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Discrimen » Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi modelli di incapacitazione

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Academic year: 2022

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Collana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

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minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitari- stica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-crimi- nale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alterna- tive che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale”

che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interro- garsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevolezza

di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto penale,

si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche ad ap-

procci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di fondo,

la sezione Monografie accoglie quei contributi che guardano alla

trama degli itinerari del diritto penale con un più largo giro

d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza pro-

spettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione Saggi

accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni necessaria-

mente contenute, su momenti attuali o incroci particolari degli

itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative spezza-

ture, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione il ri-

corrente trascorrere del “penale”.

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PERICOLOSITÀ SOCIALE E DOPPIO BINARIO

VECCHI E NUOVI MODELLI DI INCAPACITAZIONE

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

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http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-8756-1

Composizione: Compograf - Torino Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fa- scicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non su- periore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: [email protected]

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XIII

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57 PREMESSA

CAPITOLOI

IL SISTEMA SANZIONATORIO A DOPPIO BINARIO NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO

1. Attualità del doppio binario? Una nuova riflessione nella società del rischio

2. Società del rischio e rischi di un diritto penale del rischio. La po- litica criminale al bivio

3. Società del rischio e insicurezza collettiva: il ruolo del diritto pe- nale sotto le spinte del senso di insicurezza

3.1. Aumento dei tassi di criminalità e insicurezza collettiva 3.2. Insicurezza effettiva e insicurezza percepita: il ruolo dei

mass media

3.3. L’incidenza del senso di insicurezza collettiva sulla polifun- zionalità della pena: la crisi della funzione rieducativa e l’emergere di istanze neoretributive e di prevenzione specia- le negativa. L’inefficacia del sistema sanzionatorio e le poli- tiche di tolleranza zero

4. L’autore pericoloso nella società del rischio: il nocciolo duro del- la penalità carceraria. La lettura della criminologia dell’altro 5. L’evoluzione delle strategie di controllo penale rispetto agli auto-

ri di reato “pericolosi” nel sistema italiano

5.1. Dalla pericolosità presunta alla pericolosità effettiva 5.2. Dalla pericolosità effettiva alla pericolosità presunta

5.2.1. Dall’autore pericoloso all’autore di reato pericoloso: la differenziazione dei percorsi penitenziari

5.2.2. Dall’autore pericoloso all’autore recidivo: il trasferi- mento della logica di neutralizzazione all’interno del- la pena

5.2.3. Dalla pericolosità “controllata” alla pericolosità “pu- nita”: il trasferimento delle esigenze preventive nella genesi della fattispecie penale

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133 5.3. Dal reato di pericolosità sociale agli stereotipi dell’autore

pericoloso

6. Linee di sviluppo dell’indagine

CAPITOLOII

MISURE DI SICUREZZA COME SANZIONE ESCLUSIVA.

VERSO UN DIRITTO PENALE DELL’INTERVENTO?

Sezione I

IL BINOMIO DIFESA SOCIALE E CURA NELL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA

1. L’autore non imputabile come destinatario naturale delle misure di sicurezza

2. Gli interventi nei confronti degli “alienati” autori di reato: conti- nuità e rottura tra legislazione liberale e scelte del codice Rocco 3. Le interazioni tra intervento penale e legislazione manicomiale:

le esigenze di flessibilità degli strumenti preventivi e di sussidia- rietà dell’intervento penale

4. La rideterminazione degli equilibri tra intervento penale e sup- porti socio-sanitari: i vuoti aperti dalla riforma psichiatrica e la crisi della sussidiarietà del controllo penale

5. I punti di non ritorno sul ruolo degli ospedali psichiatrici giudi- ziari come strumento di controllo dei soggetti pericolosi

5.1. Il superamento del residuo di retribuzionismo nella rigidità del termine minimo di durata della misura

5.2. La rottura del binomio malattia mentale-pericolosità sociale 5.3. La crisi della pericolosità sociale: dal modello biologico al modello situazionale. La rideterminazione del ruolo della psichiatria

5.4. Il ridimensionamento del ruolo dell’ospedale psichiatrico giudiziario per effetto del nuovo regolamento penitenziario e della riforma sulla assistenza psichiatrica in carcere: il po- tenziamento delle esigenze curative

5.5. Proporzionalità e sussidiarietà dell’intervento custodiale:

dalla costituzionalizzazione del doppio binario alla costi- tuzionalizzazione della flessibilità della risposta tratta- mentale

5.6. Gli effetti indiretti della sentenza delle Sezioni Unite sul vi- zio di mente: il nesso tra definizione dell’imputabilità e trat- tamento sanzionatorio correlato. Una ulteriore conferma della necessità di una maggiore articolazione del controllo penale

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183 190 191 194 199 201 5.7. La delegittimazione degli ospedali psichiatrici giudiziari da

parte del loro funzionamento concreto: i dati delle statisti- che e le questioni irrisolte

Sezione II

DALLA NECESSITÀ TERAPEUTICA AD UN SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTO. I LIMITI DELLA GIUSTIZIA PENALE

1. Le esigenze di riforma: la necessità di tenere distinta la critica al funzionamento concreto degli ospedali psichiatrici giudiziari dal- le obiezioni al modello teorico

1.1. I modelli abolizionisti: le opposte soluzioni della carcerizza- zione e della medicalizzazione

1.2. I modelli revisionisti

1.3. Alcune puntualizzazioni sui modelli di disciplina

2. Uno sguardo all’Europa: la pluralità dei modelli di intervento a doppio binario rispetto agli infermi di mente autori di reato 2.1. Il modello penale a doppio binario nell’ordinamento tedesco

2.1.1. Le interazioni tra controllo penale e internamento amministrativo

2.1.2. Il progressivo potenziamento del controllo penale 2.2. Il modello di intervento amministrativo nell’ordinamento

francese: verso una penalizzazione del controllo 2.3. Il modello cumulativo penale del sistema inglese 2.4. Brevi osservazioni interlocutorie

3. Verso quale riforma? Ragioni e limiti dell’intervento penale nel binomio “cura-custodia”

4. Dalla pericolosità sociale al pericolo di recidiva: la riformulazio- ne della prognosi alla luce dei dati empirici sui pazienti ricovera- ti in o.p.g.

5. La flessibilità degli strumenti di controllo penale: l’eredità delle pronunce della Corte Costituzionale …

6. … e il principio di proporzione

7. La durata delle misure di sicurezza: il nodo della conciliabilità tra garanzie di libertà ed esigenze di difesa sociale

8. Segue: la questione della derogabilità del limite massimo di durata 9. Il sistema sanzionatorio a carico dei non imputabili: verso un di-

ritto dell’intervento?

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278 283 288 CAPITOLOIII

MISURE DI SICUREZZA COME COMPLEMENTO DI PENA.

ABOLIZIONE O DIRITTO PENALE DELLA PERICOLOSITÀ?

Sezione I

CRISI E RISCOPERTA DELLE MISURE DI SICUREZZA

1. La crisi del sistema sanzionatorio italiano a doppio binario nell’applicazione congiunta di pene e misure di sicurezza 2. La “riscoperta” delle misure di sicurezza detentive a carico dei

soggetti imputabili in alcuni sistemi europei

2.1. L’ordinamento tedesco e le strategie di difesa sociale: muta- menti nei modelli di doppio binario

2.1.1. Origini della prevenzione post delictum ed estremiz- zazioni nella politica penale nazionalsocialista 2.1.2. L’esperienza fallita della misura dell’istituto sociote-

rapico: da misura di sicurezza a modalità esecutiva della pena

2.1.3. Il potenziamento del doppio binario in chiave di neu- tralizzazione degli autori pericolosi: la riforma della custodia di sicurezza nel 1969

2.1.4. La progressiva espansione della custodia di sicurezza 2.1.5. Colpevolezza versus prevenzione: il difficile connu-

bio nelle nuove forme di custodia di sicurezza 2.1.6. Gli istituti di disintossicazione: il sistema vicariale

al banco di prova della unificazione del doppio bi- nario

3. La neutralizzazione estrema dell’autore pericoloso nell’ordina- mento svizzero: dalla riforma dell’internamento ad un nuovo pat- to costituzionale

3.1. Il soggetto recidivo come autore pericoloso

3.2. Il mutamento dello stereotipo dell’autore pericoloso: l’inter- namento ordinario come strumento di prevenzione dei rea- ti violenti e a sfondo sessuale

3.3. Le accentuazioni dell’idea preventiva: dall’internamento a posteriori …

3.4. … all’internamento a vita: la scelta costituzionale come sim- bolica tutela della sicurezza collettiva

4. Dalla colpevolezza alla pericolosità: le suggestioni del doppio bi- nario in Francia

4.1. Dal diritto penale delle sole pene all’ingresso delle misure di sicurezza non detentive: il primo passo della nuova politica penale della sicurezza

4.2. L’epilogo del controllo custodiale

4.3. Gli equilibrismi del Conseil constitutionnel

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385 389 5. “Dalla colpevolezza alla pericolosità” il volto (nuovo?) delle poli-

tiche penali custodiali di responsabilità legale

6. Le strategie di incapacitazione speciale nelle misure di sicurezza non detentive

6.1. Vetustà e novità delle misure di sicurezza non detentive in Italia

6.2. La vitalità delle misure di sicurezza non detentive in alcuni ordinamenti europei

7. Osservazioni interlocutorie: verso un neopositivismo?

Sezione II

PREVENZIONE E DIFESA SOCIALE: DALL’ABBANDONO DEL DOPPIO BINARIO AI NUOVI BINARI ALL’INTERNO DELLA PENA 1. Una questione preliminare: i criteri di identificazione delle misu-

re di sicurezza. Il confine incerto

2. “La pena non basta”: la giustificazione teorica delle misure di si- curezza al vaglio dei recenti sviluppi normativi

2.1. La giustificazione puramente preventiva 2.2. Le limitazioni alla giustificazione preventiva

2.2.1. Il limite etico e l’ombra del diritto penale del nemico 2.2.2. Il limite della umanizzazione dell’esecuzione 2.2.3. Il principio di proporzionalità

2.3. Le misure di sicurezza al vaglio della Corte europea dei di- ritti dell’uomo: la prudenza della Corte di Strasburgo di fronte alla funzione preventiva

3. I limiti dei giudizi prognostici

4. L’insufficienza dei correttivi al doppio binario: soluzioni monisti- che e vicarietà

5. La giustificazione delle misure di sicurezza quale espressione del- la pretesa inconciliabilità tra colpevolezza e prevenzione

6. La pericolosità sociale e la sua conciliabilità con il limite del prin- cipio di colpevolezza: la differenziazione dei percorsi penitenziari 7. La funzione di “controllo” dei nuovi binari della pena …

8. … e la funzione di “miglioramento”

9. La tipizzazione delle figure di pericolosità sociale

10. Il doppio binario per i soggetti semi-imputabili: la conversione sul piano della specializzazione della pena ed i rapporti con la mi- sura dell’ospedale psichiatrico giudiziario

11. Da misure di sicurezza personali non detentive a sanzioni acces- sorie

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE BIBLIOGRAFIA

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Da alcuni anni oramai proviene dalla società una richiesta sempre più forte di sicurezza a fronte dell’aumento dei tassi di criminalità in- dotto dalla globalizzazione, dallo sviluppo degli agglomerati urbani, dalla recessione delle politiche sociali, dalle forti ondate migratorie, dall’abbattimento dei confini tra Stati, dalla caduta del muro con l’Est.

Questi mutamenti, che sono anche – e dovrebbero essere principal- mente – stimolo per un confronto e per un arricchimento culturale, re- cano con sé nuovi disequilibri, che generano nuove forme di devianza e nuove forme di criminalità, talvolta effettive, talvolta indotte artifi- ciosamente da un legislatore poco attento agli effetti riflessi dei pro- cessi di penalizzazione.

Il diritto penale è il primo ad essere chiamato ai propri compiti di fronte ai nuovi risvolti di un problema di sempre: la sicurezza. Da quando la pena ha abbandonato la prospettiva metafisica della retri- buzione, che si mostra in totale contrasto con la prospettiva di un or- dinamento laico, per abbracciare le idee della utilità sociale nelle cele- bri pagine di Cesare Beccaria e dell’idea dello scopo nel Programma di Marburg di Franz von Liszt, la legittimazione del diritto penale ha do- vuto confrontarsi con la prospettiva terrena di giustificare il ricorso ai più drastici strumenti del controllo penale nella prevenzione della cri- minalità. Allo stesso tempo, però, nel momento in cui tale prospettiva veniva ad acquisire un ruolo centrale nella giustificazione degli stru- menti penali a tutela dei beni giuridici, il diritto penale doveva porsi il problema dei limiti alla politica criminale: il principio laico della pro- porzione della sanzione alla colpevolezza del soggetto fissava nella Ma- gna Charta del reo un argine garantistico alla pericolosa espansione delle multiformi esigenze della politica criminale.

Contemperare l’esigenza di assicurare una tutela effettiva ed effica- ce ai beni giuridici con i principi di garanzia dell’individuo destinata- rio dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diventato l’ago della bilancia della politica criminale, la cui evoluzione storica si è giocata sul crinale che separa queste due esigenze attraverso la pre- disposizione di un apparato sanzionatorio capace di soddisfarle en- trambe. Un ago mobile, tuttavia, perché fondato su un equilibrio in- stabile tra potere statuale che si arma dello strumento penale e libertà individuali.

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Questo equilibrio divenne il centro di un dibattito fecondo nella dottrina, specie italiana e tedesca, tra la fine del diciannovesimo seco- lo sino agli anni trenta del ventesimo, divisa tra la scuola classica, da un lato, sostenitrice della funzione retributiva della pena, e la scuola positiva e la moderne Schule, dall’altro lato, che riconoscevano alla sanzione penale una funzione preventiva: l’una focalizzando le proprie elaborazioni sul reato, l’altra sull’autore, sono pervenute come noto a soluzioni opposte sul fondamento della pena e sulla conseguente co- struzione del sistema sanzionatorio. La scommessa della conciliazione tra queste opposte prospettive, che a molti parve come una impossibi- le quadratura del cerchio, fu giocata dal codice Rocco per il tramite culturale della c.d. Terza scuola e, soprattutto, delle sollecitazioni del- l’autoritaria politica criminale del regime: gli antipodi della pena retri- butiva e delle misure a contenuto preventivo si trovavano affiancati in un testo legislativo che proponeva risposte nuove al contenimento del- la criminalità.

Le misure di sicurezza erano nate come risposta all’aumento dei tassi di criminalità e della recidiva alla fine del diciannovesimo secolo e proprio con tale programma si presentava il doppio binario nel- l’avanprogetto di Stooss di riforma del codice penale svizzero: la pena retributiva della scuola classica aveva fallito nel controllo della crimi- nalità e doveva essere affiancata a misure in grado di incapacitare i soggetti pericolosi. Il controllo penale si arricchiva di uno strumento che veniva concepito da alcuni come “unico” strumento di prevenzio- ne (la Zweckstrafe di Liszt) e che per altri si affiancava alla pena, ora in sua sostituzione, rispetto ai soggetti non imputabili, ora a suo comple- mento, nei confronti degli autori di reato imputabili: si rinserravano così, attraverso modelli monistici o dualistici, gli strumenti di difesa sociale, sull’altare della quale venivano immolate le garanzie dell’auto- re del reato. Questo programma era stato fatto proprio sia dal codice Rocco, sia dalla legislazione nazionalsocialista del 1933, in cui le esi- genze di difesa sociale, sposandosi con la politica criminale autorita- ria, potevano avvantaggiarsi di una legittimazione teorica più che tren- tennale e, in Italia, di una rispettabile veste formale fornita dal rigore scientifico del tecnicismo giuridico.

Interrogarsi oggi sullo stato di salute del doppio binario nel sistema penale non è casuale, ma acquista nuovo interesse nel contesto di una società del rischio, per dirla con Beck, dominata dal senso di insicu- rezza e dalla incapacità del sistema penale di offrire risposte adeguate.

Esiste, infatti, una certa affinità tra le esigenze cha avevano sollecitato la riflessione sul doppio binario e l’attuale richiesta al diritto penale di soluzioni – non solo politiche – al bisogno di maggior sicurezza. Allora costituì una novità assoluta la proposizione di sanzioni a contenuto esclusivamente preventivo: l’idea di una pena di scopo o di misure che operassero come “complemento di pena” doveva consentire di suppli-

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re alle deficienze di una pena, i cui confini, tracciati dalla proporzione della risposta sanzionatoria alla colpevolezza del soggetto, apparivano troppo stretti per una politica criminale che voleva avere mano libera nella prevenzione della commissione di futuri reati da parte di un sog- getto ritenuto pericoloso. Oggi, a più di un secolo dalla nascita delle misure di sicurezza, lo stato di funzionamento del doppio binario de- nuncia un sostanziale fallimento dei propri scopi. In Italia appare nul- la più che un ramo secco del sistema sanzionatorio, in quanto pur es- sendo dotato di una disciplina ampia e puntuale, ha profondamente mutato la severa impronta originaria sotto la pressione della prassi e gode di fatto di una applicazione del tutto marginale, tanto che i più recenti progetti di riforma provvedono a contenere il doppio binario solo per i soggetti non imputabili, in una logica attenta ai bisogni di cura, che abbandona la prospettiva sicuritaria e custodialistica del co- dice Rocco. La ricerca di soluzioni volte ad offrire una risposta non so- lo al reato commesso, ma anche all’autore pericoloso si è mossa in Ita- lia in altre direzioni, in primis sul terreno della pena, sviluppando le potenzialità della recidiva come è avvenuto ad opera della legge ex Ci- rielli (legge n. 251 del 2005).

Altrove, invece, quello che da noi appare un ramo secco dell’ordi- namento, da destinare al più presto alla potatura, sembra invece gode- re di una rinnovata attenzione: in Germania, in Svizzera, in Austria, in Francia sono state riscoperte le potenzialità di difesa sociale insite nel doppio binario attraverso il progressivo ampliamento dell’ambito di applicazione delle misure a carattere custodialistico (in Germania la custodia di sicurezza – Sicherungsverwahrung – è stata più volte ogget- to di interventi di riforma) rispetto agli autori di gravi reati (in alcuni casi anche autori primari) e delle misure a contenuto interdittivo (co- me il ritiro della patente di guida), nei confronti di autori di reati che manifestano specifiche forme di pericolosità sociale. Questo rilievo ap- pare tanto più significativo, quando più si coniuga alla assenza di ef- fetti della recidiva sulla pena.

Il mero confronto tra i dati normativi del nostro sistema penale con quelli di ordinamenti vicini, che hanno riscoperto le misure di sicurez- za, deve sollevare nello studioso almeno un motivo di dubbio sulla prospettiva abolizionista, sulla quale converge la dottrina italiana: che significato assume la riscoperta di questo strumento penale? Quale ruolo gioca all’interno del controllo sociale? Davvero in un contesto in cui il diritto alla sicurezza sembra diventare la parola d’ordine della politica criminale di oggi e del prossimo futuro possiamo limitarci ad affermare che l’apparato delle misure di sicurezza costituisce nulla più che un ramo secco destinato al più presto ad essere potato? E se, a fronte di un ripensamento della legittimazione del sistema del doppio binario, la prospettiva abolizionista o quantomeno riduzionista appa- re ancora come la scelta che soddisfa le maggiori garanzie, dobbiamo

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però chiederci quali soluzioni prospettare a fronte di quella che il co- dice definisce “pericolosità sociale”: mantenere, con gli opportuni adattamenti, il doppio binario o abbandonarlo definitivamente? In tal caso, però, è necessario interrogarsi su come soddisfare le esigenze di prevenzione e difesa sociale, che fanno parte del dna della sanzione pe- nale, contenendo in una razionale politica criminale i bisogni emotivi di pena che sorgono dalla collettività.

Questi interrogativi sono particolarmente attuali oggi per almeno due ragioni: innanzitutto perché alla politica penale si richiedono sem- pre nuovi compiti di politica sociale, mentre non va dimenticato che la legittimazione del diritto penale sta nella sua sussidiarietà, per cui ogni estensione dell’utilizzo dello strumento penale va attentamente vagliata, ricordando che si tratta pur sempre, come ci ricorda Liszt, di un’arma a doppio taglio, che rischia di ferire chi ne impugni la lama;

in secondo luogo per capire se l’ampliamento delle misure di sicurezza costituisca una variante, modulata in termini differenti, alle politiche di “legge e ordine”, che pur si sono proposte come risposta all’aumen- to dei tassi di criminalità nei sistemi (si pensi agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna) in cui è entrata in crisi l’idea rieducativa della pena.

Una misura di sicurezza, di durata non predeterminata, ma destinata a continuare in relazione al perdurare della pericolosità del soggetto, presenta di fatto affinità troppo profonde con la politica statunitense

“three striks and you are out” per essere trascurata. La riflessione appa- re tanto più meritevole, se si considera che nell’arco di poco più di quindici anni, dopo un periodo di lungo silenzio, lo stimolo a mettere mano al cambiamento del codice penale è stato ravvivato da ben cin- que progetti di riforma.

Il presente lavoro si articola in tre parti. Nella prima (capitolo I) mi soffermerò sul contesto in cui oggi si colloca la riflessione sul doppio binario, ossia all’interno di una riflessione più ampia sulle (vere o pre- sunte) potenzialità e sui limiti effettivi di utilizzo del diritto penale in una società che sempre più è dominata da fattori di rischio: le misure di sicurezza infatti hanno come presupposto la pericolosità sociale, che è rischio di recidiva, ed intervengono in funzione di difesa della collettività da questo rischio. L’autore pericoloso viene dunque porta- to all’attenzione della dottrina, anche se privato di quel substrato bio- psichico a cui lo aveva ancorato la scuola positiva. L’attenzione dovrà essere quindi rivolta ad analizzare come le esigenze preventive si siano sviluppate nella dinamica del rapporto pena-misure di sicurezza, con- siderando dapprima i casi in cui la misura di sicurezza interviene co- me sanzione esclusiva, nei confronti dei non imputabili (capitolo II, se- zione I), e poi come complemento di pena, nei confronti dei soggetti im- putabili e semi-imputabili (capitolo III, sezione I), per verificare in quale direzione si muovano i sistemi che utilizzano il doppio binario.

La ricerca si è avvalsa di tre strumenti: della comparazione, essen-

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ziale per comprendere come siano soddisfatte medesime esigenze di politica criminale; degli apporti delle c.d. scienze ausiliarie (psichia- tria, criminologia), che offrono un contributo fondamentale per deci- frare i punti deboli e di forza del sistema a doppio binario, considera- to che molti dei destinatari del sistema giudiziario sono anche utenti del sistema psichiatrico e che la prognosi criminale si colloca su un confine rifiutato sia dalla giustizia che dalla psichiatria; dei dati sullo stato di applicazione delle misure di sicurezza, per capire se, laddove si assiste ad una estensione normativa del loro ambito di applicazione, il sistema giustizia risponda anche con una più ampia applicazione concreta.

I risultati a cui sono pervenuto consentono di trarre alcune consi- derazioni (nelle sezioni seconde dei capitoli II e III) sullo stato di salu- te del doppio binario e sulle prospettive di revisione dell’attuale asset- to di disciplina. Anticipo sin d’ora di essere favorevole ad una soluzio- ne che conduca ad un drastico ridimensionamento dell’apparato delle misure di sicurezza a favore dell’accoglimento all’interno della pena delle esigenze preventive, che hanno oltre cent’anni fa giustificato la nascita delle misure di sicurezza: il che implica la necessità di ricon- vertire all’interno della disciplina della pena quelle esigenze, armoniz- zandole sia con il principio di colpevolezza, sia con la prospettiva co- stituzionale della rieducazione, a cui le pene devono tendere. I rischi per le garanzie dell’individuo che si accompagnano al potenziamento della logica preventiva dell’apparato delle misure di sicurezza sono ben evidenziati dalla discussione a cui ha dato luogo l’espansione del- la custodia di sicurezza in Germania ed in Svizzera: non a caso in que- st’ultimo Paese si è anticipata la riforma penale con una nuova norma costituzionale che garantisse una copertura al sacrificio delle garanzie individuali a favore del soddisfacimento delle esigenze di sicurezza della collettività.

L’esigenza di assicurare un efficace apparato sanzionatorio richie- de pertanto che si pervenga a porre le basi di un sistema sanzionatorio che al doppio binario sostituisca una pluralità di binari, ognuno retto da una logica di scopo che ne fonda la legittimazione: ricorso sussidia- rio a misure penali a contenuto terapeutico rispetto ai soggetti non im- putabili con un più ampio rinvio agli strumenti di controllo extrape- nale (previo loro potenziamento) nella logica di un diritto dell’inter- vento, aperto ad una maggiore flessibilizzazione delle misure penali ed extrapenali di controllo e cura; ricorso ad una logica di doppio binario interna alla pena che tenga conto delle differenti specificità e pericolo- sità degli autori di reato.

Questo lavoro intende offrire un contributo alla discussione, non proporre soluzione certe: ogni discussione teorica sulla riforma del si- stema sanzionatorio richiede una verifica sul terreno dell’applicazione concreta, le teorie devono sporcarsi le mani nella realtà della pena, su

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1DAHRENDORF1991, p. 53.

un terreno reso accidentato da una molteplicità di fattori sociali, poli- tici, culturali, massmediatici che condizionano l’efficacia del sistema sanzionatorio. Ha scritto Dahrendorf: «La strada, che ci porta alla di- sgregazione di legge e ordine attraverso l’impunità e al disordine e all’incertezza conseguenti, è il problema della società del nostro tem- po, e forse di molti decenni del futuro»1. Ne sono convinto, ma sono anche persuaso che il diritto penale non potrà che contribuire a questo progetto in modo del tutto marginale ed è imprescindibile che non su- peri i confini che gli sono propri.

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IL SISTEMA SANZIONATORIO A DOPPIO BINARIO

NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO

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1MUSCO1997, p. 762.

ruolo del diritto penale sotto le spinte del senso di insicurezza. – 3.1. Aumen- to dei tassi di criminalità e insicurezza collettiva. – 3.2. Insicurezza effettiva e insicurezza percepita: il ruolo dei mass media. – 3.3. L’incidenza del senso di insicurezza collettiva sulla polifunzionalità della pena: la crisi della funzione rieducativa e l’emergere di istanze neoretributive e di prevenzione speciale negativa. L’inefficacia del sistema sanzionatorio e le politiche di tolleranza zero. – 4. L’autore pericoloso nella società del rischio: il nocciolo duro della penalità carceraria. La lettura della criminologia dell’altro. – 5. L’evoluzione delle strategie di controllo penale rispetto agli autori di reato “pericolosi” nel sistema italiano. – 5.1. Dalla pericolosità presunta alla pericolosità effettiva. – 5.2. Dalla pericolosità effettiva alla pericolosità presunta. – 5.2.1. Dall’autore pericoloso all’autore di reato pericoloso: la differenziazione dei percorsi peni- tenziari. – 5.2.2. Dall’autore pericoloso all’autore recidivo: il trasferimento del- la logica di neutralizzazione all’interno della pena. – 5.2.3. Dalla pericolosità

“controllata” alla pericolosità “punita”: il trasferimento delle esigenze preven- tive nella genesi della fattispecie penale. – 5.3. Dal reato di pericolosità socia- le agli stereotipi dell’autore pericoloso. – 6. Linee di sviluppo dell’indagine.

1. Attualità del doppio binario? Una nuova riflessione nella società del rischio

Si potrebbe essere portati a pensare che interrogarsi oggi sul siste- ma del doppio binario, sui limiti e sulle funzioni di un sistema sanzio- natorio che ripartisce le forme di reazione dello Stato al reato tra pene e misure di sicurezza, sia opera più dello storico che del giurista di di- ritto positivo. L’apparato delle misure di sicurezza, almeno se limitia- mo l’orizzonte conoscitivo alla realtà italiana, appare come un antico manoscritto, lasciato in una vecchia teca impolverata, in un museo da tempo chiuso per ristrutturazione. Non stupisce pertanto che uno dei più autorevoli studiosi di questo tema abbia scritto: «L’età d’oro, per la misura di sicurezza, sembra volgere definitivamente al termine…La si- tuazione spirituale della misura di sicurezza è caratterizzata da un profondo malessere che assomiglia sempre di più ad uno stato coma- toso di natura per di più irreversibile»1. Una crisi su cui si interrogava,

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2KAISER1990.

3MUSCO1978, p. 31.

4MUSCO1978, p. 32; ESER2001, p. 224.

5Su tali aumenti v. LISZT1905b, p. 4. Stando ai dati riportati da MELOSSI1997, p. 41 ss., l’aumento fu più percepito che effettivo; v. altresì VIANELLO, PADOVAN1999, p. 252; PELUSO1994, p. 145.

in un breve ma intenso contributo, anche Gunther Kaiser nel 1990, chiedendosi: «Le misure criminali sono in crisi?»2. Ed allora per evita- re inutili accanimenti terapeutici si potrebbe essere tentati di abban- donare ogni indugio, lasciare che il malato muoia di morte naturale e procedere oltre per investigare altri campi, senza troppo concedere ad un apparato normativo che perpetua, nella nuova terminologia del- l’ospedale psichiatrico giudiziario, le idee custodialistiche dell’istitu- zione manicomiale, anche questa oramai storia, e che tra le sue figure contiene ancora quel monstrum giuridico del delinquente per tenden- za, figlio del delinquente nato di lombrosiana memoria, anche questa oramai storia, anzi preistoria.

Ad una considerazione più attenta, però, interrogarsi oggi sui limi- ti di legittimazione del doppio binario, sulla necessità del suo abban- dono o di un drastico ridimensionamento, solleva problemi non indif- ferenti, in quanto coinvolge considerazioni più ampie sulle funzioni della pena e sul ruolo del complessivo sistema sanzionatorio come strumento di controllo sociale. Storicamente infatti la genesi delle mi- sure di sicurezza si colloca come «un capitolo particolare della que- stione della teoria della pena ed in questa trova un suo naturale punto d’ancoraggio»3: è proprio dai limiti dello statuto di un rigido retribu- zionismo, in cui la pena era stata vincolata dalla scuola classica, che era stata portata avanti la riflessione sulla necessità di pensare a stru- menti idonei a sopperire alle deficienze della pena nell’assolvimento dei compiti di difesa sociale4: quali strumenti predisporre per argina- re la recidiva? Quali strade imboccare per contenere gli alti tassi di cri- minalità sul finire del diciannovesimo secolo?5. La pena retributiva, ancorata al disvalore oggettivo e soggettivo del fatto, appariva stru- mento inadeguato per arginare la pericolosità dell’autore del reato. Se la genesi dell’apparato preventivo post delictum è strettamente connes- sa al fondamento ed alle funzioni che il sistema attribuisce alla pena, una riflessione sui confini delle misure di sicurezza dovrà condurre a chiedersi in quali limiti la pena possa farsi carico delle esigenze di di- fesa sociale che i positivisti ritenevano di poter soddisfare altrimenti:

ogni soluzione che, partendo dal presupposto di un endemico stato di crisi dell’apparato delle misure di sicurezza, ritenesse di potersene fa- cilmente liberare, compirebbe una operazione sbrigativa, che tralasce- rebbe di rispondere alle esigenze di difesa sociale a cui la logica del

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6PALIERO1992, p. 520.

7FLORA2008b, p. 568; PETRINI2008, p. 201; PALAZZO, BARTOLI2007, p. 137; PATA-

LANO2006, p. 24; DOLCINI2005, p. 134; ID. 2001, p. 55 ss.; MARINUCCI1998, p. 1063;

ID., 2000, p. 160 ss.; NEPPIMODONA1998, p. 51; ID., 1995, p. 315; FIANDACA, MUSCO

1994, p. 31; PADOVANI1992, p. 419 ss.; PALIERO1992, p. 539 ss.

8PAVARINI1994, p. 442.

9Scrive DAHRENDORF1991, p. 40 che le norme sono valide e sono osservate, nel- la misura in cui le trasgressioni sono punite.

10PALIERO1992, p. 544. Evidenziava bene il senso di insicurezza collettiva al- l’inizio degli anni ottanta NUVOLONE1980b, p. 166 ss.

11MONACO, PALIERO1994, pp. 431 e 433: di qui «l’emergere di una pluralità di at- tori della commisurazione».

12FIANDACA, MUSCO1994, p. 23 ss.

doppio binario, nel bene o nel male, è da sempre finalizzata. Il destino delle misure di sicurezza deve essere quindi rivisto all’interno della riforma del sistema sanzionatorio, che deve cercare di recuperare una razionalità di scopo orientata ai risultati, che assicuri effettività alla sanzione penale6, messa in crisi dallo scollamento tra pena minaccia- ta, pena applicata e pena in concreto eseguita7: «una severità “smoda- ta” solo a parole e una indulgenza paternalistica nella prassi»8, che mi- na la stessa validità delle norme9ed amplifica il senso di insicurezza collettiva10. È nella fase penitenziaria che si determina l’effettivo peso della sanzione, attraverso una «commisurazione di secondo grado»11, del tutto sganciata dai criteri dell’art. 133 c.p., peraltro vuoti per la stessa commisurazione in sede di giudizio.

Ora, l’interesse per una nuova riflessione sugli spazi di legittima- zione delle misure di sicurezza non risiede solo nella verifica sulla complessiva tenuta del sistema sanzionatorio, in quanto da questo punto di vista da sempre le indagini della dottrina si sono soffermate proprio sui rapporti tra pene e misure di sicurezza: se andiamo a ri- leggere la copiosa produzione dottrinale, già prima dell’entrata in vi- gore del codice Rocco e successivamente, specie dopo l’entrata in vigo- re della Costituzione, in cui il finalismo rieducativo della pena ha scon- quassato il cristallino teleologismo delle sanzioni, troveremo che le possibili opzioni si sono mosse tra il mantenimento del doppio binario e il suo superamento a favore di un modello monostico in cui le esi- genze di tutela erano assorbite ora dalla pena ora da più elastici prov- vedimenti di intervento.

Oggi quel dibattito va collocato all’interno della più ampia discus- sione in ordine alla crisi di legittimazione in cui versa più in generale il sistema penale ed in particolare il sistema sanzionatorio12. La rifles- sione penalistica, sociologica e criminologica ha infatti evidenziato le tensioni tra un diritto penale, ancora troppo ancorato a schemi tradi-

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13BECK2000, 25.

14TRENTINI2006, p. 7.

15BECK2001, p. 61.

16LUPTON2003, pp. 54 e 100 ss.

17È il paradosso della società contemporanea la quale, ai benefici derivanti dal- lo sviluppo delle tecnologie, affianca anche l’aumento delle fonti di rischio, che le nuove scoperte scientifiche producono: v. SALVADORI, RUMIATI2005, p. 8 ss.

18 Sviluppa queste caratteristiche dei rischi della modernità GIDDENS1994, p. 125 ss.

zionali, e le nuove esigenze sollecitate dalla c.d. società del rischio. Ve- diamo come queste riflessioni incidono sul settore, solo apparente- mente lontano, delle misure di sicurezza.

2. Società del rischio e rischi di un diritto penale del rischio. La poli- tica criminale al bivio

La società postindustriale ha creato una modernità il cui tratto ca- ratterizzate è costituito dalla produzione di rischi. Come ha scritto Beck, «nella modernità avanzata la produzione sociale di ricchezza va sistematicamente di pari passo con la produzione sociale di rischi»13. Dalla logica della distribuzione della ricchezza si è passati alla logica della distribuzione dei rischi. Il rischio, inteso come «incertezza relati- va alla possibilità che si verifichi un determinato evento»14, non costi- tuisce una novità della modernità, le situazioni di rischio sono sempre esistite, la società e le istituzioni hanno da sempre dovuto fare i conti con pericoli: «non è forse vero che tutte le società di tutte le epoche erano “società del rischio”?»15. Da un punto di vista terminologico, al pericolo e alla pericolosità abbiamo oggi sostituito il rischio, forse per- ché apparentemente dotato di una maggiore scientificità, di una og- gettiva calcolabilità che vale ad eliminare l’alea che il concetto di peri- colo comporta16. A caratterizzare però l’epoca attuale sono situazioni di rischio che un tempo non erano neppure immaginabili e che sono ampiamente condizionate dal progresso del sapere scientifico e tecno- logico17: i rischi oggi si sono globalizzati, sia nel senso dell’intensità dei possibili effetti dannosi quali concretizzazione del rischio, sia nel senso del numero crescente di eventi contingenti che possono interes- sare chiunque; i rischi possono derivare dall’ambiente e da una natura socializzata; si sviluppano ambienti artificiali di rischio istituzionaliz- zati (come i mercati di investimento); si è sempre più consapevoli del- la diffusione dei rischi e della loro inevitabilità, a causa della limita- tezza del sapere scientifico18. Il rischio produce più in generale una

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19GIDDENS1994, p. 44.

20In tal senso si è espresso Xaver Kaufmann citato da PRITTWITZ1993, p. 73.

21ROXIN2000, p. 374.

22SILVASÁNCHEZ2004, p. 11; ALBRECHT1998, p. 105; KÜHNE1998, p. 14; PALAZ-

ZO1997, p. 868 ss.; PAVARINI1994, p. 446, per il quale «il ricorso alla risorsa pena- le come strumento di stabilizzazione del sistema sociale, di orientamento del- l’azione e di istituzionalizzazione delle aspettative prescinde completamente dal- l’efficacia strumentale dello stesso nella soluzione dei problemi sociali»; PALIERO

1992, p. 891 ss.

perdita della sicurezza, ossia entra in crisi quella «situazione in cui – se- condo Giddens – una serie di pericoli viene neutralizzata o minimizza- ta»19.

Questo stato di insicurezza, al quale ci siamo in parte assuefatti e che rappresenta l’humus quotidiano di interazione sociale, pone alle istituzioni domande e richiede altrettante riposte, che dovrebbero ser- vire se non ad annullare, quantomeno a ridurre i rischi20. In questo contesto anche il diritto penale, con il suo carico simbolico, è chiama- to a fare la sua parte, anzi è subito apparso come lo strumento agile per gestire la nuova realtà, anche se la società del rischio ne ha palesa- to i limiti, incrinandone la stessa legittimità. Ma il diritto penale e le sue categorie dogmatiche sono in grado, si chiede Roxin21, di far fron- te alle nuove esigenze di tutela?

Abbiamo innanzitutto assistito ad una espansione incontrollata del- lo strumento penale, con una sorta di «perversione dell’apparato stata- le», che utilizza il diritto penale più in chiave simbolica che per risol- vere effettivamente i problemi22. Il diritto penale si è fatto sempre più tecnocratico, i precetti penali sono costruiti in funzione di violazione di complessi tessuti normativi che trovano la loro regolamentazione al di fuori del diritto penale. Questo sviluppo è indice di un primo fatto- re di crisi della disciplina penale, in quanto intacca le stesse fonda- menta della legalità penale: la proliferazione delle fattispecie riduce la certezza dei confini dell’area penale, pregiudica la funzione di preven- zione generale della pena e ne compromette l’effettività.

La società del rischio ha inoltre impresso una anticipazione all’in- tervento penale. Se in alcuni casi è possibile correre il rischio che il pe- ricolo si tramuti in danno e che il diritto penale intervenga in funzione meramente repressiva rispetto ad un danno verificatosi, l’attuale proli- ferazione dei rischi e la loro accresciuta intensità non permettono di accontentarsi di mere fattispecie di evento, in quanto la richiesta di si- curezza di fronte alle situazioni di rischio non sarebbe soddisfatta da un diritto penale che intervenisse ex post a danno avvenuto. La rispo- sta non si è fatta attendere né dal legislatore né dalla giurisprudenza.

Quanto al legislatore, assistiamo ad una moltiplicazione di fattispe-

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23Sul principio di precauzione, v. GIUNTA2006, p. 227 ss.; DONINI2004, p. 120.

Sul rischio consentito nel diritto penale rimane fondamentale il lavoro di MILITEL-

LO1988.

24Fondamentale STELLA2003, p. 221 ss.

25LEONCINI1999, p. 28.

cie di pericolo presunto, che attestano la soglia di punibilità ad un fat- to la cui pericolosità è definita dal legislatore, che cristallizza nella fat- tispecie la soglia di rischio che la società è disposta ad accollarsi.

Quanto più i rischi sono alti, tanto più assistiamo alla anticipazione della punibilità: il principio di precauzione non è che il prodotto re- cente della discussa soglia del rischio consentito23.

Quanto alla giurisprudenza, abbiamo assistito ad una flessibilizza- zione delle tradizionali categorie dogmatiche, sulle quali riposavano alcune garanzie del sistema penale.

A fronte del perdurare dei sistemi tradizionali del diritto penale di evento e della incapacità del legislatore di ripensare in termini nuovi una tutela effettiva dei beni giuridici, la giurisprudenza ha risposto al- le nuove situazioni di rischio con una torsione delle tradizionali cate- gorie giuridiche. Le fattispecie di evento sono state trasformate in rea- ti di pericolo attraverso una rilettura del rapporto di causalità che pre- scinde dall’accertamento del nesso condizionalistico e si accontenta dell’aumento del rischio: se la sentenza del 2002 delle Sezioni Unite della Cassazione costituisce un punto di non ritorno, non possono dir- si ancora risolti i nodi evidenziati dalla travagliata evoluzione giuri- sprudenziale in tema di nesso di causalità, specie in presenza di con- dotte omissive. Non è casuale che le tensioni tra l’affermazione delle garanzie nell’accertamento del rapporto di causalità e l’esigenza di as- sicurare una efficace tutela dei beni giuridici si siano sviluppate pro- prio negli ambiti in cui si ponevano più delicati problemi di tutela di beni fondamentali come la salute e l’incolumità fisica sui posti di la- voro24.

Nei reati omissivi impropri le esigenze di tutela dei beni giuridici vengono assicurate attraverso la progressiva espansione delle posizioni di garanzia verso situazioni di fatto, che trovano nel generico obbligo giuridico di impedire l’evento più una copertura formale che un fonda- mento ed un limite di garanzia: in assenza di prese di posizione del le- gislatore, la distinzione tra posizione di garanzia e posizioni di control- lo ha scarsa capacità di imporre una delimitazione della responsabilità penale, laddove le esigenze di sicurezza reclamino un rafforzamento della tutela dei beni giuridici. Così le posizioni di garanzia, sorte per sopperire ad un deficit di tutela dei beni da parte del loro titolare, ap- paiono idonee a consolidare «la tendenza rigoristica, tesa ad estendere la sfera di operatività del meccanismo dell’art. 40/2»25.

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26PEDRAZZI2000, p. 1265.

27Su questi indirizzi del finalismo estremo v. FORTI1990, p. 328 ss.

28PRITTWITZ1993.

29ALBRECHT1998, p. 107 (corsivo aggiunto). Al «diritto penale della messa in pe- ricolo» si riferisce VOLK2002, p. 149.

30Fondamentale VOLK1978, passim.

31PRITTWITZ1993, pp. 44, 160.

Infine, l’esigenza di apprestare un diritto penale efficace a preven- zione dei rischi incide anche sulla colpevolezza, attraverso una torsio- ne di fatto di ipotesi di responsabilità colposa in forme di responsabi- lità dolosa, complice l’incerta categoria del dolo eventuale: coglieva nel segno Pedrazzi quando, a conclusione di una indagine sulla responsa- bilità degli amministratori e dei sindaci all’interno delle società, si chiedeva se la giurisprudenza non avesse decretato il “tramonto del dolo” nell’ambito del diritto penale societario26. Ed anche la responsa- bilità colposa è sempre più letta in chiave preventiva di disvalore d’azione, disancorata dal disvalore d’evento, secondo un indirizzo dot- trinale peraltro risalente27.

Queste sommarie riflessioni sulla incidenza dei problemi della so- cietà del rischio sul diritto penale evidenziano come si stia realizzando una trasformazione verso quello che Prittwitz, in senso polemico, chiama diritto penale del rischio (Risikostrafrecht)28, assistiamo cioè ad un adattamento, vuoi per via legislativa, vuoi per via interpretativa, dello statuto classico del diritto penale verso una accentuazione dei profili preventivi: è un «diritto penale preventivo»29.

Deformazione e deformalizzazione degli istituti sostanziali del dirit- to penale sono chiaramente mosse da esigenze di natura probatoria30, di agevolazione della prova e non a caso ciò accade nei settori in cui si fanno sentire più forti le esigenze di tutela dei beni fondamentali della persona. Possiamo dunque fissare un primo punto fermo, che sarà utile nel prosieguo dell’indagine: nella società del rischio la logica preventiva prevale, stravolgendo anche nella prassi gli stessi elementi del reato, tut- te le volte in cui una richiesta di tutela appaia più forte.

La politica penale si muove secondo passaggi obbligati: dalle situa- zioni di rischio alla richiesta di maggior sicurezza, per giungere alla ri- sposta dell’ordinamento penale in termini di flessibilizzazione dei suoi postulati. È difficile spezzare questa sequenza: se il legislatore ritiene di non poter fare a meno dello strumento penale, la via imboccata rappre- senta una scelta obbligata, considerato che oggi la prospettiva è la pre- venzione del rischio, più che la punizione di un evento di danno. Ma è proprio qui il punto di emersione della crisi di legittimazione del dirit- to penale31: sino a che punto può essere mantenuto fermo il presup-

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32Sulle due prospettive v. PALIERO1992, p. 520; PRITTWITZ1993, p. 243 ss. Sul- la tendenza del diritto penale a farsi «strumento di tutela preventiva della società»

v. anche BLUM2006, p. 48.

33DONINI2004, p. 114.

posto del necessario ricorso allo strumento penale? Sino a che punto siamo disposti a veder ridotte le garanzie di cui è espressione il diritto penale per effetto della flessibilizzazione del diritto penale d’evento e della colpevolezza? Siamo davvero sicuri che il diritto penale rappre- senti sempre una scelta di effettiva tutela dei beni giuridici?

Il diritto penale si trova così di fronte ad un bivio: da un lato man- tenersi nei binari tracciati dal diritto penale classico, con le tradizioni tipiche dello Stato di diritto, costruito sulla base del diritto penale d’evento e con la necessità di un rigoroso accertamento dei requisiti di fattispecie, senza comode scorciatoie probatorie, che alterano lo statu- to stesso del diritto penale; dall’altro lato imboccare la prospettiva di scopo, volta a garantire tutela effettiva in una dimensione preventi- va32. Questa seconda alternativa, tuttavia, non può essere percorsa deformalizzando le categorie del sistema penale, come oggi avviene ri- spetto ad alcune applicazioni giurisprudenziali, ma attraverso o l’ab- bandono dello strumento penale o, laddove possibile, attraverso una riforma delle fattispecie penali, con una precisa assunzione di respon- sabilità da parte del legislatore sui limiti della responsabilità penale (il che comporterà necessariamente l’adozione di fattispecie strutturate in termini di pericolo astratto). La crisi del diritto penale si muove tra una delegittimazione del modello classico, che rischia di perdere i pro- pri connotati caratterizzanti, ed un nuovo modello di diritto penale a spiccata impronta preventiva, secondo soglie di rischio fissate dal legi- slatore.

Si tratta di interrogativi la cui risposta travalicherebbe i limiti del presente lavoro e non sarebbe peraltro univoca, in quanto le scelte su- gli strumenti più idonei per il controllo dei rischi devono essere modu- late in relazione ai singoli settori di intervento e di bilanciamento dei beni in conflitto. Premeva solamente far emergere come la società del rischio solleciti continuamente il diritto penale a ricercare soluzioni, che sono spesso espressione di interventismo simbolico, piuttosto che frutto di riflessioni razionali sulla complessità dei problemi coinvolti, aprendo al potenziamento di un diritto penale della prevenzione, qua- le «strumento per il raggiungimento di obiettivi di controllo e di deli- mitazione dei rischi»33.

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34Indicano la necessità di relativizzare la contrapposizione tra diritto penale moderno e diritto penale classico FIANDACA, MUSCO1994, p. 34.

35Sul punto nella dottrina penalistica, ampiamente e con un approccio “mo- derno” ai problemi del diritto penale di fronte ai disastri tecnologici, v. CENTONZE

2004, p. 7 ss.

36Su questi diversi profili di rischio nella società attuale, v. TRENTINI2006, p. 63 ss.

37SILVASÁNCHEZ2004, p. 11; TRENTINI2006, p. 21; LUPTON2003, p. 43 e ampia- mente p. 133 ss.

38MARCONI2004, p. 57.

39LUPTON2003, p. 20.

3. Società del rischio e insicurezza collettiva: il ruolo del diritto pena- le sotto le spinte del senso di insicurezza

Quando si affrontano i problemi del diritto penale della moder- nità34si è portati a dirigere la riflessione nei settori interessati dalla in- cidenza dei rischi tecnologici: l’ambiente, le attività produttive, le grandi opere, le biotecnologie, sono tutti ambiti nei quali gli sviluppi della scienza hanno, da un lato, apportato nuove conoscenze e, dall’al- tro, introdotto nuove incertezze sui possibili impatti sulla collettività delle nuove scoperte scientifiche applicate35. Tuttavia il passaggio dal- la società della produzione e distribuzione della ricchezza a quella del- la produzione e distribuzione dei rischi, secondo la efficace sintesi di Beck, ha investito altri momenti della vita non interessati dal rischio tecnologico, ma ugualmente resi incerti dai rischi sociali derivanti dai mutamenti nel mercato e nella disciplina del lavoro, dalla finanziariz- zazione della ricchezza, che rende sempre più vulnerabili i risparmia- tori, dalla globalizzazione di un terrorismo che ha mostrato nuove ca- pacità distruttive e di compromissione della sicurezza collettiva e del- la fiducia nella capacità delle istituzioni di arginare la violenza36.

Mi interessa, invece, soffermare la riflessione su un altro profilo della società del rischio molto più pervasivo. Il profondo senso di insi- curezza deriva non solo dai rischi di uno sviluppo incontrollato delle tecnologie, ma investe anche più direttamente le relazioni tra i conso- ciati. Ha bene evidenziato Silva Sánchez che nella società postindu- striale migrazioni, disoccupazioni, conflitti culturali, problemi di arti- colazione interna determinano una situazione di coesistenza, che ge- nera conflitti interindividuali con episodi più o meno espliciti di vio- lenza: in questo contesto il primo fattore di rischio percepito è costituito dall’«altro»37. Ad incutere paura ed insicurezza è «l’uomo associato, il gruppo, la società, la moltitudine, l’antagonismo dei bisogni»38. Il ri- schio criminalità si è dunque affiancato ad altre forme di rischio39.

Sono le città a diventare insicure, sono alcuni quartieri, alcune stra-

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40Le indagini criminologiche mostrano che la paura per la criminalità cresce nelle regioni in cui ci sono grandi centri metropolitani: v. PATALANO2006, p. 12; MU-

RATORE2002, p. 202; BARBAGLI2002a, p. 65; sul punto ampiamente NARDI2003, p.

534. Sulla necessità di avviare una efficace azione preventiva nei confronti dello sviluppo della criminalità nei contesti urbani, v. NUVOLONE1971, p. 3 ss. Per una ef- ficace sintesi sui problemi sollevati dalla (in)sicurezza urbana si veda l’editoriale di VIGNA2008, p. 137 ss.

41Ricerche empiriche condotte in Italia mostrano che l’essere vittima della vio- lenza predatoria è «uno stato trasversale all’età, all’istruzione, agli strati sociali, agli stili di vita e ai diversi contesti in cui si vive»: MURATORE2003, p. 483, con ampia esposizioni dei risultati delle indagini statistiche.

42Scrive NARDI2003, p. 538: «A differenza di quanto crede l’opinione pubblica, non è tanto la gravità del reato ad influenzare l’atteggiamento delle persone, quan- to piuttosto la frequenza con la quale tale reato viene commesso. Del resto la mag- giore frequenza di un reato non può non incidere sulla percezione di una maggiore probabilità di esserne vittima. Più che gli omicidi, quindi, sono i reati come gli scip- pi, le aggressioni e le rapine ad intimorire maggiormente i cittadini» (corsivo ag- giunto). Analogamente BARBAGLI2002b, p. 206; PATALANO2006, p. 22. Già NUVOLO-

NE1980b, p. 168 evidenziava che il fenomeno criminale non è un fenomeno di ghet- to, ma involge «direttamente o indirettamente larghi strati della popolazione».

43GIDDENS1994, p. 122. Si vedano anche le riflessioni sulle ricerche in tema di

“paura del crimine” di VIANELLO, PADOVAN1999, p. 248 ss.

44CASTEL2004, p. 12.

de, alcuni vicoli a diventare oggetto delle nostre paure40. La crimina- lità non è più solo una esperienza confinata negli strati marginali del- la popolazione, ma diventa oggetto di diretta esperienza di qualsiasi consociato41: chi non ha subito una aggressione a beni patrimoniali o personali? E se anche taluno fosse rimasto fortunatamente indenne da questa esperienza, non di meno il rischio di diventare vittima della mi- cro-criminalità appare certamente più prossimo di quanto non sia quello di essere coinvolti negli effetti di un qualche disastro ecologico, di una intossicazione derivante da un difetto di produzione di un pro- dotto alimentare o di un attentato terroristico. Il rischio qui rileva non tanto nella sua intensità, quanto piuttosto nella sua diffusività e perva- sività42, come esperienza direttamente vissuta o facilmente immagina- bile. Anche qui il rischio introduce un fattore destabilizzante nei rap- porti tra consociati e viene a minare il senso di fiducia tra le persone, che oggi non può più limitarsi ai legami personalizzati nell’ambito del- le comunità locali, nei legami parentali, ma richiede un progetto tra le parti interessate, che presuppone «l’apertura dell’individuo nei con- fronti dell’altro»43.

Questi profili della insicurezza collettiva, che fanno dell’insicurezza

«una dimensione che appartiene in maniera sostanziale alla coesisten- za degli individui in una società moderna»44, hanno una significativa incidenza sulle scelte di politica criminale, in quanto la percezione del-

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45Lo rileva, ad esempio, in relazione alla riforma della custodia di sicurezza in Germania, RICHTER2003, p. 201 (su questo istituto v. cap. III, sez. I, § 2.1.1. e se- guenti). Analogamente a margine del § 1 dell’ordinamento penitenziario tedesco, che contempla la finalità rieducativa e quella di «tutela della collettività da ulterio- ri fatti di reato», v. STOLLE, BRANDT2004, p. 67 ss.

46NOLL, ENDRASS, URBANIOK2006, p. 3.

47NARDI2003, p. 538; SELMINI2003, p. 617. Per rilievi analoghi in Germania, v.

KURY2000, p. 323; STRENG1999, p. 829.

48GARLAND2001, p. 201.

l’Altro quale fonte di rischio condiziona la percezione stessa della cri- minalità e della pericolosità sociale dell’autore, la cui figura si alimen- ta, e talvolta anche si deforma, attraverso il senso di insicurezza collet- tiva che deriva da alcune forme di criminalità, sulle quali convergono e si alimentano le paure collettive. Può allora capitare che alcuni in- terventi di politica criminale di rafforzamento dell’intervento penale in specifici ambiti non corrispondano ad un effettivo aumento della cri- minalità45. Vedremo come questi sviluppi che hanno interessato l’insi- curezza collettiva, effettiva e percepita, abbiano influito in alcuni ordi- namenti anche sul sistema del doppio binario, in quanto ad esserne condizionata è la stessa pericolosità sociale, presupposto di applica- zione delle misure di sicurezza46. Tuttavia, prima di procedere ad una analisi più puntuale dell’autore “pericoloso”, è necessario soffermarsi ancora su alcuni profili della insicurezza collettiva derivante dalla dif- fusione della criminalità.

3.1. Aumento dei tassi di criminalità e insicurezza collettiva

Il primo dato sul quale è necessario soffermare l’attenzione è costi- tuito dall’aumento dei tassi di criminalità che si è registrato a partire dal 1960 non solo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, come ha evi- denziato l’indagine di David Garland, ma più diffusamente nelle so- cietà occidentali avanzate ed anche in Italia47. Questo dato è stato ac- compagnato da una nuova percezione della criminalità da parte delle società. La criminalità appare come fatto sociale normale: «La minac- cia della criminalità è diventata … un aspetto comune della vita mo- derna, una potenzialità costantemente presente e da “tenere a mente”.

In altre parole, il crimine è considerato un rischio quotidiano che deve essere valutato e gestito come quello del traffico, un altro pericolo mortale divenuto un tratto consueto del mondo moderno. Nel giro di una sola generazione, gli elevati tassi di criminalità sono divenuti un elemento costante della tarda modernità»48.

Il primo mutamento prodotto dall’aumento dei tassi di criminalità

Riferimenti

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