Abele10 e Davide e Golia (fig.15). In entrambi gli esemplari le figure risultano fortemente scorciate nella visione “di sotto in su”. Un altro importante termine di paragone per il nostro dipinto, come già accennato, sarebbe l’affresco della Sala dei

Giganti eseguito da Giulio Romano in Palazzo Te a Mantova, che avrebbe suscitato

l’interesse sia di Tiziano che di Lotto.

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8.4 - Un manifesto della superiorità della pittura sulla scultura?

Per Christiansen Lotto, oltre ad emulare lo stile eroico di Tiziano, Giulio Romano e forse addirittura Michelangelo, avrebbe qui inteso dimostrare la superiorità della pittura rispetto alla scultura, prendendo così parte a quel dibattito - sorto intorno agli anni ’40 del secolo e destinato ad avere durata plurisecolare - relativo alla questione del “paragone” fra le arti, il cui obiettivo era stabilire le possibilità e i limiti di ciascuna delle due arti figurative, pittura e scultura11. Il nostro solitario artista vi sarebbe stato coinvolto per il tramite dell’amico Jacopo Sansovino, che si sarebbe impegnato a dimostrare la supremazia della scultura sulla pittura realizzando i celebri rilievi bronzei per la tribuna di San Marco a Venezia, dove le figure in primo piano si staccano da veri e propri fondali architettonici. I rilievi, destinati ad essere collocati ad una considerevole altezza dal suolo, sarebbero stati predisposti per privilegiare la

Fig.15 Tiziano Vecellio, Davide e Golia, olio su tela, Venezia, Santa Maria della Salute

11

Secondo K. Christiansen il “paragone” sarebbe presto diventato “un topos della critica letteraria” “ di vero interesse per Sansovino e Tiziano per mezzo della loro mutua conoscenza con Aretino, che conosceva anche Lotto”.

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visione “di sotto in su”. Al dibattito avrebbe successivamente preso parte anche Tiziano con le succitate tele del Caino e Abele e del Davide e Golia di cui il maestro si sarebbe, invece, servito per dimostrare la superiorità della pittura12. Lotto - sottolineava Christiansen - non si sarebbe sottratto al dibattito: a dimostrarlo sarebbero ad esempio le figure di Venere e Giunone, da lui paragonate a “statuette collocate su nuvole simili a mensole” (“statuettes set on shelf-like banks of clouds”), nuvole rese, effettivamente, attraverso una gradazione tale da trasmettere una sensazione di profondità spaziale, accentuata dal diminuire delle dimensioni delle figure mano a mano che si dirige lo sguardo verso la parte alta del dipinto. Scorci arditi, monumentalità, densità: sarebbero queste le caratteristiche che caratterizzano l’opera in esame dove, come in un rilievo del Sansovino, i Titani - definiti “nightmarish, frantically gesticulating mosters” (“mostri ossessionanti che gesticolano freneticamente”) - premono contro i bordi della tela, quasi a voler “sfondare” il piano pittorico.

Lo studioso, seppure non fosse in grado di individuare la committenza dell’opera, ipotizzava che questa fosse stata realizzata “on spec” - il termine sta per affare, speculazione – certo che un simile soggetto potesse attrarre esclusivamente l’attenzione di un fruitore dotato di uno spiccato interesse per le tematiche artistiche chiave dell’epoca, come per l’appunto la questione del “paragone”.

La Caduta dei Titani, infine, oltre a dimostrare l’impegno e le grande inventiva di Lotto nel trattare la tematica mitologica, sarebbe l’ennesima prova della modernità dell’artista che, nel rappresentare la rovinosa caduta dei Titani nell’oscurità dell’abisso, avrebbe creato addirittura un precedente per le pitture “nere” di Goya.

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K. Christiansen le descriveva in questi termini: «Tiziano mostrava le sue figure attivamente

atteggiate fortemente scorciate e con una densità fisica e monumentalità che rivaleggiava non solo con l’opera di Giulio e Sansovino, ma con quella di Michelangelo».

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