• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3 L’AUMENTO DELL’INSTABILITA’ CONIUGALE: LE PROBABILI CAUSE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO 3 L’AUMENTO DELL’INSTABILITA’ CONIUGALE: LE PROBABILI CAUSE"

Copied!
24
0
0

Testo completo

(1)

52

CAPITOLO 3

L’AUMENTO DELL’INSTABILITA’ CONIUGALE:

LE PROBABILI CAUSE

1. Il divorzio e la sua evoluzione storica

Come ogni istituzione sociale, anche il divorzio risente delle norme e delle tradizioni culturali proprie del contesto in cui è inserito: da una società ad un’altra e da un’epoca all’altra, infatti, il grado di legittimazione del divorzio cambia. Quelle che mutano sono soprattutto le tipologie di tensioni riconosciute come tali o, per meglio dire, il tipo di motivazione ritenuto legittimo per richiedere il divorzio. Mentre in alcune società ed epoche può essere la sterilità della donna o la sua infedeltà a giustificare legittimamente una richiesta di divorzio, in altre potrebbero valere motivazioni differenti, magari relative alla qualità generale del rapporto di coppia come, ad esempio, l’incompatibilità o la mancanza d’amore1.

In società ed epoche caratterizzate da una mortalità elevata in tutte le fasce d’età, la fine dei vincoli coniugali era spesso collegata alla morte di uno dei coniugi. Al contrario, nelle società contemporanee, in cui lo sviluppo e il progresso tecnologico e sanitario sono protagonisti, la durata della vita ha conosciuto un consistente aumento portando un matrimonio a poter durare anche più di cinquant’anni. In tal modo le tensioni legate al vivere in coppia aumentano in modo esponenziale: in sintesi, più la

1

(2)

53 vita si allunga, più le possibilità di conflitto si moltiplicano. Soprattutto

quando la società è continuamente segnata da mutamenti culturali di maggiore o minore entità.

2. Il divorzio in Italia: cenni legislativi

Dal punto di vista giuridico, il divorzio altro non è che lo strumento che sancisce la fine dell’unione coniugale facendo cessare con essa tutti i doveri e le responsabilità giuridiche che ne derivano, e che dissolve completamente il vincolo matrimoniale tra le parti.

Non vanno confusi con il divorzio l’atto di annullamento di matrimonio, che dichiara che tra i coniugi non è mai esistito alcun legame coniugale e può esistere solo a seguito di comprovate cause sancite dalla legge, e nemmeno la separazione legale che consente ai coniugi di condurre vite separate, senza però sciogliere il vincolo matrimoniale.

Per quel che riguarda la legislazione a riguardo, l’Italia si sta avvicinando sempre più ai paesi europei confinanti, sebbene per molti aspetti continui a presentare caratteristiche peculiari.

Innanzitutto, nel nostro Paese le trasformazioni del diritto di famiglia sono avvenute in un arco di tempo molto più ristretto rispetto agli altri paesi europei. In Inghilterra, ad esempio, il passaggio dalla concezione del matrimonio come sacramento, gestito dalla Chiesa, e per questo considerato indissolubile, al matrimonio come contratto di sola competenza del Tribunale è avvenuto già nel 1836 grazie al “Marriage

(3)

54

Act”, istituto con il quale è stato dato inizio al matrimonio civile2. Successivamente, nel 1857, fu istituita la legge che consentiva al marito di divorziare in caso di adulterio della moglie, mentre per le mogli divorziare risultava essere molto più complicato: dovevano poter dimostrare l’adulterio del marito o un suo reato come l’incesto, la bigamia o la violenza carnale. Tale discriminazione fu abolita solo nel 1923, anche se ancora per anni il numero dei divorzi concesso fu molto ristretto perché considerato sempre e solo come una sanzione da infliggere al coniuge colpevole. Si sono dovuti attendere gli anni sessanta per vedere ampliato l’elenco dei motivi validi per divorziare.

Mentre l’Inghilterra ha impiegato circa un secolo e mezzo per passare dal

divorzio-sanzione al divorzio-rimedio, in Italia questo passaggio è

avvenuto più velocemente. Lo scioglimento del legame coniugale per cause differenti dalla morte di uno dei coniugi è stato introdotto con la L.898 del 1970, anche se in realtà il diritto di famiglia prevedeva già da tempo la possibilità di separarsi legalmente in via consensuale o giudiziale per colpa. Anche in Italia, infatti, il marito poteva ottenere facilmente la separazione per adulterio, mentre la moglie era costretta a provare che il marito compisse adulterio in circostanze tali da costituire grave ingiuria nei suoi confronti3.

Nonostante l’introduzione della concezione di divorzio-rimedio, il principio della colpa manteneva sempre un certo peso, anche perché la separazione giudiziale per colpa era ancora in vigore. Finalmente, però, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, la natura della separazione

2

D. Francescato, Quando l’amore finisce, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 51

3

(4)

55 giudiziale subì una radicale trasformazione. La fine del vincolo coniugale

poteva essere pronunciata non più solamente per colpa, ma anche quando la convivenza con il partner diveniva intollerabile; e venne stabilito che a farne richiesta poteva essere uno qualsiasi dei due coniugi. Nonostante tutto, però, qualcosa della vecchia concezione punitiva e sanzionatoria è sopravvissuta: il giudice, nel caso in cui ne ricorrano le circostanze, infatti, può stabilire a quale dei due coniugi “addebitare” la separazione4. La normativa vigente sul divorzio prevede un particolare iter giuridico, che ha come prima fase la separazione coniugale. La separazione non pone fine al matrimonio, come invece fa il divorzio, bensì ne fa venire meno lo status giuridico di coniuge incidendo su alcuni effetti propri del matrimonio: scioglimento dell’eventuale comunione legale dei beni, cessazione degli obblighi di fedeltà e di quelli di coabitazione. Altri effetti, invece, permangono, anche se sono limitati o comunque disciplinati in modo specifico, ci si riferisce, ad esempio, al dovere di contribuire nell’interesse della famiglia, il dovere di mantenere il coniuge più debole e quello di mantenere, educare ed istruire la prole.

A differenza del divorzio, la separazione ha carattere transitorio, tant’è che è possibile riconciliarsi in qualsiasi momento, facendo così cessare tutti gli effetti prodotti dalla separazione stessa.

Per ottenere il divorzio, pertanto, occorre la separazione consensuale o

giudiziale.

La separazione consensuale è lo strumento giuridico che permette ai coniugi di decidere di comune accordo in merito alla fine del loro

4

(5)

56 rapporto; mentre alla separazione giudiziale viene fatto ricorso quando

non si riesce a trovare un accordo tra i coniugi e per tale ragione può essere richiesta anche da uno solo di essi. In caso di separazione giudiziale è facoltà di qualsiasi dei due coniugi richiedere l’addebito della stessa, cioè l’accertamento della violazione degli obblighi conseguenti il matrimonio, vale a dire la fedeltà, la coabitazione, la cura della prole ecc…. Nel caso in cui questo venga accertato, il coniuge “colpevole” perde il diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento e la maggior parte dei diritti successori.

Stessa cosa vale per il procedimento di divorzio: nel caso di accordo tra i coniugi si applica la procedura per il divorzio congiunto, se invece questo accordo viene a mancare, si da inizio alle pratiche per il divorzio

giudiziale.

Con la riforma del 1987, il numero di anni di separazione necessario per presentare la domanda di divorzio è stato ridotto da cinque a tre.

E’ corretto sostenere, quindi, che in Italia il divorzio, più che sostituire la separazione, è andato ad aggiungersi ad essa. A differenza di quanto avvenuto in altri paesi industrializzati, nel nostro Paese il procedimento di scioglimento del vincolo matrimoniale si costituisce di due fasi: la separazione legale, che rappresenta una strada obbligata, e il divorzio5. Questo procedimento non può né considerarsi breve, né tanto meno economico, se si tiene presente che ai tre anni di separazione legale previsti per legge vanno sommati i lunghi tempi dei processi di divorzio, di solito più di un anno e mezzo, e quindi il relativo pagamento dei legali.

5

(6)

57 Per questa ragione alcune coppie, seppur la minoranza, decidono di

fermarsi al primo stadio del procedimento, senza giungere al divorzio. Per rendere più veritiera la trattazione, confrontiamo la teoria sin qui esposta con le rilevazioni demografiche vere e proprie del fenomeno sul nostro territorio.

La tipologia di procedimento prevalentemente scelta dai coniugi risulta essere quella consensuale: nel 2009 si sono concluse con questa modalità l’85% delle separazioni e il 72,1% dei divorzi6.

La scelta del tipo di procedimento risulta essere condizionata da vari fattori, tra cui molto rilevanti risultano essere la durata della causa e i relativi costi legali da sostenere. La procedura di separazione consensuale e il divorzio congiunto sono più semplici, meno costosi, meno gravosi emotivamente per gli eventuali figli e si concludono in meno tempo.

3. L’interesse del minore

Come abbiamo visto, a partire dagli anni Settanta si sono succedute numerose riforme che hanno condotto verso il superamento del modello divorzio-sanzione a favore di quello divorzio-rimedio, ovvero una normativa che considera il divorzio come soluzione al fallimento dell’unione, senza subordinarlo all’accertamento di una colpa di uno o dell’altro coniuge.

La procedura italiana si basa su un impianto normativo che riconosce vari principi quale, ad esempio, la parità tra i coniugi nella gestione della

6

(7)

58 crisi di coppia e nell’organizzazione della vita familiare, ma primo tra

tutti è certamente quello del preminente interesse del minore coinvolto, principio cardine del diritto di famiglia.

I rapporti tra genitori e figli non cambiano la propria natura a seguito della crisi della coppia genitoriale, ciò perché i doveri nei confronti dei figli derivano direttamente dal rapporto di filiazione e non hanno diverse connotazioni sui figli in relazione alle vicende personali dei genitori. Che i genitori siano sposati o conviventi, che decidano di separarsi o divorziare, il loro ruolo genitoriale permane e deve essere portato avanti. Quel che cambia nelle situazioni di crisi sono le modalità di attuazione dei doveri e dei diritti dei coniugi nei confronti dei figli7.

Il principio di interesse del minore esprime la rilevanza acquisita dai rapporti tra adulti e minori nel contesto di instabilità coniugale. Attraverso tale principio lo Stato realizza un “ordine sociale a partire dal minore”8.

Il principio dell’interesse del minore è di per sé molto vago, poiché non indica nessun particolare tipo di comportamento da parte di chi ha l’onere di decidere in merito anzi, si può sostenere che proprio questa sua genericità porti a legittimare interventi alquanto diversi, che di volta in volta riflettono gli orientamenti dominanti della cultura psicologica e quelli di valore, legati agli stereotipi della famiglia e dei ruoli genitoriali, propri di chi è chiamato a decidere nella sentenza di separazione e/o divorzio.

7

F. Della Casa, M. Dogliotti, G. Ferrando, A. Figone, F. Mazza Galanti, M. R. Spallarossa (a cura di), Famiglia e servizi. Il minore, la

famiglia e le dinamiche giudiziarie, Milano, Giuffrè editore, 2001, p. 277

8

(8)

59 Nella legislazione italiana l’autonomia riconosciuta ai coniugi nella

regolazione della dissoluzione del loro legame di coppia è sempre subordinata alla considerazione dell’interesse del minore, il quale deve essere prioritariamente valutato dal giudice in tutte le decisioni riguardanti i figli, in particolare per quel che concerne le forme dell’affidamento e del mantenimento economico.

Lo scopo precipuo di tale principio è quello di contribuire a preservare la genitorialità anche dopo la divisione del nucleo familiare. Il minore deve poter mantenere un valido e costruttivo rapporto con entrambi i suoi genitori, che devono potergli garantire stabilità e continuità nelle cure. In accordo con il principio dell’interesse del minore, essi dovranno inoltre impegnarsi per mettere in atto forme di collaborazione con l’ex coniuge, al fine di garantire il continuo esercizio della funzione genitoriale.

Riuscire a separarsi come coniugi e contemporaneamente continuare ad essere madre e padre rappresenta uno dei compiti più ardui di tutto il processo di separazione. Di frequente, infatti, il coinvolgimento degli ex coniugi nella loro relazione, con tutti i sentimenti di rabbia e rancore che il più delle volte si portano dietro, è tale da intaccare l’esercizio della funzione genitoriale. I genitori però non devono permettere di farsi travolgere dalle emozioni proprio perché hanno delle responsabilità nei confronti dei propri figli e devono essere in grado di garantirgli un futuro il più sereno possibile nonostante la fine del loro rapporto.

La conflittualità che troppo spesso accompagna le relazioni di due ex a seguito di un divorzio finisce sovente per travolgerli e renderli ciechi rispetto alle reali esigenze dei propri figli e di conseguenza i bambini si ritrovano coinvolti in conflitti che difficilmente potranno gestire.

(9)

60 In sintesi, il modo in cui i due protagonisti del divorzio gestiscono le

proprie emozioni è ciò che influenza in modo determinante la buona riuscita del percorso e che permette ai figli di risentirne il meno possibile.

4. L’aumento dell’instabilità coniugale

Negli ultimi trenta anni nella vita domestica si è assistito ad una grande e importante rivoluzione: il numero delle separazioni è straordinariamente aumentato. Ciò ha portato con sé ulteriori cambiamenti sociali: ha permesso la diffusione in larga scala delle convivenze prenuziali, perché ha reso i giovani sempre più insicuri sul futuro del matrimonio e ha provocato la moltiplicazione dei tipi di famiglia (famiglie di solitari, famiglie nucleari incomplete –monogenitoriali-, famiglie ricostituite formate con le seconde nozze).

Nonostante questa rivoluzione si faccia risalire a tempi recenti, Barbagli (1990) ci ricorda che forme extra-legali per mettere fine al legame matrimoniale in realtà sono sempre esistite. Una delle più diffuse era l’abbandono: la moglie o, molto più spesso, il marito usciva di casa e non tornava più lasciando definitivamente coniuge e figli. Un secondo tipo di scioglimento extra legale del matrimonio era la cosiddetta “ vendita della moglie”: il marito portava la moglie nella piazza del mercato del paese e qui la cedeva ad un altro uomo in cambio di denaro. Di per sé quest’atto,

(10)

61 sanzionato dalla comunità, fungeva sia da divorzio che da seconde

nozze9.

Anche il nostro Paese ha contribuito ad arricchire la gamma delle forme extra legali di rottura del matrimonio già esistenti. In Italia, difatti, si ricorreva all’ “uxoricidio d’onore”: una volta scoperta una relazione clandestina o, comunque, di tipo carnale il marito poteva arrivare addirittura ad assassinare la propria consorte; tale metodo è stato per lungo tempo incoraggiato anche dal Codice Penale che, in un articolo rimasto in vigore sino al recente 1981, stabiliva che chiunque “cagionava la morte del coniuge, o della figlia, o della sorella” a seguito della scoperta di una relazione illegittima di tipo carnale e, quindi, agiva dominato da uno stato d’ira causato dall’offesa del suo onore, poteva cavarsela con una condanna a tre anni di reclusione, riducibili addirittura a due10.

Nonostante queste forme di scioglimento extra legali esistessero già da anni, è solamente nell’ultimo secolo che l’instabilità coniugale ha raggiunto proporzioni imponenti e inimmaginabili.

In generale, per quel che riguarda il mondo occidentale, si possono distinguere tre fasi nell’andamento dei divorzi. Innanzitutto, un primo periodo di decollo, che va dalla seconda metà del secolo scorso sino alla prima guerra mondiale, in cui si registra un forte incremento nel numero dei divorzi che passa da poche decine a diverse migliaia; un secondo periodo, inquadrabile tra la fine della prima guerra mondiale e l’inizio degli anni Sessanta, caratterizzato da numerose fluttuazioni dei tassi di

9

M. Barbagli, Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 50

10

(11)

62 instabilità coniugale, i quali hanno conosciuto momenti di forti aumenti e

poi momenti di diminuzioni o, addirittura, di stasi. Il terzo ed ultimo periodo vede il suo inizio alla metà degli anni Sessanta ed è quello durante il quale l’instabilità coniugale conosce il suo periodo più “roseo”: in un decennio raddoppia in Francia, Belgio e Germania e triplica in Svezia, Paesi Bassi ed Inghilterra11.

In Italia il divorzio ha fatto il suo ingresso solo nel 1970; per anni la sua percentuale si è mantenuta relativamente bassa, sino al 1982, anno che ha visto l’inizio della sua ascesa.

A tal proposito, analizzando le tabelle Istat, si scopre che nel 2009 le separazioni sono state 85.945 e i divorzi 54.456, con un incremento del 2,1% e dello 0,2% rispetto all’anno precedente. Anche se, si ritiene doveroso riportarlo, si tratta di incrementi più contenuti rispetto a quelli registrati nell’anno 2007-2008 (3,4% per le separazioni e 7,3% per i divorzi) Rispetto al 1995, invece, le separazioni hanno conosciuto un aumento di oltre il 64% e i divorzi sono praticamente raddoppiati12. Il contesto sociale contemporaneo si caratterizza per un’ effettiva diminuzione dei matrimoni e per una propensione alla rottura dell’unione coniugale. I dati, infatti, rilevano che la durata media dell’unione matrimoniale, calcolata al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento di separazione, è pari a 15 anni13.

11

D. Francescato, Quando l’amore finisce, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 50

12 Istat, Separazioni e divorzi in Italia, Anno 2009, Statistiche Report, pubblicato il 7 luglio 2011 13

(12)

63 5. Probabili cause dell’aumento dell’instabilità coniugale

Come abbiamo visto, prima del ventesimo secolo, in Europa e in misura minore anche negli Stati Uniti, i tassi di separazione e di divorzio erano relativamente modesti, è solo recentemente che questi hanno raggiunto le cifre imponenti che conosciamo. Cerchiamo, dunque, di capire a cosa è dovuto questo aumento esponenziale.

Molti sociologi e studiosi dell’argomento sostengono che la crisi delle coppie di questo periodo storico sia la conseguenza di vari fattori quali: i mutamenti della società, dei modelli di produzione e riproduzione che hanno avuto ripercussioni sulla visione del matrimonio e sull’allevamento dei figli; le aspettative troppo elevate che i coniugi hanno sia l’uno dell’altra che della relazione in sé per sé; il fatto che ognuno desidera che l’altro risponda ai bisogni emotivi che in precedenza erano di competenza della famiglia estesa14.

Abbiamo già parlato della diminuzione della mortalità che ha influito sul fenomeno: al giorno d’oggi i matrimoni possono durare potenzialmente anche più di cinquant’anni, visto l’aumento consistente delle prospettive di vita e, di conseguenza, le tensioni legate al vivere in coppia sono aumentate in modo proporzionale. Le possibilità non solo di adattamento, ma anche di conflitto, si moltiplicano nel corso della vita, soprattutto quando la società è interessata da mutamenti sociali continui.

Altra ipotesi è quella legata ad una legislazione sul divorzio divenuta molto più permissiva di un tempo. A sentire il parere degli esperti, sino a

14

(13)

64 quando vigeva il vecchio diritto di famiglia (1975), dov’era ancora

contemplata l’addebitabilità della responsabilità, le separazioni erano molto più difficili proprio perché la stessa responsabilità della separazione poteva avere importanti conseguenze dal punto di vista patrimoniale per il coniuge ritenuto “colpevole”. Ciò causava un irrigidimento delle coppie e faceva sì che le poche separazioni fossero per lo più di tipo giudiziale piuttosto che di tipo consensuale15. Attualmente, invece, assistiamo ad un’inversione di tendenza: l’introduzione del divorzio come rimedio ha determinato un atteggiamento di minor responsabilità nei confronti del matrimonio. Tuttavia, il rapporto non è univoco e diretto: l’approvazione di leggi più permissive può anche essere stata una conseguenza dei mutamenti culturali legati all’ideologia stessa del matrimonio e alla sua stabilità, e non la sua causa. Mutamenti che si sono manifestati con gli attuali aumenti dei tassi di divorzio16.

Secondo Chiara Saraceno esiste un ulteriore fattore a cui collegare l’aumento del numero dei divorzi: l’attuale coesistenza sociale di due ideologie di matrimonio.

Attualmente le persone aderiscono a due modelli distinti di matrimonio: per alcuni la dimensione istituzionale e la responsabilità derivante dal vincolo ha valore già di per sé e dunque il divorzio è accettato solo in casi di provata e socialmente riconoscibile gravità, altrimenti non viene nemmeno contemplato; per altri, invece, il matrimonio è basato sull’amore e, nel momento stesso in cui ci si sceglie liberamente e guidati

15

D. Francescato, ibidem, p. 61

16

(14)

65 dal solo sentimento, il legame non può più avere carattere di costrizione.

Chi segue questa seconda linea di pensiero interpreta il rapporto di coppia come carico di aspettative reciproche (si rimanda il lettore al complesso dell’amore romantico) e valorizza sia l’amore che il benessere individuale, ma non fa alcun riferimento al valore del sacrificio rispetto al rapporto coniugale. Ne consegue che più questo tipo di concezione matrimoniale è presente e diffusa e più le percentuali di divorzi sono destinate ad aumentare17.

5.1 Cambiamenti culturali e sociali influenzano l’aumento dei tassi di divorzio

Sarebbe un errore ricondurre l’instabilità coniugale solamente all’infelicità: essa è sì una condizione necessaria, ma di certo non sufficiente a giustificare l’instabilità coniugale. Un matrimonio può essere anche privo di sentimenti amorosi, ma non per questo è destinato a finire.

Sicuramente l’ampiezza del cambiamento nella frequenza dei divorzi può ricollegarsi a mutamenti storici profondi dell’organizzazione economica sociale, che a loro volta hanno avuto riflessi sull’istituto del matrimonio e sulla vita familiare. Sino a qualche anno fa, inoltre, esistevano molte più barriere, di tipo religioso, economico e sociale che rendevano più difficile lo scioglimento di un matrimonio (mancanza di autonomia finanziaria, pressioni da parte delle famiglie d’origine, timore per i figli,

17

(15)

66 ecc…). E’, forse, proprio la caduta di alcune di queste barriere la

responsabile dell’aumento del numero dei divorzi?

Cerchiamo di capire, innanzitutto, a cosa ci riferiamo quando parliamo di “barriere”.

In primo luogo troviamo quella che Barbagli definisce “la trasmissione

ereditaria dell’instabilità coniugale”18. Molte ricerche hanno evidenziato

che la fine dei matrimoni con una sentenza di un tribunale è come una sorta di eredità che si tramanda da una generazione all’altra. Ciò sta a significare che i figli di genitori divorziati hanno maggiori probabilità di divorziare rispetto a coloro che provengono da unioni stabili.

L’aumento dell’instabilità coniugale, secondo questa ipotesi, sarebbe un processo che si auto-alimenta e auto-rafforza. Ciò che avviene non è del tutto chiaro, ma certo è che quel che i figli imparano dai genitori non è tanto l’incapacità di svolgere il ruolo di coniuge, quanto un diverso sistema di valori e di priorità e un atteggiamento più possibilista nei confronti del divorzio19.

In secondo luogo troviamo la religione. Le diverse concezioni che le religioni hanno del matrimonio e della famiglia possono essere un valido aiuto per comprendere perché la crescita dei divorzi sia avvenuta in maniera così diversa nei paesi occidentali.

La notevole influenza della religione nel nostro Paese ha fatto sì che il divorzio fosse introdotto molto tempo dopo rispetto ad altri paesi europei

18

M. Barbagli, Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 82

19

(16)

67 e, sempre per tale ragione, si nota che i cattolici praticanti divorziano

molto meno degli altri20.

Infine abbiamo la variabile probabilmente più importante di tutte: il lavoro della donna.

In tutti i paesi dove sono state condotte ricerche sul fenomeno è emerso lo stretto rapporto tra l’aumento dei tassi di instabilità coniugale e l’attività professionale della donna: nella maggior parte dei paesi occidentali l’impennata dei tassi di divorzi si è verificato nello stesso periodo in cui si verificava l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro21.

E’ innegabile, infatti, che l’emancipazione femminile sia andata di pari passo con una differente percezione sociale dell’interruzione volontaria del rapporto di coppia, formalizzata dalla separazione e/o dal divorzio. L’accesso al mercato del lavoro ha permesso alla donna di aumentare la propria autonomia finanziaria rispetto al marito e, pertanto, ha ridotto le pressioni che la rendevano obbligata a dipendere dalla capacità di guadagno del marito per il proprio sostentamento. Il fatto stesso di godere di un’entrata economica propria aumenta le possibilità di scelta della donna, facilitando la sua presa di coscienza dello scontento e dell’insoddisfazione per un rapporto giudicato insostenibile e, quindi, la sua concreta risoluzione attraverso il divorzio. Questa lettura viene confermata dal fatto che, nelle coppie dove la moglie ha un lavoro stabile, è piuttosto la donna che non l’uomo a chiedere il divorzio.

20

D. Francescato, Quando l’amore finisce, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 59

21

M. Barbagli, Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 823

(17)

68 Inoltre, lo stesso lavoro della moglie può costituire fonte di conflitto

coniugale quando mette in discussione le norme e i modelli di genere su cui si basano la divisione del lavoro e l’attribuzione delle responsabilità nel matrimonio. Proprio l’incertezza e la non condivisione di tali modelli costituirebbe, secondo alcuni, una delle cause dell’instabilità coniugale22. Esistono anche altri modi per spiegare la connessione esistente tra lavoro femminile e l’aumento dei divorzi.

Innanzitutto, vi sono casi dove è proprio il divorzio che determina l’entrata nel mondo del lavoro delle donne e non viceversa. Ma anche nei casi, più frequenti, in cui alla base abbiamo l’attività extra domestica della moglie, gli effetti che provoca sulla relazione coniugale possono essere interpretati in diversi modi. L’autonomia finanziaria raggiunta dalla donna può divenire fonte di conflitti con il coniuge, soprattutto quando la decisione della moglie di lavorare mette in luce l’incapacità del marito di mantenere da solo la famiglia, oppure quando il nuovo reddito altera la distribuzione del potere nella coppia23.

L’introduzione della normativa sul divorzio ha condotto verso una vera e propria rivoluzione culturale. Parte del mondo femminile ha visto nel divorzio un importante momento di emancipazione e la separazione, che per molto tempo era stata considerata come una sorta di colpa o punizione, oggi è stata finalmente accettata sul piano culturale e sociale come scelta di realizzazione personale o di legittima ricerca della felicità. Ciò ha permesso anche alla donna italiana, per secoli identificata

22

C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 118

23

M. Barbagli, Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 83

(18)

69 come “l’angelo del focolare”, destinata alla sola cura dei figli e della

casa, di sentirsi autorizzata a chiedere per prima la separazione, senza sentirsi giudicata o additata come rovina famiglie.

Tuttavia. è parere di chi scrive, che vi siano ancora molti pregiudizi culturali nei confronti della donna che chiede la separazione: il più delle volte, infatti, una scelta simile viene collegata ad una relazione extra coniugale o a motivi simili, senza preoccuparsi del fatto che le motivazioni alla base di una simile scelta possano essere più profonde, anche se sono prese dalla donna. Stessa cosa vale per la donna che fa carriera nel mondo del lavoro. Il pregiudizio porta molto spesso a pensare che le ragioni siano non tanto legate alle sue reali capacità lavorative, quanto a quelle più “personali” di amante o simili.

5.2 La crescita personale come ostacolo alla vita di coppia

Numerosi sono gli psicologi sociali che si sono impegnati per comprendere quali siano le ragioni che portano gli individui alla separazione e come queste cambino a seconda del sesso, l’età, la classe sociale, il reddito e la scolarità. Ma come per tutti i fenomeni, il contesto sociale in cui questo aumento dei tassi di divorzio sta avvenendo non va trascurato.

Viviamo in una società che privilegia un modello individualista di realizzazione personale, dove lo stare insieme per marito e moglie significa impegnarsi e avere la volontà di farlo insieme, due qualità che possono venire meno quando sono o possono sembrare possibili scelte di

(19)

70 vita più vantaggiose. La decisione di separarsi, però, può essere legata ad

una diversa crescita personale che mette in crisi il patto coniugale su cui era iniziata la storia. Vi sono coppie, infatti, nelle quali uno dei due partner vive il matrimonio come opprimente e limitante per la propria crescita personale. Di solito queste persone sono concentrate sulla soddisfazione dei propri bisogni, senza tenere conto di quelli del partner. Oramai l’individuo tende a privilegiare la realizzazione di sé rispetto all’impegno sociale e il rapporto di coppia è sentito come positivo sino a quando non interferisce con la libertà e lo sviluppo personale di ciascuno. Dunque, non è errato sostenere che oggigiorno si sceglie di privilegiare i bisogni di individuazione e di autorealizzazione piuttosto che quelli di appartenenza familiare, sociale, religiosa o politica24.

Altri rapporti, ancora, arrivano a logorarsi perché entrambi i partner diventano estremamente critici l’uno con l’altro. Di conseguenza la frequenza dei loro litigi aumenta e iniziano a scoprire difetti mai visti nell’altro e a sentirsi traditi nella fiducia riposta nel partner. Alla fine si lasciano perché delusi l’uno dell’altra.

Per quel che riguarda le coppie giovani, invece, le ricerche dimostrano che molti di loro si accoppiano per amore e hanno aspettative molto elevate in merito sia allo stare bene come coppia, che alla possibilità che il rapporto li aiuti a crescere e vivere meglio25. Spesso, però, queste coppie vedono nella formazione di un’unione stabile un modo per svincolarsi dalla famiglia propria di origine dalla quale, tuttavia, dipendono ancora sotto molto aspetti, primo tra tutti quello economico.

24

D. Francescato, Quando l’amore finisce, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 109

25

(20)

71 A questo proposito, analizzando la realtà della situazione risulta chiaro

che quando il matrimonio avviene tra partner molto giovani è più facile che il rapporto termini con un divorzio, per tutta una serie di motivazioni: inadeguata educazione sessuale, elevate aspettative verso il matrimonio e il rapporto stesso, bassa soglia di sopportazione dello stress, incapacità nell’affrontare le problematiche di coppia, impreparazione verso le responsabilità della vita adulta, debolezza economica e continua dipendenza dai genitori.

6. Relazione tra cambiamenti politici ed economici e crisi coniugale

Dal 2008 stiamo assistendo e siamo protagonisti di una forte crisi finanziaria che ha influito pesantemente, e perlopiù negativamente, sulle vite di tutti.

Parecchi titolari di imprese sono stati costretti ad arrendersi al fallimento e a licenziare i propri dipendenti, creando così numerosi disoccupati; l’accesso ad un lavoro stabile che permetta ai giovani di potersi progettare un futuro è diventato quasi un miraggio; i conflitti tra generazioni su come ripartire le risorse tra pensionati e nuove opportunità lavorative e di studio per i giovani si sono fatti sempre più accesi.

Tutti questi effetti della crisi, assieme a molti altri, hanno causato altrettante ripercussioni anche tra le mura domestiche: marito e moglie si trovano a scontrarsi sul come e se continuare aiutare i propri figli e nipoti; chi ha meno possibilità si ritrova a dover combattere con figli che vorrebbero comprarsi vestiti, telefoni, scarpe e accessori vari di ultima generazione (perché così vuole la società del consumismo); le persone

(21)

72 rientrano dal lavoro più stressate, stanche, preoccupate e con meno

energie da dedicare ai propri cari e a sé stessi; sono aumentate le coppie dove uno dei due coniugi, se non entrambi, si è ritrovato senza lavoro a causa dei tagli eseguiti dalle imprese.

In sintesi, tale crisi ha fatto crollare quella che è stata la speranza che sino al secolo scorso ha motivato numerose generazioni: la convinzione che grazie ad un lavoro stabile, ai propri risparmi ed investimenti si potesse costruire una vita migliore per sé e i propri figli.

Naturalmente, il rapporto di coppia non è rimasto indenne a questo tipo di sollecitazioni. Oggi giorno, infatti, anziani coniugi con anni di matrimonio alle spalle si separano a seguito dei continui litigi che il più delle volte scaturiscono da tensioni relative l’amministrazione dei propri risparmi (nel 2009 la classe d’età più numerosa, per quel che riguarda i tassi di divorzi, era quella tra i 40 e i 44 anni; parallelamente sono aumentati anche i valori delle separazioni tra persone di classi d’età più elevate. Dal 2000 al 2009, difatti, le separazioni di uomini ultrasessantenni sono passate dal 5,9% al 9,4% mentre le donne dal 3,6% del totale delle separazioni al 6,1% 26); giovani coppie si dividono perché senza lavoro o perché incerti sul futuro che li attende e impossibilitati economicamente a mantenere un eventuale figlio.

Il declino del tenore di vita ha come diretta conseguenza la maggiore difficoltà a portare avanti convivenze familiari caratterizzate da litigi sempre più frequenti, causati soprattutto da una soglia di sopportazione dello stress molto più bassa.

26

(22)

73 L’insoddisfazione lavorativa gioca un ruolo cruciale nel rendere più

fragili e precari i rapporti di coppia, anche perché per poter reggere i ritmi frenetici richiesti dalla società contemporanea molti individui ricorrono all’uso di sostanze o alcool, che li aiutano a consolarsi degli insuccessi lavorativi e non solo. Questi comportamenti si vanno a sommare alle molteplici cause dei litigi familiari che, con il passare del tempo, possono condurre al divorzio.

A tutte queste variabili si aggiunge l’entrata in scena dei social network, come facebook, twitter o youtube. Queste, relativamente, nuove piattaforme digitali sono divenute un’altra causa di tensione tra i partner: ad esempio, può capitare che le donne si sentano trascurate dai propri uomini perchè trascorrono sempre più tempo su internet a chattare, giocare o semplicemente a navigare. Parecchie coppie sono giunte alla rottura a seguito dei continui scontri su questi argomenti, soprattutto perché si ritiene che questi mezzi possano dar vita a situazioni incontrollabili e facilmente celabili da parte del partner. Da qui l’origine di un clima di continuo sospetto che crea un circolo vizioso ed alimenta il conflitto.

E’ soprattutto facebook ad aver alimentato nuove forme di gelosia: pare che a scatenarle siano le continue richieste di amicizia da parte di persone del sesso opposto oppure di un/una ex partner, ma anche i post scritti dal partner sulle bacheche di amici appartenenti all’altro sesso; o, ancora,vi sono coppie che litigano perché uno dei due protegge il suo profilo rendendolo inaccessibile all’altro27.

27

(23)

74 7. Alcune differenze, alcuni dati

Il fenomeno dell’instabilità coniugale presenta situazioni differenti sul territorio italiano. Nel 1995, ad esempio, solo in Valle D’Aosta si registravano più di 300 separazioni per mille matrimoni, mentre nel 2009 questa soglia è stata superata da quasi tutte le Regioni del Nord (eccezion fatta per il Veneto), la Toscana, il Lazio e l’Abruzzo nel Sud28.

La maggior stabilità del vincolo matrimoniale registrabile nel Mezzogiorno e nei ceti sociali più bassi è da collegare al fatto che qui la soluzione del divorzio è meno diffusa, mentre sono più diffuse altre soluzioni quali l’abbandono e la separazione di fatto29.

Le differenze non riguardano solamente le aree geografiche, ma anche il grado di istruzione delle persone coinvolte: in Italia ci si separa più spesso nelle fasce di popolazione con livelli elevati di reddito e scolarità. Le coppie appartenenti ai ceti più bassi incontrano maggiori difficoltà nella vita quotidiana, nel lavoro come nel tempo libero, difficoltà che finiscono per ripercuotersi negativamente nella vita di coppia, mentre le coppie dei ceti più agiati tendono a non voler rompere il matrimonio, portando avanti, magari, un’unione infelice con relazioni anche extra coniugali, perché i beni che posseggono ricordano loro quanto avrebbero da perdere con il divorzio30.

Si registrano, inoltre, differenze nelle motivazioni che conducono al divorzio: i diplomati, più spesso dei laureati, pensano di avere sbagliato nella scelta del proprio partner, non considerandola più una persona

28

Istat, Separazioni e divorzi in Italia, Anno 2009, Statistiche Report, pubblicato il 7 luglio 2011

29

C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 117

30

M. Barbagli, Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 61

(24)

75 valida e capace di affiancarli nel percorso di vita, si considerano meno

apprezzati nelle proprie opinioni e hanno sempre più litigi. I laureati, rispetto ai diplomati, si lamentano di più di essere stati delusi nella fiducia riposta nel partner e di aver ricevuto meno di quanto si aspettassero dalla relazione, tutte variabili che, nella maggioranza dei casi, li hanno condotti verso una relazione extra coniugale31.

Differenze di comportamento legate al titolo di studio si rilevano anche nel fenomeno delle seconde nozze: in Italia, infatti, tra i divorziati di entrambi i sessi, si risposano più facilmente coloro che possiedono un titolo di studio più elevato.

Si è rilevato, ancora, che le separazioni conflittuali sono più comuni nelle coppie con bassi livelli di istruzione e nelle coppie che risiedono nel Mezzogiorno.

31

Riferimenti

Documenti correlati

In proposito, un’altra pronuncia della Cassazione [8] aveva affermato, in senso conforme a quanto ribadito oggi, che «in tema di agevolazioni

Per i progetti che afferiscono all’Intervento 2 “Sostegno a investimenti in azioni di prevenzione volte a ridurre le conseguenze di probabili calamità naturali, avversità

Parallelamente all’azione amministrativa, sono nati dei network tra imprese, sistemi formativi, università (come l’ “Apprenticeship forward”) finalizzati alla

Le entrate derivanti dall’attività di accertamento e controllo, riferite solo ai ruoli dei tributi erariali, si sono attestate a 10.226 milioni di euro e

In the estimation of the model’s parameters through the Methods of Moments, min- imizing the distance between the moments from the model and the data, I match the quality of

Si potrebbe dimostrare rigorosamente, ma `e abbastanza facile intuirlo, che il limite esiste se e solo se esistono e sono uguali il limite destro e il limite sinistro.. Pu`o

La com- plicanza post-trapianto è stata la seconda maggiore causa di decesso (il 23,5%); circa il 16% dei decessi è stato cau- sato da comorbidità e complicanze non correlate alla

708 del codice di procedura civile (norma in materia di separazione personale dei coniugi, ma che, in virtù dell’art. 54/2006, sull’affidamento condiviso, si applica anche