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Giuseppe Arcimboldo, Autoritratto penna, acquerello azzurro, 23x157 cm Praga, Národní Galerie. XVII

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Giuseppe Arcimboldo, Autoritratto penna, acquerello azzurro, 23x157 cm Praga, Národní Galerie.

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3 «IL GRAN PITTORE GIUSEPPE ARCIMBOLDI»

Giuseppe Arcimboldi nacque a Milano nel 1526 da Biagio Arcimboldi e Chiara Parisi1. Il padre era un pittore molto noto nella città, in quanto attivo presso il cantiere del Duomo2. Il primo documento che attesta la presenza di Giuseppe come artista risale al 1549 (un pagamento del Duomo per i disegni destinati alle vetrate): a quell’epoca il pittore doveva avere già più di vent’anni. Purtroppo nulla si sa della sua vita fino a quel momento ed è possibile solo supporre che abbia dapprima appreso i rudimenti del mestiere nella bottega del padre, per poi passare, negli anni quaranta, alle dipendenze di un maestro non di famiglia (iter seguito da moli giovani futuri pittori nella Milano del primo Cinquecento e non solo).

A poco più di vent’anni, Giuseppe entra, anche grazie al sostegno del padre, tra gli artisti pagati dal Duomo sia come disegnatore di vetrate sia come pittore di decorazioni di vario genere (stemmi della Fabbrica, armi gentilizie, una parte delle ante dell’organo vecchio, banderuole e aste

1 Per la biografia e alcuni aspetti dell’arte arcimboldesca: cfr. AA.VV, Arcimboldo

1526-1593, edited by Sylvia-Ferino Pagden, Skira Editore, Milano, 2007, F.PORZIO,L’universo illusorio di Arcimboldi, Fabbri Editori, Milano 1979

2 Biagio lavorò per il Duomo fin dal 1518 e poi con più continuità dal 1545, come

disegnatore di vetrate e decoratore. Oltre che perdute pitture presso la Scuola di San Giuseppe, eseguite nel 1537, a lui è stato attribuito il cartone per l’arazzo con il

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processionali, tabernacoli, baldacchini). A tali opere fu chiamato anche il padre Biagio almeno fino al 1551, data ultima riscontrata a suo nome tra i pagamenti effettuati dalla Fabbrica del Duomo.

La fornitura di disegni per le vetrate sembra essere quindi l’attività principale di Giuseppe, ma negli stessi anni egli è incaricato anche di altri lavori meno prestigiosi: a volte si tratta di riportare lo stemma della Fabbrica sulle facciate degli immobili e delle botteghe di proprietà della stessa, di fornire oggetti sacri da esporre in occasione delle oblazioni offerte al Duomo dalle corporazioni cittadine, in altre occasioni ancora deve dipingere gli stemmi dei vescovi o dei governatori che si succedono in città.

Dato il carattere irrisorio della retribuzione per questi lavori inerenti la Fabbrica del Duomo3, è certo che sia Giuseppe che il padre dovettero lavorare a molte altre opere, molto più remunerative, come ad esempio gli affreschi nella cattedrale di Monza a partire dal 1556, o il cartone per l’arazzo con il Transito della Vergine per il duomo di Como, terminato nel 1560.

Si trattava in ogni caso di modeste partecipazioni, destinate a quanto pare, al ripristino di opere già eseguite da altri. Negli anni successivi è possibile scaglionare altre due imprese artistiche di Arcimboldo: l’iniziale progettazione del Gonfalone della città di Milano, poi terminato da Giuseppe Meda, e, secondo l’attribuzione del Da Costa Kaufmann e Forti Grazzini, forse il disegno di arazzi, con le storie di San Giovanni Battista per il Duomo di Monza, scaglionabili tra il 1550 e il 1560.

3Si calcola che nel corso dei dieci anni trascorsi da Giuseppe presso i cantieri del Duomo

di Milano, egli abbia percepito circa 357 lire e 14 soldi, una cifra davvero irrisoria, ch non gli avrebbe consentito di sopravvivere neanche per un anno.

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Santa Caterina discute con l’Imperatore della vera fede, vetrata su bozzetto di Biagio e

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Possiamo affermare che i disegni per gli arazzi di Monza, così come le vetrate del Duomo di Milano, rappresentino il passaggio di consegne tra il padre Biagio e il figlio Giuseppe Arcimboldi, ormai maestro fatto e in grado di subentrare al genitore nelle commissioni delle due cattedrali. Il Morigia, che ebbe come fonte diretta lo stesso pittore, ci informa di come Giuseppe Arcimboldo accettò, dopo molti inviti e richieste, di prestare i suoi servigi presso la corte dell’Imperatore Massimiliano d’Asburgo, figlio di Ferdinando I. Presso tale corte il pittore s’impegnò:

non tanto nella pittura ma anco altre sì in molte invenzioni, come de’ torniamenti, giostre, giuochi, apparecchi di nozze et di coronazioni, lasciando stupefatti sia il principale suo signore, sia la corte tutta4.

Quali furono tuttavia le ragioni e i modi che portarono il figlio dell’imperatore a richiedere la sua opera? Vista la natura delle opere eseguite dall’Arcimboldi prima de 1562 (anno in cui lascia Milano per la corte asburgica) pare improbabile che sia stato il successo da esse riscontrato a determinare la chiamata da parte dell’Imperatore, e d’altra parte, apparentemente, nulla di questa produzione avrebbe potuto impressionare Massimiliano, se ne fosse venuto a conoscenza. Dobbiamo però ricordare che Arcimboldo, più che dedicarsi alla pittura, a corte si occupò dell’organizzazione di feste e spettacoli pubblici, che non mancarono di portare con sé alcune polemiche, in particolare nei confronti di Giovan Battista Fontana (detto Fonteo), autore dei cartelli per il torneo

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allestito in occasione delle nozze dell’arciduca Carlo con Maria di Baviera nel 15715.

Testimonianza di questa sua specializzazione è il gruppo di 158 disegni conservati presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, album offerto a Rodolfo II nel 1585. Si tratta di una serie di disegni (forse assemblati per l’occasione) all’interno dei quali è possibile trovare forse la chiave di lettura per l’Arcimboldo milanese e comprendere la sua chiamata a Vienna. Si tratta di rappresentazioni di alcuni personaggi destinati ad accompagnare le Arti Liberali, immagini correlate alla festa del 1571 per le nozze sopracitate e facenti parte di un corteo di Europa. A ben guardare le stesse allegorie erano già comparse più di un decennio prima a Milano in occasione di una festa di carnevale tenutasi nel 1559 in casa di Giovan Battista Castaldo per festeggiare degnamente il governatore il duca di Sessa (Consalvo Fernández de Cordoba) e il marchese di Pescara (Francesco Ferdinando d’Ávalos).

Gli apparati scenici della festa furono approntati da Leone Leoni6, e se pure non siamo a conoscenza dei dettagli inerenti le invenzioni dei costumi e dei personaggi, le somiglianze con i figurini di Arcimboldo dovevano essere molto strette. Tuttavia esse non possono essere ritenute sufficienti ad affermare con certezza il suo coinvolgimento nell’ideazione della festa.

5Fontana, vantandosi dell’intera invenzione, aveva cercato di offuscare la fama e i meriti

dell’Arcimboldo, il cui ruolo venne comunque riconosciuto anche dello stesso imperatore.

6 Una lunga descrizione della festa, dovuta ad Ascanio Centorio degli Ortensi, segretario di Castaldo, ci informa di come a un certo punto «vennero sette Donne vestite d Reine con superbi vestimenti d’oro e d’argento che portavano in mano certi segni, i quali chi esse si fossero à gli altri davano manifesto segno, e queste erano le Sette Arti Liberali», accompagnate ciascuno da un vecchio. Le coppie erano: Grammatica/Donato; Retorica/Cicerone; Astrologia/Tolomeo; Aritmetica/Euclide; Geometria/Archimede; Musica/Clinia; Dialettica/Porfirio.

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Circa due anni più tardi, però, Leone Leoni ricevette dal marchese di Pescara l’incarico di organizzare una seconda festa, in occasione delle nozze di Eleonora d’Asburgo, figlia dell’Imperatore Ferdinando I, e il duca di Mantova Guglielmo Gonzaga. In tale occasione di festa, il marchese cercò di fare di tutto per ottenere un apparato all’altezza della situazione: chiamò Leone Leoni a collaborare per le scene e Luca Contini per i versi in volgare e delegò loro di occuparsi di ogni incombenza pratica, tanto che i due, vista la mole di lavoro da svolgere e la sua importanza e rilevanza, chiamarono a loro volta più di duecento artisti da Milano per riuscire a finire il lavoro in tempo.

Se tra questi duecento artisti che si trasferirono a Mantova per l’occasione si potesse immaginare anche il nostro Giuseppe Arcimboldo, allora sarebbe possibile spiegare come una notizia della sua abilità in «torniamenti, giostre, giuochi, apparecchi di nozze et coronazioni» possa essere giunta alla corte viennese alle orecchie di Ferdinando, padre della sposa mantovana.

Il coinvolgimento di Arcimboldo nell’organizzazione di feste e spettacoli nella Milano di metà Cinquecento potrebbe trovare anche un’ulteriore testimonianza in alcuni disegni a lui attribuiti all’interno dello zibaldone di progetti disegnati e dipinti per tende, abiti maschili e femminili, padiglioni, paramenti da letto, costumi allegorici e festivi, il tutto alternato da appunti: tale materiale è noto con il nome di Libro del Sarto, appartenuto al sarto milanese Gian Giacomo de Conte.

In quest’ambito quindi è necessario ricercare la specializzazione di Arcimboldo e la ragione della sua fama che lo portò alla corte imperiale in data 1562.

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Giuseppe Arcimboldo, Figura in costume per personaggio femminile con fiaccola, 305x204 mm, pennino, carta bianca, Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.

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Il pittore milanese avrebbe fatto definitivamente ritorno nella sua città solo nel 1587, ma nel corso della sua permanenza presso la corte rodolfina sono documentati ben tre brevi rientri in patria. Il primo viaggio deve essere collocato nell’estate del 1566 quando Arcimboldo presenzia a Sedriano (un piccolo borgo situato tra Milano e Magenta) alla cerimonia di battesimo di Agostina, la figlia di un servitore di Ottone Visconti ed Elisabetta Grancina da Poliano. Un decennio dopo Arcimboldo è di nuovo in città per dettare un testamento al notaio milanese Giovan Stefano Busti. Infine il 17 marzo 1581 è attestata la presenza del pittore a Milano allo scopo di rogare alcuni codicilli riguardanti il suo precedente testamento.

Il 1587 segna il definitivo rientro di Giuseppe Arcimboldi in patria, nella sua città natale. Come ci ricorda il Morigia, il distacco dalla corte asburgica (che dal 1583 era stata trasferita da Vienna a Praga) avvenne dopo due anni di richieste inascoltate da parte dell’artista, intenzionato a trascorrere i suoi ultimi anni in patria. Sul finire degli anni ottanta l’ormai anziano Arcimboldo, a breve anche gratificato dal conferimento del titolo di conte palatino, rimase in contatto con la corte asburgica per la quale trattava le opere d’arte o proponeva acquisti o promuoveva artisti cittadini e li spingeva a farsi avanti oltr’alpe. Proprio la ricerca di opere per le collezioni rodolfine impegnava Arcimboldo, e non si trattava solo di consigliare quadri7 .

7 Sappiamo che poco prima di morire Giuseppe aveva provveduto all’acquisto di un

diaspro allo scopo di farlo trasformare in coperchio per un vaso, pagandolo ben 100ducati, un prezzo così elevato deve far supporre certamente una commissione imperiale. Di sicuro destinato a Rodolfo II era lo scrittoio in ebano e avorio che Giuseppe Guzzi stava eseguendo su «inventione del rarissimo quon Giuseppe Arcimboldo».

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Giuseppe Arcimboldo morì l’11 luglio 1593, a circa 66 anni. Non sappiamo con certezza dove venne sepolto, ma possiamo ipotizzare che la sua parrocchia, San Pietro alla Vigna, possegga le sue spoglie mortali.

Negli anni che precedettero o seguirono la morte dell’artista, scomparvero anche molti altri personaggi che, per varie ragioni gli erano stati vicini: Lomazzo (gennaio 1592), Aurelio Luini (agosto 1593), il Meda (agosto 1599).

Nel nulla svanirono anche molte delle sue invenzioni come il liuto prospettico8 o la possibilità di suonare i colori e chissà quante altre meraviglie progettate o immaginate dalla mente poliedrica di Arcimboldo. Abbiamo visto da questo percorso che ci ha condotti lungo la fortunata carriera dell’artista milanese, come l’apice della sua fortuna e fama sia stato toccato nel momento in cui Ferdinando I d’Asburgo decise di chiamarlo a sé come artista di corte. Se in patria i contributi apportati da Arcimboldo alla storia artistica furono assai modesti (non per demeriti suoi ma per commissioni non particolarmente prestigiose), presso la corte asburgica, il talento, il carattere e la poliedricità dell’artista riuscirono a brillare sin da subito.

Arcimboldo non si limitava a seguire le precise direttive degli imperatori, ma semplicemente le assecondava lasciando però che la sua straordinaria inventiva imprimesse un chiaro segno di originalità a tutto ciò che creava. A corte, l’artista si occupava di moltissime questioni concernenti il campo delle arti: eseguiva ritratti ufficiali (pare che sia stato un o dei primi compiti assegnatogli al suo arrivo), copiava opere di altri

8 Si tratta di uno strumento che, grazie a una speciale notazione cromatica, sarebbe stato in grado di trasporre la musica in valori visivi, pittorici. Per un approfondimento vedi A.a.V.v, Arcimboldo 1526-1593, edited by Sylvia-Ferino Pagden, Skira Editore, Milano, 2007, pp 47-48

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artisti, eseguiva disegni delle moltissime specie vegetali e animali che popolavano i giardini imperiali9, disegnava costumi e modelli per le numerose feste e i tornei di corte, consigliava l’acquisto di opere d’arte e oggetti di ogni genere da collocare in quello straordinario scrigno di bizzarie che era la Kunst e Wunderkammer imperiale. Insomma a corte Arcimboldo ricopriva un ruolo decisamente importante, le sue opinioni e i suoi giudizi in campo artistico erano tenute in grandissima considerazione dall’Imperatore e dai suoi congiunti, che lo stimavano, lo amavano e come ci riferisce Comanini si privavano mal volentieri della sua presenza.

Il lavoro svolto da Arcimboldo presso la corte asburgica lo portava ad avere strettissimi contatti con le dignità imperiali, primi fra tutti i suoi più grandi mecenati, Massimiliano II e il di lui figlio, Rodolfo, che in realtà non fece altro che proseguire la tradizione paterna accordo al pittore stima, affetto e fiducia incondizionata.

Il rapporto privilegiato di Arcimboldo con l’imperatore Rodolfo II era molto invidiato a corte, specie per il carattere di affabilità, complicità e cortesia che lo contraddistingueva (come ci racconta Robert J. Evans10, il carattere lunatico dell’imperatore lo portava spesso a rifiutare udienze ad

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Massimiliano II e Rodolfo II favorirono la ricerca naturalistica presso le loro corti e per lungo tempo il secondo fu considerato il massimo sostenitore di questi interessi naturalistici tra gli Asburgo, in virtù degli splendidi manoscritti che Joris Hoefnagel eseguì per lui o per il «Museo». Presso la corte asburgica durante il regno di Massimiliano, si raccolsero i più famosi botanici dell’epoca (Carolus Clusius e Rembertus Dodonaeus). L’imperatore nutriva anche un grandissimo interesse per gli animali e dedicava molta attenzione ai sontuosi giardini zoologici del castello Kaiserebersdorf, popolandolo di specie rare provenienti dalle più svariate parti del mondo. Solo attraverso lo studio del cosidetto «Museo» di Rodolfo II nacque l’interesse per lo studio dei fogli e possibili modelli studiati dal vero dall’Arcimboldo. I singoli animali erano copie o riproduzioni di studi originali disegnati dal vivo, a noi pervenuti incollati sulle pagine di un codice, che si trova oggi nella collezione di manoscritti della Nationalbibliothek

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ambasciatori e dignitari, ma non vi fu mai un occasione di scontro anche minimo con l’artista, il quale poteva far visita all’imperatore ogni qual volta lo desiderasse).

3.1 Rodolfo II: L’imperatore-mago

È anche nella personalità dell’imperatore più atipico e misterioso del Cinquecento che sono da ricercare le origini delle creazioni arcimboldesche. Rodolfo II, Imperatore del Sacro Romano Impero, re di Boemia e d’Ungheria è senz’altro uno dei sovrani più straordinari che l’Europa abbia mai conosciuto. La sua personalità ha esercitato un fascino in grado di superare i confini di Praga (che rimaneva la sua residenza favorita) o i vasti territori presso il Danubio. La sua corte ebbe una posizione assolutamente preminente e centrale, sia dal punto di vista politico che di quello culturale; presso di essa si raccolsero uomini di cultura e di scienza, come Sydney e Keplero, figure dai contorni misteriosi, legate ai mondi della magia, dell’esoterismo e dell’alchimia (come il mago John Dee) e naturalmente artisti, assieme a una folta schiera di botanici, studiosi di mineralogia, astrologi, medici, poeti e letterati.

La personalità di Rodolfo II rimane, per molti versi, abbastanza sfuggente e bizzarra: per alcuni egli fu un sovrano debole, indeciso e finito spoglio di tutto, che morì prigioniero nel suo castello, privo di poteri nell’Impero e cacciato anche dall’Ungheria e dalla Boemia (sul quale trono salì l’odiato fratello Mattia). Per altri egli fu uno dei più grandi mecenati del suo tempo, protettore delle scienze, di personalità come Tyco Brahe e

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Spranger, e che nel corso della sua vita riuscì ad accumulare un’immensa mole di tesori artistici, che non conobbe eguali.

Altri ancora lo dipinsero con tinte più scure, come un appassionato di occultismo, di alchimia e di altre forme magico-scientifiche e religiose (come la cabala ebraica). I suoi interessi erano davvero vastissimi e si estendevano ai domini dell’astrologia, dell’ermetismo e della superstizione in ogni sua forma.

un ritratto di Rodolfo II

Naturalmente le idee delle quali era persuaso, di deciso segno magico, erano condivise da una larga schiera di personalità: l’«imperatore-mago»

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quindi, non era affatto un caso raro, ma semmai uno dei più interessanti ed estremi.

Rodolfo II ascese al trono al trono, dopo la morte del padre Massimiliano II, avvenuta il 12 ottobre del 1576. La sua formazione politica e culturale era stata formata sostanzialmente dal soggiorno pluriennale alla corte di Filippo II di Spagna, voluto da Ferdinando I e della regina Maria. All’età di circa dodici anni fu mandato in Spagna con il fratello Ernesto, e vi rimase fino al 1571. Gli osservatori rilevarono da subito il contegno dignitoso, l’intelligenza e l’altezzosità del sovrano, tratti questi, ben mascherati da un’accattivante amabilità di modi. Ciò che saltava subito agli occhi, era una tendenza a rinchiudersi in se stesso, e di tale tendenza gli osservatori del tempo vollero dare una spiegazione legata alla «malinconia».

La gente comune preferiva interpretare tale comportamento alla brama di attingere a una più profonda fonte di sapere. A questo proposito fiorirono su di lui le più svariate leggende, che lo volevano dedito ad attività connesse a «traffici col demonio» e alla fine dei suoi giorni il sovrano era famoso per la sua tendenza a proteggere le scienze occulte, a essere inavvicinabile e instabile di mente.

La smodata passione del sovrano per le arti e l’occulto, l’aveva portato a trascurare gli affari di Stato e a preferire la frequentazione di laboratori artistici e alchemici alla tessitura di rapporti politici e diplomatici. Conseguenza di ciò era il totale caos nella gestione del governo e la paura che la Casa d’Austria e la fede cattolica potessero essere sconfitte. Non vi è certezza circa la pazzia di Rodolfo II: almeno se si considera la «pazzia» in senso tecnico. Lo fu certamente per brevi periodi, ma bisogna considerare il

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significato che la gente comune attribuiva ai termini «malinconia» e «possessione».

Altro tratto della sua personalità era una curiosità illimitata e considerevole era anche la sua conoscenza delle lingue (parlava perfettamente il tedesco, lo spagnolo, l’italiano, il francese e conosceva anche un po’ il ceco).

Abbiamo già accennato all’estrema importanza ricoperta dalla cultura (in tutte le sue molteplici sfaccettature) presso la corte asburgica. Da Ferdinando I a Rodolfo II passando per il padre Massimiliano, la promozione delle arti e delle scienze ricoprì un ruolo importantissimo nell’ordinaria amministrazione del regno. Presso la corte di Massimiliano si raccolsero uomini di cultura e artisti di ogni genere e corrente, assieme a filosofi e mistici. Tale amore per le arti e la cultura proseguì (forse con passione ancor maggiore) da Rodolfo II: fin che il sovrano rimase in vita Praga fu il maggior centro di attrazione culturale pur conservando Vienna la sua importanza (la residenza imperiale fu trasferita da Vienna a Praga nel 1583).

Tra i personaggi di cultura e scienza che servirono la corte rodolfina (davvero numerosi) sono da ricordare: il medico imperiale Tadeáš Hájek (già amico di Crato, medico di corte di Massimiliano, di Sydney e collega del naturalista Matthioli). A corte egli ricoprì un ruolo importantissimo, s’interessò alle discussioni più importanti di astronomia e di medicina del suo tempo. Altra personalità di spicco fu Giovanni Keplero, che arrivò a Praga nel 1600. I dodici anni di permanenza presso la corte furono quelli più produttivi per lui, e fu durante quel periodo che arrivò alla formulazione definitiva delle tre leggi sul moto dei corpi celesti.

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Molti furono anche gli artisti che, forti del mecenatismo rodolfino, risedettero stabilmente alla corte, primo fra tutti il nostro Giuseppe Arcimboldo, che fu un fedele servitore della Casa d’Asburgo sin dai tempi del regno di Massimiliano11. La fama che ebbe al suo tempo era legata alla sua infaticabile attività di artista di corte e al contributo che egli dette attraverso le sue opere all’esaltazione della dinastia imperiale. Oltre all’artista milanese, a corte vi erano anche i pittori Bartholomaeus Spranger e Hans von Aachen (che fu scelto da Rodolfo come uno dei suoi agenti principali per trattare questioni personali) e lo scultore Adriaen de Vries12. Tutti questi artisti s’impegnarono in un’attività di glorificazione e celebrazione delle imprese della casa d’Austria e di Rodolfo in particolare, attraverso composizioni allegoriche e dipinti dai significati esoterici, collegati alle vicende politiche dell’Imperatore.

Rodolfo II, come ho sottolineato più volte nel corso di questo studio, era un grande appassionato di occulto ed esoterismo, e un’aura di segretezza e mistero circondava i suoi contatti personali da lui tenuti nel castello dominante Praga13. La sua passione per le scienze occulte era

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A.A.V.V., Praga Magica: L’art à Prague au temps de Rodolphe II, Dijon, Musée National Magnin, 13 settembre-15 dicembre 2002 pp 10-16.

12

Con lo Spranger siamo al centro del mondo artistico rodolfino: tutta la sua opera rispecchia l’amicizia e le sollecitazioni dell’Imperatore. Tra le opere più importanti dell’artista sono da annoverare una serie di tele a tema erotico e, soprattutto, l’Allegoria

delle virtù di Rodolfo II (1592). Per quanto riguarda il von Aachen, molte delle sue opere

ritraggono la vittoria della Verità sulla guerra e sul disordine, come ad esempio

L’allegoria di Rodolfo II come Augusto. Altre tele raffigurano scene di glorificazione di

qualche vittoria militare. Adriaen de Vries, allievo del Giambologna, acquistò celebrità dapprima come inventore di fontane decorative ad Augusta, prima di trasferirsi presso la corte praghese. Le sue opere più belle sono quelle a tema mitologico, ma fece anche due busti, che ci hanno lasciato due dei più bei ritratti di Rodolfo II.

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Un osservatore veneziano riassunse così la situazione: «Sua Maestà si diletta d’intendere secreti così di cose naturali come di artificiali, e chi ha occasione di trattare di

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sostanzialmente un tentativo di penetrare la realtà sottostante ai fenomeni, tale tentativo poi era parallelo o intrecciato al ricorso ai simboli e alle imprese nella produzione artistica. Anche la religiosità del sovrano ebbe una coloritura marcatamente spiritistica. Tale spiritismo fu rivelato sotto forma negativa, dalla convinzione che egli ebbe di essere in preda alle forze del male, e in forma più concreta dalla sua ricerca di opere in materia come il Codex Giganteus (una compilazione di vasto respiro di tipo cronologico, scientifico e scritturale) e l’ermetico Pymander. L’Imperatore possedeva anche una sorta di trattato magico-astrologico, il Picatrix, di cui si dice abbia fatto uso uno dei tirapiedi di Rodolfo per gettare il malocchio sull’odiato fratello Mattia.

Altra passione di Rodolfo II era senz’altro l’alchimia, all’epoca in grande espansione in tutta l’Europa Centrale. A corte vi fu una significativa rappresentanza di studiosi di alchimia, e molti di essi ricoprirono anche incarichi prestigiosi, in particolare di medici di corte.

Il più misterioso dei medici fu Michael Maier, un fervente paracelsiano e promotore di riforme. Fuori dalle fila di coloro che appartenevano alla professione medica, c’era un’altra schiera di cultori empirici dell’alchimia: uno dei più fedeli collaboratori di Rodolfo fu l’ebreo convertito Mardocheo de Delle, che descrisse in versi e con dovizia di particolari tutti gli esperimenti compiuti. Altra personalità dai contorni sfuggenti è Odoardus Scotus, autore di un piccolo opuscolo mistico-alchemico dedicato a Rodolfo. Infine a corte erano presenti anche i due maghi John Dee ed Edward Kelley. Il primo fu uno delle personalità più erudite del suo tempo.

queste cose troverà sempre l’orecchio di Cesare pronto». Cfr. R. J.W. Evans, Rodolfo II

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Matematico, astronomo e bibliofilo di alto livello, seppe formarsi la migliore biblioteca scientifica d’Europa. Il Kelley era conosciuto come avventuriero di professione.

Da questa carrellata di nomi e storie si possono comprendere a pieno l’incredibile portata degli interessi di Rodolfo II, e la centralità che la corte rodolfina acquistò nel tardo Cinquecento come centro promotore di cultura, e come polo d’attrazione per studiosi di ogni genere. Rodolfo II quindi non fu soltanto il più grande ammiratore e mecenate di Arcimboldo, con il quale intrattenne un rapporto improntato sulla stima reciproca e la garbata cortesia, ma fu anche uno dei collezionisti di opere artistiche, e di altro genere, capace di accumulare una mole incredibile di oggetti curiosi nella sua Camera delle Meraviglie, rinomata in tutto il mondo occidentale14.

Sovrano indeciso, imperatore-mago, personalità eclettica e di difficile definizione, umbratile, cortese, bizzarro, instabile, capace di scatti d’ira furibondi come di una giovialità incredibile e soprattutto instabile sia di umore che di giudizio. Tutti questi elementi si fondono, andando a formare un’unica autentica immagine, quella ben sintetizzata dal famosissimo quadro allegorico dell’Arcimboldo: Vertumno, dio, appunto, del cambiamento.

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Della sua ricchissima Wunderkammer tratterò nel prossimo capitolo dedicato al grottesco nell’arte cinquecentesca.

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Arcimboldo, Rodolfo II come Vertumno, 1590, Olio su tavola, 68x56, Balsta, Svezia, Skokloster Slott.

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