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2.3 Narrazioni e aspetto mediatico

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Academic year: 2021

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2.3 Narrazioni e aspetto mediatico

«La guerra ha logorato le parole; si sono indebolite e deteriorate». New York Times, durante la Prima Guerra Mondiale1.

Prima di passare alla trattazione dell’argomento dei diversi punti di vista e delle differenti narrazioni che vengono utilizzate dagli attori protagonisti all’interno di tale conflitto per rappresentare se stessi e l’altro, è opportuno compiere un passo indietro e cercare di tracciare brevemente gli aspetti teorici e le motivazioni che si pongono alla base e ne caratterizzano l’impiego.

Con l’invenzione dei sistemi tecnici fondamentali della comunicazione e del principio del libero scambio, il XIX secolo ha visto nascere nozioni che concepiscono la comunicazione come fattore di integrazione delle società umane. Centrata dapprima sulla questione delle reti fisiche e proiettata verso il cuore stesso dell’ideologia del progresso, la nozione di comunicazione ha inglobato alla fine del secolo la gestione delle moltitudini umane. Il pensiero della società come organismo, come insieme di organi che adempiono funzioni determinate, ispira anche i primi concetti di una “scienza della comunicazione”2

.

Fin dal primo decennio del secolo scorso, la comunicazione – specialmente negli Stati Uniti – è stata parte integrante del progetto di fondazione di una scienza sociale con basi empiriche. La scuola di Chicago rappresentava il fulcro di tale progetto: il suo approccio microsociologico alle formule di comunicazione nella struttura sociale era in sintonia con la riflessione sul ruolo dello strumento scientifico applicato alla soluzione dei grandi equilibri della società e in numerosi campi di ricerca come ad esempio, in economia, in sociologia, in psicologia e nelle scienze politiche. Difatti i grandi temi trattati da tale scuola vertevano sull’immigrazione, sulla disorganizzazione e sul processo di individualizzazione del cittadino e delle sue capacità di adattamento ad un nuovo ambiente o a costruire valori sociali. Nel loro complesso, questi studi specifici risultavano essere monotematici ed etnografici.

1 Cit. in S. Sontang, Davanti al dolore degli altri. 2

Armand e Michèle Mattelart, Storia delle teorie della comunicazione, (titolo originale Histoire des théories de la communication, editions La Découverte, 1995) trad. Franco Brigida, Lupetti editore di comunicazione, Milano, 1997. P. 13.

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Il limite di tale approccio venne superato successivamente dalla Mass Communication

Reseach, una corrente di pensiero il cui schema di analisi funzionale spostava la ricerca

verso una misurazione quantitativa in grado di rispondere meglio alle domande provenienti da coloro che gestivano i mezzi di comunicazione3. In tale periodo fecero, infatti, un progresso considerevole strumenti quali il telegrafo, la radio, il telefono, il cinema che assisterono alla comparsa della propaganda utilizzato come un mezzo per ottenere il consenso delle masse.

Negli stessi anni anche lo studioso, politologo e docente all’Università di Chicago, Lasswell propose all’interno del saggio, World Politics and Personal Insecurity, uno studio sistematico del contenuto dei media e l’elaborazione di indicatori in grado di cogliere le tendenze della World Attention, ovvero degli elementi che componevano il passaggio simbolico mondiale e di approntare, conseguentemente, delle linee politiche adeguate (policy-making). Egli inoltre, nel 1948, sviluppò un quadro concettuale dettagliato rispetto alla sociologia funzionalista dei media, all’interno della quale furono privilegiati solamente un paio di punti: l’analisi degli effetti e, in stretta correlazione con questi, l’analisi del contenuto - i quali, fornivano al ricercatore elementi in grado di orientare il suo approccio con il pubblico. Questa tecnica mirava a una descrizione obiettiva, sistematica e quantitativa del contenuto dei manifesti delle comunicazioni. L’esigenza del risultato - ovvero il controllo dell’efficacia di una campagna di informazione governativa o di iniziativa pubblicitaria, di un’operazione aziendale di relazioni pubbliche o di un’azione di propaganda bellica – risultava prevalente anche a scapito dell’attenzione rivolta agli effetti dei media sui fruitori dei loro messaggi; passava in tal modo in secondo piano la percezione dei mutamenti di conoscenza, delle emozioni e dei comportamenti conseguenti4.

Negli anni Quaranta- Cinquanta, la storia della sociologia funzionalista dei media registrò un ulteriore sviluppo: la scoperta dell’elemento intermedio fra il punto iniziale e quello finale del processo di comunicazione, conosciuto come principio meccanicistico sull’effetto diretto e indifferenziato della comunicazione (Lasswell).

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Ivi, p.25.

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Descritti ed accettati dal funzionalismo come meccanismi di adattamento e regolatori della società e strumenti caratterizzanti una democrazia moderna, i mezzi di comunicazione diventarono sospetti di violenza simbolica e concepiti come mezzi di potere e di dominio.

Da questa scia critica negli anni Sessanta, in Gran Bretagna, il gruppo dell’Università di Birmingham, del Center of Contemporary Culture Studies (CCCS), centro di studi sulle forme, le pratiche e le istituzioni culturali e i loro rapporti con la società e i mutamenti sociali, inaugurò i Cultural Studies5 caratterizzato da un approccio etnografico e con una tendenza pragmatica a non chiudersi in confini ideologici ben definiti. Tale teoria si preoccupava dell’introduzione della cultura mediatica negli ambienti popolari e di come l’ideologia contenuta nei testi mediali potesse venir letta dal pubblico. Grazie a questa tipologia di ricerca ci si è resi conto che l’interpretazione di un messaggio non è universalmente condivisa da tutti.

Un’altra relazione che col tempo ha interessato numerosi studi, e che possiamo definire indispensabile ai fini di tale elaborato, è quella che intercorre all’interno di un contesto conflittuale, fra gli attori e l’opinione pubblica - evidenziando oltremodo l’importanza assunta dall’utilizzo dei mass media intesi come agenzie di socializzazione che trasferiscono la cultura da un livello soggettivo ad uno individuale e che si dotano di caratteristiche essenziali e proprie6.

Oggi infatti, possiamo definire la verità come una messa in scena, come una rappresentazione degli eventi in funzione della loro proiezione mediatica. Ma è altrettanto vero che gli stessi importanti eventi politici vengono inscenati come uno spettacolo, dove la maggior parte delle volte si assiste ad una distorsione delle regole della comunicazione, per cui i destinatari originali non rappresentano il destinatario reale e diventano essi stessi gli attori e parte di uno spettacolo che in realtà è rivolto all’opinione pubblica.

L’altra faccia della messa in scena è per l’appunto, ciò che viene posto fuori scena: ad una verità mostrata corrisponde sempre una verità taciuta e rimossa7. Tale verità può venire equiparata ad una verità negata, oppure ad una verità coperta. La rimozione di

5

Ivi, p. 59.

6

M. Giangualano, Compendio di teoria della comunicazione, 2004.

7

V. Giacché, La fabbrica del falso. Startegie della menzogna nella politica contemporanea, DeriveApprodi editore, Roma, 2008. Pp. 16-20.

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essa, però, può ritorcersi contro chi la pone in essere come nel caso specifico della censura. Una possibilità per superare tale limite è data dalla distorsione della verità, ed in tempo di guerra essa è una delle funzioni tradizionalmente svolte da parte della stampa8.

Impiegati dalle agenzie di comunicazione sono anche i diversi metodi per mutare i connotati alla verità: uno fra tutti è l’eufemismo, espressione dell’ipocrisia, che possiamo definire come «l’onore che la menzogna rende alla verità9» (F. de La Rochefoucauld). La maggior parte degli eufemismi comporta una semplice riformulazione tranquillizzante e rassicurante, attraverso la quale, il fenomeno descritto viene addomesticato e reso innocuo, ossia non più in grado di suscitare reazioni ostili come indignazioni o proteste10.

Non sempre le pratiche di rimozione o di distorsione della verità si rendono necessarie, in quanto molto spesso, all’interno dei conflitti essa viene semplicemente elusa, evitata e ignorata. Ad ogni modo, è evidente l’importanza che rivestono ed assumono oggi giorno il dominio del linguaggio e il suo controllo11.

Il ruolo dei media e delle menzogne all’interno di scenari di guerra serve soprattutto per creare orientamenti e fatti compiuti: a cominciare dalla disgregazione di uno Stato e dall’assassinio di centinaia di migliaia di suoi abitanti.

Sui meccanismi che rendono possibile il caso della disinformazione a cui si assiste ciclicamente, si è molto e da sempre riflettuto. Il New York Times, ad esempio, a proposito di ciò, ha fatto riferimento al concetto di «ansia da scoop» quale movente che avrebbe indotto a pubblicare notizie senza verificarne in misura adeguata l’attendibilità. Alla base di tale logica vi risiederebbe la strategia della perception management (gestione della percezione)12.

8 Ivi, pp. 21, 22, 23, 26.

9 F. de La Rochefoucauld, Massime, 1994. P. 157.

10 V. Giacché, La fabbrica del falso. Startegie della menzogna nella politica contemporanea,

DeriveApprodi editore, Roma, 2008. Pp.32, 35.

11 Ivi, pp.32, 35. 12 Ivi, p.42.

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L’odierna guerra alla verità non è un problema che riguarda solamente la sfera della comunicazione e dell’ideologia, essa richiede un sofisticato e potente apparato che confeziona e smercia la menzogna, alla pari di qualsiasi altro prodotto.

E’ possibile affermare che la menzogna risulti essere uno strumento sia necessario sia naturale: il primo per un duplice motivo, in primo luogo, rispetto alle situazioni razionalmente insostenibili che si vogliono mantenere; in secondo luogo, rispetto a quei problemi del mondo ai quali si pretende di dare una soluzione tenendo fermo proprio ciò che ne rappresenta la principale causa: la produzione della menzogna quindi, si radica nella menzogna dell’attuale modo di produzione. Inoltre, affermare che la menzogna sia naturale o ovvia, significa confermare che la sua disponibilità deriva da ben determinati meccanismi sociali e condizioni oggettive.

Per tali motivi, è sbagliato considerare a livello generale la menzogna come un complotto, come una congiura ordita dal media e dai contingenti detentori del potere politico13.

Fino ad ora si è cercato di mostrare le radici dell’odierna guerra alla verità nella realtà sociale del nostro tempo. Si è inoltre accennato come la menzogna non sia solamente necessaria e funzionale ai meccanismi di riproduzione dell’attuale forma di società, ma a sua volta, nasca e si affermi in maniera naturale in forza di quegli stessi meccanismi. Tutto ciò appare sufficiente a intendere la difficoltà che si incontra oggi nel tentativo di riaffermare la verità sul proprio mondo sociale. E’ quindi altrettanto importante tener conto dei modi e degli strumenti in grado di dare forza a quel tentativo, come ad esempio l’uso di enunciati compositi da gaffe, di simboli che accusano, di sofismi – enunciati assurdi e contradditori, di eufemismi ed ossimori, di iperboli ed infine di tautologie, nonsensi e lapsus che vengono impiegati al posto delle spiegazioni. L’impiego di queste strategie che smascherano la menzogna, inducono oltre modo l’opinione pubblica a compiere riflessioni14

.

In linea con l’elenco di tecniche qui sopra riportato, è bene menzionare anche una delle più famose affermazioni fatte da G. Bouthoul - uno tra i primi scienziati che ritenne utile conferire un’autonomia disciplinare all’oggetto di guerra, dando forma ad un

13 Ivi, p.178-9. 14 Ivi,pp.199-213.

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nuovo campo di studio, la polemologia15 -: «la storia ha iniziato la propria vita con l’essere soltanto la narrazione dei conflitti armati», indicando da un lato il legame stringente tra guerra e narrazioni e dall’altro il ruolo di spartiacque svolto tradizionalmente dai conflitti, nel segnare ad esempio, il passaggio da un periodo storico ad un altro.

Lo studio della guerra come evento, sottolinea la presenza di una triplice dimensione: la guerra come esperienza o azione, come narrazione e come percezione.

L’età contemporanea è caratterizzata dalla dimensione della narrazione e da un livello elevato di utilizzo delle rappresentazioni; tanto è vero che si è incominciato a parlare di “guerra parallela” svolta dei media, che si dispone accanto a quella pianificata e condotta dagli eserciti16.

15 Enciclopedia Treccani: polemologìa s. f. [comp. del gr. πόλεμος «combattimento, guerra» e -logia].

Trattatistica sull’arte della guerra. Studio delle cause psicologiche e sociali che producono i conflitti.

16 R. Rega, Guerra, media e politica. Il conflitto in Iraq nei linguaggi dei leader politici. Bevivino

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2.3.1 Dalla teoria alla pratica

L’obiettivo della presente sezione, come più volte accennato, è quello di analizzare e riportare i caratteri della comunicazione di guerra valutando sia le strategie discorsive degli attori politici, sia l’evoluzione dei modelli comunicativi, contraddistinti da modalità stilistiche della tradizione passata e da paradigmi comunicativi aggiornati e rivoluzionati nel tempo. Ciò che sono stati ulteriormente mutati, unitamente alla ridefinizione dell’assetto politico globale, sono anche le priorità e gli obiettivi strategici che hanno reso necessaria una radicale innovazione dei sistemi di gestione dei flussi informativi17.

Possiamo osservare che, a prescindere dai contesti temporali e geografici, la scelta dei governi di considerarsi idealmente estranei ad ogni tipo di guerra anche laddove ne siano stati i diretti responsabili, si profila come uno schema discorsivo ampiamente condiviso. Tale strategia si lega immediatamente alla problematica della “costruzione della motivazione”, sviluppata solitamente attraverso due principali espedienti retorici: il casus belli e la teoria del complotto. Il primo, è la ricerca di una giustificazione puntuale, il secondo invece la dimostrazione dell’esistenza di un nemico trasversale, colpevole di costituire una minaccia per la sicurezza globale18.

Il linguaggio in questa situazione diviene anche un potente catalizzatore di emozioni acquisendo in tal senso valenza simbolica ed il potere inedito «di fare astrazione dalla realtà, reificare e sacralizzare le cose» (M. Edelman, 1987). Concetti tendenzialmente astratti come “sicurezza nazionale”, “libertà” – che rappresenta il principio universale e simbolico alla base dell’intera propaganda di governo contro il nemico – e “interesse pubblico”, si caratterizzano dalla facilità ed efficacia a permeare di emozioni gli interessi politici di gruppi determinati. Le astrazioni, hanno come prerogativa quella di ampliare la possibilità di manipolare le persone attraverso la manipolazione dei simboli da cui esse sono attratte19.

17

R. Rega, Guerra, media e politica, bevivino editore, Brescia, 2008. Pp, 27- 29.

18 Ivi, p. 35. 19

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Sia per l’uomo politico che per il giornalista la capacità di persuasione si gioca in gran parte a livello simbolico; in particolare, nei contesti geograficamente lontani o di difficile comprensione per il cittadino comune legato a un immaginario culturale, politico e religioso distante la semplificazione del processo decisionale e la risoluzione della stadio di inerzia divengono ancora più importanti20.

I quadri interpretativi predisposti dai media, gli stili di presentazione, le ricorrenze e il lessico impiegato si profilano come elementi decisivi nello studio della comunicazione di guerra necessari a comprendere e a prevedere gli effetti e le ripercussioni sul pubblico. Tale comunicazione, intesa come insieme di strategie e modelli comunicativi utilizzati durante i conflitti, è caratterizzata da formule differenti a seconda del contesto storico in cui viene utilizzata.

Il sistema mediale non opera in modo autonomo e tanto meno isolato. Le attività di

information warfare richiedono uno sforzo congiunto di più soggetti. Oltre alle forze

politico- militari e ai mezzi di comunicazione esiste un altro attore centrale dell’arena dei conflitti che fornisce ai giornalisti le storie, le narrazioni, le leggende e le false notizie: sono le agenzie di public relation e marketing politico. Apparati specializzati nella gestione delle notizie a cui sono generalmente affidate le operazioni più difficili e spregiudicate che altri soggetti istituzionali non potrebbero gestire.

L’attività della guerra, richiede una vera e propria brand strategy, una strategia di vendita della guerra, la quale attraverso simboli e marchi identificativi è in grado di suscitare il coinvolgimento dei cittadini21.

Lo studio della comunicazione di guerra e della sua evoluzione in relazione ai mutati scenari politici, comunicativi e tecnologici apre la strada all’esplorazione di una dimensione centrale del fenomeno: il ruolo assunto nell’arena dei conflitti da parte delle forze politiche, nella duplice veste di decisori e comunicatori. Il legame tra guerra e politica può essere considerato attraverso due principali prospettive di analisi: una strategica, finalizzata a osservare il rapporto che si instaura durante le operazioni militari tra la politica, i suoi fini e il mezzo utilizzato e una storico- politologica in cui la guerra, affrontata come fenomeno sociale complesso, viene esplorata per conoscere la genesi, il funzionamento e il mutamento degli aggregati politici22.

20 Ivi 21 Ivi, pp. 42- 50. 22 Ivi, p. 53.

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Tutto, infatti, si riduce alla questione del potere: il potere che i media hanno di definire una gerarchia tematica; il potere che hanno di distruggerla; il potere di conferire potere e di informare; il potere di ingannare; il potere di spostare l’equilibrio del potere fra stato e cittadini, tra paese e paese, fra produttore e consumatore che oppone resistenza; ma anche il potere di chi detiene la proprietà ed il controllo, e da come si avvale di essi. Mentre un tempo avremmo potuto pensare ai media come a un complemento del processo politico a servizio di governi e partiti, oggi, dobbiamo porci dinnanzi ai media come soggetti fondamentalmente iscritti nel processo politico stesso: la politica, al pari dell’esperienza, non può essere considerata fuori dal contesto mediale23.

Durante un conflitto militare, in genere le parti sono divise almeno in due fronti opposti e polarizzati ed impiegano tutti i mezzi a loro disponibili per vincere sul campo.

La componente mediatica rappresenta, in tal senso, uno strumento importante: il suo ruolo diviene quello di trasmettere ciò che avviene in modo da supportare la posizione del parlante. In altre parole, i media vengono impiegati al fine di legittimare le azioni degli alleati o sostenitori e allo stesso tempo infangare e delegittimare le azioni compiute dall’avversario24

.

La guerra civile in Siria è stata fin da subito caratterizzata da un alto utilizzo dei social media, attraverso video on line e documenti in rete tutto è stato documentato – dalle prime proteste civili sino a giungere alle offensive militari.

La mancanza di reportistica tradizionale e servizi giornalistici anche a livello internazionale attendibili ha portato ad un aumento della dipendenza dei social media come fonte di notizie e la valutazione della veridicità di questi resoconti si è dimostrata estremamente difficile25.

Oggi, chi è in grado di controllare la maggior parte dei canali di diffusione delle immagini e delle notizie ha anche in mano il potere e il consenso della popolazione

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R. Silverstone, Why Study the Media?, Sage Pubblication of London, Thousand Oaks and New Delhi, 1999. (Trad. A. Manzano, Perchè studiare I media?, Il Mulino Saggi, 2002, Bologna). Pp. 223-224.

24 Abbas D. Darweesh Al-Duleimi e Hani Kamel Al-Ebadi, Ideology In News Reports: Al-Jazeera

Reporters As Representative: A Critical Discourse Analysis, Published by European Centre for Research

Training and Development UK (www.eajournals.org), British Journal of English Linguistics. Vol.4, No.2, pp.53-66, April 2016.

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A. Varghese, Social Media Reporting and the Syrian Civil War, United States Institute of Peace (Usip), 7 Giugno 2013.

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decidendo quello che può essere conosciuto e quello che dev'essere taciuto e nascosto ed è in grado di cambiare la realtà dei fatti.

All’interno delle relazioni internazionali il ruolo dei media è altrettanto prioritario e imprescindibile. Rappresenta l’indispensabile complemento all’attività di governo, a quelle diplomatiche e alla difesa di interessi contingenti e strategici.

Nella maggior parte dei paesi arabi i media elettronici e, prima ancora la stampa, sono sempre stati dei veri e propri monopoli statali. I governi in carica, generalmente consci della potenza che i media rappresentavano sulle masse, si servivano di quest’ultimi per rafforzare e rinsaldare ogni qualvolta fosse necessario l’immagine del regime.

In tal senso radio e televisioni non rispondevano alla domanda delle masse d’informazioni, bensì al bisogno dei regimi autoritari di affermare la propria immagine e di mobilitare le masse a proprio vantaggio26.

Possiamo dapprima affermare che il fenomeno dell’uso dei social media e della distribuzione di filmati contenenti episodi all’interno del conflitto e prodotti da amatori può essere considerato come il mutamento delle regole di guerra in quanto più facile, più economico e senza il permesso di nessuno per utilizzarlo; al contrario di ciò che succedeva nel passato che, se una cosa non veniva mostrata dai media essa era come se non fosse accaduta27.

Nel nostro contesto in esame, YouTube ha assunto un ruolo fondamentale nella documentazione della guerra civile. La geografia disomogenea del conflitto, la difficoltà di accesso per la stampa internazionale, la diffusione e l’attivismo di citizen journalists e la disponibilità da parte dei grandi network a collaborare con loro - sono fattori che contribuiscono a considerare fonti di informazioni principali sugli avvenimenti i filmati caricati nel portale. Il problema, naturalmente, è che spesso si tratta di immagini da verificare e non veritiere28.

26

A. Valeriani, Il giornalismo arabo, Carrocci, Roma, 2005, pp.30-34.

27

Y. Dror, capo del programma di comunicazione digitale presso l’Università israeliana di Gestione studi accademici. Z. Karam, Social media’s role in the Syrian civil war, Global News, 2013. http://globalnews.ca/news/912375/social-medias-role-in-the-syrian-civil-war/

28 A. Momigliano, La realtà secondo YouTube, Studio. Attualità, cultura e stili di vita. 17 luglio

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In un articolo di Limes29 si afferma che la diffusione di immagini, dati e notizie sui social media è concepita e sfruttata dall’opposizione come un’arma a tutti gli effetti contro il regime e che, di conseguenza, non è una vera informazione.

Ugualmente, in un intervista a Donatella della Ratta, Arab Media Report, che commenta il ruolo dei nuovi media nel conflitto siriano e come questo ha fatto emergere una moltitudine di media indipendenti – viene confermato quanto accennato sopra:

«nel momento in cui è iniziata la rivolta in Siria, nel 2011, il ruolo dei nuovi media come YouTube e Facebook è stato di informazione, in quanto ancora all’epoca non erano ancora presenti testate giornalistiche proficue nel raccontare i primi istanti della rivolta siriana. A tale scopo infatti, giovani attivisti iniziarono ad agire informando e raccontando laddove era presente un vuoto informativo – tanto che ad oggi il settore si è professionalizzato con una notevole crescita di nuovi media indipendenti30».

Altre ricerche condotte durante il biennio 2010- 2011, hanno confermato l’importanza e il ruolo assunto dai nuovi media all’interno e nelle politiche governative dei paesi arabi. In particolar modo in Siria, strumenti come Facebook e Twitter sono stati significativi per i manifestanti che hanno permesso la diffusione e lo scambio di informazioni, la coesione della popolazione e l'invio di messaggi al resto dei Paesi del mondo31.

All’interno di tale capitolo si intende pertanto riportare anche un analisi accurata riguardante in particolare ciò che riguarda l’other- presentation e il self- presentation proposta dai diversi attori che nel capitolo precedente si è delineati come principali. A tal fine si intende esporre il framework del Critical Discourse Analysis (CDA), che prevede l’analisi testuale localizzata in un contesto che nel nostro caso corrisponde alla guerra siriana.

29 M. Paolini, Siria, un caso da manual di disinformazione strategica, Limes Rivista italiana di

geopolitica, Media come armi, Gruppo editoriale L’Espresso, Roma, 04/2012.

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Siria: la guerra come laboratorio dei nuovi media indipendenti, Vimeo video posted by ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. http://www.ispionline.it/it/multimedia/siria-la-guerra-come-laboratorio-dei-nuovi-media-indipendenti

31 A. Ramazam Ahmad, N. Hussain Hamasaeed, The role of Social Media in the “Syrian uprising”,

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Essa è un tipo di ricerca analitica del discorso che si focalizza principalmente sullo studio del modo in cui l'abuso di potere sociale, la posizione dominante e la disuguaglianza vengono emanate e riprodotte all’interno di un testo o un discorso in un dato contesto sociale e politico. Lo scopo di tali ricerche è quello di comprendere, portare alla luce e resistere dinnanzi alla disuguaglianza sociale32.

La CDA coinvolge lo studio del contesto inteso come condizioni sociali in cui avviene la creazione e l’interpretazione del testo, delle ideologie e dell’apparato istituzionale legato all’esercizio di potere: tutti elementi di cui il dominio indiscutibile è la politica. Tale approccio permette lo studio del discorso politico non solo dal punto di vista della sua struttura, ma in quanto interazione tra le qualità del testo, il contesto socio-politico, le cognizioni sociali e le ideologie che si realizzano nel e attraverso il discorso. Lo studio del discorso per essere completo deve simultaneamente comprendere sia testi orali che scritti33.

L’analisi critica del discorso considera inoltre il linguaggio come una pratica sociale e sottolinea l’importanza del contesto in cui essa viene utilizzata, oltre che a evidenziarne l’effettivo legame di esso con il potere. Uno degli assunti principali, infatti, è che il linguaggio sia considerato una pratica sociale e come tale sia strettamente legato al contesto in cui si inserisce, e di cui ne è contemporaneamente condizionato e influente per quanto riguarda la situazione, le identità, le relazioni interpersonali.

L’analisi critica del discorso si occupa dunque in maniera frequente dello studio linguistico del discorso politico, concentrandosi in particolare sulla relazione fra lingua e potere per tentare di svelare le opache o trasparenti relazioni strutturali di dominio o discriminazione, potere e controllo manifestate attraverso il linguaggio.

Secondo Teun A. Van Dijk, uno dei più celebri autori di tale approccio, questo potere si esercita in modo cognitivo attraverso strategie persuasive e manipolative dirette a influenzare l’opinione dei destinatari e a modificarla secondo gli obiettivi di chi parla, andando proprio ad indagare sulle strategie linguistiche e discorsive che contribuiscono a creare una tipologia di influenza linguistica34.

32 Teun A. Van Dijk, Critical Discourse Analysis. http://www.discourses.org/download/articles/.ù 33

K. Milkowska- Samul, La Retorica Come Strumento Dell’analisi Critica Del Discorso – Il Caso

Del Discorso Politico, Kwartalnik Neofilologiczny, Lviii, 1/2011. P. 6.

34 M. Minniti, L’analisi critica del discorso politico: principali caratteristiche e peculiarità,

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Secondo l’autore ogni discorso è compenetrato dall’ideologia, intesa come struttura di valori e degli interessi che danno forma alle rappresentazioni della realtà poste dagli attori stessi. Tali ideologie sono di tipo valutativo e forniscono le basi per i giudizi su ciò che è buono e ciò che non lo è, su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato e riguardo anche a linee guida di base per una percezione e interazione a livello sociale. Esse possono essere poste alla base dell’immagine positiva del gruppo di appartenenza, disposto da categorie fondamentali come ad esempio l’identità, le azioni, le norme e i valori ed infine, le risorse e le relazioni con altri gruppi. Caratteristica di tali strutture ideologiche è anche, la polarizzazione tra un positivo “noi” , o in- group, ed un negativo “loro”, o out- group35

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Questa distinzione viene prodotta anche grazie all’utilizzo di strumenti quali ad esempio stili lessicali o sintattici e figure retoriche che la veicolano e la persuadono, sottolineando tolleranza o simpatia verso il “noi” e minaccia e negatività verso il “loro”, soffermandosi sugli aspetti socio- culturale differenti36.

Anche il linguaggio e i discorsi che vengono utilizzati dagli attori sono influenzati e composti in maniera reciproca da queste ideologie.

Un concetto centrale del modello è quello del potere e più specificatamente il potere sociale di gruppi o istituzioni definito in termini di controllo, sia esso del discorso pubblico, sia esso mentale nei confronti dell’altro37.

Nella teoria dell’analisi critica del discorso, vengono inoltre analizzati diversi aspetti all’interno delle narrazioni poste in essere dei diversi attori: temi trattati, livello di descrizione e rappresentazione dell’altro e contrasto o polarizzazione delle posizioni delle parti, tenendo ben presente anche la validità dell'asserzione e la sua eventuale veridicità.

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Abbas D. Darweesh Al-Duleimi e Hani Kamel Al-Ebadi, Ideology In News Reports: Al-Jazeera

Reporters As Representative: A Critical Discourse Analysis, Published by European Centre for Research

Training and Development UK (www.eajournals.org), British Journal of English Linguistics. Vol.4, No.2, pp.53-66, April 2016.

36 Abbas D. Darweesh Al-Duleimi e Hani Kamel Al-Ebadi, Ideology In News Reports: Al-Jazeera

Reporters As Representative: A Critical Discourse Analysis, Published by European Centre for Research

Training and Development UK (www.eajournals.org), British Journal of English Linguistics. Vol.4, No.2, pp.53-66, April 2016.

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Tale tabella, riporta le componenti che la CDA ricollega e studia all’interno di un discorso38.

Nel nostro contesto, la componente descrittiva - che troviamo all’interno di tale schema - svolge un ruolo importante nel riportare notizie inerenti alla crisi siriana prodotte dai giornalisti.

In generale possiamo notare che i molti dettagli riportati vengono utilizzati per rilevare le azioni in chiave “cattiva” delle Forze Governative contro i civili siriani. Esse infatti, vengono sfruttate per mettere sotto una luce positiva le vittorie dell’opposizione. Al contrario, nessuna informazione dettagliata viene utilizzate per rilevare eventuali azioni cattive commesse dalle Forze d’opposizione.

Successivamente possiamo affermare che i giornalisti utilizzano in maniera massiccia anche la componente del contrasto tra le parti all’interno del conflitto, in maniera più o meno esplicitamente espressa. La maggior parte assegnano valori positivi alle Forze d’opposizione, mentre attribuiscono alle Forze Governative azioni come atti di vandalismo e assalti, attribuendo ad essi di conseguenza valori negativi39.

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Abbas D. Darweesh Al-Duleimi e Hani Kamel Al-Ebadi, Ideology In News Reports: Al-Jazeera

Reporters As Representative: A Critical Discourse Analysis, Published by European Centre for Research

Training and Development UK (www.eajournals.org), British Journal of English Linguistics. Vol.4, No.2, pp.53-66, April 2016.

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Abbas D. Darweesh Al-Duleimi e Hani Kamel Al-Ebadi, Ideology In News Reports: Al-Jazeera

Reporters As Representative: A Critical Discourse Analysis, Published by European Centre for Research

Training and Development UK (www.eajournals.org), British Journal of English Linguistics. Vol.4, No.2, pp.53-66, April 2016.

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Anche l’aspetto narrativo acquista la sua notevole importanza all’interno di tale conflitto e nella strategia comunicativa dei gruppi estremisti Islamici in generale. La tradizione Islamica è essenzialmente una collezione di storie ed aneddoti sulla vita del profeta dell’Islam, Maometto, tratte sia dal Corano sia dalla Sunna – la seconda fonte della legge islamica.

Essi frequentemente citano tali storie come una giustificazione per la loro ideologia e strategia e tali narrazioni sono volte all’interpretazione dei contemporanei eventi. Una particolare tattica narrativa impiegata è l’integrazione verticale, la quale caratterizza un particolare pacchetto persuasivo abitualmente utilizzato dai gruppi estremisti.

Tali narrazioni sono solitamente utilizzate in maniera strategica come analogie, per inquadrare gli eventi in corso di svolgimento40.

Ad esempio, una rappresentazione e strategia di predicazione che viene impiegata all’interno di tali narrazioni riguarda la legittimazione dell’organizzazione islamica e delle loro azioni. Tale obiettivo viene perseguito attraverso due modalità: in principio si pone una drastica polarizzazione fra il concetto “noi” delineato come i Leoni dell’Islam, i Leoni di al-Qaeda, gli eroi martirizzati… e il concetto di “loro”, i nemici di Dio, i nemici dei musulmani… . Successivamente avviene la fase dell’autorappresentazione dei gruppi, con l’obiettivo di riflettere e trasmettere un immagine di forza in grado di effettuare attacchi ed uccidere il più elevato numero di nemici. Tale procedura viene attuata utilizzando la tecnica della predicazione che delinea l’avversario attraverso determinate etichette il più delle volte di accezione negativa41.

La costruzione del “self” e della propria identità, impone quasi sempre la creazione e la costruzione di un “other”, di un avversario. All’interno di tali narrazioni, l’altro viene rappresentato in termini fortemente negativi spesso alludendo a figure di animali, privilegiando l’immagine di ratti - che sottolinea la resilienza del nemico, la sua capacità di diffondersi, giustificando la loro uccisione al fine di purificare la terra; scimmie, che sottolineano l’inferiorità del nemico; serpenti di natura ostile e velenosa e

40

V. Bartolucci, and S. Corman, "The Narrative Landscape of Al-Qaeda in the Islamic Maghreb", Center for Strategic Communication Report No. 1401, 28 April 2014, Arizona State University. Pp. 1-20.

41 R.Wodak, Language and Politics. In English Language: Description, Variation and Context, 2009,

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16

letale e maiali e cani, che per il mondo musulmano sono visti come animali sporchi ed impuri42.

Un esempio che possiamo riportare:

«(928) By God, the nation has lost lions of Islam, trustworthy men, and swords that startle the brothers of the monkeys and the pigs43».

Ma la rappresentazione de- umanizzante dell’altro, non si ferma ad accezioni animalesche. L’altro la maggior parte delle volte viene percepito come un parassita che vive alle spese altrui e che è difficoltosa la sua distruzione in quanto possono ripalesarvi velocemente più forti di prima44.

La rappresentazione distorta del nemico riflette una visione del mondo che consiste essenzialmente in molteplici dualità: umano/ non umano, noi/loro.

Questa retorica è spesso impiegata dai gruppi belligeranti al fine di garantire una efficace mobilitazione contro il nemico.

Mentre il nemico, viene rappresentato come impuro, torturatore o cattivo, i sostenitori o gli affiliati di tali gruppi Islamici si autorappresentano come innocenti, indifesi e puri, rimandando all’idea di pulizia sacra ed essenziale per l’Islam. Tuttavia, l’immagine che tali gruppi danno di se stessi nella ricerca di legittimazione, è altamente negativa anche se impregnata da riferimenti religiosi: il raggiungimento di determinati obiettivi viene rappresentato attraverso l’impiego di descrizioni della forza bruta impiegata dai propri affiliati, di elenchi contenenti il numero di persone uccise o ferite ed offrendo dettagliate descrizioni di omicidi, attentati o bombardamenti.

42 Bartolucci e Corman, 2014. 43

Bartolucci, 2014.

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Tale strategia di elogio e glorificazione viene intrapresa al fine di supportare l’organizzazione con l’ampliamento del proprio bacino di reclutamento, per raggiungere i propri obiettivi ed infine per motivare i membri.

L’idea inoltre che trapela per quanto riguarda il concetto di conflitto, è caratterizzata da riferimenti religiosi che vanno a sancire la dicotomia giusto/sbagliato:

«(2839) The ongoing war between truth and evil is comprised of a group of battles and subsequent stops.»45.

2.3.2 Negli occhi di al-Assad…

Per quanto concerne la strategia mediatica di al-Assad possiamo definirla una contro- narrativa elaborata ed espressa per negare e correggere quanto in precedenza affermato o trapelato dai media e dai canali non ufficiali. Possiamo riportare un esempio riguardante tale tecnica di un episodio avvenuto il giorno della «massiccia manifestazione» anti regime svoltasi ad aprile 2011 a Damasco, dove il grido «Iābu

Akbar» (tradotto in «Iddio») utilizzato dai dimostranti come slogan, fu interpretato

dalla giornalista della tv di Stato come:

«decine di fedeli hanno intonato lo slogan per la Siria e la libertà… ma quando ha incominciato a piovere hanno gridato Allāhu Akbar, come da tradizione ogni qualvolta si ringrazia Iddio per la pioggia concessa»46.

Sin dalle prime proteste infatti, il regime ha tentato di confessionalizzare la rivolta per poi presentarsi ai media locali e stranieri come l’unico garante dell’incolumità delle minoranze religiose e come la sola alternativa al caos e al fondamentalismo islamico47.

45

Ibidem.

46 L. trombetta, Sangue e misteri sulla via di Damasco, Limes. Rivista italiana di geopolitica,

(Contro) rivoluzioni in corso, Gruppo editoriale L’Espresso, Roma, 3/2011. Pp. 71-72.

47 Limes, Rivista italiana di geopolitica, Guerra mondiale in Siria, Gruppo editoriale L’Espresso,

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18

Ad una intervista rilasciata ai mezzi d’informazione russi nel Settembre 2015, il Presidente siriano accusò l’occidente di sostenere i terroristi dall’inizio della crisi e che ciò nonostante continua ad affidare la responsabilità di ciò al regime48.

2.3.3 …e in quelli russi

Come più volte accennato e delineato la Russia gioca all’interno di questo conflitto una ambivalente partita: da una parte si trova all’interno degli Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che l’obiettivo di risolvere la situazione in Siria, mentre dall’altra consegna armamenti al regime.

La copertura mediatica russa del conflitto quasi esclusivamente adotta il punto di vista dei funzionari siriani e delle truppe del governo. I giornalisti russi in Siria sono sempre inserite con le forze militari fedeli al regime.

A rafforzare tale affermazione, possiamo riportare due grandi documentari trasmessi nel corso del 2012 da un canale statale russo (Rossiya 24), con la regia di A. Popova. All’interno di questi si evince perfettamente il punto di vista e la posizione assunta dal Paese: dopo una breve dedica ai siriani rimasti vittima dai terroristi, le immagini e i commenti alludevano ad una Siria intesa come uno «stato in gran parte moderato, laico e tranquillo, improvvisamente trascinato in una spirale di violenza e terrorismo». Tali documenti più volte alludevano al carattere multiculturale e multiconfessionale della Siria, mostrano soldati musulmani pregare nelle chiese cristiane o soldati cristiani difendere luoghi di culto musulmano contro gli attacchi dei ribelli.

L’esercito siriano è stato più volte ritratto come disciplinato e composito sia da professionisti sia da patriottici che difendono il proprio paese. I nemici, al contrario, vengono rappresentati come islamisti radicali e crudeli, tossicodipendenti, criminali, o avidi mercenari.

Al termine possiamo notare che, la copertura dei media russa cade approssimativamente in due categorie: da un lato, le inchieste emozionali che si concentrano sulle sofferenze dei civili per mano di terroristi ed il disastro umanitario; d’altro lato, invece, vi è il servizio di guerra che pongono in evidenza le operazioni militari.

48 Internazionale, Settembre 2015,

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In generale, la raffigurazione della situazione siriana come una discesa nel caos, e la minaccia di cadere nelle mani di terroristi islamici o dell'Occidente, manda un potente messaggio a qualsiasi movimento di opposizione russo.

Le immagini del conflitto siriano impiegati per trasmettere questo messaggio non sono fondamentalmente diversa da quella quelli in media occidentali ma il messaggio è un opposto uno. Come alcuni autori hanno osservato, «le stesse immagini di distruzione le città e le madri che piangono sono utilizzati per dimostrare la barbarie dell'altro lato»49.

2.3.4 Narrazioni degli anti al- Assad

Le narrazioni che sono state impiegate dall’opposizione del regime hanno fatto tutte leva sulla minaccia chimica con il fine ultimo di squalificare il dittatore, legittimarsi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale e ricevere così aiuti più concreti. Le immagini e i video che i ribelli hanno trasmesso a partire dal 2012, raccontano e mostrano le conseguenze tangibili dell’impiego degli armamenti chimici.

Esso è un altro attore che all’interno del contesto siriano adotta una duplice narrazione in apparenza contrapposta.50

49 P. Casula, Civil War, Revolution or Counter-Insurgency? The Syrian Conflict through Russian

Eyes, in Russian Analytical digest, No. 128, 23 Giugno 2013. Pp. 4-7. http://www.laender-analysen.de/ .

50

D. Fabbri, F. Petroni Parole come armi (chimiche), Limes Rivista italiana di geopolitica, Guerra mondiale in Siria, Gruppo editoriale L’Espresso, Roma, 2/2013. Pp. 111-114.

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2.3.5 Il concetto di guerra

Anche la definizione che è stata affidata al conflitto durante questi anni è estremamente importante da analizzare. Le prime dimostrazioni svoltesi nel 2011, delineavano la situazione come una timida rivolta per poi successivamente e con le prime risposte armate definirsi nel 2012 come guerra civile siriana.

Con l’avvento di aiuti derivanti da Paesi Internazionali e l’evoluzione di una guerra più lunga, cruenta, pericolosa e difficile da terminare - l’aggettivazione di essa ha conosciuto interessanti sviluppi: alcuni analisti e gli stessi Stati Uniti51 l’hanno definita

guerra per procura (proxy war) con la Russia alludendo a scopi geopolitici, di potere e

in termini di risorse. Generalmente, le guerre di questo tipo sono disastrose per il territorio in cui si svolge ma possono esserlo anche per le potenze che la alimentano, con il rischio che possa manifestarsi in un conflitto diretto52.

Altri studiosi invece, con la proclamazione dello Stato Islamico (IS) nel 2014 sul territorio siriano e con la conseguente parziale modifica degli avvicendamenti, hanno incominciato a delinearla come una guerra di quarta generazione (4GW, Fourth Generation Warfare), dal concetto sviluppato da Thomas X. Hammes, che ne indica la natura decentralizzata ed asimmetrica. Fino a quel momento le guerre, tradizionalmente di stampo clausewitziano, erano combattute all’interno di cornici ben precise di regole, usi e costumi; ora, quelle di 4GW si presentano come al di fuori da ogni limitazione sia sul piano giuridico sia su quello etico53. Esse inoltre sono facilmente riconoscibili da alcune caratteristiche che le rappresentano: onnidirezionalità, in quanto orientano la loro azione in tutti i campi (culturale, economico, psicologico e informatico); limitazione degli obiettivi sulla base dei propri mezzi economici e spaziali; sincronizzazione nel

51 A. Barnard e K. Shoumali, U.S. Weaponry Is Turning Syria Into Proxy War With Russia, The New

York Times, 12 Ottobre 2015. http://www.nytimes.com/2015/10/13/world/middleeast/syria-russia-airstrikes.html?_r=1 Consultato on line il 24 Giugno 2016.

52

G. Rachman, Siria, un incubo chiamato «proxy war», la guerra per procura, articolo in Il Sole 24 ore_Mondo del 7 Ottobre 2015. http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-10-06/siria-incubo-chiamato-proxy-war-guerra-procura-213006.shtml?uuid=ACbfKIBB consultato on line il 24 Giugno 2016.

53 A. R. la Fortezza, Clausewitz e la Fourth Generation Warfare ai tempi dello Stato Islamico, in

Osservatorio di Politica Internazionale, pubblicato il 5 Agosto 2015.

http://www.bloglobal.net/2015/08/clausewitz-e-la-fourth-generation-warfare-ai-tempi-dello-stato-islamico.html consultato on line il 24 Giugno 2016.

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colpire contemporaneamente luoghi distinti; illimitatezza nelle misure, senza cioè, tener conto di nessuna regola per distruggere l’obbiettivo limitato prefissato; asimmetria e coordinamento multidimensionale, ossia la fusione tra eserciti militari regolari e civili formati sul campo che la trasforma in una guerra di volontà dei cittadini.

All’interno di tale tipologia di guerra, anche il ruolo dei media e dei mezzi di comunicazione si è modificato divenendo sempre più preminente all’interno del contesto contribuendo alla manipolazione delle informazioni54.

Un’ altra accezione attribuita a tale conflitto è d’informazione, con la quale s’intendono le azioni intraprese per difendere i processi basati sulle informazioni dei militari, sui sistemi informativi e sulle reti di comunicazione e di distruggere, neutralizzare o sfruttare il nemico.

A partire dalla precedente definizione, è possibile anche individuare quattro aspetti essenziali di una guerra di tale tipologia: la guerra di rete (o guerra informatica) dove le azioni offensive o difensive sono in relazione alle informazioni, alle comunicazioni alle reti di computer e alle infrastrutture; la guerra di comando e controllo, composita da azioni intraprese per gestire, dirigere e coordinare i movimenti e le azioni di varie forze e di disturbare l’avversario; la guerra basata sull’intelligence per deteriorare le sequenze di intelligence dell’avversario e contemporaneamente proteggere le proprie; ed infine, le operazioni psicologiche dirette ad alterare le percezioni di un gruppo che condivide gli stessi obiettivi55.

Da studi condotti nel 2014 dall’United States Institute of Peace, analizzando l’impiego di hashtag all’interno di social network come Twitter da parte di attori politici, gruppi di ribelli e giornalisti nell’arco temporale Gennaio 2011- Aprile 2013, è emerso che il conflitto siriano non è stato rappresentato solamente come una tragedia umana devastante per i suoi cittadini o una guerra per procura in cui i giocatori regionali sono in lotta per l'influenza politica a spese della popolazione. Essa è stata soprattutto delineata come una guerra di narrazioni effettuate dai media e dagli organi di

54 T. Meyssan, I giornalisti e la guerra, articolo pubblicato in Rete Voltaire, il 29 Giugno 2015.

(Trad. It. di M. E. Piano, Megachip-Globalist (Italia). http://www.voltairenet.org/article187994.html consultato on line il 24 Giugno 2016.

55

B. Van Niekerk e M. Maharaj, Social media and Information conflict, International Journal of Communication No. 7, 2013. Pp. 1162-1184.

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22

informazione i cui gli ordini del giorno, gli interessi e i pregiudizi, rendono difficoltoso all’opinione pubblica inquadrare le vere cause del conflitto e vedere il quadro generale sulle eventuali implicazioni geopolitiche.

Le narrazione utilizzate dei media in tempo di guerra ostacolano i possibili interventi per una costruzione della pace, amplificando la polarizzazione fra coloro pro e contro il potere di al-Assad e influenzando contemporaneamente la percezione del conflitto e l’immagine di un futuro possibile e realizzabile.

Difatti, i risultati di tali ricerche dimostrano che tale situazione rischia di essere un modello per le future crisi in quanto i social media hanno mostrato al mondo una differente modalità in cui concepire il conflitto siriano56.

In conclusione, alla luce di quanto appreso sino ad ora e anticipando il capitolo seguente, possiamo affermare che l’analisi proposta delle narrazioni prodotte dalle diverse parti principali in un dato conflitto può consentirci di fermare determinati meccanismi di inasprimento del conflitto al fine di prevenire una situazione di maggior escalation. Inoltre, tale studio, può essere d'aiuto al ricercatore per comprendere meglio le relazioni strutturali di potere che caratterizzano il contesto e dare voce ed importanza a quelle parti che altrimenti non verrebbe prese in considerazione mantenendo saldo l’obiettivo finale di risoluzione e riconciliazione.

Difatti, come sostenuto anche dall’autrice de La rivoluzione dei Media dal Times ad Al-

Jazeera attraverso la rete di social network vi è la creazione di relazioni a distanza di

condivisione di contenuti e di acquisizione, in forme innovative, di sapere. Questa realtà – che ad oggi si sta sviluppando e crescendo rapidamente - rischia di costituire, per alcuni paesi, una minaccia all’integrità politico e culturale del proprio contesto, facendo scattare in reazione a ciò misure di repressione e di limitazione della libertà di opinione57.

56

M. Lynch, D. Freelon e S. Aday, Syria’s socially mediated civil war, Peaceworkers No. 91, United States Institute of Peace (Uisp), Washington, 2014. P. 26.

57 R. Nunnari, La Rivoluzione dei Media dal Times ad Al Jazeera: dalla supremazia anglosassone

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