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Capitolo 1 Uno sguardo al passato

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Capitolo 1

Uno sguardo al passato

1.1 Sistema anteriore all’istituzione del Tribunale della libertà

Forte era l’esigenza di ottenere dei controlli giurisdizionali collegiali sul merito dei provvedimenti istruttori contenenti disposizioni in materia di libertà personale degli imputati, già con l’affermarsi del sistema processuale misto, dove al magistrato istruttore, viene affidato il potere di raccogliere tutto il materiale probatorio e adottare i provvedimenti cautelari necessari. Ed è cosi che già con il codice del Regno delle due Sicilie, nel 1819, la facoltà di decretare la detenzione preventiva e di revocare i provvedimenti limitativi della libertà personale passò, a maggiore garanzia per gli imputati, dal giudice monocratico al giudice collegiale, di qui l’origine dell’idea di un controllo sui mandati rilasciati dal giudice singolo. Il codice del 1865 accolse, all’art 198, la Camera di Consiglio come organo istruttorio collegiale accanto al giudice istruttore singolo e scelse una soluzione di compromesso fra l’attribuzione al nuovo organo della funzione essenziale di provvedere in tema di libertà personale degli imputati e il conferimento in via esclusiva o al giudice istruttore o alla Camera di Consiglio della possibilità di valutare i risultati istruttori. Il codice

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dell’epoca fece dell’istituto uno strumento di tutela dei diritti dell’imputato e della società. L’art 197 del codice di procedura penale stabiliva che il giudice istruttore, entro ventiquattro ore da quando aveva avuto notizia dell’arresto di un imputato in esecuzione di un mandato di cattura o per flagranza, doveva comunicare gli atti, i verbali o i rapporti pervenutigli al pubblico ministero. Il pubblico ministero, nei due giorni successivi, doveva presentare le sue conclusioni in ordine all’arresto eseguito e doveva avanzare istanza perché la detenzione proseguisse o perché si facesse luogo alla provvisoria scarcerazione per mancanza di prove o di indizi sufficienti; se poi riteneva completata l’istruzione, doveva formulare le proprie requisitorie definitive. Ricevuti gli atti e le conclusioni del pubblico ministero, il giudice istruttore riferiva entro ventiquattro ore alla Camera di Consiglio, la quale, nel caso in cui avesse ritenuto compiuta l’istruttoria, avrebbe pronunciato la relativa ordinanza conclusiva. Se invece riteneva che l’istruzione non era ancora compiuta ma che tuttavia sussistevano sufficienti indizi di reità, avrebbe legittimato lo stato di arresto dell’imputato; in caso contrario ne avrebbe ordinato la provvisoria scarcerazione con o senza cauzione. E’ interessante notare come il controllo esercitato sui provvedimenti restrittivi parlava di “legittimazione” dell’arresto, termine che nell’odierna terminologia significa controllo di legittimità e controllo di merito. Rispettivamente controllo sulla sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge e valutazione sull’opportunità, tenendo conto sia dei gravi indizi di reità, sia della necessità di avere l’imputato presente durante tutto il processo.

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Dopo l’esperienza della Camera di Consiglio e dopo la soppressione di essa con il codice del 1913, nella normativa processuale penale non si parlò più di controllo collegiale sui provvedimenti restrittivi della libertà personale fino alla Costituzione del 1948 e successivamente fino alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nel codice di procedura penale del 1930 non si fa cenno di controllo alcuno sull’adozione di provvedimenti coercitivi decisa dal magistrato istruttore (pubblico ministero o giudice) il motivo sicuramente è da ravvisare nel clima politico del periodo e nella coerenza di tale sistema con i principi dettati nella parte generale del codice, dove vi era precisato che solo i provvedimenti decisori del giudice potevano essere soggetti ad impugnazione (esclusi quindi sia i provvedimenti del pubblico ministero sia i provvedimenti del giudice non contenenti una decisione sull’oggetto principale o accessorio del processo). Dopo l’accentuato autoritarismo del periodo fu poi logico rafforzare la tutela dei diritti di libertà dell’imputato, ipotizzando tra l’altro la possibilità di sottoporre i provvedimenti restrittivi ad un controllo collegiale. Evidente, apparve, già all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, l’inconciliabilità tra le garanzie fondamentali e i descritti meccanismi: la difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, la proclamata inviolabilità della libertà personale imponevano interventi adeguati, che eliminassero le fratture tra “carta dei diritti” e codice di rito1. Con l’art 111 comma 2° della Costituzione tutti i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, venivano assoggettati al ricorso in cassazione per violazione di legge. Il 263-bis del codice di procedura

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penale introdotto con la legge 517 del 18 giugno 1955 stabilì che l’imputato poteva ricorrere per cassazione per violazione di legge contro l’ordine o il mandato di cattura o di arresto emesso in qualsiasi stato e grado del procedimento. Il grave squilibrio tra accusa e difesa, tuttavia, permaneva netto. Previsto il solo controllo di legittimità (discostandosi la normativa in tal senso alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che, all’art 5 par. 4 prevede: “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di indirizzare un ricorso ad un tribunale affinché esso decida entro brevi termini sulla legalità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegale). Soltanto contro i provvedimenti in tema di scarcerazione e libertà provvisoria, per il caso di diniego dell’una o dell’altra, l’imputato poteva proporre un’impugnazione di merito, sub-specie di appello alla sezione istruttoria o al giudice istruttore. All’appello, d’altronde era legittimato il pubblico ministero, sia in relazione alla stessa area dei provvedimenti in tema di scarcerazione o di libertà provvisoria, sia in relazione a provvedimenti più univocamente pro- libertate. Quindi, per ottenere un controllo di merito sui provvedimenti come il mandato di cattura, l’imputato era costretto all’escamotage della sollecitazione di una ordinanza di scarcerazione (o di libertà provvisoria) potendo poi rivolgere contro l’eventuale provvedimento negativo il proprio appello, e, usare questa strada, per indirizzare censure allo stesso titolo della custodia preventiva2. Vi era un’enfatizzazione del già pesante cumulo di poteri istruttori e di poteri de libertate in capo a soggetti come il giudice istruttore e, addirittura, come il pubblico ministero e il pretore, che già sommano in sé la funzione istruttoria con quella di attivazione del processo.

2 M. Chiavario, “Tribunale della libertà e libertà personale”, in AA. VV.,”Tribunale della

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Proprio per questo si era prospettata l’idea del Tribunale della libertà, con il fine di far riconoscere un ruolo determinante ad organi estranei alla conduzione delle indagini. Già vent’anni prima dell’istituzione della legge del 1982, si era proposto di conferire all’imputato ed al suo difensore il diritto di “opposizione contro l’ordine o il mandato di cattura […] entro tre giorni dall’esecuzione del provvedimento, investendo della decisone il tribunale in camera di consiglio: quest’organo, sentito il pubblico ministero e il difensore dell’opponente, avrebbe dovuto depositare la sua pronuncia entro dieci giorni dalla proposta opposizione, a pena di perdita di efficacia del provvedimento, con immediata scarcerazione dell’imputato”3. L’idea del controllo doveva poi trasfondersi, in una versione meno impegnativa, nella legge-delega del 1974 n. 108 che, nell’articolo 2, configurava l’impugnabilità anche nel merito del provvedimento che dispone la misura, nonché di quello che dispone la convalida del fermo e dell’arresto, dinanzi al tribunale in camera di consiglio, nel contraddittorio tra pubblico ministero e imputato4. Vi era un dualismo di prospettive, una, volta a concentrare nel Tribunale della libertà le competenze all’adozione stessa dei provvedimenti limitativi della libertà personale, l’altra a spostare sul piano del controllo successivo, e sia pure immediato, l’intervento dell’organo in questione. A prevalere è stata la seconda soluzione, che poi è la soluzione elaborata, anche se sulla base di un testo notevolmente diverso, in sede di comitato ristretto della Commissione Giustizia della Camera, nel corso della discussione del progetto Rizzo-Napoletano e del disegno di legge più tradizionalista, presentato nel 1980. Le due impostazioni non

3G. Pisapia, “Orientamenti per una riforma della custodia preventiva nel processo penale”, in Riv. dir. proc., 1965, p. 89

4 Taormina, “Studi sulla legge delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura

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erano poi cosi antitetiche, assai diverso appariva però il ruolo che, nell’una e nell’altra prospettiva, si attribuiva all’impulso di parte. Se si fosse attribuita una competenza diretta al Tribunale della libertà, il privato non avrebbe avuto l’onere dell’iniziativa per portare davanti a tale organo la questio de libertate. Con la soluzione accolta, è soltanto su iniziativa di parte, e della parte che si lamenta di quanto già disposto dall’organo istruttorio, che il Tribunale della libertà può esercitare concretamente le sue funzioni.

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1.2 La legislazione dell’emergenza

Prima della legge del 12 agosto del 1982 il quadro d’insieme è caratterizzato da un sistema di norme orientate in senso repressivo5. La stagione dell’emergenza, profilatasi con le nuove norme contro la criminalità, si è sviluppata attraverso la normativa sulle armi, le disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, le disposizioni in materia di ordine pubblico, le norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati, le misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica, le misure per la difesa dell’ordinamento costituzionale. Questa scelta di politica legislativa ha ridotto sensibilmente alcuni diritti garantiti costituzionalmente, come la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio, la riservatezza delle comunicazioni, la libertà di circolazione, attraverso un ampliamento dei casi e dei modi che ne consentono eccezionalmente la compressione. Il popolo, chiamato due volte a pronunciarsi su altrettante leggi-chiave della stagione dell’emergenza ha dimostrato di condividere le scelte operate, visto che la maggioranza dei votanti si è espressa contro l’abrogazione in sede di referendum6. In questo clima, di proliferazione di norme penali e

5 P.Corso, “Sui rapporti tra legislazione dell’emergenza e legge istitutiva del Tribunale

della libertà”, in AA. VV., “Tribunale della libertà e garanzie individuali”, Bologna 1988,

p. 241.

6 Il referendum abrogativo della legge n. 152 del 1975 (c.d. legge Reale) rubricata

“Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico” si è svolto nel giugno del 1978. Il referendum

abrogativo della legge n. 15 del 1980 (c.d. legge Cossiga) concernente “misure urgenti per

la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica”, si è svolto nel maggio del

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processuali penali, vi è solo il ricordo della stagione del garantismo. La legge delega per il nuovo codice di procedura penale (legge n. 108 del 1974) ha condizionato fortemente la produzione novellistica, che si è dimostrata inconciliabile con la scelta di attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio, in aderenza con i principi costituzionali. Inizialmente, le scelte operate, che erano chiaramente contra libertatem, erano mitigate con il prevedere che esse operassero solo per reati “commessi successivamente all’entrata in vigore della legge”7. Questa sorta di morigeratezza legislativa ha lasciato poi il posto al silenzio, per giungere in seguito ad una volontà totalmente opposta, secondo cui le sopravvenute disposizioni restrittive si applicano anche ai procedimenti in corso alla data dell’entrata in vigore delle stesse8. Solo episodicamente, la Corte costituzionale ha trovato qualcosa da eccepire sulla normativa dell’emergenza. In questo periodo, l’ordinamento italiano aderisce a direttive comunitarie ispirate all’effettività dei diritti della persona, e in particolar modo dell’imputato, ma sul piano delle scelte concrete è andato sempre discostandosene. Del tutto eventuali sono state, in questo clima, le disposizioni normative dalle quali è derivato un miglioramento dello status di imputato. Si assiste ad uno sbilanciamento eccessivo, contro il convenuto, dello strumento processuale, all’interno di un sistema in cui lo strumento processuale stesso ha perso i connotati della neutralità. Sarà poi la legge istitutiva del Tribunale della libertà a rappresentare un’autentica inversione di tendenza rispetto alla legislazione dell’emergenza, segnando un ritorno ai principi di civiltà processuale. E’ da mettere in evidenza, che più volte, nei vari periodi storici, è ritornata la tematica dell’emergenza, che

7 Come recita l’inciso iniziale della legge Reale (legge n. 152 del 1975). 8 P. Corso, “Nuovi profili della custodia preventiva”, Milano, 1981, p. 1 ss..

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condiziona fortemente larga parte dei provvedimenti che vengono presi, anche per il futuro. Misure insolite, che perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel tempo9. Le maggiori difficoltà sicuramente insorgono “quando si voglia continuare a credere nei valori fondamentali, e, insieme, non ci si sottragga all’imperativo di una continua “rilettura” della realtà, alla luce della quale, talvolta, si impone anche qualche

“rilettura” degli stessi principi, ideali e normativi, in cui crediamo

(compresi quelli costituzionali)

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9 Corte cost, sent. 1° febbraio 1982 n. 15.

10 M. Chiavario, “Problemi attuali della libertà personale”, Milano, 1985 e altresì l’analisi di A. Beria di Argentine, “Istituzioni e libertà oggi, in “Giustizia e Costituzione”, 1982, sulla fine del ciclo in cui “il rapporto tra istituzioni e libertà è stato di antitesi, quasi di contrapposizione e di reciproca esclusione”, ma anche sulle incognite e sui rischi del nuovo ciclo, nella sottolineatura, comunque, della positività delle tendenze “al superamento della schizofrenica divisione fra chi pensa che le istituzioni si difendono solo come entità astratte e con il solo strumento del ripristino dell’ordine e dell’autorità coercitiva , e chi, sull’altro versante, pensa che vadano anzitutto salvaguardati i diritti di libertà delle persone e dei movimenti operanti nelle istituzioni, anche quando i loro comportamenti siano differenti dalle regole del gioco delle istituzioni…”.

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1.3 Le linee di tendenza prima dell’istituzione del Tribunale della

libertà

Con due iniziative parlamentari ed un disegno di legge governativo, (progetto Coco ed altri e un disegno di legge governativo) si cercò di assicurare un controllo sui provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto la libertà personale dei cittadini e di decentrare l’organo competente per l’ impugnativa. Si era giunti all’idea che i provvedimenti sulla libertà personale, emanati in una fase istruttoria, hanno, sia per l’imputato, che per la società, un significato molte volte più rilevante delle stesse sentenze definitive, che vengono emanate in tempi talmente lunghi tanto da alterare i molteplici significati della condanna e dell’assoluzione. I mandati e gli ordini di cattura e in generale i provvedimenti sulla libertà provvisoria hanno un rilievo certo più drammatico: sono pena subito inflitta e sofferta ovvero evitata, e misura che può garantire o mettere in pericolo la sicurezza sociale contro imputati particolarmente pericolosi. Le esigenze più sentite erano quelle di controllo (che non implica sfiducia nei confronti della magistratura e dei singoli magistrati) e di una coerenza interpretativa e applicativa che corregga l’eccessiva frammentazione degli indirizzi dei magistrati competenti a decidere sulla libertà personale degli imputati. Era necessario perciò attribuire il potere di decidere ad un organo diverso da quello requirente e inquirente, assegnare a tale organo un potere generale e necessario di ratifica su ogni atto relativo alla libertà personale, conferire

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un’ampia facoltà di impugnazione di fronte ad un organo giudiziario autonomo nei confronti di tutti i provvedimenti restrittivi della libertà personale da qualunque magistrato emanati. Il giudice più adeguato per tali impugnazioni era il tribunale, perché apporta in sede di revisione quei contributi di ponderatezza e oculatezza che sono i requisiti della collegialità e perché in tal modo, si realizza quella separazione necessaria tra il momento dell’iniziativa e quello della decisione. Più ambiziosi gli obiettivi della proposta Rizzo e Napoletano, che modificava la struttura della possibilità dell’intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria, spostando il controllo (da affidare al Tribunale della libertà) sulla loro legittimità formale e sostanziale in una fase antecedente la loro emissione, essi miravano all’introduzione di un controllo immediato sul merito dei provvedimenti limitativi di libertà. Concedendo al magistrato che istruisce il processo un ampio potere sulla libertà personale dell’imputato si rende facile il sospetto di una strumentalizzazione della funzione attraverso l’istituto della carcerazione preventiva. Da evidenziare che, in questa proposta di legge, si afferma espressamente che l’esigenza di garantire il segreto istruttorio esclude ogni partecipazione dinanzi al Tribunale della libertà delle parti private e dei loro difensori. Non si ritiene assolutamente che una tale esclusione sia pregiudizievole per i diritti di difesa dell’imputato, considerando che essi sono ampiamente garantiti con il nuovo strumento dell’appello e che l’affidamento della competenza ad un organo collegiale, quale il Tribunale della libertà, certamente amplia la fascia di tutela dell’imputato.

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La ricerca di un più adeguato sistema trovò i suoi riflessi, come già precedentemente affermato, nella legge delega 3 aprile 1974 n. 108 che prevedeva all’art 2 “l’impugnabilità anche nel merito del provvedimento

che dispone la misura coercitiva nonché di quello che dispone la convalida del fermo o dell’arresto, dinanzi al tribunale in camera di consiglio, nel contraddittorio tra pubblico ministero ed imputato”. In tale sede il giudice

d’appello avrebbe dovuto decidere nel termine, ordinatorio, di dieci giorni dalla ricezione degli atti. Lo schema era il seguente: (individuato secondo lo schema tipico delle impugnazioni) per le ordinanze emesse dal giudice istruttore o dal pretore, decideva il tribunale, per le ordinanze pronunciate nel giudizio dal tribunale o dalla corte d’assise erano competenti la corte d’appello e la corte d’assise d’appello. Per le ordinanze emesse dal giudice d’appello, era previsto il ricorso per cassazione. Se si trattava di un' ordinanza impositiva di una misura coercitiva, la Corte di cassazione avrebbe deciso anche nel merito. La mancata promulgazione del codice, secondo il progetto del 1978, non mise in ombra le istanze garantistiche in tema di tutela della libertà personale, tanto che si registrò un susseguirsi di progetti di legge volti ad attribuire ad organi non coinvolti della conduzione delle indagini, il controllo sull’esercizio del potere cautelare. Le scelte del legislatore si articolavano essenzialmente in tre direzioni: istituire un giudice con esclusiva competenza ad adottare provvedimenti limitativi della libertà personale; prevedere un organo automaticamente investito della verifica di tutti i provvedimenti emessi; individuare un giudice di secondo grado attivabile solo su istanza di parte, deputato all’accertamento della fondatezza della cattura, sia sotto il profilo della legittimità, sia sotto

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quello del merito e dell’opportunità11. Lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, in un parere del 1981 aveva sottolineato la necessità e l’urgenza che l’ordinamento giuridico prevedesse un riesame immediato, esteso al merito, di tutti i provvedimenti restrittivi della libertà personale.

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1.4 La legge n. 532 del 1982

Con la legge del 12 agosto del 1982 la numero 532 il legislatore istituì il Tribunale della libertà e scelse una mediazione tra gli anteriori orientamenti. Fu introdotto un “riesame” dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, esteso anche al merito, su istanza di parte e insuscettibile di preclusioni nascenti da motivi diversi da quelli indicati nella richiesta e che fin dai primissimi commenti risultò l’adempimento di un impegno internazionalmente assunto dall’Italia con l’adesione all’art 5 § 4 Cedu. Inizialmente la sua principale funzione era di riequilibrare le posizioni di accusa e difesa nella vicenda cautelare, anche per adeguare la disciplina nazionale alle garanzie richieste a livello sovranazionale. La norma centrale ai fini dell’individuazione dei provvedimenti suscettibili di essere “riesaminati” era l’articolo 263-bis c.p.p., (nella versione che ne risulta a seguito delle sostituzioni operate con l’articolo 7 della legge del 1982). Ai sensi del testo vigente della disposizione in oggetto, “l’imputato o il suo difensore possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, del mandato e dell’ordine di cattura o d’arresto”. Ed invero, i mandati e gli ordini di cattura “erano…per la maggiore gravità di conseguenze, destinati ad apparire più immediati, i più naturali bersagli di una riforma mirante ad introdurre un penetrante controllo a tutela del diritto di libertà”, e si rilevò, come, nonostante la loro intrinseca “provvisorietà”, la previsione del riesame non potesse considerarsi “vana”, data “la maggiore immediatezza

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del potenziale intervento del “Tribunale della libertà” rispetto alla scadenza “naturale” prevista nell’articolo 251 3° comma c.p.p.12. Nell’ottica prescelta dal legislatore del 1982, quindi, il riesame era concepito come espressione di una sorta di “diffidenza giudiziaria” rispetto all’esercizio del potere di coercizione personale da parte di magistrati con funzioni d’accusa e di giudizio al tempo stesso13. La celerità di questo procedimento di controllo era soddisfatta attraverso la previsione di un termine di tre giorni (prorogabile di altri tre) dal ricevimento degli atti, entro il quale il tribunale avrebbe dovuto decidere tra la conferma e la revoca del mandato o dell’ordine di cattura o di arresto: in caso di mancata pronuncia, il provvedimento restrittivo avrebbe cessato di avere efficacia. Il riesame era utilizzato per la verifica dei provvedimenti impositivi della cautela, mentre per tutti gli altri provvedimenti incidenti sulla libertà personale, qualora non fosse contestato il titolo originario della restrizione, era esperibile l’appello. Il ricorso per cassazione aveva invece il ruolo di rimedio di chiusura, ultima istanza per la risoluzione delle questioni di diritto.

Il Tribunale della libertà coincideva con il tribunale del capoluogo di provincia (aspetto che creò non pochi problemi in quanto si optò per un ufficio pluricircondariale o distrettuale e con organico più numeroso, in modo da evitare il rischio che gli stessi giudici prendessero parte prima alla decisione in sede di Tribunale della libertà e poi a quella in sede di tribunale competente per il giudizio). La legge peraltro non si limita ad indicare l’ufficio giudiziario competente a decidere sulle istanze di riesame.

12 M. Chiavario, “Tribunale della libertà personale”, in AA. VV, “ Tribunale della libertà e

garanzie individuali", Bologna, 1982, p. 143.

13 E. Marzaduri, “Riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, Noviss. Dig., Appendice, Torino, 1986, E. Amodio, “Il processo penale nella parabola

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Infatti, nell’articolo 25 si precisa che “i procedimenti di cui agli articoli 263-bis e 263-ter c.p.p., sono attribuiti ad una o più sezioni penali del tribunale, la cui composizione è indicata nelle tabelle formate ogni anno dal Consiglio superiore della magistratura, con predeterminazione dei magistrati titolari e supplenti”. Inoltre, si stabilisce che, “ove l’organico lo consenta, la composizione sia totalmente variata dal Consiglio superiore della magistratura, ogni anno, nell’atto della formazione delle tabelle”14. Da sottolineare il fatto che non è prevista la incompatibilità a far parte del Tribunale della libertà, del giudice istruttore che ha adottato il provvedimento limitativo (tale istituto è stato concepito come un controllo “esterno” sull’operato di chi ha disposto il provvedimento limitativo della libertà personale e questo sembra davvero snaturarne la funzione). Una soluzione a metà strada tra garantismo e demagogia, più vicino alla demagogia che al garantismo.

La legitttimazione a proporre la richiesta di riesame spettava (e spetta) alternativamente all’imputato ed al suo difensore. Nell’articolo 263-bis, (che indica che la richiesta deve essere presentata nelle forme previste dagli articoli 197 e 198, o dall’articolo 80 quando si tratta di imputato detenuto, entro cinque giorni dall’esecuzione del provvedimento) non compare alcun riferimento ai motivi della richiesta, essendo la motivazione non necessaria, rappresentando solo un elemento eventuale dell’atto, la cui assenza non dovrebbe poter rivestire alcun peso ai fini dell’individuazione del contenuto minimo della dichiarazione di riesame. Per quanto riguarda il termine per la proposizione della richiesta, la disciplina aveva omesso di prescrivere la

14 E. Marzaduri, “Riesame dei provvediemnti restrittivi della libertà personale”, Noviss. Dig., Appendice, Torino, 1986, p. 779.

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notificazione del mandato al difensore, cosi che potevano verificarsi situazioni nelle quali risultava impossibile per il medesimo adire il giudice del riesame in tempo utile.

Le garanzie del diritto di difesa erano minime. L’istituto era caratterizzato da una mera facoltatività, la parte, all’oscuro dei dati processuali a sostegno della misura, era nell’impossibilità di formulare censure nei confronti dell’operato del primo giudice. Il riesame era dunque una semplice opposizione all’ingiustizia. Si esclude la necessità di conclusioni specifiche del pubblico ministero, prima che il tribunale deliberi in sede di riesame. La decisione era elaborata in camera di consiglio, la norma da applicarsi non era certo l’articolo 76 del c.p.p. ma l’articolo 153 del c.p.p. (la quale esclude e non presuppone, salvo che la legge disponga altrimenti, la partecipazione del pubblico ministero e delle parti private e dei loro difensori). E’ stato giustamente osservato che, proprio per il carattere di unitarietà del procedimento de libertate, debbono ritenersi sufficienti le conclusioni già adottate dal rappresentante di detto ufficio in ordine allo stato custodiae dell’imputato. Come già accennato, con l’articolo 263-ter c.p.p., il legislatore ha previsto un procedimento caratterizzato da carenze temporali rigorose, dove non vi sono spazi utili per consentire adempimenti non espressamente prescritti. L’autorità che aveva emesso il provvedimento, appena pervenuta la richiesta di riesame, doveva trasmetterla immediatamente al tribunale competente, e, quest’ultimo, a sua volta, entro tre giorni dal ricevimento degli atti (salvo proroga necessaria per la complessità dei fatti oggetto dell’imputazione) doveva prendere una decisione, la cui tardiva pronuncia determinava la decadenza del

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provvedimento coercitivo. Sia l’immediatezza dell’adempimento, sia l’assegnazione al tribunale di termini cosi ristretti, inducono ad escludere che l’una o l’altra abbiano anche l’onere di consentire al pubblico ministero di prendere visione degli atti e della richiesta dell’imputato. Il legislatore ha quindi voluto derogare, nell’interesse della sollecita definizione dell’incidente relativo alla libertà personale, alle norme di cui agli articoli 76 e 153 c.p.p15. Anche per l’imputato e il suo difensore, l’articolo 263-ter

15 Dovendo il tribunale decidere con ordinanza emanata in camera di consiglio, dovrebbero trovare applicazione le regole costituenti lo statuto generale dei riti camerali, ovvero il combinato disposto degli articoli 153, 151, 76, 145 c.p.p. Per ciò che riguarda l’operatività dell’articolo 76 nell’ambito del procedimento di riesame, i dubbi andrebbero superati ove si consideri che l’ordinanza conclusiva dell’iter procedimentale costituisce deliberazione dell’organo giudicante, e dunque, a norma dell’articolo 76, deve essere preceduta dalle conclusioni obbligatorie dell’organo requirente, salva diversa previsione normativa. E’ noto però, che il tema dell’applicabilità dell’articolo 76 al procedimento di riesame, è stato fin dall’inizio uno dei nodi più tormentati, e che, dopo varie oscillazioni, si è fatta strada nel diritto vivente, la tesi della non necessità, ai fini della decisone sul riesame, della previa requisitoria del pubblico ministero. Gli argomenti posti a base della tesi negativa si ricollegano ad una duplicità di aspetti: In primo luogo, si è notato che il parere del pubblico ministero in sede di riesame si risolverebbe in una inutile e dispendiosa duplicazione (l’organo requirente, infatti, ha già espresso le proprie conclusioni attraverso la prescritta motivazione del provvedimento sottoposto a riesame). Inoltre, anche a prescindere dall’utilità del nuovo intervento, questo sarebbe impraticabile ove si consideri la rigorosa scansione dei tempi previsti dall’articolo 263-ter c.p.p. per la procedura di riesame. Mancano, si osserva, gli spazi tecnici minimali per poter ospitare, all’interno della procedura, la richiesta e l’acquisizione del nuovo parere dell’organo requirente. Entrambe le obiezioni possono, tuttavia, essere agevolmente superate. In ordine alla superfluità del parere del pubblico ministero, si è osservato che l’oggetto delle conclusioni del requirente è, nel riesame, del tutto diverso da quello sul quale egli è stato chiamato ad esprimersi ex articolo 262 comma 1 o in base al quale ha emesso il provvedimento restrittivo (ipotesi scomparsa dopo la novella del 1988): mentre nel caso di riesame il parere del pubblico ministero deve vertere sulla legittimità del mandato (o dell’ordine) precedentemente emesso, nell’altra ipotesi il suo intervento è limitato esclusivamente a decidere se adottare o no la misura coercitiva; né si può negare a priori la possibilità che, tra l’emissione del mandato e la decisione del tribunale in sede di riesame, sopravvengano fatti idonei a modificare la situazione precedente. In questo caso varierebbe anche il materiale a sostegno della decisione de libertate, e pertanto il nuovo parere dell’organo requirente investirebbe sia fatti che oggetti diversi. Per ciò che riguarda le scansioni temporali del procedimento di riesame, e la difficoltà di allocare in esso le nuove conclusioni del pubblico ministero, non possono disconoscersi le complicazioni sul piano pratico, ma non può per ciò solo avvalorarsi la tesi dell’inapplicabilità dell’articolo 76 c.p.p. al caso di specie. Comunque sia rimane integra la facoltà delle parti e dei difensori di depositare istanze, memorie, documenti nel corso della procedura di riesame anche al di là della presentazione della richiesta: fermi restando è ovvio, i tempi stabiliti dall’articolo 263-ter ai fini della decisione. Ciò, tuttavia, non costituisce ancora forma di estrinsecazione del contraddittorio. G. Di Chiara, “Il

contraddittorio nei riti camerali”, Milano, 1994, A. Cristiani, “Aspetti problematici del contraddittorio nel riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale”, in Riv. it.

dir. proc. pen 1984, G. Dean, “Il parere del pubblico ministero per il riesame dei

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del c.p.p., nulla stabilisce con riguardo alla loro partecipazione16. Le ragioni, sembrano rinvenibili nell' incompatibilità tra la conoscenza del materiale istruttorio nel quale trova fondamento il provvedimento coercitivo (conoscenza che è presupposto per l’esercizio di una adeguata difesa) e nell’esigenza di tutelare il segreto istruttorio, la quale impedisce il deposito degli atti non compiuti in contraddittorio. La decisione era presa a distanza, alle parti era solo concesso di intervenire presentando richieste per iscritto (per il pm) o memorie e deduzioni (per la difesa). Al Tribunale della libertà era impedito inoltre l’esercizio di qualsiasi potere probatorio. Solo successivamente si affermarono orientamenti volti a riconoscere all’interessato il diritto di essere ascoltato.

Dallo schema adottato si percepisce quindi un’assoluta mancanza del principio del contraddittorio. Più esatta sarà la decisione del giudice quanto più efficacemente si sarà manifestato il contraddittorio. Il contraddittorio (audiatur et altera pars) è un principio fondamentale ed esprime un’elementare esigenza di giustizia, per la quale nessuno può essere costretto a subire gli effetti di una sentenza senza aver avuto la possibilità

16 Dovendo il discorso essere impostato sulle modalità di partecipazione delle parti al procedimento di riesame, non si può, sotto questo aspetto, non prendere le mosse dall’atto di impulso della procedura incidentale, e da un non equivoco dato letterale, offerto dall’articolo 263-ter comma 3, che indica che il tribunale ha il potere di confermare o revocare il provvedimento de libertate oggetto del riesame “anche per motivi diversi da quelli eventualmente indicati nella richiesta”. E’ pertanto indiscutibile, che, a differenza di quanto previsto in sede di disciplina generale delle impugnazioni, la carenza di motivi a sostegno della richiesta di riesame non conduce né ad inammissibilità della stessa né ad alcuna conseguenza processuale; né, peraltro, si tratta di irregolarità dell’atto introduttivo del riesame, giacché emerge evidente dalla lettera della norma la assoluta irrilevanza dei motivi ai fini dell’ammissibilità della richiesta: sicché questa ben può limitarsi alla mera indicazione del provvedimento per il quale la procedura è attivata, anche prescindendo da qualunque corredo argomentativo o probatorio; il thema del giudizio, in sede di riesame, è in altri termini, disancorato dalle eventuali censure mosse dalla parte “richiedente”, non vigendo, dunque, il limite del devolutum, in quanto la devoluzione è, in tal modo, illimitata. Sul punto, Di Nanni, Fusco, Vacca, “Il tribunale della libertà, Jovene, 1983, A. Cristiani,

“Aspetti problematici del contraddittorio nel riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, G. Di Chiara, “Il contraddittorio nei riti camerali”, Milano, 1994.

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di partecipare al processo per far valere le proprie ragioni di fronte al giudice ed influire sul suo convincimento. Esprime quello che è il carattere, il più prezioso e tipico del processo moderno, che è la dialetticità: “che vuol dire che la volontà del giudice non è mai sovrana assoluta, ma sempre condizionata alla volontà e al comportamento delle parti, cioè all’iniziativa, allo stimolo, alla resistenza, o all’acquiescenza di esse”17. Necessario così un temperamento tra la tutela degli interessi dell’imputato e la tutela dell’interesse pubblico. Il principio del contraddittorio è il mezzo fondamentale per l’esercizio del diritto di difesa ed è un’esigenza morale così come garanzia effettiva ed indeclinabile dell’imparzialità del giudice e non può essere un fatto puramente eventuale, e come sottolinea un’autorevole dottrina: “è fisiologico che il contraddittorio, se esiste, preceda il provvedimento da adottare18”. Nella versione originaria della legge tutti gli atti dovevano essere trasmessi al giudice ma il segreto istruttorio rimaneva nei confronti dell’imputato e del suo difensore, e, il mancato deposito in cancelleria degli atti (anche quelli non coperti da segreto) e delle conclusioni del pm, faceva si che il contraddittorio non s' instaurasse nemmeno in forma embrionale. Una difesa assente fisicamente dunque, non essendole concesso di intervenire in udienza. Un dato di particolare rilievo, è costituito dall' innovazione del testo dell’articolo 264 c.p.p., secondo cui la motivazione del mandato, a pena di nullità, non deve essere più sommaria, ma specifica, in riferimento agli indizi di colpevolezza: con tale nuova disposizione l’imputato, fermo restando il segreto istruttorio, viene comunque messo nelle condizioni di compiere una

17 P. Calamandrei, “La dialetticità nel processo” in Opere giuridiche, Napoli, 1966, p. 678 18 G. Illuminati, “Il G.i.p e la libertà personale. Verso un contraddittorio anticipato?”, Napoli, 1997 p. 23.

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più precisa valutazione del fondamento della misura restrittiva adottata nei suoi confronti. Sicuramente resta l’insoddisfazione di fondo determinata dal fatto che è solo attraverso la dialettica processuale che si consegue la giustizia della decisione, e, questa dialettica, non sempre viene adeguatamente assicurata nella delicata materia della libertà personale.

E’ innegabile che con l’introduzione del riesame, appare più sostanziale la garanzia del rispetto degli impegni assunti in sede internazionale, anche se, dal punto di vista formale il ricorso per cassazione bastava, secondo un importante orientamento, a soddisfare il diritto del detenuto a ricorrere ad un organo giurisdizionale. Altrettanto innegabile è il fatto che tale procedura si caratterizza con connotati inequivocabilmente inquisitori. Il giudice del gravame ha la disponibilità degli atti del processo, è alla difesa che risulta impedito l’accesso a quei dati coperti da segreto istruttorio. Il sistema introdotto con la legge del 1982 ha sicuramente più di un tratto comune con l’habeas corpus19, ma ne rimane distinto per quanto attiene al ruolo riconosciuto ai soggetti del processo nella delimitazione del materiale istruttorio di base per la decisione sul tema della libertà. In questo clima è incontrovertibile che si sia voluto limitare il potere dei giudici della libertà, per evitare di ergerli a “supremi giudici” dell’istruttoria o dell’intero processo. Il rischio sarebbe quello di un’invasione di campo purtroppo a danno dell’imputato, con conseguenze disastrose derivanti soprattutto da decisioni che potrebbero tramutarsi in condanne anticipate. Sicuramente c’è stato un risveglio, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della giurisdizione, l’unica che può tutelare i valori essenziali della persona. Una

19 F. Cordero, “Appendice”, Milano, 1966: dove l’autore sottolinea quella che è la dialettica accusa-difesa nell’habeas corpus: “l’accusatore scopre alcune carte o tutte; la difesa le discute; il giudice stabilisce se bastino o meno a una misura coattiva”.

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gestione equilibrata della stessa potrà sicuramente portare ad una più facile gestione della libertà e della sicurezza.

Concludendo, la legge del 1982 n. 532 continua e continuerà a portare il nome di “legge sui tribunali della libertà”20. E’ la possibilità per i soggetti interessati di riottenere la libertà ed esprime l’esigenza di un controllo effettivo su questo momento cruciale del processo. Sicuramente sono presenti difetti tecnici ma tale riforma rappresenta non solo un adempimento a doveri internazionali; è lotta al terrorismo e alla criminalità più pericolosa, un primo passo avanti in direzione dei principi di civiltà processuale e di rispetto della libertà. Tale riforma si sostituisce alle impugnazioni tradizionale, si parla infatti di riesame, libera dal vincolo del tantum devolutum, sciolta da taluni presupposti di ordine formale. Forte è l’esigenza di tutela della collettività. Qui la funzione di sicurezza ha una posizione subordinata e accessoria rispetto alle altre. Molti gli interrogativi che possiamo porci, ci si può chiedere se sia giusto che l’intervento avvenga quando la lesione del diritto di libertà sia già in un certo senso realizzata, potrà sorgere il dubbio se tale legge abbia o meno un effetto dissuasivo rispetto a provvedimenti spesso troppo avventati e ancora se non sono troppo brevi i termini entro i quali deve essere proposta la richiesta, se non è troppo modesto lo spazio riservato al difensore in tale procedimento o se all’opposto non sono troppo gravi i rischi di uno smagliamento del segreto istruttorio indispensabile soprattutto nella fase che segue la cattura o l’arresto. Credo sia giusto comunque compiacersi dei risultati raggiunti e soprattutto per quanto riguarda il diritto di difesa. Il confidare la

20 G. Vassalli, “Legge 12/08/1982 n. 532. Disposizioni in materia di riesame dei

provvedimenti restrittivi della libertà personale e dei provvedimenti di sequestro. Misura alternative alla carcerazione preventiva”, in Legisl. Pen, Napoli, 1983, p. 58.

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valutazione dell’istruttoria, soprattutto agli inizi di essa, ad un giudice diverso e collegiale, sia pur limitatamente al controllo circa il fondamento della restrizione di libertà personale, è già un passo ben importante, ma anche un rischio per l’istruttoria. L’indagine consta di materiale che, specie in quelle fasi iniziali, non sempre può essere posto a disposizione delle parti e delle loro difese. D’altra parte molte volte basteranno a sorreggere la richiesta di riesame aspetti come argomenti di diritto, note sulla personalità dell’imputato, sulla gravità del fatto. La discussione sugli indizi troverà scarso spazio; e saranno limitati i casi in cui il tribunale riterrà di doverli valutare come insufficienti o addirittura inconsistenti. Cosi stando le cose, l’istituto del riesame avrà maggior successo nei casi in cui il mandato è facoltativo. Quanto al difensore, questi nei giudizi di riesame tornerà ad esercitare probabilmente il proprio compito in condizioni analoghe a quelle in cui era costretto ad esercitarlo in tempi meno recenti, quando non si conoscevano né la sua presenza all’interrogatorio, né la partecipazione agli incarichi peritali, né i depositi di singoli atti o gruppi di atti prima del deposito a chiusura dell’istruzione21. Eppure in quel periodo il difensore riusciva ad esercitare con successo la propria funzione. Molti gli orientamenti, probabilmente sta a ciascuno di noi abbracciare quello più vicino al suo punto di vista.

21 M. Chiavario, “Il nuovo riesame: quale dosaggio di garanzie”, in Legisl. Pen., 1983, p. 569 ss..

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1.5 Sviluppi successivi

In seguito, con la legge 398 del 1984, si assiste all’introduzione di termini diversi per la proposizione della richiesta da parte dell’imputato e del difensore ampliando l’esperibilità del riesame. In seguito a questa ristrutturazione il riesame trova una collocazione sensibilmente diversa dalla precedente e forse meglio definita. Alcune categorie di provvedimenti sono state sottratte all’area di applicazione dell’articolo 263-bis c.p.p; dall’altro lato il tribunale può essere chiamato ad intervenire anche oltre la conclusione della fase istruttoria, che rappresentava l’originario limite cronologico22. In questo nuovo sistema i problemi organizzativi, concernenti la composizione delle sezioni del Tribunale della libertà, si sono ulteriormente complicati, ma si ha una fisionomia più unitaria, coerente e chiaramente differenziata dall’appello. Il riesame si dirige contro i provvedimenti introduttivi della custodia cautelare, adottati senza contraddittorio nei confronti di chi si trova in stato di libertà, i quali necessitano di un controllo immediato a tempi brevissimi. L’appello si riferisce alle successive modificazioni della custodia, sia a vantaggio dell’imputato sia a suo svantaggio, fino al momento in cui la libertà non gli sia stata restituita, anche se non definitivamente. Tra le più importanti

22 L’attuale articolo 263-bis del c.p.p., si riferisce tout court ai mandati e ordini di cattura o d’arresto, senza specificare la fase processuale in cui sono stati emessi, mentre, come già accennato, la precedente versione della norma restringeva l’operatività del riesame ai provvedimenti adottati nel corso dell’istruzione o dal giudice istruttore con l’ordinanza di rinvio a giudizio, E. Marzaduri, “Riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà

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modifiche merita segnalare il secondo comma del nuovo articolo 263-bis che fissa diversamente il dies a quo per la proposizione della richiesta di riesame. E’ stata inoltre introdotta un' importante eccezione a favore del difensore dell’imputato: premessa della modifica è stata una decisone della Corte costituzionale, che, in relazione all’articolo 24 comma secondo della Costituzione, ha dichiarato l’illegittimità del previgente articolo 263-bis c.p.p., nella parte in cui il termine di cinque giorni (per presentare la richiesta di riesame) veniva fatto decorrere dall’esecuzione del provvedimento anche per il difensore dell’imputato detenuto. L’esercizio del diritto alla difesa tecnica, non era assicurato tutte le volte che il difensore non avuto tempestiva conoscenza del provvedimento. La sentenza tuttavia ha ricollegato il termine in questione alla notifica al difensore o comunque alla sua conoscenza del provvedimento. Il primo dei due presupposti risultava inapplicabile, in assenza di una norma che prevedesse la notifica dell’ordine o del mandato di cattura; restava il secondo presupposto il cui effetto pratico sarebbe stato di ampliare oltre misura la proponibilità della richiesta, vanificando in sostanza il termine previsto dalla legge. Il legislatore ha modificato l’articolo, scartando il criterio della conoscenza del provvedimento e facendo capo alla data della notificazione dell’avviso di deposito. La norma cosi, non contiene solo l’indicazione di un dies a quo, ma l’obbligo di depositare il provvedimento nella cancelleria o segreteria e l’obbligo di notificare l’avviso di deposito al difensore. Tale nuova disposizione può collegarsi all’articolo 304-quater ult. comma c.p.p., ai sensi del quale il difensore ha diritto di avere copia del mandato. L’eventuale omissione del deposito o dell’avviso non è causa di nullità, ma produce solo l’effetto di non far decorrere il termine per la richiesta di

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riesame, mentre è irrilevante, a questo fine, che il difensore abbia avuto altrimenti conoscenza del provvedimento. Con la riforma del 1984 inoltre, i poteri del giudice del riesame non risultavano più limitati all’alternativa tra la conferma e la revoca del provvedimento restrittivo: difatti, come l’imputato e il suo difensore possono adesso proporre una richiesta “specifica”, volta a protestare contro la mancata applicazione della misura prevista nei primi due commi dell’articolo 254-bis, così il tribunale può disporre l’applicazione della misura sostituitiva, adottando una decisione di “riforma” del precedente intervento coercitivo23.

E’ con la legge 330 del 1988 cd “anticipatrice” del nuovo codice, che sembra che il legislatore si sia reso conto della necessità di prevedere il contraddittorio. Essa segna il terzo ed ultimo stadio della progressione storica degli spazi riservati alla difesa, nell’ambito dei procedimenti di controllo sui provvedimenti de libertate. L’art 25, che ha modificato l’articolo 263-ter comma 6 del c.p.p., stabilisce che con la richiesta di riesame il difensore può chiedere (è sua la scelta tra esercitare il contraddittorio orale in udienza o fornire esclusivamente un contributo cartaceo rinunciando ad ogni dialettica orale) di intervenire in camera di consiglio per illustrarla; in tal caso il presidente del tribunale fissa la data della trattazione entro cinque giorni dal ricevimento degli atti, dandone avviso almeno due giorni prima al difensore o al pubblico ministero, i quali hanno la facoltà di intervenire. Si registrano le prime aperture all’intervento orale delle parti in camera di consiglio. L’iniziativa spetta dunque alla difesa: incombe sul difensore, infatti, la scelta tra il contraddittorio orale,

23 E. Marzaduri, “Riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale”, in Noviss. Dig., Appendice, Torino, 1986. p. 784.

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che comporta un procedimento meno spedito (ma con il vantaggio dell’intervento diretto in camera di consiglio) ed il mero contributo cartaceo delle parti, con esclusione di ogni dimensione dialettica orale, che, tuttavia, costituisce mera eventualità, e da cui rimane comunque escluso ogni apporto personale dell’imputato, cui rimane preclusa fisicamente la camera di consiglio24. Nonostante alcune riserve, il nuovo meccanismo sembra apprezzabile, anche se non soddisfacente25: il contraddittorio che esso contiene si proietta verso una più compiuta realizzazione del diritto di difesa. Le perplessità evidenziate dalla dottrina, rilevano comunque il mantenimento della disparità di trattamento tra accusa e difesa e il persistente clima inquisitorio, sul quale il legislatore del 1988 non sembra essere riuscito ad incidere. Il segreto istruttorio, connaturato al codice del 1930, continua a pesare sull’istituto. Esso impedisce al difensore di intervenire con un background di conoscenze “cartolari” assimilabile a quello dell’accusa e del Tribunale del riesame. La difesa, non essendo previsto alcun deposito degli atti utilizzati, continua a non conoscere ciò che invece è patrimonio del pubblico ministero e dell’organo inquirente, finché perdura la fase istruttoria. E’ necessario segnalare inoltre alcune modifiche introdotte dalla novella del 1988 in tema di motivazione dei provvedimenti coercitivi, rilevanti sul piano della interdipendenza con il procedimento di riesame. In particolare si fa riferimento agli articoli 264 e

24 M. Ferraioli, “Il riesame dei provvedimenti sulla libertà personale”, Milano, 1989 25 Secondo un’autorevole dottirna, A. Giannone, “Commento agli articoli 24 e 25 l.

330/1988” in Legisl. Pen. 1988, p. 596 , tale novità sarebbe solo “sulla carta o, almeno, più

sulla carta che nella realtà”, in quanto il nuovo meccanismo “getta solamente un debole spiraglio di luce su un contraddittorio che era e resta buio (o quasi), in quanto completamente sbilanciato a favore dell’investigatore: il difensore potrà illustrare oralmente – magari meglio che nei motivi scritti – le doglianze dell’imputato adducendo nuovi motivi e nuovi elementi probatori, ma non potrà giocare con reale cognizione di causa di fronte al giudice del riesame, perché non conoscerà nulla o quasi, continuando ad ignorare gli atti coperti dal segreto istruttorio, noti invece al tribunale della libertà.

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253 c.p.p. L’articolo 264 comma 2, riscritto dall’articolo 26 della legge 330 del 1988, dispone che i mandati di cattura, di arresto e di accompagnamento devono contenere la specifica enunciazione (sia pure compatibile con il segreto istruttorio) degli indizi di colpevolezza, nonché dei motivi che ne determinano l’emissione. La norma va raccordata con l’articolo 253, secondo cui il mandato di cattura può essere emesso solo quando sussistono inderogabili e concrete esigenze di tutela dell’acquisizione di specifiche fonti di prova ovvero quando l’imputato si è dato alla fuga ed il giudice ritenga, in base ad elementi specifici, che per il delitto per cui si procede verrà irrogata con la sentenza una pena che non rientri nei limiti della sospensione condizionale, ovvero quando, per la pericolosità dell’imputato desunta dalla sua personalità e dalle circostanze del fatto, sussistano esigenze di tutela della collettività. Dal collegamento tra le due norme è chiaro che l’area delle condizioni per l’emissione del provvedimento di cattura non coincide con quella della motivazione del provvedimento medesimo, essendo, piuttosto, la prima più ampia della seconda, stante la riserva a tutela del segreto istruttorio. La necessità della specifica enunciazione degli indizi di colpevolezza preclude la via alla prassi delle formule pigre, di mere parafrasi del testo normativo in tema di condizioni per l’emissione del provvedimento de libertate26. In base a questo, non può disconoscersi che la specificità del supporto logico-argomentativo del mandato, pur non consentendo uno sfaldamento del segreto istruttorio, consente l’apertura a nuovi spazi cognitivi alla difesa, per la quale diviene possibile muovere censure specifiche con riferimento alla motivazione dell’atto sottoposto a riesame. Lo squilibrio tra accusa e

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difesa rimane, ma la puntualità della motivazione attenua la profonda disparità del precedente sistema. Da notare che, secondo il novellato articolo 263-ter comma 6, l’intervento del difensore in camera di consiglio è unicamente finalizzato all’illustrazione della richiesta di riesame; in questo caso il giudice dispone che si integri il contraddittorio dando avviso anche al pubblico ministero della data fissata per l’udienza. Il silenzio della norma sull’ordine da seguire nella discussione deve essere risolto nel senso di attribuire per primo la parola al requirente, per poi dare modo alla difesa di “illustrare” sua richiesta. Se si suppone che, in sede di requisitoria emergano elementi ulteriori, rispetto a quelli conosciuti dal difensore: questi, intervenendo successivamente, secondo la lettera della legge non potrà utilizzarli, dovendosi attenere solo a quanto già espresso in sede di richiesta di riesame. La realtà è però più complessa: va ricordato che l’intervento in camera di consiglio può astrattamente riferirsi ad una richiesta “immotivata”, in quanto la norma non ha inciso sulla assoluta facoltatività dei motivi (scritti) a sostegno della richiesta di riesame. Interessante è notare come sia rimesso, in ultima analisi, alla scelta del difensore, attraverso il meccanismo dell’articolo 263-ter comma 6, l’ordine del contributo delle parti al rito incidentale de libertate: mentre, nell’ipotesi di intervento orale in camera di consiglio la difesa interviene per ultima, la diversa ipotesi del procedimento di riesame senza contraddittorio orale vede ribaltato l’ordine degli interventi, dovendo essere acquisito, ovviamente, dopo la richiesta introduttiva di parte, il parere obbligatorio del pubblico ministero ai fini della decisione del tribunale della libertà. In definitiva, anche attraverso tale norma non vengono colmate le innumerevoli lacune. Sotto il profilo del diritto di difesa non si era ancora

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nel 1988, in presenza di un vero e proprio controllo giurisdizionale. Da segnalare che, con tale legge, veniva introdotta la possibilità del ricorso per cassazione omisso medio, offrendo all’imputato l’opportunità di indirizzare direttamente alla Suprema Corte le proprie doglianze di legittimità27.

Neppure il nuovo codice di procedura penale prevede una forma di vero e proprio contraddittorio. L’art 309 c.p.p., indica che il procedimento di riesame si svolge in camera di consiglio nelle forme disciplinate dall’art 127 del c.p.p.. L’intervento delle parti è eventuale (l’art 127 stabilisce che le parti vengono sentite unicamente se compaiono). La questione appare delicata a proposito dell’obbligatorietà o meno dell’intervento del pubblico ministero, quel soggetto che deve garantire la giusta applicazione della legge che deve garantire il rispetto del diritto. Nella difficile tematica dei rapporti tra garanzie ed esigenze di funzionalità della macchina processuale c’è dunque il profilo dello spazio da riconoscere alla difesa che non riesce a trovare concretezza. Il giudice del gravame ha la piena disponibilità di tutto il materiale raccolto dall’inquirente, alla difesa restano inaccessibili i dati che non può conoscere se non al termine della fase istruttoria. Sono escluse forme di deposito anticipato rispetto a quello stabilito dall’articolo 372 c.p.p. e non può, per tutti i dati utilizzabili in una strategia difensiva pro-libertate, operare l’articolo 304-quater c.p.p.. La legge non fa menzione di un diritto, dell’imputato o del suo difensore di essere ascoltati in camera di consiglio dal Tribunale delle libertà, e le argomentazioni difensive restano

27 A. Giannone, “Commento all’articolo 23 legge n. 330/1988”, in Legisl. Pen. 1988, p. 593, rilevava come dovesse essere vista con favore l’introduzione del ricorso per saltum, sottolineando, però, da un lato, come mancasse qualsiasi termine perentorio per la decisione del ricorso stesso (il che si scontrava con l’interesse del soggetto ad avere velocemente scrutinato il proprio status detentionis), dall’altro, le carenze della legge, che non aveva previsto il difensore tra i soggetti legittimati ad impugnare, mancanza ancora più evidente se si pensa che proprio il legale possiede quelle conoscenze tecniche necessarie al fine di redigere un ricorso per cassazione.

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affidate alla possibilità di presentare memorie scritte, oltreché di sorreggere con formali “motivi” la richiesta di riesame. Dubbi di legittimità costituzionale sono stati sollevati, e dietro tali dubbi si affaccia l’ipotesi che la lesione del diritto di difesa sia dovuta ad un ipergarantismo. Il legislatore tendenzialmente avrebbe potuto, non essendo imposta, escludere una seconda istanza nel merito, ma se la prevede non può non garantire un’adeguata difesa, in quanto diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

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1.6 L’incidenza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Analizzando l’evoluzione storica della disciplina sul Tribunale della libertà, si è evidenziata l’influenza della normativa internazionale sul legislatore nazionale. La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950, non è solo un documento solenne e di alto valore politico, bensì anche, o sopratutto, un testo che è entrato, con efficacia normativa pari a quella ordinaria, a far parte del sistema giuridico italiano28. Il tema della limitazione della libertà personale presenta ampi svolgimenti all’articolo 5 che recita: “Ogni persona ha

diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge: a) se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente; b) se è in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o per garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge; c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi siano ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso; d) se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa per sorvegliare la sua educazione o della sua detenzione regolare al fine di

28 M. Pisani, “Convenzione europea dei diritti dell’uomo e riforma del processo penale”, Roma, 1966, p. 3.

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tradurlo dinanzi all’autorità competente; e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo; f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione. 2. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo carico. 3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 (c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all’udienza. 4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima. 5. Ogni persona vittima di arresto o detenzione in violazione di una delle disposizioni di questo articolo ha diritto ad una riparazione”.

Particolare attenzione va al paragrafo 4 di questo articolo, disposizione essenziale per il controllo sulla legalità della detenzione secondo lo schema delle impugnazioni. Si attribuisce all’interessato, dopo un certo intervallo di tempo, il diritto di investire nuovamente un’autorità giudiziaria della

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verifica della legittimità della detenzione. La disposizione in esame prevede il diritto di instaurare un procedimento di controllo sulla detenzione ma non di investire un’autorità giudiziaria del ri-esame. La possibilità di investire un’autorità è contenuta nell’art 2 del VII Protocollo. L’art 5, non impone quindi un doppio grado di giurisdizione, ma delinea un controllo accessibile alle parti e diretto al tribunale, che deve estendersi al merito del provvedimento, verificarne la ragionevolezza, assicurare la parità delle parti e l’effettività del vincolo, una procedura quindi che rispetti l’articolo 6 della Convenzione stessa (giusto procedimento). Particolare attenzione va inoltre, all’esigenza di immediatezza del processo. Come già sottolineato agli inizi degli anni ottanta la Commissione europea dei diritti dell’uomo aveva affermato che per soddisfare le esigenze previste dall’art 5 paragrafo 4 poteva bastare il ricorso per Cassazione. Tale articolo non sembrava aggiungere alcunché al rimedio previsto dall’articolo 111 comma 2 della Costituzione. Oggi il diritto di ricorre ad un tribunale necessita di uno strumento di controllo della detenzione con caratteristiche diverse rispetto al ricorso per Cassazione stesso.

La persona nei cui confronti è applicata una misura cautelare potrà giovarsi dell’assistenza tecnica di un legale, tanto per la presentazione di eventuali istanze quanto per la concertazione di una linea difensiva, ed è proprio a questo aspetto che la giurisprudenza di Strasburgo presta particolare attenzione, ad una garanzia non solo soggettiva ma oggettiva, in quanto necessaria alla collettività. In tal senso ritengo opportuno citare la sentenza della Corte europea del 2006 Sannino c.Italia dove la Corte evidenzia che la nomina di un avvocato non è idonea a garantire in sé l’effettività

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dell’assistenza difensiva all’imputato, dovendosi ritenere violato il diritto ad un processo equo, quando le autorità nazionali non intervengano per porre rimedio alle lacune evidenti della difesa dell’imputato, in modo che ci sia un adeguato livello di assistenza. Pronunce vi sono state anche precedentemente: nella sentenza della del 24 ottobre 1979 Winterwerp c. Paesi Bassi la Corte europea afferma che è in contrasto con l’oggetto e lo scopo dell’art. 5 della Convenzione, letto alla luce del comma 4 dello stesso, impedire ai destinatari di misure di detenzione l’accesso ad un ricorso effettivo, corredato dalle ordinarie garanzie di un giusto processo, che consenta un vaglio di legalità dei provvedimenti restrittivi della libertà emanati, ancorché essi siano stati disposti da un tribunale. Cito inoltre la sentenza del 29 febbraio del 1988 Boumar c. Belgio e la sentenza del 25 marzo 1992 Campbell c. Regno Unito, dove la Corte indica che tra cliente e avvocato possa instaurarsi un controllo riservato e che se è necessario un differimento del colloquio tra difensore e assistito giustificato da specifiche esigenze, ciò non può ledere il contenuto essenziale del diritto di difesa. Il paragrafo 2 dell’art 5 Cedu impone inoltre l’obbligo di informare, nel più breve tempo possibile, gli arrestati, in un linguaggio semplice e accessibile delle ragioni di fatto e di diritto della privazione della libertà onde consentire loro di discuterne la legalità davanti ad un tribunale, al fine di far si che il soggetto possa preparare la propria difesa in giudizio. Per esercitare pienamente il diritto di difesa e per il suo effettivo godimento, l’interessato alloglotta non vedrà decorrere i termini per esercitare il suo diritto fintantoché non ci sia la certezza che il destinatario del provvedimento abbia compreso l’atto a lui indirizzato. Facilitazioni anche per la presentazione dell’atto, che potrà essere effettuata nella cancelleria

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del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano ovvero davanti ad un agente consolare all’estero. Il detenuto potrà farlo direttamente al direttore dell’istituto o se soggetto sottoposto ad arresti domiciliari ad un ufficiale di polizia giudiziaria. L’intento a soddisfare l’interesse ad un processo equo è lampante.

Volendo dare un giudizio piuttosto critico, si afferma che il nostro sistema, il nostro codice, si armonizza poco con il testo della Convenzione. Presunzione di innocenza o di non colpevolezza, e in rapporto ad essa, abolizione dell’assoluzione con la formula dubitativa e soprattutto il nuovo regime di limitazione della libertà personale nel corso del processo; rispetto della vita privata e familiare, nelle notificazioni, nell’indagine di personalità, nell’assunzione delle prove, nella disciplina della pubblicità dibattimentale: si tratta di un complesso di problemi che stanno al centro della tematica di riforma del nostro processo penale, per la soluzione dei quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è necessario non dimenticarlo, rappresenta e rappresenterà una solenne, autorevole, impegnativa anticipazione.

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