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Capitolo III I CARATTERI DELLA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA

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Capitolo III

I CARATTERI DELLA GIURISDIZIONE

AMMINISTRATIVA

1. Premessa

Come abbiamo già ampliamente visto nel capitolo precedente, grazie al rilevante operato della giurisprudenza, recepito e formalizzato poi dalla Costituzione, si è venuto a creare un sistema di giustizia dualista, basato sulla situazione giuridica soggettiva lesa, per cui se al giudice ordinario è devoluta la giurisdizione in materia di diritti soggettivi, invece alla giurisdizione amministrativa spettano tutte quelle situazioni in cui è presente un atto della pubblica amministrazione, illecito e illegittimo, che lede un interesse legittimo, giuridicamente protetto: questi sono i caratteri intrinseci e fondanti la giurisdizione amministrativa.

Entrando poi nel merito, possiamo vedere che la giurisdizione amministrativa non è caratterizzata dalla presenza di un modello unitario, dotato delle stesse forme di esercizio della potestà giurisdizionale, ma è venuto a crearsi un sistema complesso, costituito da tre tipi distinti di giurisdizione: una giurisdizione generale di legittimità affiancata da altre due giurisdizioni speciali, la giurisdizione c.d. esclusiva e la giurisdizione estesa al

merito.

Questa distinzione, che in passato era contenuta negli artt. 26 ss. del T.U. del Consiglio di Stato e nella legge istitutiva dei T.A.R., n. 1034/1971, e che oggi la ritroviamo all’art. 7 del Codice del processo amministrativo,

non è omogenea, in quanto non si fonda sul medesimo criterio: se la

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87 tipo di sindacato eseguito dal giudice, rispetto alla cognizione dello stesso sui

fatti, la prima come controllo di mera legittimità, la seconda estesa all’opportunità dell’atto, la giurisdizione esclusiva si fonda su un criterio completamente diverso, cioè sulla natura della situazione giuridica tutelata, perché estende il suo sindacato anche ai diritti soggettivi, strettamente connessi agli interessi legittimi e individuati dalla legge e dall’art. 133 del Codice del processo amministrativo.

Peraltro, una parte rilevante della dottrina ha sottolineato come nelle fattispecie di giurisdizione amministrativa esclusiva, proprio perché il giudice ha un potere cognitivo che investe entrambe le situazioni giuridiche soggettive, sia addirittura rinvenibile un ritorno al sistema monista, avvalorato dal fatto che nel corso del tempo le materie ad essa devolute sono state esponenzialmente aumentate: questo aveva portato una parte della dottrina a promuovere una revisione della Costituzione che superasse e abbandonasse definitivamente il sistema dualistico, istituendone uno monistico.

Infine, con l’entrata in vigore del Codice questa differenziazione ha perso il suo significato e la sua rilevanza originaria, perché, come alcuni hanno sottolineato, sarebbe più opportuno elaborare una distinzione basata sul tipo di azione proposta e sul tipo di rito processuale attivato: ostinarsi a distinguere sulla base del diverso tipo di accertamento giurisdizionale, secondo una parte della dottrina risulterebbe addirittura antistorico1.

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2. La giurisdizione di Legittimità

2.1. Definizione e Ambito soggettivo di applicazione

La giurisdizione di legittimità oggi trova la sua disciplina definita nell’art. 7, comma 4, del Codice del processo amministrativo, secondo cui «sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le

controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma».

Siamo di fronte al modello di giurisdizione ordinario e generale del giudice amministrativo, che viene a nascere con la legge Crispi del 1889, in cui per la prima volta si attribuì un potere giurisdizionale alla IV Sezione del Consiglio di Stato – seppur non acquistando formalmente la qualità di giudice –, al fine di garantire al privato cittadino quella tutela, che non era stata affatto assicurata con la legge abolitiva del contenzioso amministrativo.

Fin dalla sua istituzione, la giurisdizione di legittimità operava contro gli atti e provvedimenti della pubblica amministrazione, che risultavano affetti da uno dei tre vizi di legittimità, cioè l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere, e che avevano ad oggetto situazioni giuridiche soggettive, definite prima come «interessi di individui o di enti giuridici morali»2 ed oggi riconducibili alla categoria dell’interesse legittimo.

È da tenere ben presente, come una sorta di «stella polare», come presupposto fondamentale ai fini della trattazione, che tutti i traguardi conquistati nel corso del tempo, che hanno determinato la formazione dell’attuale sistema, sono stati raggiunti prevalentemente, se non esclusivamente, grazie all’operato della giurisprudenza, e non del legislatore, il quale si è solo limitato a recepire tali elementi, conferendo loro valore di legge: si evidenzia la natura del diritto amministrativo particolarmente dinamica, aperta e flessibile, in divenire rispetto ai cambiamenti della società.

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89 In generale, la giurisdizione di legittimità si rivolge alle situazioni di

interesse legittimo, riconosciute pacificamente, anche a livello costituzionale,

come situazione giuridica soggettiva protetta. Non è però sempre stato così, infatti nell’Ottocento si pensava che le uniche situazioni rilevanti fossero quelle aventi ad oggetto il diritto soggettivo: già nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, si riconosceva positivamente la presenza di un diritto

civile e politico, che corrispondeva all’attuale diritto soggettivo, ma per tutti

«gli altri affari» non si dava nessuna classificazione giuridica positiva. Pur trovando un primo riconoscimento nella legge Crispi, come abbiamo visto, nella formula «interessi di individui o di enti giuridici morali», si trattava in realtà di meri interessi riflessi, il che ha fatto nascere lunghi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, con cui si denunciava, al tempo, una inidoneità e una

insufficienza della tutela contro gli atti della pubblica amministrazione,

avviando un processo che ha portato alle attuali classificazioni e distinzioni in materia di interesse legittimo, di cui peraltro si è sempre di più sentito il bisogno a causa dello sviluppo dell’Unione europea: in conformità con quanto previsto dall’art. 1 del Codice del processo amministrativo, si garantisce una tutela piena ed effettiva in caso di lesione di qualsiasi situazione giuridica soggettiva.

2.2. L’oggetto del giudizio e le sue limitazioni

Tradizionalmente, la giurisdizione amministrativa di legittimità è sempre stata definita come quel modello di giurisdizione destinato a verificare, da un punto di vista strettamente formale, la legittimità dell’atto amministrativo, quindi la sua conformità alla legge: si trattava di un «giudizio

impugnatorio e cassatorio sull’atto».

In conformità con quanto stabilito agli artt. 26 e 45 del T.U. del Consiglio di Stato e all’art. 26 legge T.A.R., n. 1024/1971, si poteva dunque impugnare un atto amministrativo per far valere il vizio di incompetenza, piuttosto che l’eccesso di potere o la violazione di legge, quindi i poteri che venivano attribuiti al giudice erano meramente funzionali a questo tipo di azione: l’oggetto dell’accertamento non era quindi la lesione di una

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90 situazione giuridica soggettiva, ma la mera illegittimità dell’atto, e, nel caso di accertamento positivo, il giudice poteva solamente pronunciare una sentenza costitutiva che aveva come effetto diretto e principale l’annullamento dell’atto impugnato e solo in via indiretta ed eventuale era possibile riconoscere una riparazione per ingiusta lesione.

È chiaro allora che la giurisdizione di legittimità nasce come giurisdizione «limitata» sotto diversi aspetti, che oggi sono stati parzialmente superati grazie all’opera della dottrina e della giurisprudenza. Risulta limitata dunque l’intera attività del giudice rispetto ai suoi poteri cognitivi, istruttori e decisori, conseguentemente sarà limitata anche la tutela che la parte ricorrente potrà ottenere, favorendo così la posizione della pubblica amministrazione, nonostante abbia operato illegittimamente.

Dal punto di vista della cognizione dei fatti oggetto della controversia, come è già stato detto, era ammesso il solo sindacato della illegittimità dell’atto, e, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, si doveva ritenere escluso qualsiasi giudizio che riguardasse il fatto e il rapporto sostanziale tra le parti: pur potendo accertare l’esistenza concreta del fatto, il giudice non poteva sindacare le valutazioni intrinseche e soggettive che avevano spinto la pubblica amministrazione ad agire in un determinato modo, potendone, al limite, solamente confrontare la conformità con la ragionevolezza e la lettera della legge.

Dunque era escluso qualsiasi giudizio che riguardasse le valutazioni di merito e le valutazioni tecniche sull’attività dell’amministrazione: queste infatti sono valutazioni che non riguardano strettamente il dato oggettivo del fatto, ma incidono sull’esercizio della discrezionalità amministrativa e tecnica e in generale sono riconducibili all’opportunità e al merito amministrativo, che non possono essere oggetto di verifica giudiziale.

Ovviamente, essendo così limitata la portata della sua cognizione, risultavano conseguentemente limitati sia i suoi poteri istruttori, poiché il giudice poteva avvalersi quasi esclusivamente della sola prova documentale, sia i suoi poteri decisori, perché non poteva emanare sentenze dichiarative o di condanna al risarcimento del danno, a differenza

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91 della giurisdizione esclusiva, né poteva riformare o modificare l’atto, come il giudice di merito, in virtù del principio di separazione dei poteri: era ammessa esclusivamente una sentenza costitutiva di annullamento.

È chiaro che di fronte a dei limiti così evidenti, anche la parte ricorrente incontrava degli ostacoli rilevanti nell’ottenimento della tutela sperata: il mero annullamento dell’atto provocava un effetto ripristinatorio della situazione precedente, ma questo non sempre era sufficiente ad assicurare la tutela del cittadino, in quanto niente qui vietava alla amministrazione di poter adottare nuovamente il provvedimento, senza rispettare le previsioni di legge a garanzia dell’interesse della parte. E peraltro, questa tutela risultava particolarmente inadatta e insufficiente, in tutti quei casi in cui mancasse materialmente il provvedimento amministrativo: nei casi in cui l’amministrazione non aveva emanato un provvedimento o per inerzia o in caso di silenzio-rigetto, quindi di fronte ai c.d. comportamenti silenziosi dell’amministrazione, la parte sarà titolare di un interesse legittimo c.d. pretensivo, cioè pretenderà un comportamento attivo della pubblica amministrazione per poter soddisfare la propria esigenza, quindi l’annullamento non risulterà essere di certo lo strumento idoneo ad assicurare tale comportamento, perché l’effetto ripristinatorio e l’accertamento della illegittimità dell’atto né aggiungeranno niente alla situazione precedente, né obbligheranno l’amministrazione ad un facere generico.

Essendo questo un sistema che non garantiva una tutela piena ed effettiva, molti sono stati i tentativi della dottrina e della giurisprudenza, prima, e del legislatore, dopo, di superare tale modello impugnatorio-cassatorio, promuovendo l’introduzione di una giurisdizione definita come «soggettiva»3, volta alla riparazione di situazioni giuridiche soggettive lese. I primi interventi si sono registrati nel d.lgs. n. 80/1998 e nella legge n. 205/2000, finché poi non è stato emanato il Codice del processo amministrativo, che ha introdotto e formalizzato ulteriori novità: in

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92 particolare, sono stati fortemente ampliati i poteri istruttori, infatti, oltre a poter disporre della consulenza tecnica, con il Codice, il giudice amministrativo potrà avvalersi di tutti i mezzi istruttori del Codice di procedura civile, ad eccezione del giuramento e dell’interrogatorio formale, dunque delle c.d. prove legali; in più dal combinato disposto dell’art. 7, comma 1 e 4, con gli artt. 31 e 34, comma 1, lett. c), risultano ampliati anche i poteri decisori del giudice di legittimità, infatti, oltre ad emanare sentenze

dichiarative, di accertamento di un obbligo della pubblica amministrazione,

purché si riguardino poteri amministrativi già esercitati4, potrà peraltro condannarla al risarcimento del danno per equivalente e anche in forma specifica, «se sussistono i presupposti previsti dall’art. 2058 del Codice civile», assicurando così il rispetto del principio della concentrazione delle tutele.

È stata così modificata la natura e la fisionomia tradizionale del giudizio di legittimità, non più configurabile solo come mero giudizio sulla legittimità dell’atto ma anche come giudizio risarcitorio e riparatorio per ingiusta lesione dell’interesse legittimo.

Ampliando i poteri decisori del giudice, si è ovviamente ampliato anche l’oggetto del giudizio: non potrà più essere definito come mero giudizio sull’atto, ma si tratterà di un vero e proprio «giudizio sul rapporto», che avrà ad oggetto non solo la illegittimità del provvedimento amministrativo, ma l’intero rapporto sostanziale, dovendo verificare la presenza di una lesione soggettiva e di tutti i presupposti per concedere la reintegrazione della pretesa richiesta dalla parte.

In conclusione, per completezza di trattazione e per confermare la presenza di un sistema garantistico, almeno in apparenza, è da evidenziare l’introduzione, con la legge n. 205/2000, di un rito speciale nei confronti delle situazioni di silenzio-rigetto, che assicurano alla parte quella tutela di cui fino ad ora non erano dotati perché il giudice può in questi casi nominare un commissario ad acta, il cui compito è proprio di «provvedere in luogo

dell’amministrazione inerte».

4 Limite che troviamo all’art. 34, comma 2, Codice del processo amministrativo, alla luce

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93 Dunque anche la giurisdizione generale di legittimità si configurerebbe come una giurisdizione piena e di carattere soggettivo, pienamente satisfattiva dell’interesse del ricorrente, in conformità con la norma di apertura del Codice, che sancisce il principio di pienezza e di effettività della tutela.

Nonostante queste rilevanti novità, è da constatare che la natura

impugnatoria di questo giudizio continua tutt’oggi ad influenzare alcuni

istituti, come per esempio il tema della questione annosa della c.d.

pregiudiziale amministrativa.

Questo attaccamento ai retaggi del passato è visibile sia nella legge n. 205/2000, sia nell’attuale Codice del processo amministrativo. Infatti all’art. 7, comma 4, della suddetta legge del 2000, secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, emerge una impossibilità di qualificare come

autonoma e distinta la azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento,

perché si ravviserebbe un «nesso di necessaria pregiudizialità tra annullamento

dell’atto lesivo e “consequenziale” istanza risarcitoria»: l’azione di condanna al

risarcimento si presentava meramente «eventuale» e sussidiaria, essendo prevista come rimedio ulteriore ed aggiuntivo ove la sentenza costitutiva di annullamento non risultasse «indirettamente sufficiente a ristorare la situazione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente5».

Mentre nel Codice del processo amministrativo, seppur all’art. 7, comma 4, del Codice si ammetta un’azione autonoma per il risarcimento del danno derivante da ingiusta lesione degli interessi legittimi, il successivo art. 30, comma 3, sancisce il termine perentorio di centoventi giorni, decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo e il comma 5 del medesimo articolo aggiunge che «nel caso in cui sia stata proposta azione di

annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza».

5 A.Police, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, II, Contributo alla teoria

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94 Queste disposizioni sembrerebbero dunque riconfermare un sistema giurisdizionale a carattere «oggettivo», volto a verificare la mera legittimità del provvedimento impugnato.

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3. La giurisdizione estesa al Merito

3.1. Definizione e ambito oggettivo

La giurisdizione estesa al merito è quel tipo di giurisdizione in cui, il giudice amministrativo, nei casi strettamente individuati dalla legge, oltre a poter annullare il provvedimento, ha l’ulteriore potere di riformare, modificare e sostituire un provvedimento amministrativo per motivi di merito6 o, nel caso in cui il provvedimento non sia stato emanato, può addirittura emanare una pronuncia che conferisca essa stessa la tutela richiesta al soggetto ricorrente.

È il primo modello di giurisdizione amministrativa storicamente presente, infatti già nell’art. 10 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. D, si formulava la distinzione tra la c.d. «giurisdizione ritenuta» del Sovrano e la

«giurisdizione propria» del Consiglio di Stato: se per la prima, quest’ultimo

aveva un ruolo meramente consultivo, in quanto doveva pronunciare esclusivamente dei pareri che assicurassero la mera legittimità formale in materia di ricorsi straordinari, la giurisdizione «propria» non nasce limitata in questo senso perché poteva eseguire un vero e proprio sindacato di merito, nei confronti di quelle controversie che precedentemente erano soggette al contenzioso amministrativo a causa della presenza di un interesse

pubblico, che determinava la competenza del giudice amministrativo, anche

se si trattava di diritti soggettivi.

Questa impostazione venne mantenuta anche dalla successiva legge Crispi del 1889, che cercò di fornire una tutela più forte verso situazioni che «presentavano un intreccio indissolubile di interessi pubblici e privati e che, per la loro importanza sociale ed economica, erano ritenute meritevoli di una tutela che andasse oltre il profilo della legittimità per incidere sul rapporto sotteso all'atto impugnato, ovvero per conformarlo direttamente

6 Secondo la giurisprudenza, la giurisdizione di merito è «aggiuntiva» a quella di legittimità,

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96 in assenza di un provvedimento dell'autorità amministrativa che su tale rapporto avesse disposto alcunché»7: il legislatore del tempo assicurava così una competenza giurisdizionale «piena»8, non limitata al mero accertamento della legalità dell'atto nei confronti di quelle materie, che, seppur

tassativamente individuate, erano rilevanti dal punto di vista economico e sociale

ed evidenziavano il problema di tutelare l'interesse del privato (anche se avente la consistenza di diritto soggettivo) dinanzi l'azione dell'autorità amministrativa9.

Una prima limitazione si ha fin da subito con la legge 1 maggio 1890, n. 6837, con cui si attribuiva alle Giunte provinciali amministrative una competenza di primo grado, estesa al merito, non più generale, poiché limitata ad alcune situazioni di interesse legittimo, né più come cognizione piena sui fatti, poiché trasformata in cognizione sull’opportunità

amministrativa: dalla formulazione della suddetta legge emergeva

l’impossibilità di estendere questa forma di giurisdizione ai diritti soggettivi e le controversie ad essa sottoposte erano riconducibili alla sola valutazione dell’esercizio del potere discrezionale nell’emanazione dell’atto, come nel caso di ricorso contro il diniego prefettizio dell'autorizzazione a stare in giudizio agli enti locali, dove il potere di cognizione del giudice è diretto a valutare la convenienza amministrativa ed economica della lite, il fondamento della

domanda e le probabilità di buon esito10.

A seguito di diversi interventi legislativi, tra i quali ricordiamo anche l’art. 27 del T.U. sul Consiglio di Stato, la giurisdizione estesa al merito trova oggi la sua collocazione nell’art. 7, comma 6, del Codice del processo

7 A.Police, voce Giurisdizione di merito, in cit., 2015; A. M. Sandulli, Manuale di diritto

amministrativo, Napoli, 1984, p.98ss.

8 L.Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1911, p.516;

M.S.Giannini-A.Piras, voce «Giurisdizione amministrativa»giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica Amministrazione, in Enc. del dir., XIX, Milano. 1970, p.260; A. M. Sandulli, cit.,

1984, p.104 ss.

9 G.B.Garrone, voce Giurisdizione amministrativa di merito, in Digesto on-line, Leggi d’Italia ,

anno di pubblicazione 1991, aggiornato nel 2011, a cura di F. Pavoni.

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97 amministrativo, il quale peraltro fa rinvio all’art. 134 dello stesso e ad altre leggi speciali per la enumerazione tassativa delle materie a questa soggette.

Uno degli aspetti che da sempre è stato oggetto di forti dibattiti dottrinali è il concetto di merito amministrativo, cioè l’oggetto del giudizio di merito: si tratterà di esplicare i vari orientamenti dottrinali che si sono storicamente susseguiti e che hanno cercato di attribuire un significato all’espressione «anche in merito», inserita a partire dalla legge Crispi del 1889. Innanzitutto un orientamento considerava la giurisdizione di merito come caratterizzata da una piena cognizione, ma non era sostenuto dalla dottrina maggioritaria perché in contrasto con il principio di separazione dei poteri, dal momento che qui il giudice poteva intromettersi e addirittura sostituirsi alla pubblica amministrazione. Non sembra nemmeno soddisfacente l’impostazione tradizionale, che la riconduceva ad una valutazione dell’opportunità amministrativa, aggiuntiva rispetto al giudizio di legittimità dell’atto: come hanno sottolineato alcuni autori, oltre a rendere rilevante «l’attività giurisdizionale solo in senso formale, come giurisdizione mista alla legislazione o mista all’attività amministrativa», dubitando addirittura della natura giurisdizionale della stessa, il vizio di questa dottrina risiede «nella pretesa di spostare, attraverso le più diverse categorizzazioni

dei profili funzionali dell’attività, l’ordine formale delle qualificazioni che (sole) individuano la struttura (e la funzione) del provvedimento decisorio»11.

Altri ancora invece ricollegano il giudizio di merito al concetto di

merito amministrativo, cioè «tutto quanto necessariamente precede la scelta

che, tra più soluzioni possibili, la legge consente al funzionario con riferimento all'atto amministrativo da emanarsi»12, in modo tale che il giudice «possa – o addirittura debba – procedere ad acclarare l’opportunità, la convenienza, l’utilità o l’equità dell’attività amministrativa»13, quindi, aspetti,

11 M.S.Giannini - A.Piras, voce Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti

della pubblica Amministrazione, in cit., 1970, p.261.

12 E.Casetta, Attività e atto amministrativo, in RTDP, 1957, p. 321.

13 G.Roehrssen, La giurisdizione di merito del giudice amministrativo, in Studi in onore di A.

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98 che di certo non hanno niente a che fare con la valutazione della conformità dell’atto dalla legge, dunque col giudizio di legittimità dello stesso: avendo a che fare con situazioni di interesse legittimo, che quindi implicano l’esistenza di un atto della pubblica amministrazione, necessariamente il giudizio diventa una valutazione della opportunità dell’atto stesso.

Analizzando in concreto le disposizioni di legge, veniva fuori però che il giudizio era «naturalmente esteso ad una piena cognizione dei fatti oggetto della controversia», mentre l’accezione come giudizio di opportunità rimaneva solo residuale, se non impossibile per alcune materie, come in materia elettorale: nonostante ciò la dottrina ha sempre più appoggiato la concezione che individuava come oggetto della giurisdizione non il sindacato della validità dell’atto, ma le valutazioni di opportunità eseguite dalla amministrazione quando emanava un provvedimento, nell’esercizio della sua attività discrezionale e quindi era ricollegata all’attività amministrativa, e non all’atto.

Sulla base di queste varie definizioni dottrinali, molti sono stati anche i tentativi che hanno cercato di distinguere la giurisdizione di legittimità da quella di merito: alcuni fondano la distinzione sul fatto che il giudizio di merito va a sindacare quella parte di attività discrezionale, non disciplinata da norme giuridiche di azione, ma questo criterio è stato considerato da molti inidoneo e insufficiente; altri hanno definito il giudizio di merito come «attività sostanzialmente legislativa», dal momento che si trasformano «criteri non giuridici di convenienza amministrativa in un precetto giuridico individuale da applicare al caso concreto»14, oppure c’è chi lo ha ricollegato all’esercizio di una funzione amministrativa, in quanto la valutazione sull'opportunità, convenienza, utilità di un atto comporta necessariamente un accertamento finalizzato a rinnovare e riprodurre l'attività discrezionale su cui si fonda la scelta riguardo al contenuto del provvedimento

14 N.Pappalardo, In tema di invalidità dell'atto amministrativo per vizio di merito, in Scritti giuridici

in onore di Santi Romano, Padova, 1940, p.166 ss.; O.Ranelletti, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, Milano, 1934, p.16 e 407.

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99 amministrativo, concezione quanto mai lesiva del principio di separazione dei poteri e della riserva di amministrazione affermata all’art. 113 Cost.15. Oltre a confermare la natura giurisdizionale di questo, c’è da dire che se una parte rilevante della dottrina vede come fondamento della differenza l’oggetto della giurisdizione e il contenuto della tutela16, la parte maggioritaria della stessa lo individua nei maggiori poteri istruttori e decisori del giudice di merito rispetto a quello di legittimità e di conseguenza nell’estensione della cognizione: potendosi avvalere di tutti i mezzi di prova ammessi dal processo civile, purché compatibili con i caratteri della giurisdizione amministrativa, il giudice amministrativo potrà così conoscere e ricostruire

l’iter che ha portato la pubblica amministrazione alla scelta discrezionale, e

conseguentemente potrà annullare o riformare l’atto, o addirittura emanare un nuovo atto, sostituendosi all’amministrazione, se il risultato dell'attività risultasse difforme rispetto alla scelta discrezionale compiuta.

Il giudice di merito è quindi il primo giudice amministrativo dotato di giurisdizione «piena», a cui è devoluto un sindacato non limitato al mero accertamento dei fatti, ma esteso alla «valutazione della concreta rispondenza del provvedimento agli interessi pubblici previsti dalle norme e perseguiti in concreto dalla pubblica Amministrazione»17.

Nonostante le «straordinarie potenzialità»18 della giurisdizione di merito, questa di fatto ha avuto diffusione tanto scarsa da essere considerata un

retaggio storico ed elemento «anomalo» rispetto alla concezione di

giurisdizione: questa difficilmente ha trovato spazio tra una giurisdizione di legittimità, sempre più in evoluzione, tanto da permettere oggi un sindacato pieno sul fatto, e una giurisdizione esclusiva, la quale ha riassorbito le ipotesi di giurisdizione di merito relative a diritti soggettivi

15 E.Garbagnati, La giurisdizione amministrativa, Milano, 1950, p.69 ss.; R.Cavallo Perin, Il

contenuto dell'art. 113 Costituzione fra riserva di legge e riserva di giurisdizione, in Dir. proc. amm.,

1988, p.517.

16 M.S.Giannini - A.Piras, voce Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti

della pubblica Amministrazione, in cit., 1970, p.261.

17 A.Police, voce Giurisdizione di merito, in cit., 2015.

18 A.Police, Le forme di giurisdizione, in Giustizia amministrativa (a cura di F.G.Scoca), 2014,

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100 ricomprese nell'art. 29 T.U. del Consiglio di Stato. Molti peraltro hanno identificato il fattore della enumerazione delle materie come contributo al declino di questa giurisdizione, perché ne ha ridotto le potenzialità, sia nel costruire una giustizia effettiva e piena, sia nell’attuare le proprie disposizioni nei casi previsti19.

Sono questi i motivi per cui il giudizio di merito ha avuto un’applicazione sempre più restrittiva e per cui il giudice si è dimostrato refrattario a riformare il provvedimento.

3.2. Il carattere Eccezionale e Aggiuntivo della giurisdizione di merito

Dopo aver esplicato l’amplio dibattito che riguarda l’ambito oggettivo della giurisdizione di merito, è necessario passare all’analisi dei caratteri che connotano la giurisdizione di merito: l’eccezionalità e l’«aggiuntività».

Cominciando dal primo profilo, possiamo affermare che la giurisdizione di merito ha un carattere eccezionale, cioè, rispetto alla giurisdizione di legittimità questa rappresenta una deroga, un’eccezione, che può essere destinata solo ai casi e alle materie tassativamente indicate dalla legge, per questo, non estensibile analogicamente.

In passato le situazioni in cui il giudice poteva decidere anche in merito erano elencate agli artt. 27 e 29 numeri 2, 3, 4, 5, 8 e 9 T.U. sul Consiglio di Stato richiamate poi all’art. 7, comma 1 e 4, della legge istitutiva dei T.A.R., mentre oggi, a seguito dell’abrogazione di tali disposizioni con l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, troviamo una nuova enumerazione delle stesse all’art. 134 del Codice e in altre leggi speciali, peraltro molto ridotta rispetto al passato, in attuazione di quanto disposto dalla legge delega n. 69/2009, in quanto si ordinava al Governo di sopprimere «quelle fattispecie non più coerenti con l’ordinamento vigente». Ecco che allora, l’attuale art. 134 si limita a indicare solo cinque casi di controversie soggette alla giurisdizione di merito, sottolineando

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101 quindi l’ambito di operatività particolarmente limitato: sono contemplate controversie che hanno ad oggetto

«a) l’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato nell’ambito del giudizio di cui al Titolo I del Libro IV;

b) gli atti e le operazioni in materia elettorale, attribuiti alla giurisdizione amministrativa;

c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative

indipendenti e quelle previste dall’art.123; d) le contestazioni sui confini degli enti territoriali;

e) il diniego di rilascio di nulla osta cinematografico di cui all’articolo 8 della legge 21 novembre 1962, n. 161».

Si tratta quindi di fattispecie quanto mai limitate e rare, tra le quali il giudizio di ottemperanza costituisce l’ipotesi principale, se non l’unica, ad oggi, ad essere diffusa, e sono anche molto diverse tra loro, infatti una parte della dottrina ha peraltro definito la giurisdizione di merito come «una specie di paniere in cui si è rovesciato tutto quello che non si voleva e non si riusciva a collocare altrove»20.

Oltretutto, si è anche ridotto l’ambito di applicazione di alcune controversie sopra elencate, in particolare la lettera c), che con la sentenza n. 162/2012 Corte costituzionale, ne è stata dichiarata la illegittimità, insieme agli artt. 133, comma 1, lettera l) e 135, comma 1, lettera c), «nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva amministrativa in generale, e del T.A.R. Lazio – sede di Roma in specie, le controversie relative alle sanzioni amministrative irrogate dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa »21: nello specifico, la Corte di appello di Torino aveva rimesso la questione di illegittimità costituzionale sul combinato disposto dei suddetti articoli «nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, e alla competenza funzionale del T.A.R. Lazio – sezione di Roma, le controversie

20 M. Nigro, La giurisdizione amministrativa di merito, in Scritti giuridici, Milano, 1996,

p.859-860.

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102 in materia di sanzioni irrogate dalla CONSOB, per avere il legislatore delegato ecceduto dai limiti stabiliti dalla legge di delega – art. 44 della legge n. 69 del 2009–, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost.». Risultando di fatto fondata la questione, la Corte ha evidenziato un operato eccessivo del legislatore delegato, non troppo rigoroso e rispettoso delle finalità di riordino del sistema: avendo sempre sostenuto una interpretazione strettamente restrittiva riguardo ai poteri innovativi del legislatore delegato, affermando che «l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al

sistema legislativo previgente è (…) ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato, giacché quest’ultimo non può innovare al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega, specificando che «per valutare se il legislatore abbia ecceduto [i] – più o meno ampi – margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega»22, il Governo doveva intervenire in materia di giurisdizione estesa al merito «nei limiti del riordino della normativa vigente», quindi doveva limitarsi strettamente al perseguimento delle finalità espresse dal legislatore delegante. Il legislatore delegato, in concreto, ha violato il criterio direttivo fornito dall’art. 44 della legge delega, poiché revisionando l’ambito del riparto di giurisdizione tra i giudici, non ha rispettato l’orientamento giurisprudenziale consolidato delle Sezioni civili della Corte di cassazione sul punto: questa riteneva che le contestazioni alle sanzioni emanate dalla CONSOB ai promotori finanziari, sia di natura pecuniaria che di natura interdittiva, spettassero alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, dal momento che non possono essere considerate come «espressione di discrezionalità

amministrativa»23, e recentemente, questa impostazione è stata adottata anche dal Consiglio di Stato24. Pertanto è impossibile affermare la legittimità costituzionale della devoluzione di tali materie alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché, limitatamente a questo, sono stati ecceduti i limiti della delega e risulta violato l’art. 76 della Costituzione.

22 Sent. nn. 293/2010 e 80/2012 C. cost.

23 Sent. n. 13703/2004, SS.UU., Cass.; nello stesso senso Sent. nn. 1992/2003 e 9383/2001. 24 Sent n. 6474 /2007, Sezione VI, Consiglio di Stato.

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103 Questo assetto è stato peraltro recentemente confermato in un’altra sentenza della Corte costituzionale, la n. 94/2014, ed anzi è stato esteso alle sanzioni emanate dalla Banca d’Italia.

Oltre a queste cinque fattispecie devolute dal Codice alla giurisdizione di merito, è necessario far riferimento anche alle leggi speciali, che hanno ampliato il novero delle materie ad essa devolute, inserendo ulteriori controversie. È possibile far riferimento alla fattispecie sancita all’art. 4 della legge delega n. 15/2009, con cui si istituiva un’azione collettiva nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari dei servizi pubblici, cioè una c.d. class action pubblica per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni, il cui giudizio, dalla legge delega, era affidato in generale «alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo»: questa attribuzione generica e generale ha provocato la nascita di contrasti tra il Consiglio di Stato25 e la lettera del d.lgs. attuativo della legge delega n. 198/2009, che devolvevano la materia alla giurisdizione esclusiva, mentre la concreta cognizione e l’accertamento delle stesse venivano necessariamente a qualificare la giurisdizione come estesa al

merito. A conferma di questo vi è l’art. 1, comma 1 bis, del d.lgs. attuativo

suddetto, poiché si dispone che «nel giudizio di sussistenza della lesione […] il

giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione delle parti intimate», quindi non si può che sottintendere un

sindacato di merito del giudice26.

Tra gli altri interventi normativi dobbiamo necessariamente citare l’art. 44 della legge n. 88/ 2009, il quale, recependo la c.d. direttiva ricorsi 2007/66/CE, è stato inglobato all’interno del Codice del processo amministrativo, in materia di contratti pubblici, sia nell’art. 122, secondo cui «il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il

contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel

25 Adunanza Plenaria n.1943/2009, Consiglio di Stato.

26 G.Fidone, L’azione per l’efficienza nel processo amministrativo dal giudizio sull’atto a quello

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104 contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta», sia all’art. 124, per cui «se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato», e «la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di cui al comma 1, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 1227 del codice civile».

È chiaro che dagli ultimi interventi legislativi emerge il tratto distintivo della giurisdizione di merito, aggiuntivo rispetto alle altre giurisdizioni, cioè la necessaria conformità tra la tutela dell’interesse legittimo del privato e ragioni di interesse pubblico: il giudice amministrativo dovrà concedere una tutela che sia compatibile e tale da non ledere l’interesse pubblico.

Questo ultimo aspetto ci permette di passare all’altro profilo rilevante in materia, cioè il carattere «aggiuntivo» del giudizio di merito rispetto al giudizio di legittimità, che ne accentua il carattere eccezionale: in questi casi, il giudice amministrativo di merito non si fa carico solo della tutela delle situazioni giuridiche soggettive, come il giudizio di legittimità, ma si fa cura aggiuntivamente dell’interesse pubblico presente, sostituendosi all’amministrazione con l’emanazione della sentenza. È chiaro che il giudice si pronuncerà non interferendo nella discrezionalità amministrativa, non intaccando quelle valutazioni di opportunità proprie della pubblica amministrazione, ma affiancherà alla soddisfazione della domanda di parte, conferendo la tutela della situazione giuridica soggettiva lesa, la tutela dell’interesse pubblico, a cui sarà conformata la richiesta del privato: grazie all’attività del giudice, l’interesse privato sarà così conformato all’interesse pubblico.

In ogni caso la dottrina tradizionale definisce la giurisdizione di merito come «aggiuntiva» perché ritiene che questa debba essere sempre «in

più» alla giurisdizione di legittimità, che comunque dovrà sempre

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105 Come sappiamo, uno dei caratteri rilevanti della giurisdizione di merito è quello della possibilità di sostituirsi alla pubblica amministrazione. Lasciando da parte quelle ipotesi in cui il giudice ha un potere vincolato, dove non si esplica il suo potere di sostituzione, come in controversie che riguardano la materia elettorale e la definizione dei confini comunali, nelle altre ipotesi, in particolare in caso di giudizio di ottemperanza, è proprio il potere di sostituzione che fa emergere il fallimento della funzione giurisdizionale di merito: ad eseguire la sostituzione dovrebbe essere non un giudice amministratore o un commissario ad acta , in via del tutto eccezionale e aggiuntiva, ma dovrebbe essere direttamente il giudice amministrativo di merito nell’esercizio delle sue ordinarie funzioni nei confronti di una amministrazione che ha operato in maniera illegittima. Finché essa rimarrà eccezionale e aggiuntiva, avremo un sistema inefficace e inefficiente, che mantiene dei privilegi solo nei confronti della pubblica amministrazione.

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106

4. La giurisdizione Esclusiva

4.1. Definizione ed evoluzione storica

La giurisdizione esclusiva è quel particolare tipo di competenza giurisdizionale in cui il giudice amministrativo ha la possibilità di conoscere fattispecie, strettamente indicate dalla legge, non solo aventi ad oggetto lesioni di interesse legittimo ma anche di diritto soggettivo27, indipendentemente dalla presenza di uno o dell’altro, escludendone del tutto la competenza del giudice ordinario: il giudice amministrativo esclusivo è qui dotato di un potere cognitivo diverso a seconda della situazione giuridica, perché per gli interessi legittimi continuava ad agire in via ordinaria, e in più per i diritti soggettivi si comportava «al pari» del giudice ordinario.

Questa è stata tradizionalmente inquadrata dalla dottrina in due modalità, sia come il terzo tipo di giurisdizione amministrativa, eccezionale28, un tertium genus che deroga al comune criterio di riparto della causa petendi, seguendo un altro criterio, cioè quello ratione materiae, cioè della

situazione giuridica soggettiva lesa, sia come una variante che può assumere la giurisdizione amministrativa rispetto al tipo di cognizione e ai poteri, diversi a seconda della situazione giuridica lesa29, e non come modello autonomo di giurisdizione: in ogni caso si tratta di una species soggettivamente circoscritta perché il giudice può conoscere sia degli interessi legittimi sia dei diritti soggettivi in via principale e non incidenter

tantum, sia di altre situazioni soggettive che possono ricondursi ai diritti ed

essere definite come aspettativa, possesso, status30, e anzi, secondo alcuni31 la

27 A. M. Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, p.1963,

126; Id., cit., 1989, p.1374 s.; V.Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, p.171.

28 P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982,

p.169ess.; Id., Diritto amministrativo, II, Atti e ricorsi, Milano, 1987, p.271; F. Satta, Giustizia

amministrativa, Padova, 1986, p.89-91.

29 M.Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 2000, p.277 ss. 30 F.Satta, cit., 1986, p.456.

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107 cognizione del giudice amministrativo sussisterebbe a prescindere dall'esito di un'indagine sulla consistenza, in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, della situazione giuridica che si afferma lesa.

Secondo una parte della dottrina, l’origine di questo istituto è ravvisabile nell’esigenza di garantire una tutela unica e unitaria a tutte quelle situazioni caratterizzate da una inscindibile connessione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, la cui ripartizione ordinaria quindi avrebbe comportato una diminuzione della tutela, dunque venivano interamente attribuite alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo. Altri invece, contrari a questa posizione, in quanto sottolineavano come alcune controversie riguardassero solo diritti soggettivi o solo interessi legittimi, individuavano invece il fondamento della giurisdizione esclusiva nell’esigenza della presenza di un giudice specializzato a conoscere di determinate materie32.

È da far presente anche il rilevante intervento della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 204/2004, ha ridotto e riorganizzato l’ambito di tale giurisdizione, individuandone come fondamento la presenza di un «inestricabile nodo gordiano» tra il diritto soggettivo e l’interesse legittimo, tale da permettere la deroga al criterio ordinario di riparto: si è sottolineato che tali materie «devono partecipare della medesima natura» di quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità «che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce quale autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo», escludendo quindi tutte le materie in cui vi è una mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio o la presenza di un interesse pubblico generale.

Vediamo fin da subito come sia un istituto particolarmente tormentato33 ed eterogeneo, a cui sono state ricollegate ratio diverse che

32 G.Roehrssen, La giurisdizione esclusiva, IA, 1978, I, p.135, e da V.Caianiello, cit., 1988,

p.172.

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108 consisterebbero o nella più sicura ed ampia tutela dei cittadini34, perché a

differenza del giudice ordinario35, il giudice amministrativo avrebbe potuto anche annullare l’atto amministrativo illecito, oppure, allontanandoci dalla finalità di tutelare i privati36, il fondamento della giurisdizione esclusiva potrebbe essere ravvisato nel tutelare l’interesse pubblico, affidando al giudice amministrativo quei rapporti tra pubblica amministrazione e privati, anche se titolari di diritti soggettivi.

Questo modello di giurisdizione era presente già prima della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, e, oltre ad assicurare una

reintegrazione totale della lesione subita di fronte al Consiglio di Stato, in via esclusiva, di fatto, questa coincideva con la giurisdizione di merito: le due

giurisdizioni devolvevano gli stessi poteri e la stessa tutela nei confronti di fattispecie del tutto coincidenti.

È solo con il r.d. 30 dicembre 1923, n. 2840, che queste due competenze giurisdizionali vengono a distinguersi e a identificarsi nei caratteri che tutt’oggi distinguono questo tipo di giurisdizione: il giudice esclusivo cominciava a essere dotato di un potere cognitivo diverso ratione

materiae, cioè basato sulla situazione giuridica soggettiva lesa, e, a seconda

di questa, poteva pronunciarsi come giudice di legittimità o come giudice di merito.

È chiaro allora, secondo la dottrina dominante37, qui non viene a crearsi un terzo tipo, autonomo e distinto, di giurisdizione, ma un modello «ibrido»38, che ricomprende allo stesso tempo le altre giurisdizioni presenti.

A causa di questo particolare «spezzettamento» dei poteri cognitivi e decisori del giudice viene a crearsi un sistema che non assicurava una tutela effettiva delle situazioni giuridiche soggettive, anzi, la affievoliva, perché

34 M.S.Giannini-A.Piras, cit.; G.Codacci Pisanelli, La riforma delle leggi sulla giustizia

amministrativa, 1916, p.312ss.

35 G.Roehrssen, cit., 1978, p.133 e 149. 36 F.Ledda, cit., p.38.

37 Tra cui A.Police e F.G.Scoca.

38 F.Benvenuti, voce Consiglio di Stato (competenza e giurisdizione), in Enc. dir., IX, Milano,

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109 risultava particolarmente condizionato dal modello processuale impugnatorio e quindi da tutti i connotati che lo limitavano.

Conformemente alle dinamiche tipiche del diritto amministrativo, i cambiamenti per superare questo sistema vennero portati avanti dalla giurisprudenza costituzionale e del Consiglio di Stato: se da un lato si assicurarono la tutela dei diritti e degli interessi e altre garanzie processuali, dall’altro lato la dottrina ha sottolineato come, al contempo, si fosse anche aumentata la differenza tra diritti soggettivi e interessi legittimi, in quanto solo per i primi il giudice amministrativo aveva poteri cognitivi che gli permettevano di conoscere l’ambito sostanziale della controversia e non limitatamente alla legittimità dell’atto.

Questo assetto trovò peraltro conferma nella Costituzione, all’art. 103, comma 1, il quale, in combinato disposto con l’art. 24, affermando il potere del giudice amministrativo di conoscere sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi, è stato storicamente sottoposto a due diverse interpretazioni: la prima, che non ha avuto molto successo, prevedeva che il riferimento alle due situazioni giuridiche soggettive diverse, assicurasse una tutela piena ed effettiva verso le stesse, addirittura a livello costituzionale; il secondo orientamento invece, maggiormente seguito dalla giurisprudenza, era d’accordo nell’identificare la ratio della norma costituzionale nella volontà di sancire una distinzione tra le diverse situazioni giuridiche soggettive.

Una prima rilevante elencazione di situazioni protette, che si aggiunge al nucleo originario del 1923, era ravvisabile agli artt. 29 T.U. Consiglio di Stato e 4 del r.d. 26 giugno1924, n. 1058: oltre a confermare il carattere eccezionale di tale giurisdizione, questa elencazione ricomprendeva in realtà materie per la maggior parte coincidenti a quelle devolute alla giurisdizione di merito, ad eccezione della materia del pubblico

impiego, che se in passato rivestiva la maggior parte del lavoro del giudice

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110 materia, passando così alla giurisdizione del giudice ordinario, a causa del processo di privatizzazione degli anni ‘90.

4.2. Verso l’attuale assetto della Giurisdizione Esclusiva

A quel punto, essendo ormai la giurisdizione esclusiva rimasta pressoché priva di applicazione, in quanto rimanevano solo fattispecie coincidenti con la giurisdizione di merito, i primi tentativi che vennero portati avanti cercarono di ampliare il novero di controversie assoggettabili a tale giurisdizione. Possiamo segnalare l’intervento della legge istitutiva dei T.A.R., n. 1034/1971, con cui si assoggettavano alla giurisdizione esclusiva fattispecie in tema di concessioni di beni e servizi, relative a beni demaniali o a servizi pubblici, oppure nei casi in cui la controversia riguardasse l'applicazione di una clausola contrattuale, pur rimanendo di competenza del giudice ordinario le questioni riguardanti l’indennità ed altri corrispettivi in generale.

Rilevanti furono altri sporadici interventi degli anni ’90, che ricompresero controversie riguardanti provvedimenti emanati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato39 e dalla stessa Autorità in materia di pubblicità ingannevole40, oppure i conflitti in materia di contratti di beni e servizi stipulati dalle Amministrazioni pubbliche41, e i ricorsi contro le sanzioni dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici42 contro gli atti delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità43 e contro gli atti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni44. Ulteriore ampliamento è stato fatto con la legge n. 241/1990, novellata dalle leggi nn. 15/2005 e 80/2005, che hanno inserito le controversie in materia di

formazione, conclusione ed esecuzione di accordi procedimentali stipulati tra

Amministrazioni e privati o tra amministrazioni, quelle in tema di

39 Art. 33, legge 10 ottobre 1990, n. 287. 40 D.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74.

41 Art. 6, comma 19, legge 24 dicembre 1993, n.537, come Sostituito Dall' Art. 44, comma

1, legge 23 dicembre 1994, n.724.

42 Art. 4, comma 7, legge 11 febbraio 1994, n.109. 43 Art. 2, comma 25, legge 14 novembre 1995, n.481. 44 Art. 1, comma 26, legge 31 luglio 1997, n.249.

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111 dichiarazione di inizio di attività, quelle relative alla quantificazione dell'indennizzo in ipotesi di revoca del provvedimento, quelle in tema di nullità dei provvedimenti in violazione o elusione del giudicato e quelle sul diritto di accesso agli atti ed ai documenti amministrativi.

Dato questo forte ampliamento, previsto espressamente dal legislatore, ed avvalorato peraltro da una importante opera giurisprudenziale45, c’è da dire però che l’intervento centrale più rilevante che ha portato un vero e proprio cambiamento di questo modello di giurisdizione è il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, il quale, non solo ha portato ad un ampliamento del novero delle materie soggette alla giurisdizione esclusiva, per la prima volta ripartite secondo il criterio delle «materie

omogenee», ma, secondo alcuni autori, ha anche trasformato la giurisdizione

esclusiva in una giurisdizione autonoma e distinta dalle altre, un tertium genus dotato di propri connotati.

Rispetto al primo profilo, vediamo come gli artt. 33 e 34 del suddetto d.lgs., modificati poi con la legge n. 205/2000, hanno contribuito ad ampliare il novero di materie: l’art. 33 in particolare devolveva alla giurisdizione del giudice amministrativo

«tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti

al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14

novembre 1995, n. 481»,

elencando poi al comma 2, in via del tutto esemplificativa e non tassativa, cosa di fatto era ricompreso in tali controversie, tra cui possiamo segnalare ad esempio le controversie tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi46, oppure quelle in materia di

45 La giurisprudenza ha ritenuto appartenenti alla giurisdizione esclusiva altri casi specifici

di fattispecie, come in materia di ricorsi contro il rilascio o il diniego di autorizzazioni per il commercio, sancito all’art. 32, legge 11 giugno 1971, n. 426, oppure nelle controversie relative all'autorizzazione alla vendita dei beni delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, definite nella legge 23 agosto 1988, n. 391.

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112 vigilanza e di controllo nei confronti di gestori dei pubblici servizi47, ed altri profili inerenti ai pubblici servizi.

L’art. 34 invece devolveva alla giurisdizione esclusiva

«le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti

delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia»,

comprendendo nella materia urbanistica «tutti gli aspetti dell'uso del territorio» e non modificando niente riguardo alla giurisdizione del tribunale delle acque e alla «giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la

determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa».

Emerge fin da subito un atteggiamento del legislatore nel definire tali materie, caratterizzato da una eccessiva generalità, specialmente se si fa riferimento alla nozione di «servizio pubblico» e alla nozione di «uso del

territorio»: non è un caso che sul significato di queste due materie si siano

rivolti forti dibattiti delle giurisdizioni superiori e della giurisprudenza costituzionale, nonché della dottrina, che non sono stati ancora del tutto risolti e superati.

Sul concetto di «servizio pubblico», di cui non troviamo una definizione né in Costituzione, né in specifiche leggi, la giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato, cimentandosi appunto nel determinarne il significato, si sono sempre contraddette: il Consiglio di Stato, pronunciando il parere della Adunanza Generale 12 marzo 1998, n. 30, considerava servizio pubblico «tutte le attività svolte da qualsivoglia soggetto,

riconducibili ad un ordinamento di settore, sottoposte cioè a controllo, vigilanza o a mera autorizzazione da parte di una amministrazione pubblica», sposando quindi una

concezione oggettiva dello stesso, quanto mai generica e generale, perché ricomprendeva di fatto qualsiasi intervento pubblico nell’economia48.

Dall’altro lato la Cassazione, pur rifiutando una concezione soggettiva della nozione, perché riteneva che il servizio pubblico potesse

47 Lett. d).

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113 essere effettivamente svolto anche da soggetti privati, e quindi accettando una concezione oggettiva, si distacca comunque dalla impostazione del Consiglio di Stato: nella sentenza 30 marzo 2000, n. 71, le Sezioni Unite si distaccano espressamente dalla definizione del Consiglio di Stato, perché secondo quella prospettiva «il servizio pubblico finirebbe con il coincidere con ogni

attività privata rilevante per il diritto amministrativo», circoscritto quindi a tutte le

attività «indirizza(te) istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell'amministrazione pubblica (che possono essere realizzati direttamente o indirettamente, attraverso l'attività di privati)».

Pertanto, secondo la Cassazione, il servizio pubblico deve essere connotato di «un elemento funzionale – cioè il soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale– che non si rinviene nell'attività privata imprenditoriale, anche se indirizzata e coordinata a fini sociali». Questo ha portato una parte della dottrina ad affermare che la distinzione tra servizio pubblico e servizio privato non si fonderà sulla disciplina a questi destinata, cioè di diritto pubblico o di diritto privato, bensì sull’interesse che viene soddisfatto: se viene soddisfatto l’interesse della collettività si parlerà si servizio pubblico, mentre questo non si avrà se il servizio è reso nell’interesse proprio dell’amministrazione.

Gli stessi problemi interpretativi si sono avuti per la definizione della

materia dell’urbanistica e dell’edilizia, specialmente per il concetto di «uso del territorio», e in generale su quanto disposto dall’art. 34 del suddetto d.lgs., su

cui si è ampliamente pronunciata la Corte di cassazione, nella sentenza 14 luglio 2000, n. 494: la Corte voleva in quella sede sia descrivere la materia, cercando il più possibile di circoscriverla, sia determinare le fattispecie che di fatto rientravano all’interno di tale nozione quanto mai amplia.

Riguardo al primo aspetto, la Cassazione affermava che la norma non forniva alcuna indicazione su cosa si intendesse per materia urbanistica, a differenza di quanto abbiamo appena visto per l’art. 33 del d.lgs. in esame e per la sentenza n. 71/2000 delle SS.UU. della Cassazione, ma si limitava

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114 a ricondurla a «tutti gli aspetti dell'uso del territorio», non escludendone nessuno.

Rispetto al secondo profilo poi, la Corte assume un atteggiamento particolarmente generoso, in quanto considera la materia dell’urbanistica un concetto «onnicomprensivo», per cui rientreranno nella giurisdizione del giudice amministrativo tutte «le controversie che siano determinate da atti, provvedimenti o comportamenti della pubblica amministrazione»: è chiaro che la normativa, oltre ad avere confini molto ampli in quanto non specifica la tipologia delle controversie, «in riferimento agli atti, provvedimenti o comportamenti sembra esaurire tutta la gamma delle attività giuridicamente

rilevanti della pubblica amministrazione, siano esse formali (atti,

provvedimenti) o materiali (comportamenti)». La Cassazione poi, continuava nell’affermare che sia da punto di vista strettamente letterale, sia da un punto di vista sistematico, il dato normativo non potesse essere limitato: dal punto di vista letterale, non si poteva limitare la materia urbanistica «all’ esercizio della potestà amministrativa di pianificazione territoriale mediante l'adozione di scelte urbanistiche» ma infatti vi si ricomprendevano tutti «gli aspetti ulteriori dell'uso del territorio, ivi compreso quello gestionale, concernente l'attuazione concreta della pianificazione mediante la realizzazione delle scelte urbanistiche»; anche dal punto di vista sistematico, si afferma che «la limitazione al solo aspetto normativo, alla pianificazione, all'effettuazione di scelte pianificatorie con atti normativi o provvedimenti discrezionali, logicamente contrasti con la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche per le controversie determinate da “comportamenti” della P.A. in materia urbanistica, in quanto questi costituiscono tipica espressione di attività gestionali concernenti la materia urbanistica, intesa come governo ed uso del territorio in senso ampio».

Dunque, non possono essere inserite distinzioni e limitazioni riguardo la materia urbanistica, perché non sarebbe conforme alla ratio con cui ha agito il legislatore del 1998, cioè di attribuire tutte le questioni relative

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115 alla materia urbanistica alla giurisdizione del giudice amministrativo, per

semplificare il sistema.

Da ultimo, ma non per ultimo, la Corte costituzionale, nella medesima sentenza, è intervenuta anche in modo manipolativo sul testo degli artt. 33 e 34 suddetti: si è dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 33 nella parte in cui devolveva al giudice amministrativo «tutte le controversie in materia

di pubblici servizi anziché le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (...), ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore (...)» e nel comma 2,

dove individuava controversie «nelle quali può essere del tutto assente ogni profilo

riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità». Invece l’art. 34 è stato

dichiarato incostituzionale nella devoluzione al giudice amministrativo di controversie aventi per oggetto «gli atti, i provvedimenti e i comportamenti» della pubblica amministrazione e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia.

Successivamente, con la sentenza n. 191/2006, la Corte ha continuato a denunciare l’assetto creato dal legislatore degli anni 2000, in cui la giurisdizione esclusiva era «ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse», dal momento che, evidenziava la Corte, «è evidente che il vigente art. 103, comma 1, Cost., non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva», ma gli ha conferito il potere di indicare «specifiche materie» nelle quali «la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione investe «anche» diritti soggettivi»; in più la Corte va a censurare la devoluzione «in blocco» delle materie, in particolare di tutta la materia dell’urbanistica e dell’edilizia, ammettendone invece la devoluzione in maniera limitata. Anche in una recente pronuncia, la sentenza n. 35/2010, si è ribadita questa soluzione, tant’è che si è

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116 addirittura giunti a dubitare della stessa sopravvivenza della giurisdizione esclusiva49.

Rispetto all’altro profilo, cioè riguardo alla sorta di «emancipazione» che il giudice amministrativo esclusivo ha acquistato, vediamo come all’art. 35 dello stesso d.lgs., oltre a definire il giudice amministrativo come «giudice

naturale»50 delle controversie ex artt. 33 e 34, si arriva ad ampliare fortemente i poteri istruttori e decisori di cui il giudice è titolare.

Nello specifico, riguardo all’aumento dei poteri decisori, vediamo come questo avvenga proprio al comma 1 del suddetto art., dal momento che il giudice poteva disporre «anche attraverso la reintegrazione in forma specifica,

il risarcimento del danno ingiusto»: in caso di interessi legittimi lesi, è pacifico in

dottrina, che il giudice amministrativo esclusivo abbia così acquistato il

pieno potere di risarcire la parte ricorrente, non solo in via generale ma anche

in forma specifica, ad un dare e un facere, istituendo così, secondo la dottrina maggioritaria, una generale azione di condanna nei confronti della pubblica amministrazione.

La Cassazione, con la sentenza n. 500/1999, confermò questa impostazione, infatti, oltre a ribadire il «superamento del tradizionale sistema del riparto della giurisdizione in riferimento alla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo, a favore della previsione di un riparto affidato al criterio della materia», ha sancito la creazione di una «nuova giurisdizione esclusiva» su particolari materie di rilevante interesse economico e sociale: è definita come «nuova», perché è contemporaneamente esclusiva, essendo estesa alla cognizione degli interessi legittimi e dei diritti, e piena, in quanto non più limitata all'eliminazione dell'atto illegittimo, ma estesa alla reintegrazione delle conseguenze patrimoniali dannose dell'atto, perché comprensiva del potere di disporre il risarcimento del «danno ingiusto».

49 F.G.Scoca, Sopravvivrà la giurisdizione esclusiva?, in Giur. cost., 2004, p.2209 ss. 50 F.Satta, cit., Padova, 1986.

Riferimenti

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