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Capitolo 4
Cina, Unione Sovietica e Terzo Mondo
4.1 La concorrenza nei paesi del Terzo Mondo
Tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta si consumò la “rottura” tra Cina e Unione Sovietica, in quanto ciascuna era portatrice di una differente opinione sulle principali questioni che animavano il movimento comunista. In particolare le due potenze avevano posizioni distinte riguardo la linea che il movimento comunista internazionale doveva adottare in riferimento alla coesistenza pacifica e all'inevitabilità o meno della guerra. Prendendo l'iniziativa di aprire una via più rapida verso il comunismo, la Cina aveva l'ardire di porsi come modello sia di sviluppo sia di rivoluzione nei confronti dei paesi del Terzo Mondo, sfidando il monopolio dell'Unione Sovietica. Le pretese cinesi di presentarsi come modello di rivoluzione preoccuparono Mosca, che si rifiutò di riconoscere una via verso il comunismo diversa da quella che essa rappresentava1.
La Cina aveva iniziato a rivolgere la propria attenzione ai paesi in via di sviluppo quando, nell'aprile del 1955, aveva partecipato alla Conferenza di Bandung dei paesi asiatici e africani e aderendo a principi quali neutralismo, sicurezza collettiva e autonomia politica. Alla Conferenza di Bandung la Cina assunse le responsabilità di una grande potenza in Asia, ponendo le basi per la ricerca di una nuova realtà nei rapporti internazionali basata sul neutralismo e sulla decolonizzazione. Le performance cinesi a Bandung però contribuirono a incrinare i rapporti con Mosca, in quanto il modo in cui il ministro Zhou Enlai interpretò il ruolo del proprio paese, ovvero di membro della comunità dei paesi asiatici e sottosviluppati, da cui l'Unione Sovietica era esclusa, lo pose in disparte nel campo socialista2. Mosca e Pechino dallo scontro ideologico interno al movimento comunista internazionale trasferirono le proprie rivalità su scala mondiale e presero a farsi concorrenza nei paesi sottosviluppati del Terzo Mondo.
La Cina puntò sulla rivoluzione anti-colonialista come fattore decisivo per modificare l'equilibrio strategico esistente nel mondo e, come già aveva fatto in occasione dell'incontro di Bandung, intese porsi alla guida di quel processo storico portando il
1 M.Mouskhely, L'Urss, Diritto, Economia, Sociologia, Politica, Cultura, Milano, Club Editori, 1960, p.684.
122 proprio esempio di paese che si era liberato dalla dominazione delle potenze straniere. Da parte sua l'Unione Sovietica cercò di sottrarre all'influenza cinese i paesi “usciti” dalla colonizzazione e acquisirli alla propria linea internazionale, ovvero distensione con gli Stati Uniti per quanto riguardava il rischio di conflitto nucleare e competizione pacifica per lo sviluppo delle economie arretrate. Ai paesi sfruttati dalla colonizzazione l'Unione Sovietica offriva aiuto economico e il suo modello di sviluppo fondato su industrializzazione, “import sostitution” e intervento dello stato nella gestione dell'economia3.
Con la Conferenza di Bandung i paesi asiatici e africani presero coscienza di appartenere al blocco dei paesi del Terzo Mondo. La delegazione cinese adottò la linea della moderazione, sottolineando come la volontà del governo di Pechino fosse pacifica4. I sovietici, assenti alla Conferenza di Bandung, diedero rapidamente prova di una grande attività in tutta l'Asia, compiendo una serie di importanti missioni soprattutto nei paesi che avevano partecipato alla conferenza. Nel corso del 1955 Chruscev e Bulganin visitarono l'India e assicurarono al governo di Nuova Delhi il pieno appoggio sovietico nella disputa sul Kashmir5.
Le difficoltà sorte tra partito comunista cinese e sovietico, dopo le denunce di Chruscev al XX Congresso del Pcus, furono momentaneamente superate con l'adozione della Dichiarazione dei dodici partiti comunisti e operai adottata a Mosca nel novembre del 1957. Con questa dichiarazione fu ribadita l'unità del movimento comunista internazionale e la solidarietà sino-sovietica raggiunse il suo punto culminante. L'opposizione tra cinesi e sovietici fu aggravata dalla pretesa di Pechino di dare alla propria esperienza rivoluzionaria una validità tale da poter divenire modello per tutti i paesi sottosviluppati6. La Cina, basandosi sulla propria esperienza, pretese di erigere a teoria le fasi della sua rivoluzione e di rappresentare quindi un modello da seguire. Tutti i partiti comunisti che parteciparono alla Conferenza di Mosca concordarono nell'ammettere che i popoli dei paesi coloniali dovevano rafforzare la loro lotta e che il movimento di liberazione nazionale unito allo sviluppo del socialismo avrebbe accelerato la disgregazione dell'imperialismo. Si concluse inoltre che, finchè fosse esistito l'imperialismo, vi sarebbero state guerre di aggressione che avevano come scopo quello di difendere la pace nei paesi sottoposti al dominio coloniale.
3 E.Collotti Pischel, op.cit., p.59.
4 P.Richer, Cina e Terzo Mondo. La Politica Estera, Milano, Gabriele Mazzotta Editore, 1972, pp.213-214.
5 G.Borsa, L'ipotesi del Tripolarismo. Stati Uniti, URSS e Cina, Milano, Edizioni Dedalo, 1975, p.149. 6 M.Mouskhely, op.cit., p.696.
123 Nonostante la linea comune, adottata nel 1957, all'interno del movimento comunista internazionale emersero divergenze su quale fosse il corretto atteggiamento da seguire rispetto alla Dichiarazione di Mosca. In particolare Pechino accusò Mosca di voler imporre al movimento comunista risoluzioni che non erano state approvate dai dodici partiti comunisti e di tradire così la linea comune7. La politica da seguire nei confronti dei paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina divenne uno dei temi principali dell'opposizione tra Mosca e Pechino. Nella disputa sino-sovietica, la gravità della divergenza teorica concernente la liberazione dei popoli oppressi fu pari all'importanza politica della posta in gioco, ovvero il Terzo Mondo. L'atteggiamento da adottare nei confronti dei movimenti di liberazione era pieno di conseguenze. Non dare il proprio appoggio ai popoli oppressi al momento opportuno e nei modi appropriati significava ritardare il momento in cui i rivoluzionari avrebbero stabilito la dittatura del proletariato. D'altra parte offrire un appoggio troppo attivo poteva aumentare pericolosamente il rischio di guerra nucleare8.
Nell'aprile del 1960 venne pubblicato in Cina un articolo intitolato Viva il leninismo, nel quale si sosteneva che la disgregazione del sistema coloniale imperialista era in atto e che in una situazione di “tempesta” la distensione, e quindi la coesistenza pacifica, perseguita dai sovietici era impossibile. Secondo i cinesi il sistema capitalista ed imperialista non sarebbe crollato da solo, ma sarebbe stato rovesciato dalla rivoluzione proletaria nei paesi capitalisti e dalla rivoluzione nazionale nelle colonie. Solamente i revisionisti, secondo i cinesi, potevano affermare che la via pacifica e parlamentare sarebbe potuta diventare la strada percorribile. Il governo di Mosca, pur condividendo l'idea che nei paesi coloniali i movimenti di liberazione dovessero rafforzare la lotta, decise di non esportare la rivoluzione con mezzi militari, consapevole del rischio che lo scoppio di una guerra avrebbe determinato l'impiego di armi nucleari9.
Nel 1957 Mao Zedong propose la prima versione della “Teoria della zona intermedia”, che rifletteva la reazione cinese nei confronti della destalinizzazione e dei primi effetti della distensione avviata tra Mosca e Washington. Nella “Zona intermedia” erano inclusi tutti i paesi diversi dagli Stati Uniti e dalle nazioni del blocco socialista. Questa teoria era stata ideata da Mao nel 1964, quando ormai la rottura sino-sovietica si era palesata e dopo che nel corso del decimo plenum dell'VIII Congresso, nel settembre 1962, era stata introdotta la nozione di “revisionismo”, dichiarando che il sistema
7 P.Richer, op.cit., p.94. 8 O.A.Westad, op.cit., p.125. 9 R.Bartlett, op.cit., p.271.
124 internazionale era governato da tre forze principali costituite dall'imperialismo, dal socialismo e dal revisionismo, incarnato da Mosca10.
Mao suddivise la “Zona intermedia” in due parti: la prima coincidente con i paesi del Terzo Mondo, il cui criterio di appartenenza non era costituito dal sottosviluppo, quanto dall'esistenza di una dominazione politica; la seconda con quelle nazioni del mondo capitalista come l'Europa occidentale, l'Australia e il Giappone, di tradizione colonialista e in un certo senso sfruttate e controllate dagli Stati Uniti. Questa caratteristica rendeva possibile una potenziale solidarietà con i paesi della prima zona intermedia e una lotta comune contro l'imperialismo11. La radicalizzazione ideologica che si accompagnò alla Rivoluzione Culturale contribuì a modificare la strategia di Pechino, che accantonò la teoria delle “zone intermedie”, optando per una percezione dell'ordine mondiale più schematica, espressa dalla teoria dell'“accerchiamento delle città da parte delle campagne”, formulata da Lin Biao nel discorso del settembre 1965 intitolato Lunga vita alla vittoria della guerra di popolo. Pechino ritornava a una visione bipolare del mondo, che vedeva diviso in “città”, di cui facevano parte Stati Uniti, Europa occidentale e la stessa Unione Sovietica, e “campagne”, includente i paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. Suddetta teoria non faceva più alcuna distinzione tra Stati Uniti e gli altri paesi del mondo capitalista, ma soprattutto considerava l'Unione Sovietica alla stregua di un paese evoluto e industrializzato e pertanto inserita nel campo dei paesi sfruttatori. La formula dell'”accerchiamento delle città da parte delle campagne” rivelava la differente natura del comunismo cinese, forgiatosi nelle campagne, rispetto a quello sovietico, basato sul ruolo del proletariato urbano12. Solamente in seguito all'avvicinamento tra Stati Uniti e Repubblica popolare cinese, vi fu un'evoluzione della concezione cinese dell'ordine mondiale, espressa nella celebre teoria dei Tre Mondi, formulata da Mao, ma esposta da Deng Xiaoping nell'aprile del 1974, in occasione della riunione straordinaria dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dedicata alle materie prime e allo sviluppo. Essa vedeva il sistema internazionale strutturato in Tre Mondi: il primo composto dalle due superpotenze Stati Uniti e Unione Sovietica, in competizione per l'egemonia mondiale e lo sfruttamento dei paesi più poveri; il secondo costituito dalle forze intermedie alleate, vale a dire paesi industrializzati come Giappone, Europa, Canada, Australia e Nuova Zelanda; il terzo, infine, inclusivo dei paesi meno sviluppati e non allineati, ovvero il resto del mondo più
10 M.C.Bergere, op.cit., p.328.
11 T.Detti, G.Gozzini, Storia Contemporanea: il Novecento, Milano, Pearson Italia, 2002, p.167. 12 F.Mazzei, V. Volpi, Asia al centro, Milano, Università Bocconi Editore, 2006, p.150
125 la Cina. Dal punto di vista pratico, la nuova teoria implicava l'unione tra il secondo e il terzo mondo in funzione antiegemonica, al fine di promuovere un ordine internazionale più pacifico e più equo. Rispetto alle teorie precedenti quest'ultima appariva fortemente deideologizzata, riflettendo il mutato clima geopolitico venutosi a creare agli inizi degli anni Settanta13.
Mentre la divisione tra cinesi e sovietici si approfondiva, fu convocata a Mosca, nel novembre del 1960, la Conferenza degli 81 partiti comunisti e operai, che avrebbe dovuto appianare le divergenze all'interno del movimento comunista internazionale. La Sezione IV della “Dichiarazione degli 81” era dedicata ai movimenti di liberazione e in essa si tentò di risolvere alcune problematiche come ad esempio chiarire la questione di come conciliare l'appoggio alla borghesia nazionale con il sostegno ai partiti comunisti locali, oppure come dare assistenza ai movimenti di liberazione14.
La tattica rivoluzionaria da seguire nei paesi sottosviluppati rappresentava nella politica estera sovietica un'importante preoccupazione poiché il problema riguardava la conciliazione tra i partiti comunisti da un lato e il nazionalismo e i partiti moderati dall'altro. L'intesa tra partiti comunisti ed elementi nazionali divenne parte integrante della strategia politica sovietica, soprattutto dopo la questione irachena15. Questo tipo d'intesa venne considerato paradossale e condannato dalla Cina come revisionista e anti-rivoluzionario. Il Terzo Mondo non allineato rappresentava per l'Unione Sovietica un'area di particolare interesse. Opporsi all' ”imperialismo” comportava l'appoggio ai movimenti di liberazione nazionale e ai regimi socialisti, potenziali partner commerciali e mercati per le esportazioni e la vendita di armi. I primi che entrarono nell'orbita della politica sovietica furono Siria, Egitto e, dopo la rivoluzione del 1958, anche l'Iraq. Questi paesi rimasero stabilmente nell'orbita strategica sovietica fino all'inizio degli anni Settanta, distanti dalle posizioni cinesi, seppur non ostili16. Molto più rilevante per la Cina fu il successo della politica sovietica verso l'India. Chruscev offrì contributi economici e progettuali per lo sviluppo dell'industria pesante e aiuti militari, soprattutto nel campo aeronautico. Fino agli anni Novanta l'apparato militare indiano potè contare sulla stretta collaborazione con l'Unione Sovietica.
13 Ivi, op.cit., pp.154-155. 14 P.Richer, op.cit., p.96.
15 Il 14 luglio 1958 a Bagdad, Abd al Karim, in seguito ad un colpo di stato, ottenne il potere e il 25 agosto stabilì relazioni diplomatiche con Pechino. L'Iraq stabilì rapporti di amicizia anche con l'Unione Sovietica che lo riforniva di armi. I legami rimasero limitati poiché l'Unione Sovietica voleva mantenere equilibrio nella regione, non inimicandosi l'Iran. Nella primavera del 1959 Iraq e Cina conclusero accordi commerciali e finanziari. Nell'estate del 1959 il partito comunista iraqueno fu però sconfitto. La scelta cinese di appoggiare i partiti comunisti, escludendo le altre forze nazionali, risultò fallimentare.
126 Il 14 giugno 1963 i comunisti cinesi pubblicarono un testo dal titolo Una proposta sulla
linea generale del movimento comunista internazionale, che prospettava in 25 punti una
strategia opposta a quella sovietica. Secondo il punto di vista cinese, considerato che l'obiettivo degli Stati Uniti era sempre stato quello di invadere e dominare la “zona intermedia” e di soffocare la rivoluzione dei popoli delle nazioni oppresse, era necessario elaborare e proporre al movimento comunista una tattica offensiva. Era nelle vaste regioni dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina che si annidavano le contraddizioni del mondo contemporaneo e dove la dominazione capitalista era più debole17. Inoltre il partito comunista cinese rimproverò a Mosca un atteggiamento passivo e negativo nei confronti della lotta delle nazioni oppresse, anche constatando che i sovietici raccomandavano ai popoli oppressi di coesistere pacificamente con i colonialisti. I cinesi accusarono i sovietici di non volere che si accendessero “le scintille della rivoluzione” per paura di provocare un'altra guerra mondiale. Il timore sovietico appariva agli occhi dei cinesi privo di fondamento poiché la storia dimostrava che l'imperialismo, anche disponendo di armi nucleari, non era in grado di sottomettere con il terrore un popolo che osava lottare per la propria libertà18. La Cina proponeva una strategia fondata sulla rivoluzione del mondo che era stato colonizzato, del mondo povero e oppresso. La teorizzazione di queste posizioni fu espressa da un discorso pronunciato nel settembre 1965 da Lin Biao in occasione del ventennale della vittoria sul Giappone. Il testo, intitolato Lunga vita alla vittoria della guerra di popolo, sosteneva la necessità che il mondo povero e rurale assediasse con una guerra di lunga durata le posizioni delle metropoli capitalistiche, come la guerra rivoluzionaria in Cina era riuscita vittoriosa nelle campagne rivoluzionarie e dopo aveva assediato le città in mano alle forze reazionarie e alle classi privilegiate19.
La filosofia politica dei dirigenti cinesi si manifestò chiaramente in occasione del viaggio in Africa del primo ministro Zhou Enlai, intrapreso tra la fine del 1963 e l'inizio del 1964. Il ministro cinese dichiarò a Mogadiscio che nel continente africano esisteva un'eccellente situazione rivoluzionaria, specificando che il termine significava continuazione dello sviluppo economico e lotta contro le forze esterne. La politica di aiuti economici e tecnici dei sovietici al Terzo Mondo non differiva nelle sue finalità dal punto di vista esposto da Zhou Enlai, poiché nello spirito di Mosca gli aiuti avevano lo scopo di far scomparire i monopoli e tutte le conseguenze dello sfruttamento
17 P.Richer, op.cit., p.99. 18 Ivi, op.cit., p.100.
127 coloniale20.
Inizialmente il partito comunista cinese considerava il Terzo Mondo come una specie di “terra di nessuno” da strappare all'occorrenza con la violenza agli Stati Uniti, d'accordo con l'Unione Sovietica. Fin dal giugno del 1949 Mao dovette ammettere l'inesistenza di una “terza via” e la conseguente necessità di dover per forza di cose “pendere da una parte”, ovvero cercare l'alleanza con Mosca. Solo successivamente, con l'allentarsi della tensione tra i due blocchi, Pechino cominciò a considerare il Terzo Mondo alla luce dei cinque principi della coesistenza pacifica coincidenti con lo spirito espresso a Bandung. Asia e Africa potevano essere neutrali e Pechino iniziò ad indirizzare verso questi paesi aiuti economici. A partire dal 1959 la visione cinese del Terzo Mondo cambiò in seguito alla crescente tensione interna al blocco socialista tra Cina e Unione Sovietica e al timore dei dirigenti cinesi di veder concretizzarsi l'accordo tra Unione Sovietica e Occidente. La politica di distensione poteva risultare svantaggiosa, soprattutto in Asia, per gli interessi cinesi che oramai divergevano da quelli dell'Unione Sovietica.
La politica estera della Repubblica popolare cinese perseguì fin dal principio obiettivi di unità, sicurezza, sovranità e indipendenza. L'unificazione della patria fu ostacolato dalla decisione degli Stati Uniti di impedire l'occupazione dell'isola di Taiwan da parte dei comunisti. La politica di coesistenza pacifica perseguita dall'Unione Sovietica e l'idea che la guerra fosse evitabile contrastavano con la volontà cinese di risolvere il problema di Taiwan e di portare a compimento l'unificazione nazionale21.
Una “zona intermedia”, destinata ad essere neutrale, divenne per i cinesi da condannare e in questo senso, nel gennaio del 1960, i rappresentanti cinesi si opposero al documento dell'Organizzazione di Solidarietà dei Popoli d'Asia e d'Africa, che si appellava alla responsabilità storica di asiatici e africani di gettare un ponte tra i due campi armati e che fu definito come “pieno di allusioni neutralistiche”. Alla fine del 1962, nel corso del decimo plenum, il Comitato Centrale del partito comunista cinese iniziò una revisione che fu portata a termine nel 1966 durante l'undicesima sessione plenaria. L'atteggiamento nei confronti del Terzo Mondo era divenuto uno dei punti fondamentali del conflitto sino-sovietico. Pechino ritornò alla tesi sulla dittatura democratica del popolo, già espressa nel 1949, sostenendo che chi non era contro l'imperialismo era nemico del socialismo22.
Nonostante alcuni successi locali la Cina apparve come la parte perdente nella
20 A.Z.Rubinstein, Soviet and Chinese influence in the Third World, London, Praeger, 1976, p.152. 21 E.Collotti Pischel, op.cit., pp.35-39.
128 competizione con l'Unione Sovietica nei paesi sottosviluppati dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. Alla fine degli anni Sessanta, l'arretramento dell'influenza cinese fu sensibile nella maggior parte delle regioni del mondo. Nell'Asia del sud e del Sud-Est l'arretramento cinese fu più accentuato. Le buone relazioni stabilite tra Cina e India, al principio degli anni Cinquanta, si trasformarono in crescente ostilità, che sfociò nel 1962 in una guerra di confine per il controllo di territori rivendicati da entrambe le parti. Nella penisola indocinese la politica di Pechino fu dominata dalla Seconda guerra del Vietnam iniziata nel 1964. I dirigenti cinesi, non potendo fornire al Vietnam del nord le armi necessarie per contrastare l'esercito americano, si preoccuparono dell'influenza esercitata dall'Unione Sovietica e legata all'aiuto militare fornito. Temevano che la dipendenza crescente del Vietnam del nord, per quanto riguardava le forniture sovietiche, potesse creare un processo di satellizzazione del paese23.
Il colpo di stato del generale Lon Nol in Cambogia, il 18 marzo 1970, offrì alla Cina l'occasione di lanciare un'azione diplomatica e di riaffermare il proprio ruolo nella penisola, di fronte alla presenza americana e all'influenza sovietica. La Cina accolse a Pechino il principe Sihanuk, cacciato dal colpo di stato, e offrì il proprio appoggio per organizzare una conferenza dei popoli indocinesi che si concluse con dichiarazioni di solidarietà, di sostegno reciproci e di condanna nei confronti dell'imperialismo americano. Il primo ministro cinese Zhou Enlai confermò che i tre popoli d'Indocina potevano contare sull'appoggio del popolo cinese nella lotta contro l'imperialismo americano. Il 20 maggio il presidente Mao fece un'importante dichiarazione in tema di politica estera in cui ribadiva il sostegno cinese ai popoli d'Indocina24. Il ritorno della Cina su posizioni di primo piano della scena diplomatica tuttavia non potè compensare l'arretramento della sua influenza nel Vietnam del nord, sempre più attirato verso l'Unione Sovietica, né la sconfitta che rappresentava per Pechino la fine della neutralità cambogiana e laotiana, sulle quali la Conferenza di Ginevra aveva costruito la riorganizzazione politica della penisola nel 1954 e alle quali la Cina aveva sempre attribuito un'importanza fondamentale25. I rapporti tra Cina e Indonesia, rimasti eccellenti fino al 1965, si guastarono in seguito al colpo di stato. Il 30 settembre del 1965 un gruppo di militanti nazionalisti rivoluzionari tentò un confuso colpo di stato, ottenendo l'appoggio del presidente Sukarno e anche dei comunisti. Poche ore dopo un controcolpo dei militari avviò una violentissima repressione contro i comunisti, che
23 M.C.Bergere, op.cit., p.335.
24 W.Burchett, La Guerra di Popolo dell'Indocina. Laos e Cambogia 1970, Milano, Jaca Book, 1970, pp.70-72.
129 provocò circa un milione di vittime, metà delle quali appartenenti alla comunità di immigrati cinesi. Sukarno venne emarginato e la sinistra indonesiana distrutta.
In Indonesia l'appello cinese alla rivoluzione fallì26. La Cina inoltre condannò la creazione nell'agosto del 1967 dell'ASEAN, associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, che riunì gli Stati non comunisti della regione, con i quali Pechino non intratteneva relazioni diplomatiche, ovvero Tailandia, Filippine, Malesia, Indonesia e Singapore27.
Anche nel Medio Oriente la situazione non era più favorevole agli interessi e all'influenza della Cina. L'Egitto di Nasser si avvicinava sempre più all'Unione Sovietica così come la Repubblica dello Yemen e la Siria. La Cina manifestò la propria presenza solo con il sostegno accordato all'Organizzazione per la liberazione della Palestina, fondata nel maggio del 1964. Alla fine degli anni Cinquanta il processo di decolonizzazione dell'Africa sembrò aprire un'era di buoni rapporti tra la Cina e i nuovi stati indipendenti. Si stabilirono relazioni diplomatiche con la Guinea nel 1959, con il Ghana e il Mali nel 1960, con lo Zaire, il Senegal e la Tanzania nel 1964. Il riconoscimento della Repubblica popolare cinese da parte della Francia nel 1964 impresse un nuovo slancio alle relazioni di Pechino con i paesi dell'Africa francofona ovvero Congo, Repubblica centroafricana e Dahomey. L'Africa nera sembrò allora alla Cina un centro potenziale per la diffusione della rivoluzione mondiale28.
La decolonizzazione parve inizialmente aprire un terreno più favorevole all'Unione Sovietica in quanto fin dai tempi di Lenin la sua ideologia rivoluzionaria predicava l'autodeterminazione anticoloniale e il suo modello di economia pianificata sembrava potesse ottenere notevoli successi. Mosca, nell'offrire un modello di sviluppo pianificato ai paesi del Terzo Mondo, prometteva di superare e “seppellire” il capitalismo nell'arco di ventanni. La via seguita da Mosca non era la lotta armata bensì la creazione di un vasto fronte popolare e nazionale.
Per i cinesi il Terzo Mondo divenne terra di confronto e di conquista tra il “vero socialismo” da loro rappresentato e il “revisionismo e socialimperialismo” dell'Unione Sovietica. Negli anni Sessanta la politica cinese verso i paesi dell'Africa fu determinata da una forte componente ideologica poiché, oltre all'assistenza economica e tecnica, l'obiettivo era quello di far accettare la “via cinese” come modello di sviluppo29
.
26 E.Collotti Pischel, op.cit., p.68.
27 Tra il 1984 e il 1999 vi aderirono Brunei, Vietnam, Laos, Birmania/Myanmar e Cambogia. Pechino nel 1996 divenne partner di dialogo dell'ASEAN.
28 A.Z.Rubinstein, op.cit., p.73. 29 P.Richer, op.cit., p.272.
130 La Cina puntò sulla rivoluzione anticoloniale e intese porsi alla guida di quel processo storico portando il proprio esempio di paese che si era liberato dalla dominazione delle potenze straniere. L'Unione Sovietica offriva aiuti economici e il proprio modello di sviluppo basato sull'industrializzazione e l'intervento dello stato nella gestione dell'economia. Nonostante le premesse e le abili doti diplomatiche del ministro Zhou Enlai la Cina si sarebbe rivelata perdente nella competizione con l'Unione Sovietica e sul finire degli anni Sessanta l'arretramento della sua influenza era sensibile nella maggior parte delle regioni del mondo. Nella maggior parte dei paesi africani l'influenza cinese arretrò in seguito a colpi di stato locali o di fronte allo sviluppo di altre influenze. Pechino si rivelò perdente in Africa anche nei confronti di Taiwan. Fin dal 1949 il continente africano rappresentò un terreno di battaglia economico-politico tra Pechino e Taipei, che si contesero il riconoscimento diplomatico dell'uno o dell'altro stato a “suon di dollari”30
. Un fattore decisivo per spiegare il fallimento va ricercato nell'utilizzo strumentale da parte cinese dell'approccio terzomondista e in particolare nell'insistenza con la quale Mao cercò di convincere i comunisti stranieri a schierarsi con lui, contro Mosca. Tale atteggiamento produsse anche delle reazioni negative, come quando a metà degli anni Sessanta una delegazione di alcuni partiti comunisti dell'America Latina si recò in visita a Pechino per chiedere a Mao di porre termine alle sue continue polemiche pubbliche contro Mosca che avevano come unico risultato la divisione degli schieramenti comunisti31.
Durante l'era di Bandung l'obiettivo della politica estera cinese era stato quello di rafforzare il neutralismo asiatico contro l'espansionismo americano. Nel corso degli anni Sessanta si era trattato di contrastare in Asia, in Africa e addirittura in America Latina, accanto all'influsso americano, anche quello sovietico e di conquistare una maggioranza di paesi favorevoli all'ammissione del governo di Pechino all'ONU. Non venne dunque più incentivata la neutralità ma la presa di posizione.
Sul finire degli anni Sessanta, quando ebbero termine gli eccessi della Rivoluzione Culturale, che avevano fatto apparire la Cina come una potenza pericolosa e destabilizzante, Zhou Enlai si trovò a dover ricostruire su nuove basi la politica estera cinese. Tanto più che gli avvenimenti intercorsi, sia in Occidente, a seguito dell'invasione sovietica della Cecoslovacchia nell'agosto del 1968, sia ai propri confini, all'indomani degli incidenti di frontiera sull'isolotto di Zhembao, avevano confermato la
30 F.Congiu, B.Onnis, L'Africa tra le due Cine. Come cambia la geografia economica, “Quadrante futuro, Appunti per capire il mondo”, 2011.
131 pericolosità dell'isolamento del paese32.
4.2 Penetrazione cinese e sovietica nel Terzo Mondo
Nel periodo compreso tra il 1949 e il 1955 i rapporti tra Cina e i paesi dell'Africa restarono superficiali in quanto la Repubblica popolare era impegnata a risolvere problemi più urgenti, come il consolidamento del proprio regime comunista.
La Conferenza di Bandung nel 1955 segnò la prima tappa dell'avvicinamento cinese ai popoli dell'Africa. In seguito alla rottura con l'Unione Sovietica, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, Mao propose la Cina come il polo-guida del Terzo Mondo capace di portare avanti una solidarietà internazionale lontana sia dall'imperialismo capitalista occidentale che da quello sovietico. La Cina divenne secondo l'opinione cinese l'unica forza realmente marxista, internazionalista e priva di pregiudizi razziali33. Si trattava di affermare e ribadire il messaggio di solidarietà e pace già promosso da Pechino a Bandung. Anche per l'Unione Sovietica, almeno fino al 1953, l'Africa sub-sahariana aveva rappresentato un'area di interesse marginale.
La Repubblica popolare cinese aveva l'obbligo morale di aiutare chi stava lottando per la liberazione. Il paese africano in cui nel corso degli anni Sessanta fu più attiva la presenza cinese risultò essere la Tanzania, dove il governo di Pechino si impegnò nel costruire la ferrovia Tanzania-Zambia, denominata anche “ferrovia della libertà”. La ferrovia TAZARA fu il progetto cardine dell'iniziativa cinese di portare la “causa rivoluzionaria” internazionale e antimperialista e coltivare l'amicizia del mondo sostenendo i movimenti di liberazione africani in un'epoca in cui la Cina era molto isolata a livello diplomatico. I lavori furono avviati nel 1969 e terminarono nel 1975. La ferrovia aveva una lunghezza di 1860 km e per costruirla i cinesi fecero un investimento di circa 400 milioni di dollari. Essa aveva lo scopo di migliorare la distribuzione commerciale verso altri paesi dell'Africa meridionale, quali Angola e Mozambico e venne presentata come “un regalo della Cina ai nostri fratelli africani”34
.
32 B.Onnis, op.cit., p.50.
33 Mao legò l'imperialismo statunitense e quello sovietico al colore della pelle per cui i “bianchi” capitalisti o comunisti che fossero non rispettavano gli altri, i “colorati”.
34 C.Brighi, I.Panozzo, I.Sala, Safari cinese. Petrolio, risorse, mercati. La Cina conquista l'Africa, Milano, Obarrao, 2007, pp.33-35.
132 La costruzione della ferrovia fu uno sforzo colossale intrapreso in una fase in cui l'economia cinese si stava riprendendo dai disastri del Grande Balzo. Cinquantamila cinesi vennero mandati in Africa per portare avanti la costruzione della ferrovia TAZARA e ben 65 di loro persero la vita durante i lavori.
Tra il 1956 e il 1961 si aprì un nuovo corso della politica estera sovietica che coincise con la strategia di appoggio al Terzo Mondo, che Mosca potè condurre dalla tribuna privilegiata delle Nazioni Unite35. La campagna propagandistica sovietica presentava Mosca come l'alleato naturale dei paesi di nuova indipendenza o che lottavano per ottenerla. All'azione politica si affiancarono aiuti economici costituiti da prestiti a condizioni agevolate indirizzati al finanziamento di singoli progetti di sviluppo.
Nel 1955 l'Unione Sovietica firmò il primo accordo per la vendita di armi all'Egitto, mediato dalla Cecoslovacchia e attraverso il quale Mosca sperava di aumentare la propria influenza sul Medio Oriente. Nasser, nell'ambito dei progetti di modernizzazione dell'Egitto, decise di costruire sul Nilo l'imponente diga di Assuan. Nel 1955 gli Stati Uniti promisero all'Egitto di fargli ottenere dalla Banca Mondiale il finanziamento necessario per la costruzione della diga. L'accordo politico fra Egitto e Stati Uniti fu messo in pericolo quando il governo egiziano concluse con la Cecoslovacchia un affare legato alla compravendita di armi. Nel luglio del 1956 gli americani, vedendo che l'Egitto stava consolidando le sue relazioni politiche con l'Unione Sovietica, congelarono il prestito. In seguito al ritiro della proposta americana Nasser annunciò la nazionalizzazione del canale di Suez, allo scopo di destinare i proventi alla costruzione della diga, provocando le proteste anglo-francesi. Nella crisi che seguì, i sovietici, nella speranza di conquistare influenza nel Medio Oriente, minacciarono un intervento armato, anche con l'impiego di armi nucleari. Nel mese di novembre i sovietici accettarono la risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva l'immediato cessate il fuoco. L'Egitto di Nasser dovette necessariamente ricorrere agli aiuti economici e militari sovietici36. Anche Pechino instaurò buoni rapporti con il regime nasseriano stipulando nell'agosto del 1955 un accordo commerciale per il periodo 1956-1959. In occasione della crisi di Suez, Pechino ebbe modo di riaffermare la propria solidarietà, assicurando all'Egitto il proprio sostegno militare ed economico. Nel 1958 venne firmato un nuovo accordo commerciale, rinnovato negli anni successivi, che permise a entrambi i paesi di aumentare gli scambi commerciali. Nel
35 L.Tosone, Aiuti allo sviluppo e guerra fredda: l'amministrazione Kennedy e l'Africa sub-sahariana, Padova, Cedam, 2008, p.30.
36 W.R. Louis, R.Owen, Suez 1956: the crisis and its consequences, Oxford, Clarendon, 1989, pp.115-116.
133 settembre del 1959 un dirigente comunista siriano condannò violentemente, alla presenza di Mao e Zhou Enlai, la politica di Nasser. Il Cairo pretese delle scuse e accusò Pechino di contravvenire allo spirito di Bandung. La Cina presentò le proprie scuse, tuttavia, per alcuni anni l'incidente ebbe delle ripercussioni sulle relazioni tra Cina ed Egitto, che infatti continuarono solo sul piano commerciale37. Nel corso degli anni Sessanta il dialogo tra i due paesi continuò anche se il Cairo diffidava dei metodi cinesi in Asia, dei discorsi rivoluzionari fatti da Zhou Enlai e dei favori accordati a Damasco. Inoltre l'Egitto preferiva evitare la presenza della Cina nel problema palestinese. Il Cairo si dimostrò favorevole a intrattenere relazioni “normali” con Pechino, continuando a privilegiare il rapporto con Mosca. Il 28 settembre 1970 Nasser morì e il potere fu assunto dal generale Sadat, il quale si propose come fautore della riscossa araba dopo la sconfitta subita dall'Egitto contro Israele nel 1967. Il nuovo presidente egiziano, per raggiungere il suo obiettivo, chiese ai sovietici un incremento negli aiuti militari che in principio furono negati e successivamente elargiti a partire dall'ottobre 1973. Il 6 ottobre 1973 il presidente Sadat lanciò un'offensiva militare contro Israele. Inizialmente l'esercito egiziano riuscì ad avere la meglio, ma poi gli israeliani riorganizzarono le forze e la situazione si ribaltò a loro favore. Il governo di Mosca si mostrò riluttante nell'appoggiare l'azione egiziana e preferì discutere la questione con il governo di Washington per trovare una soluzione alla crisi. Gli egiziani si sentirono abbandonati dai sovietici e, delusi dai limiti dell'aiuto fornito, chiesero il ritiro di ventimila consiglieri militari sovietici, che lasciarono il paese. Dopo la guerra del 1973 l'Egitto stabilì relazioni diplomatiche regolari con gli Stati Uniti.
I cinesi manifestarono interesse anche nei confronti della Siria con la quale nell'ottobre 1956 vennero stabilite regolari relazioni diplomatiche. Nel febbraio 1963 Pechino concesse un prestito di 70 milioni alla provincia siriana della RAU, cercando di rinforzare i legami con Damasco38. Dopo la rottura tra il Cairo e Damasco nel 1961, Pechino nel luglio 1963 sviluppò un crescente interesse per la Siria. Sin dal 1956-1957 la Cina fu un importante acquirente del cotone siriano e nel 1964-1965 arrivò ad acquistare la metà del raccolto. Nonostante i buoni rapporti, Pechino non riuscì ad ottenere un allineamento siriano definitivo alle proprie posizioni. Questo fu evidente nel corso del 1965, quando la Siria non accettò di condividere il giudizio sulla necessità di
37 P.Richer, op.cit., p.208.
38 Il primo febbraio 1958 Egitto e Siria proclamarono la formazione della Repubblica Araba Unita, RAU. Nel mese di marzo vi aderì anche il regno dello Yemen. Dopo la secessione della Siria, a causa di divergenze territoriali con l'Egitto, nel settembre 1961, l'Egitto dichiarò sciolto anche il vincolo federale con lo Yemen.
134 estromissione dell'Unione Sovietica dalla II Conferenza afro-asiatica che si sarebbe dovuta riunire in quell'anno. La radicalizzazione della politica interna cinese nel periodo della Rivoluzione Culturale contribuì a raffreddare i rapporti e a spingere ulteriormente Damasco nell'orbita di Mosca. Il Cairo fu la sola capitale della regione che continuò ad ospitare l'ambasciatore della Repubblica popolare negli anni della Rivoluzione Culturale. La Siria fu il principale alleato dell'Unione Sovietica in Medio Oriente e, grazie agli aiuti di Mosca, ricevette armamenti, furono costruite infrastrutture, centrali elettriche, impianti idrici e di irrigazione, il gasdotto Homs-Aleppo, la diga sull'Eufrate e furono infine realizzati progetti di estrazione petrolifera.
La diplomazia cinese stabilì legami con il regime dello Yemen nel settembre del 1956. Nel gennaio 1958 furono firmati un accordo di cooperazione culturale, di cooperazione scientifica e tecnica e due trattati, uno d'amicizia e uno commerciale. Nel 1962 la Repubblica popolare riconobbe il nuovo regime repubblicano. Nonostante la presenza crescente, la Cina uscì sconfitta dal confronto con l'Unione Sovietica, poiché quest'ultima era in grado di fornire maggiori aiuti economici e militari rispetto alla Cina. Il presidente Nasser, deciso a restaurare il prestigio egiziano, dopo che la Siria aveva lasciato la RAU, nel 1962 intravide nella nascita della Repubblica dello Yemen l'opportunità di porsi alla guida del movimento nazionalista panarabo. L'Egitto chiese assistenza all'Unione Sovietica la quale fornì un ponte aereo per il trasporto delle truppe egiziane nella penisola arabica. Nell'autunno 1962, mentre l'attenzione del mondo era concentrata su quanto stava avvenendo a Cuba, migliaia di egiziani arrivarono nello Yemen dove, dopo la proclamazione della Repubblica, era scoppiata la guerra civile. Le forze fedeli all'Imam Ahmod, che era stato spodestato dal colpo di stato di Abdullah al-Sallal, sostenute da Gran Bretagna e Arabia Saudita, avviarono azioni di guerriglia contro il nuovo governo sostenuto da Egitto e Unione Sovietica. Solo nel 1967, in seguito alla sconfitta subita contro Israele, le truppe egiziane lasciarono il paese39. Il governo di Pechino cercò di estendere la propria influenza anche sull'Iraq, sostenendo il partito comunista iracheno. Il 14 luglio 1958 un colpo di stato, guidato da Abd al-Karim Qasim, depose la monarchia del re Faisal e instaurò la Repubblica. Il nuovo governo di Baghdad stabilì rapporti di amicizia con l'Unione Sovietica e anche la Repubblica popolare. Il governo di Mosca decise di adottare un atteggiamento prudente nei confronti del partito comunista che sosteneva il governo di Qasim. I cinesi invece decisero di sostenere la linea del partito e quando nel luglio del 1959 il governo di
39 J.Walker, Aden Insurgency: the Savage War in Yemen 1962-1967, London. Pen & Sword Military, 2011, pp.113-117.
135 Qasim adottò misure repressive contro i comunisti, al fine di indebolirne l'organizzazione, videro fallire la “via cinese” dell'appoggio incondizionato ai partiti comunisti con l'esclusione delle altre forze40. Durante il governo di Qasim, nonostante l'appoggio cinese nella lotta contro i kurdi nel 1961, le relazioni tra Baghdad e Pechino furono sporadiche41.
Pechino stabilì, il primo dicembre 1958, relazioni diplomatiche con il Sudan anche se il paese era intenzionato a mantenere una politica di neutralità. Nell'agosto 1970 il presidente sudanese Numayri si recò in visita in Cina. Il governo cinese mise a disposizione un credito di 50 milioni di dollari e alla fine dell'anno giunsero nel paese missioni di esperti incaricati di realizzare l'accordo di cooperazione economica ovvero sfruttamento delle miniere, costruzione di strade, progetti di industrie tessili e altro. Il 19 luglio 1971 vi fu in Sudan da parte di alcuni ufficiali filosovietici del partito comunista, sostenuti da Mosca, un tentativo di colpo di stato che fallì e nel giro di pochi giorni Numayri riuscì a ristabilire il potere. Pechino mantenne il massimo riserbo riguardo il colpo di stato, comunicando solo in seguito alla delegazione dell'Unione Socialista Sudanese la propria condanna. L'appoggio cinese a Numayri, mentre le relazioni tra Kartum e Mosca peggioravano, portò ben presto i suoi frutti. Il 4 agosto il ministro degli esteri sudanese dichiarò che le relazioni con la Cina erano eccellenti. Alcuni giorni dopo una delegazione sudanese si recò in Cina per firmare un accordo tecnico che rafforzò la componente antisovietica già chiara nella decisione del viaggio42. Per la prima volta nella storia Pechino svolgeva un ruolo nel Medio Oriente.
L'ostacolo all'affermarsi della presenza cinese fu, oltre ai minori aiuti che poteva offrire rispetto all'Unione Sovietica, che il governo di Pechino non lasciava ai partiti comunisti la scelta dei mezzi con i quali condurre la lotta, l'unico possibile era la guerra rivoluzionaria. L'atteggiamento più prudente di paesi come Egitto, Siria, Sudan, Iraq e Libano isolarono Pechino, che fu costretto a giocare un ruolo secondario non solo nei rapporti con gli stati, ma anche con i partiti. La linea cinese poteva essere pienamente condivisa da certi gruppi, ma gli uomini di stato la valutavano in ragione degli aiuti economici e militari che garantiva loro e non sottovalutavano il pericolo al loro potere insito nell'appoggio al principio rivoluzionario professato dalla Cina. Queste ragioni
40 M.Farouk-Sluglett, P.Sluglett, Iraq since 1958: from revolution to dictatorship, London, KPI, 1987, pp.85-89.
41 P.Richer, op.cit., p.207.
42 R.Schulze, Il mondo islamico nel xx secolo: politica e società civile, Milano, Feltrinelli Editore, 1998, p.260.
136 impedirono che la Cina rafforzasse le proprie posizioni in Medio Oriente43.
L'interesse dei cinesi non si rivolse esclusivamente verso i paesi del Medio Oriente ma si orientò anche verso l'Africa Occidentale dove inevitabilmente si scontrò con gli interessi sovietici. Nel 1957 il Ghana divenne indipendente e l'anno successivo stabilì relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica. L'atteggiamento di Mosca, nonostante le tendenze socialiste del presidente Nkrumah, si mantenne cauto poiché il Ghana non aveva rotto i rapporti con la madrepatria e anzi aveva aderito al Commonwealth. L'aiuto elargito dai sovietici consisteva nel provvedere riforniture militari e nell'inviare consiglieri tecnici sovietici44. Nel 1966, mentre il presidente Nkrumah si trovava in visita a Pechino, l'esercito prese il potere e il nuovo governo decise di rompere le relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica. Inoltre furono espulsi dal paese circa un migliaio di esperti sovietici come anche i consiglieri cinese. La Cina aveva stabilito, fin dal luglio 1959, relazioni diplomatiche con il Ghana. Nell'agosto del 1961 il soggiorno in Cina del presidente ghanese portò alla firma di tre accordi: un trattato di amicizia, un accordo di cooperazione economica e tecnica, che prevedeva un prestito di 20 milioni di dollari senza interesse, e un protocollo di commercio e di pagamento valevole per cinque anni. Nonostante ciò Nkrumah rifiutò di prendere posizione sul conflitto sino-sovietico e negò alla lotta di classe un'importanza considerevole in Africa45.
L'Unione Sovietica si mosse con decisione nell'affrontare l'indipendenza della Guinea, approfittando del vuoto di potere lasciato da Parigi. Al contrario del Ghana, la Guinea era stata isolata dalla Francia , divenendo un obiettivo naturale per Mosca. Sekou Tourè divenne presidente della Guinea e reagì subito all'interruzione degli aiuti economici e all'assistenza tecnica da parte della Francia, accettando il sostegno economico dell'Unione Sovietica e della Cina popolare, pur mantenendo il paese neutrale.
Due giorni dopo la proclamazione dell'indipendenza della Guinea nel 1958, Mosca estese il suo riconoscimento diplomatico. I sovietici iniziarono a penetrare nel paese avviando programmi di scambio culturale, fornendo assistenza tecnica e aiuti militari. Nel febbraio 1959 l'Unione Sovietica negoziò il primo accordo commerciale con il paese che prevedeva la vendita alla Guinea di macchinari sovietici in cambio di forniture di caffè e banane, prodotti tradizionalmente esportati nel mercato francese. Nell'agosto dello stesso anno Unione Sovietica e Ghana firmarono un accordo per la fornitura di assistenza tecnica e di un prestito a condizioni agevolate. I crediti sovietici
43 Ivi, op.cit., p.334.
44 C.Stevens, The Soviet Union and Black Africa, London, Macmillan, 1976, p.74. 45 P.Richer, op.cit., pp.178-179.
137 servirono a finanziare ricognizioni geologiche, la creazione di un politecnico, installazioni industriali e lo stadio di Conakry. A ciò si aggiunsero donazioni per progetti di visibilità, come la costruzione di una stazione radio e di un ospedale. Nel 1961 la Guinea era divenuta il principale partner commerciale in Africa seguita dal Ghana e dal Sudan. L'attivismo sovietico fu sicuramente determinato dalla competizione con la Cina, la quale considerava la Guinea come “una testa di ponte cinese in Africa”. Fu proprio con la Guinea che Pechino stabilì la prima rete completa di accordi. Nel 1959 fu firmato un accordo di aiuto tecnico e nel 1960 giunse in Guinea un incaricato d'affari di Pechino, seguito di lì a poco da un ambasciatore. Nell'aprile dello stesso anno il piano triennale della Guinea formulò il principio della totale collettivizzazione dell'agricoltura e nel corso della II Conferenza dei Popoli Afro-Asiatici i delegati guineiani dichiararono di trarre insegnamenti dalle esperienze della “grande rivoluzione della Repubblica popolare”.
Nel settembre del 1960 il presidente Sekou Tourè si recò in visita in Cina, dove firmò un trattato di amicizia e un accordo di collaborazione economica e tecnica, che prevedeva un prestito di 25 milioni di dollari senza interesse.
L'altro paese dell'Africa occidentale che si trovò inserito nella competizione tra cinesi e sovietici fu il Mali. Nel 1960 il paese divenne indipendente e si instaurò un regime di ispirazione socialista guidato dal presidente Keita. Nonostante le politiche progressiste adottate la situazione economica era disastrosa e la corruzione dilagava. Il presidente del Mali stabilì relazioni con l'Unione Sovietica, ricevendo come gli altri paesi della zona aiuti economici e militari. Anche la Repubblica popolare stabilì contatti con il Mali e nel settembre 1961 elargì un prestito di 19 milioni di dollari senza interessi. Nel 1968 il potere fu assunto dal generale Traorè che, senza rinunciare ai legami economici con l'Unione Sovietica e la Cina, si riavvicinò all'ex potenza coloniale, la Francia, e ai paesi arabi46.
Il 30 giugno 1960 fu proclamata l'indipendenza dell'ex Congo belga, che divenne Repubblica democratica del Congo, e subito si aprì una grave crisi che ebbe ripercussioni internazionali. Il movimento di indipendenza congolese era affiorato solo alla metà degli anni Cinquanta e aveva spinto il governo belga ad accelerare il processo di decolonizzazione. La guida del nuovo governo fu assunta da Patrice Lumumba, ma, data la debolezza dell'esecutivo e le divisioni interne, la situazione del paese apparve presto drammatica. L'Unione Sovietica accordò il proprio sostegno al governo di
138 Lumumba. Già l'11 luglio Ciombè proclamò la secessione del Katanga, che era la zona del paese con la maggiore quantità di materie prime. Lumumba si rivolse al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite perchè intervenisse con l'invio di una “forza d'urgenza” intesa a mantenere l'ordine. L'appello di Lumumba fu accolto dall'ONU che approvò la costituzione di forza d'urgenza composta da militari provenienti da paesi neutrali legittimata esclusivamente a riportare l'ordine in una situazione disastrosa47. I sovietici, nonostante la presenza di una forza ONU, decisero di inviare aiuti militari a sostegno del governo di Lumumba. La situazione peggiorò e in autunno il colonnello Mobutu estromise tutte le autorità esistenti e costituì un governo militare. Contro il governo di Mobutu si costituì un fronte di liberazione nazionale del Congo che aveva basi in Angola. La Cina, dopo l'indipendenza del Congo, agì di concerto con l'Unione Sovietica, ma l'intervento delle Nazioni Unite pose fine a questa solidarietà. Pechino, senza disapprovare apertamente l'intervento dell'ONU, concentrò i suoi attacchi contro gli Stati Uniti, sostenendo che l'imperialismo americano cercava con tutti i mezzi di invadere la Repubblica del Congo. Alla fine del 1960 Gizenga, luogotenente di Lumumba, che intanto era stato arrestato, insediò un governo a Stanleyville che fu subito riconosciuto dal governo di Pechino. Nel mese di luglio Gizenga divenne vice-primo ministro di un governo filo-occidentale e, anche se l'Unione Sovietica accettò la formazione, Pechino dichiarò che l'unico governo legale aveva cessato di esistere48. Non potendo continuare ad agire a livello governativo, la Cina passò a sostenere coloro che si sollevavano contro il governo legale e nel caso del Congo l'uomo individuato fu Mulele. I ribelli guidati da Mulele ricevettero il sostegno pubblico e soprattutto militare della Repubblica popolare e nel 1964 organizzarono una rivolta nella zona di Kwilu, che però fu repressa dal governo Mobutu, che nel frattempo, a causa della necessità di ottenere aiuti economici, si era avvicinato sempre più alle potenze occidentali49.
Nel 1960 il regime portoghese di Salazar si era rifiutato di partecipare al processo di emancipazione e aveva conservato i territori coloniali, Angola, Mozambico, Guinea Bissau, le isole di Capo Verde e di San Tomè e Principe.
Solamente dopo profondi cambiamenti istituzionali ed il varo di una nuova fase democratica, il governo portoghese, eletto nell'aprile 1975, decise di concedere l'indipendenza alle colonie di Angola e Mozambico. In entrambi i paesi esplose la
47 S.Mazov, A distant front in the Cold War: the USSR in West Africa and the Congo 1956-1964, London, Stanford General, 2010, p.83.
48 A.Ferrari, Africa gialla. L'invasione economica cinese nel continente africano, Roma, UTET, 2008, p.42.
139 guerra civile. In Mozambico prese il potere il Fronte per la liberazione del Mozambico guidato da un esponente comunista e legato a Mosca, ma contestato dal gruppo di Resistenza nazionale del Mozambico appoggiato dal Sudafrica. Anche in Angola l'indipendenza portò al potere forze di sinistra, il Movimento popolare per la liberazione dell'Angola, che era contrastato da altri gruppi di guerriglia e in particolare dall'Unita, sostenuto dal Sudafrica e dagli americani. Nel 1974 si assistette ad un cambio di regime anche in Etiopia dove fu detronizzato Haile Selassie e il potere passò a Menghistu, di orientamento filo-sovietico. La via del socialismo scientifico fu ritenuta la strategia più adatta per fare uscire l'Etiopia dallo stadio di arretratezza50. In queste tre situazioni i sovietici intervennero inviando uomini e armamenti a sostegno dei movimenti, e coinvolgendo anche il governo di Cuba con decine di migliaia di uomini.
L'intervento in Angola, Mozambico e Etiopia fu il risultato di una lenta preparazione che mirava a creare in Africa stati satelliti dell'Unione Sovietica. Dopo la sconfitta subita in Congo i sovietici avevano mantenuto i contatti con diversi paesi africani e avevano associato a tale politica il governo di Cuba51.
L'Africa non fu l'unico scenario nel quale si giocò la competizione tra Unione Sovietica e Cina poiché essa si manifestò anche in Asia. Dal momento della sua formazione la Repubblica popolare cinese rappresentò un punto di riferimento per gli altri paesi della regione asiatica. Mentre il conflitto sino-sovietico diveniva sempre più evidente all'interno del movimento comunista internazionale, il Vietnam fu il paese che maggiormente fu al centro dell'attenzione di entrambi. La Conferenza di Ginevra del 1954 aveva stabilito un regime provvisorio per il Vietnam. Il paese era stato diviso in due zone di occupazione e la linea di confine posta lungo il 17° parallelo. A nord del parallelo si insediò un governo comunista guidato da Ho Chi Minh, mentre a sud dello stesso un governo presieduto dal cattolico Ngo Dinh Diem, che entrò sempre più nella sfera di influenza americana. Durante la prima guerra d'Indocina, combattuta dai vietnamiti per eliminare l'influenza francese, i rapporti tra Mosca e i dirigenti vietnamiti furono molto sporadici e l'entità degli aiuti fu minore di quella cinese. Dal 1954 l'influenza cinese sul Vietnam crebbe e, malgrado le difficoltà interne, la Cina si impegnò a partecipare alla ricostruzione del paese. La situazione vietnamita e quella cinese presentavano delle analogie poiché l'unificazione dei due stati non era stata
50 T.Negash, L'Etiopia entra nel terzo millennio. Saggio di storia sociale e politiche dell'istruzione, Roma, Aracne, 2009, p.99.
51 Sin dal 1965 Ernesto “Che” Guevara aveva viaggiato in tutta l'Africa sub-sahariana e aveva incontrato gli esponenti dei movimenti di liberazione per mettere a punto le occasioni di collaborazione contro i residui del colonialismo o contro la penetrazione degli Stati Uniti.
140 portata a termine e l'ostacolo principale a questa aspirazione erano gli Stati Uniti. Ho Chi Minh visitò Pechino nel luglio del 1955 e ottenne un prestito di 205 milioni di dollari; in seguito nel 1959 il Vietnam del nord ottenne un prestito da 102 milioni e uno nel 1960 da 170 milioni di dollari52. Dopo una prima fase di ricostruzione del paese, alla quale la Cina partecipò molto più generosamente che l'Unione Sovietica, quest'ultima iniziò a intrattenere rapporti più stretti. Dal 1958 al 1960 l'aiuto dei sovietici superò quello dei cinesi, mentre sino ad allora l'ammontare dei suoi prestiti era sempre stato inferiore a quello della Repubblica popolare. Nel maggio del 1957 il presidente del Soviet Supremo dell'Unione Sovietica visitò il Vietnam del nord e nel mese di luglio Ho Chi Minh intraprese un lungo viaggio attraverso i paesi dell'est europeo. Ben presto il partito comunista vietnamita fu costretto a cercare un giusto equilibrio nella controversia tra il partito comunista sovietico e quello cinese, assumendo una posizione equidistante dai due protagonisti. Per i vietnamiti la questione essenziale era quella di ricevere aiuti economici e militari dal blocco socialista, indipendentemente dalle crisi interne.
La guerra nel Vietnam ebbe dunque rilevanza decisiva nel contrasto tra Cina e Unione Sovietica. Dal 1960 al 1965 i comunisti vietnamiti del nord e del sud si allinearono nettamente con i cinesi nell'invocare la priorità della lotta contro l'imperialismo e nel denunciare il carattere fallace della distensione per quanto riguardava la sorte dei popoli oppressi53. Nel dicembre del 1960 si costituì il fronte di liberazione sud-vietnamita, nei confronti del quale Pechino adottò un atteggiamento riluttante, riconoscendolo solo nel 1962. Nell'autunno del 1962 il segretario generale del fronte sud-vietnamita si recò in visita a Pechino dove instaurò un legame stabile con il governo comunista. Il nuovo legame non alterò l'atteggiamento della Cina verso Hanoi che, come ricordò il presidente Liu Shaoqi nel maggio 1963, visitando il paese, occupava un posto importante nel Sud-Est asiatico e giocava un ruolo fondamentale nella difesa della pace. Lo scontro avvenuto, nell'agosto 1964, al largo del Golfo del Tonchino tra la marina statunitense e quella nord-vietnamita fece precipitare la situazione. Il presidente statunitense Johnson ordinò l'inizio di una campagna di bombardamenti che mirava a indurre Ho Chi Minh a ordinare la resa dei guerriglieri del sud. Il rifiuto dei rivoluzionari vietnamiti costrinse il presidente statunitense a impegnare direttamente sul terreno soldati americani. Secondo la strategia della escalation ne furono inviati dapprima poche migliaia, poi essi divennero sempre più numerosi.
52 P.Richer, op.cit., p.140. 53 E.Collotti Pischel, op.cit., p.71.
141 Per quanto riguardava l'atteggiamento sovietico, dopo la caduta di Chruscev e dopo l'inizio dei bombardamenti statunitensi sul nord, la dirigenza sovietica nel 1965 mutò linea e si impegnò nell'aiuto al Vietnam. Rifiutandosi sempre di condannare sia l'Unione Sovietica sia la Cina, i comunisti vietnamiti riuscirono a costringere sia i cinesi che i sovietici a gareggiare per aiutarli, in quanto la loro lotta era divenuta una posta troppo importante nel gioco internazionale, perchè l'uno o l'altro dei due maggiori partiti comunisti potesse lasciare al suo avversario il monopolio o la prevalenza dell'aiuto al Vietnam. I sovietici inviarono soprattutto armi pesanti e petrolio, mentre i cinesi armi leggere e rifornimenti alimentari. Dopo aver resistito per tre anni contro bombardamenti sul nord e contro la massiccia presenza nel sud dell'esercito più forte del mondo, nella primavera del 1968, con quella che fu nota come “campagna del Tet”, i rivoluzionari vietnamiti dimostrarono che gli americani, nonostante la loro superiorità militare, non potevano vincere la guerra contro una rivoluzione asiatica radicata tra masse rurali. Johnson dovette aprire trattative con i vietnamiti, destinate a concludersi nel 1973 con il ritiro degli Stati Uniti dall'Indocina54.
La Repubblica popolare cinese ebbe molte più difficoltà nell'instaurare rapporti con i paesi dell'America Latina, basti pensare che nel 1971 intratteneva relazioni diplomatiche solo con Cuba e Cile. Affermarsi in America Latina per Pechino significava presentarsi come grande potenza mondiale e soprattutto come alternativa all'influenza che Taipei esercitava sul continente. I metodi di penetrazione furono sostanzialmente simili a quelli impiegati in Africa. Innanzitutto la Repubblica popolare cercò di farsi conoscere attraverso i mezzi di comunicazione come la stampa e i film. Le buone relazioni instaurate avrebbero dovuto in un secondo momento aprire la strada agli investimenti commerciali. In particolare il governo cinese concentrò la propria attenzione su Cuba con la quale, fin dal 1960, venne stipulato un accordo commerciale per l'acquisto di zucchero. Anche Chruscev era però particolarmente interessato a intrattenere buoni rapporti con Cuba e, per recuperare terreno dopo la crisi dell'ottobre 1962, si era fatto più attivo, concedendo importanti aiuti al regime castrista.
Nel frattempo i rapporti con i cinesi peggiorarono e nel gennaio del 1966 Castro accusò i cinesi di non aver rispettato i termini degli accordi commerciali. I rapporti si ridussero al minimo ma, anche se deteriorate, le relazioni furono mantenute. Solamente a partire dal 1970, per la politica cinese l'America Latina assunse nuovamente importanza. Dalla metà del 1970 divenne manifesta la volontà di riappacificarsi con l'Avana.
142 Inoltre, dopo aver seguito con prudenza la vittoria parlamentare di Allende, il 15 dicembre 1970 la Cina stabilì relazioni diplomatiche con il Cile. Al riconoscimento diplomatico seguì la firma di un accordo che prevedeva una cooperazione tecnica e finanziaria. Il 15 giugno 1971 la Cina annunciò la conclusione di un accordo commerciale con il Perù55.
L'attenzione sovietica verso il continente latino americano aumentò considerevolmente quando Fidel Castrò conquistò il potere a Cuba nel 1959. Fino ad allora Mosca non aveva pensato di poter sfidare gli Stati Uniti in quello che Washington considerava il “cortile di casa”, ovvero l'America Latina. Il servizio segreto sovietico fu molto attivo nel continente e mantenne stretti rapporti con Allende in Cile, con Juán Perón in Argentina e con il movimento sandinista in Nicaragua56.
I comunisti cinesi, e in particolare Mao Zedong, elaborarono nei confronti del Terzo Mondo una teoria molto diversa da quella dei sovietici, anzi quasi opposta. Fino al 1955 avevano condiviso le idee sovietiche e anche l'appoggio sovietico al neutralismo delle “democrazie nazionali”, ma successivamente arrivarono alla conclusione che queste democrazie dovessero essere dirette dal proletariato e che la violenza era il solo mezzo efficace per raggiungere l'emancipazione. All'undicesimo plenum del partito comunista cinese nel 1966 la teoria della “Zona intermedia”, elaborata a partire dal 1957, venne precisata, sostenendo che l'Unione Sovietica, ansiosa di instaurare la “coesistenza pacifica”, tradiva il movimento operaio e il pensiero di Lenin. Nel corso del plenum la Cina fu proclamata difensore della lotta di classe a livello internazionale in un mondo in cui contavano solo le lotte rivoluzionarie. Il concetto stesso di “zona intermedia” si era allargato fino a dissolversi in quello di un blocco omogeneo intorno a Pechino.
L'aiuto dato dalla Cina allo sviluppo fu considerevole, raggiungendo un totale di quasi 7 miliardi di dollari. Limitato all'inizio ai paesi comunisti vicini e ad altri paesi del Sud-Est asiatico, l'aiuto si estese a partire dall'inizio degli anni Sessanta, e questa tendenza si accentuò nella prima metà degli anni Settanta, quando numerosi paesi africani, alcuni paesi dell'America Latina e Malta risultarono tra i beneficiari.
L'aiuto cinese si orientò verso programmi di breve o media portata, soprattutto nell'industria leggera o alimentare, o verso alcuni progetti di infrastrutture.
Con la fine della Rivoluzione Culturale, sancita dal IX Congresso del partito, nell'aprile 1969, la politica cinese verso il Terzo Mondo perse la sua unità e le motivazioni politiche e ideologiche del periodo precedente. Le preoccupazioni cinesi si
55 P.Richer, op.cit., pp.242-249. 56 R.F.Staar, op.cit., p.175.
143 imperniarono sempre più su una denuncia costante della politica sovietica qualificata come social-imperialismo. Pechino adottò un atteggiamento più sfumato, guidato essenzialmente dai suoi interessi strategici. Questo si manifestò in primo luogo nell'Asia sud-orientale, dove la Cina assunse un atteggiamento diffidente nei confronti dell'India, giudicata troppo filosovietica. Ruppe così i contatti con il Vietnam e nel 1979 vi combattè una breve guerra e avviò un graduale avvicinamento ai paesi dell'ASEAN. In Africa la Cina perse alcune delle sue storiche amicizie e ridusse il suo appoggio politico, economico e militare.
Nel Vicino Oriente intrattenne rapporti con tutti gli Stati, non mettendo più in primo piano la lotta del Movimento per la liberazione della Palestina. In America Latina la sua influenza restò debole.
L'Unione Sovietica, invece, cominciò a considerare il Terzo Mondo, con maggiore attenzione, solo a partire dal 1955, quando cioè si rese conto dei nuovi paesi che erano emersi sulla scena internazionale e che proprio in quello stesso anno erano stati ammessi alle Nazioni Uniti. Rispetto a questi paesi l'Unione Sovietica si dichiarò disposta a fornire gli “aiuti necessari per favorire lo sviluppo dell'economia senza pretendere in cambio contropartite di ordine politico o militare, come invece facevano gli Stati Uniti”57
. Si ammise che la borghesia nazionale era un alleato essenziale del proletariato per l'emancipazione politica. In altri termini l'URSS si sforzò di migliorare le sue relazioni con i paesi di recente indipendenza, anche se con governo borghese. La politica sovietica nei confronti del Terzo Mondo fu caratterizzata dall'appoggio morale a tutti i paesi in conflitto con una potenza occidentale, dalla fornitura a buon mercato di armi e dalla distribuzione di un calcolato aiuto economico. L'aiuto sovietico si suddivideva in due tipologie ovvero i “doni spettacolari” cioè scuole tecniche, ospedali, aerei per i leaders politici e prestiti risultanti da accordi di cooperazione economica e tecnica.
Questi accordi erano quasi tutti dello stesso tipo, ossia prestiti per 12 anni a interessi molto bassi del 2,5%, che avevano l'obiettivo di creare industrie di Stato (acciaierie, centrali elettriche, eccezionalmente anche impianti di irrigazione, per esempio in Guinea). Gli aiuti erano vincolati, servivano cioè a importare macchinari sovietici che venivano poi montati da tecnici sovietici, aiutati però dalla manodopera del paese. Il rimborso veniva effettuato in larga misura con materie prime. L'aiuto sovietico tradizionalmente si concentrò su un numero abbastanza ristretto di paesi, principalmente
144 nel Medio Oriente e nell'Asia meridionale58.