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Discrimen » Le misure di prevenzione del terrorismo e dei traffici criminosi internazionali

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Academic year: 2022

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a revisione valutativa con il procedimento in «doppio cieco» (double blind peer review process), nel rispetto dell’anonimato dell’autore e dei due revisori.

I revisori sono professori di provata esperienza scientifica, italiani o stranieri, o ricercatori di istituti di ricerca notoriamente affidabili. Il revisore che accetti l’incarico di valutazione, formula il suo giudizio tramite applicazione di punteggio da 1 a 10 (sufficienza: 6 punti) in relazione ad ognuno dei seguenti profili: struttura (coerenza e chiarezza dell’impianto logico, metodologia); riferimenti normativi, dottrinali e giurisprudenziali; correttezza espositiva; argomentazione critica e propositiva;

bibliografia; rilevanza scientifica nel panorama nazionale (e internazionale, se ricorre l’esigenza relativa a questo profilo). Precisa se l’opera sia pubblicabile senza modifiche o previo apporto di modifiche, o se sia da rivedere, oppure da rigettare, e comunque dà opportune indicazioni.

Nel caso di giudizio discordante fra i due revisori, la decisione finale sarà assunta dal direttore responsabile della Collana e dal comitato scientifico, salvo casi particolari in cui il direttore medesimo provvederà a nominare un terzo revisore cui rimettere la valutazione dell’elaborato. Le valutazioni sono trasmesse, rispettando l’anonimato del revisore, all’autore dell’opera. L’elenco dei revisori e le schede di valutazione sono conservati presso la sede della Collana, a cura del direttore.

Il termine per lo svolgimento dell’incarico di valutazione accettato è di venti giorni, salvo espressa proroga, decorsi i quali, previa sollecitazione e in assenza di osservazioni negative entro dieci giorni, il direttore della Collana e il comitato scientifico, qualora ritengano l’opera meritevole, considerano approvata la proposta.

A discrezione del direttore responsabile e del comitato scientifico sono escluse dalla valutazione opere di indubbia meritevolezza o comunque di contenuto da ritenersi già adeguatamente valutato in sede accademica con esito positivo, per esempio scritti pubblicati su invito o di autori di prestigio, atti di particolari convegni, opere collettive di provenienza accademica.

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Palermo Fabris, Paolo Patrono, Silvio Riondato, Rino Rumiati, Daniele Rodriguez, John A.E.

Vervaele, Paolo Zatti Direttore responsabile Silvio Riondato

t E. Pavanello, La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, 2012 (e-book).

t S. Riondato (a cura di), Dallo Stato Costituzionale Democratico di Diritto allo Stato di Polizia? Attualità del "Problema penale". Nel trentesimo dall'Ultima Lezione di Giuseppe Bettiol, 2012.

t L. Pasculli, Le misure di prevenzione del terrorismo e dei traffici criminosi internazionali, 2012.

t S. Riondato, R. Alagna (a cura di), Diritto penale della Repubblica di Turchia. Criminal Law of the Republic of Turkey, 2012.

t R. Borsari, Reati contro la Pubblica Amministrazione e discrezionalità amministrativa. Dai casi in materia di pubblici appalti, 2012.

JusQuid

sezione teorico-pratica

Direttore responsabile Silvio Riondato

t S. Cardin, L'illecito punitivo-amministrativo: principi sostanziali, procedimentali e processuali, 2012.

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Le misure di prevenzione del terrorismo e dei traffici criminosi internazionali.

di Lorenzo Pasculli

© 2012 Padova University Press Università degli Studi di Padova via 8 Febbraio 2, Padova www.padovauniversitypress.it Redazione

Francesca Moro Progetto grafico Padova University Press Immagine di copertina

"Collegio dei dottori giuristi padovani che rende parere al Doge". Dall'affresco di Gino Severini nella Sala della Facoltà di Giurisprudenza - Palazzo del Bo, Padova.

ISBN 978-88-97385-51-6

Stampato per conto della casa editrice dell’Università degli Studi di Padova - Padova University Press nel mese di

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.

Volume pubblicato con il contributo

dello Studio Legale Associato Avvocati Ugo e Guido Simonetti in Venezia-Mestre www.studiolegalesimonetti.eu

info@studiolegalesimonetti.eu

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Lorenzo Pasculli

Le misure di prevenzione

del terrorismo e dei traffici criminosi

internazionali

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A Elena

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Molti sono coloro che – in diverse parti del mondo – mi hanno accompagnato nella realizzazione di questo lavoro che è il frutto di ricerche svolte in varie Università europee e statunitensi, grazie anche ai contributi dell’ Università degli Studi di Trento e dell’ Università degli Studi di Padova.

Il primo affettuoso ringraziamento va a Silvio Riondato dell’ Università degli Studi di Padova, la cui presenza è per me saldo punto di riferimento nella vita, prima che nell’ accademia. Con affetto ringrazio anche Elisabetta Palermo della stessa Università, la cui grazia e la cui saggezza illuminano ormai da più di qualche anno il mio cammino.

La mia riconoscenza va, altresì, ai professori Gabriele Fornasari e Alessandro Melchionda dell’ Università degli Studi di Trento, che con disponibilità e attenzione hanno seguito il mio felice percorso nella Scuola di Dottorato.

Fra i tanti che mi hanno accolto e sostenuto durante i miei soggiorni all’ estero, un ringraziamento davvero speciale va ai professori Luis Salas, della Florida International University di Miami, Martin Flaherty della Fordham University School of Law di New York e Michael Doyle della Columbia Law School di New York, che con la loro accoglienza, le loro riflessioni e i loro consigli hanno impreziosito i miei studi presso i rispettivi Atenei.

Ringrazio, inoltre, la professoressa Sally Wheeler e Marny Requa della Queen’ s University Belfast – che hanno reso possibile il mio periodo di ricerca presso la School of Law di tale Università – e, ancora, i professori Thomas Baker della Florida International University, Thomas Lee e Joseph Landau della Fordham University School of Law, nonché Maya Lester del Brick Court Chambers di Londra.

Da ultimo, ma non ultimo, di cuore ringrazio i professori Toni Fine della Fordham University School of Law e Eugene Fidell della Yale Law School, per la loro amichevole ospitalità e per i loro sinceri incoraggiamenti.

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Sommario

Capitolo i

Introduzione al problema del rapporto tra misure di prevenzione e pena. . . 15

1. Oggetto e metodo della ricerca . . . 15

2. Universalità dell’ istanza di prevenzione del crimine tra istinto, ragione e diritto . . . 24

3. Cenni storici sul rapporto fra misure di prevenzione e pena nelle tradizioni giuridiche di civil law e di common law . . . 29

3.1. Pene senza reato. I presupposti di applicazione delle prime misure di prevenzione. . . 33

3.2. L’ identificazione teleologica fra pena e misura preventiva . . . 41

3.3. I contenuti delle misure di repressione preventiva. . . 43

Capitolo ii Evoluzioni della prevenzione negli ordinamenti giuridici contemporanei . . . 47

1. La centralità della pena nelle teorie liberali e la messa al bando delle misure di repressione preventiva dal diritto penale. Alla ricerca di nuove forme di prevenzione . . . 47

1.1. Lo sviluppo delle funzioni preventive della pena . . . 52

1.2. Le misure di sicurezza nei sistemi di civil law. . . 57

1.3. Le misure di sicurezza nei sistemi di common law. . . 66

2. Nuove esigenze di prevenzione, insufficienze della pena e reintroduzione della repressione preventiva al di fuori dei confini garantistici del diritto penale . . 75

2.1. Fenomenologia della criminalità contemporanea. Dal crimine organizzato ai crimini internazionali . . . 76

2.2. La nascita di nuove (e aberranti) misure di repressione preventiva (la tortura e i c.d. targeted killings) e di eliminazione sociale tra diritto dell’ emergenza, diritto penale del nemico e stato di eccezione . . . 83

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Capitolo iii

I modelli di prevenzione nel diritto nazionale . . . 99

1. Distinzioni e categorie fondamentali. Prevenzione negativa e positiva e prevenzione ante e praeter delictum . . . 99

2. Il modello di prevenzione positiva . . . 109

2.1. La prevenzione sociale . . . 110

2.2. La prevenzione situazionale . . . 114

3. Gli incerti confini fra prevenzione positiva e prevenzione negativa: l’ effetto criminogeno di alcune misure di prevenzione positiva . . . 119

4. Il modello di prevenzione negativa. Il modello ordinario, il modello straordinario e la normalizzazione dell’ emergenza . . . 124

4.1. I contenuti delle misure di prevenzione negative. Misure personali (privative e restrittive della libertà personale) e misure patrimoniali. . . 135

4.2. Le misure di prevenzione personali privative della libertà. La detenzione preventiva. . . 138

4.3. Le misure di prevenzione personali restrittive della libertà. Misure di sorveglianza e misure interdittive e prescrittive . . . 147

4.4. Le misure di prevenzione patrimoniali. Misure specifiche e misure generiche. . . 151

5. Percorsi giurisprudenziali comuni: la progressiva emersione di principi condivisi a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. Verso la globalizzazione giudiziaria . . . 156

5.1. Principio di prevenzione e di sicurezza. . . 159

5.2. Principio di legalità . . . 163

5.3. Principio di necessità e principio di proporzionalità . . . 168

5.4. Riserva di giurisdizione, diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo e giusto processo . . . 170

Capitolo iv I modelli di prevenzione nel diritto internazionale e sovranazionale . . . 177

1. Profili generali della prevenzione del crimine globale nel diritto internazionale e sovranazionale. Caratteri del crimine globale ed esigenza di risposte globali . . . 177

1.1. I caratteri della prevenzione del crimine globale nel diritto internazionale e sovranazionale . . . 186

1.2. Profili problematici: indeterminatezza dell’ oggetto di tutela preventiva, confusione terminologica e sostanziale. Insufficienza di garanzie giurisdizionali . . . 192

2. Il modello di prevenzione negativa. Le c.d. smart sanctions . . . 200

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2.1. Competenza dell’ ONU in materia di prevenzione negativa . . . 203 2.2. Competenza dell’ Unione europea in materia di prevenzione negativa . . . 207 2.3. Le singole misure di prevenzione negative . . . 214

2.3.1. Le misure negative personali. Divieti in relazione a beni pericolosi;

divieto di ingresso e transito nel territorio nazionale; divieto di voli . . . 217 2.3.2. Le misure negative patrimoniali. Congelamento e trasferimento

di capitali; divieto di fornitura di beni pericolosi . . . 220 2.3.3. Le fattispecie di pericolosità. . . 221 2.3.4. Il procedimento di applicazione e i meccanismi di controllo . . . 228 3. Incertezza di confine fra modello di prevenzione negativa e modello

di prevenzione positiva . . . 237 3.1. Le misure di prevenzione positiva della frode e dei reati lesivi

degli interessi finanziari dell’ Unione europea. . . 239 3.2. Le misure di prevenzione della criminalità organizzata transnazionale

nel quadro della Convenzione di Palermo . . . 241 3.3. La prevenzione della corruzione fra misure positive

e misure negative patrimoniali . . . 245 3.4. Le misure positive e terapeutiche (anche praeter delictum)

e le misure negative post delictum di prevenzione dello sfruttamento

e abuso sessuale di minori e pornografia infantile . . . 250 3.5. Le misure positive e negative per la prevenzione della tratta

di esseri umani e il traffico di migranti . . . 256 4. Il problema della disomogenea tutela dei diritti e delle libertà fondamentali

nell’ ambito dei diversi ordinamenti sovranazionali.

Percorsi giurisprudenziali europei . . . 260 4.1. La competenza della Corte di giustizia dell’ Unione europea

a sindacare la legittimità degli atti di diritto europeo attuativi

di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza . . . 262 4.2. I principi affermati dalla Corte di giustizia. Diritti della difesa,

diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo e principio di proporzionalità . . . 263 4.3. Principio di legalità. Tassatività, determinatezza

e necessità di un giudizio di pericolosità in concreto . . . 266 Conclusioni

Bibliografia

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Capitolo i

Introduzione al problema del rapporto tra misure di prevenzione e pena

Sommario. 1. Oggetto e metodo della ricerca. – 2. Universalità dell' istanza di prevenzione del crimine tra istinto, ragione e diritto. – 3. Cenni storici sul rapporto fra misure di prevenzione e pena nelle tradizioni giuridiche di civil law e di common law. – 3.1.

Pene senza reato. I presupposti di applicazione delle prime misure di prevenzione. – 3.2.

L' identificazione teologica fra pena e misura preventiva. – 3.3. I contenuti delle misure di repressione preventiva.

1. Oggetto e metodo della ricerca

Oggetto della presente ricerca sono le misure negative di prevenzione speciale praeter delictum, extra delictum, sine delicto e ante delictum del c.d. crimine globale.

Per «crimine globale» intendiamo tutte quelle condotte criminose dotate di una dimensione di transnazionalità o di internazionalità secondo i criteri più disparati.

Fra tali criteri spiccano, anche alternativamente: la rilevanza sovranazionale dei beni oggetto di aggressione – condivisi, se non dall’ intera comunità internazionale, quanto meno da più di uno Stato; il fatto che si tratti di reati commessi, preparati, pianificati o diretti in più Stati; il fatto che abbiano conseguenze o effetti in Stati diversi. Sono pertanto crimini globali sia i crimini internazionali in senso stretto (crimini di guerra, crimini contro l’ umanità, crimini contro la pace, genocidio), che i reati transnazionali in genere (non esclusivamente la criminalità organizzata), nonché quelle azioni violente, come il terrorismo, a metà tra gli atti criminosi e gli atti di guerra e, pertanto, di difficile definizione e collocazione sistematica.

Per misure di prevenzione negative praeter, extra, ante delictum o sine delicto intendiamo tutte quelle misure che comportano restrizioni o privazioni, più o meno dirette, di libertà e diritti individuali applicabili sul presupposto di uno stato di pericolosità sociale del destinatario1, a prescindere dalla previa commissione di un fatto

1 Per il momento si vedano, in generale, A. Calabria, voce Pericolosità sociale, in Dig. disc. pen., vol. ix, utet, Torino 1995, p. 452 ss.; T. Padovani, La pericolosità sociale sotto il profilo giuridico, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, a cura di F. Ferracuti, vol. xiii, Giuffré, Milano 1990, p. 313 ss.; F. Tagliarini, voce Pericolosità, in Enc. dir., vol. xxxiii, Giuffrè, Milano 1983, p. 15 ss.; M. Pavarini, Il «socialmente pericoloso» nell’ attività di prevenzione, Giuffrè, Milano 1975; B.

Petrocelli, La pericolosità criminale e la sua posizione giuridica, cedam, Padova 1940.

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di reato. Può trattarsi di misure di carattere personale (detenzione preventiva, espulsione o divieto di ingresso e transito nel territorio nazionale, altri divieti e prescrizioni, etc.) o patrimoniale (sequestro e confisca preventivi, congelamento di capitali, etc.).

Balza all’ occhio come per identificare tali misure – in Italia semplicemente note come «misure di prevenzione» – abbiamo fatto ricorso a diversi attributi (preventive, negative, praeter delictum etc.). C’ è una ragione ben specifica, legata alla vocazione globale della nostra ricerca. L’ espressione «misure di prevenzione», come tale, non ha contenuti univoci nel panorama giuridico globale. Essa non ha, cioè, ancora un significato universale, ma si presta a fungere da contenitore dei provvedimenti preventivi più disparati a seconda dell’ ordinamento giuridico (o della tradizione giuridica) di riferimento.

Generalmente, nei paesi di common law, come il Regno Unito o gli Stati Uniti d’ America, esistono provvedimenti assimilabili alle nostre misure preventive, benché letteralmente le misure di crime prevention siano misure positive2 che mirano a prevenire il crimine mediante la riduzione delle occasioni di delinquenza e la promozione dell’ integrazione sociale e del benessere individuale e sociale. Non vi è afflittività nei loro contenuti. Esse piuttosto sviluppano e favoriscono (o, per lo meno, non comprimono) la personalità dell’ individuo. Possono trovare applicazione tanto ante quanto post delictum. Misure di questo tipo possono consistere in programmi di assistenza sociale, programmi formativi, premi e incentivi mirati alla promozione del rispetto della legalità, mezzi di difesa e di controllo generici (cani da guardia, sistemi d’ allarme, vigilanza privata etc.). Vedremo come pure diverse fonti di diritto sovranazionale ricorrano all’ espressione «misure di prevenzione» per intendere esclusivamente misure positive.

In certi paesi di civil law, invece, come in Italia o in Spagna, le «misure di prevenzione»

per antonomasia sono le misure negative predelittuali, come tali consistenti sempre in una compressione della sfera giuridica individuale, applicabili anche prima della commissione di un reato. Esse si vorrebbero distinte tanto dalle «misure di sicurezza»

quanto dalle «misure cautelari». Le misure di sicurezza sono pure misure negative special-preventive, ma applicabili esclusivamente sul presupposto della commissione di un reato, post delictum. Peraltro, mentre le misure di sicurezza hanno di solito natura penale e garanzia giurisdizionale, le misure di prevenzione pretendono spesso di avere natura puramente amministrativa. Le misure cautelari, pur negative nei contenuti, tenderebbero a distinguersi dalle misure di prevenzione e di sicurezza in ragione delle loro funzioni endo-processuali, piuttosto che special-preventive, peraltro talvolta considerate, e del presupposto applicativo, consistente nell’ avvio di un procedimento per un reato che si ritiene esser già stato commesso. Rinviamo al prosieguo migliori distinzioni, fin d' ora evidenziando la comune finalità special-preventiva.

2 Sulla distinzione fra misure di prevenzione positive e negative vedi amplius, infra, cap. iii, par. 1.

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Le misure di prevenzione positive sono oggetto di studi prevalentemente di tipo criminologico e sociologico. La scienza penale, invece, si interessa soprattutto delle misure di prevenzione negative, in virtù dei loro contenuti, prossimi, se non coincidenti con quelli della pena. L’ interesse del penalista nei riguardi di queste misure, peraltro, pare destinato a intensificarsi, in considerazione del progressivo sviluppo di articolati sistemi di prevenzione negativa nell’ ambito tanto degli ordinamenti giuridici nazionali, quanto di quelli sovranazionali, cui si è assistito negli ultimi dieci anni.

In particolare, a far data dall’ 11 settembre 2001, si è registrato un ampio ricorso a misure di prevenzione negativa per contrastare l’ affermarsi di aggressioni criminose sempre più gravi3, anche da parte di ordinamenti prima orientati prevalentemente alla prevenzione positiva. La tragica esperienza di devastanti attentati terroristici, come quelli di New York, Londra e Madrid, avrebbe dimostrato l’ insufficienza del mero effetto deterrente della pena in senso stretto ad assicurare un’ efficace tutela dalle più evolute minacce del crimine globale. Si è fatta strada l’ idea della necessità di imporre coercizioni preventive finalizzate a neutralizzare la pericolosità soggettiva molto prima della perpetrazione della condotta criminosa.

Alla (ritenuta) efficacia preventiva delle misure preventive negative si accompagnano, però, profili intensamente problematici. In particolare, tali misure sono spesso applicate a discapito dei principi di stretta legalità4, di giurisdizionalità5 e del giusto processo, che dovrebbero pur sempre presiedere all’ applicazione di misure dai contenuti analoghi a quelli di sanzioni penali propriamente intese. E ciò in ogni Stato di Diritto, in quanto si tratta di principi che rappresentano (fra l’ altro) il portato diretto della separazione fra i poteri statali6.

In primo luogo, spesso manca una tipizzazione legislativa della fattispecie di pericolosità. Anche laddove vi sia una qualche descrizione normativa della pericolosità, essa non sempre è tassativa e sufficientemente determinata, né fondata su specifici elementi di fatto riferibili a precise fattispecie criminose, ma piuttosto su vaghi e generici elementi indiziari o di sospetto. In secondo luogo, non sempre è richiesto legislativamente un compiuto accertamento della pericolosità in concreto del soggetto. La carente tipizzazione porta a una discrezionalità incontrollata e comunque eccessiva delle autorità competenti all’ applicazione di tali misure, mentre la mancanza del requisito di un giudizio di pericolosità in concreto lascia spazio alla

3 Vedi M. Delmas-Marty, Global Crime Calls for Global Justice, in «Eur. J. Crime Crim. L. & Crim Just», 10, 2002, p. 286 ss.

4 In tema si veda P. Nuvolone, Legalità e prevenzione, in «Giur. cost.», 1964, p. 197 ss.

5 Sulla funzione di tutela dei diritti fondamentali delle garanzie giurisdizionali vedi L. Carlassare (a cura di), Le garanzie giurisdizionali dei diritti fondamentali, cedam, Padova 1988.

6 Su questi profili, oltre alle opere che andremo citando nel prosieguo, vedi, in prospettiva anche sovranazionale, i vari contributi contenuti nell’ opera collettanea in due volumi S. Moccia (a cura di), Diritti dell’ uomo e sistema penale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2002.

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mera presunzione astratta di stati di pericolosità individuali sulla base di elementi anche del tutto soggettivi e indeterminati. In certi casi, inoltre, l’ applicazione delle misure è affidata esclusivamente ad autorità amministrative o organismi politici, senza la predeterminazione di regole procedurali che possano garantire l’ osservanza dei diritti della difesa (come il diritto all’ assistenza tecnica di un difensore o il diritto al contraddittorio) e i principi del giusto processo. Non sempre, peraltro, è previsto un controllo giudiziario delle determinazioni di tali autorità e organismi. I diritti fondamentali perdono, così, la loro giustiziabilità e rimangono esposti ai sacrifici che la ragion politica ritenga di dover imporre a seconda dei casi.

È evidente il rischio di abusi e arbitrii cui si presta un simile sistema di prevenzione. Al di fuori del rispetto di quei principi – tipicamente penalistici – che dovrebbero fungere da limiti insormontabili all’ imposizione di ogni restrizione e privazione della libertà personale, si spalancano le porte alla legittimazione di misure di emarginazione dei c.d. asociali non pericolosi, delle più disparate restrizioni delle libertà fondamentali dei dissidenti politici o religiosi, della detenzione preventiva di soggetti sgraditi al potere politico o perfino dell’ eliminazione fisica di certi nemici.

Eppure, i giuristi di molti paesi giungono impreparati ad affrontare i denunciati rischi della prevenzione negativa praeter delictum. Nella maggior parte degli ordinamenti, quando non sparisce del tutto in favore della prevenzione positiva, essa assume, infatti, un ruolo del tutto residuale. In certi casi, essa viene riservata a tempi di emergenza o di guerra, secondo una disciplina derogatoria rispetto ai principi dello stato di diritto e ai diritti e alle libertà fondamentali della persona, e, perciò, rigorosamente temporanea.

Pochi sono gli ordinamenti che, nonostante le critiche rivolte da più parti, hanno fatto largo ricorso in passato alle misure di prevenzione praeter delictum. E, tra questi, alcuni, come la Spagna e il Belgio, hanno abrogato qualche decennio fa tali misure, in quanto ritenute un retaggio di vecchi autoritarismi, ormai incompatibile con i principi del diritto penale contemporaneo, quali appunto la legalità, in tutti i suoi corollari, e la giurisdizionalità. Negli ordinamenti in cui le misure di prevenzione sono diventate uno strumento ordinario di lotta alla criminalità, tuttavia, si è passati dalla critica tout court alla consapevolezza della loro necessità, in certi casi, e, quindi, allo sforzo di ricondurne l’ applicazione al rispetto dei diritti fondamentali della persona, per il tramite delle garanzie e delle tutele offerte dai principi giuspenalistici7.

Un ruolo importante nel processo di razionalizzazione va riconosciuto all’ Italia.

Oggetto di grande attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, anche sovranazionale8, degli ultimi cinquant’ anni, le misure di prevenzione in Italia

7 Su tutti questi temi si tornerà ampiamente nei prossimi due capitoli.

8 Vedi, ad esempio, le pronunce riguardo all' Italia della Corte europea dei diritti dell’ uomo nei casi Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, n. 7367/76; Ciulla c. Italia, 2 febbraio 1989, n. 11152/84;

Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, n. 12954/87; Labita c. Italia, 6 aprile 2000, n. 26772/95; Sante Santoro c. Italia, 1 luglio 2004, n. 36681/97. Si veda quanto diremo infra, cap. iii, par. 5.

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sono state introdotte nel XIX secolo quali misure di polizia. Dopo una prima ristrutturazione a seguito dell’ entrata in vigore della Costituzione, esse sono state largamente reimpiegate e ampliate per debellare la drammatica emergenza della criminalità organizzata fra gli anni Sessanta e Novanta. Lungi dal rivestire un ruolo meramente residuale o temporaneo, quale si addice a ogni misura di carattere eccezionale, esse si sono gradualmente conquistate uno spazio centrale nella lotta alla criminalità in Italia, al punto che sono state recentissimamente riordinate nell’ ambito del nuovo Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione9 (un unicum nel panorama legislativo internazionale). La costruzione di un vero e proprio sotto-sistema di prevenzione negativa all’ interno del sistema penale va ascritta anche alla pur critica elaborazione scientifica della dottrina italiana del secolo scorso, che ha tentato strenuamente di riportare il legislatore, per quanto possibile, ai principi garantistici tipici del diritto penale10.

Va notato, peraltro, come anche in paesi in cui il ricorso alle misure di prevenzione negativa sia meno sistematico, certa attenta dottrina abbia incominciato, ormai da qualche tempo, a costruire una c.d. «jurisprudence of preventive intervention», ossia un complesso di principi garantistici volti a governare l’ applicazione di misure preventive negative11. Benché tali studi risultino ancora sporadici e poco decisivi rispetto al corpus di letteratura e giurisprudenza prodotto in Italia nell’ arco di più di un secolo, essi palesano, se non altro, l’ ormai indifferibile esigenza di una sistematizzazione e rappresentano, comunque, un primo passo12.

9 D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).

10 Cfr., per il momento, P. Nuvolone, Le misure di prevenzione nel sistema delle garanzie sostanziali e processuali della liberta del cittadino, in G. Bettiol et al., Stato di diritto e misure di sicurezza, Atti del I Convegno di diritto penale (Bressanone, 1961), cedam, Padova 1962, p. 163 ss., ora in Trent’ anni di diritto e procedura penale, I, cedam, Padova 1969, p. 367 ss. Per una recente, sintetica panoramica critica sulle misure di prevenzione nel diritto italiano si veda, con riferimento anche alle posizioni giurisprudenziali, S. Riondato, Le misure di prevenzione e il degrado delle garanzie annunciato da Giuseppe Bettiol, in Id. (a cura di), Dallo Stato Costituzionale Democratico di Diritto allo Stato di Polizia?

Attualità del «Problema penale». Nel Trentesimo dall’Ultima Lezione di Giuseppe Bettiol, Padova University Press, Padova 2012, p. 117 ss.

11 Ci riferiamo, in particolare, ad Alan Dershowitz, che nel suo A.M. Dershowitz, Preemption: a knife that cuts both ways, Norton, London-New York 2006, riprende il lavoro già in parte abbozzato in precedenza (Id., The Origins of Preventive Confinement in Anglo-american Law – Part I: The English Experience, in

«U. Cin. L. Rev.», 43, 1974, p.1 ss.; Id., The Origins of Preventive Confinement in Anglo-american Law – Part II: The American Experience, ivi, p. 781 ss.; Id., Preventive Confinement: A Suggested Framework for Constitutional Analysis, in «Tex. L. Rev.», 51, 1972-1973, p. 1277 ss.). Un’ analoga operazione, ma con riferimento specifico alla guerra preventiva, è stata condotta da Michael Doyle (M.W. Doyle, Striking first.

Preemption and prevention in international conflict, Princeton University Press, Princeton 2008).

12 Cfr. M.W. Doyle, Casting the First Stone, in «Washington Post», 16 giugno 2006: secondo l’ Autore il lavoro di Dershowitz si espone a diverse critiche, ma, se non altro, ha il merito di aver «scagliato la prima pietra».

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Tale sistematizzazione, tuttavia, non può più limitarsi al solo diritto nazionale. La diffusione delle misure di prevenzione negative anche negli ordinamenti sovranazionali impone una razionalizzazione globale. Occorre cioè una sistematizzazione universale delle misure di prevenzione del crimine globale che possa servire a strutturare i sistemi preventivi tanto nazionali quanto sovranazionali e a contenere i menzionati rischi di abusi13.

Obiettivo della presente ricerca è proprio quello di avviare una siffatta sistematizzazione. Ci proponiamo, in particolare, di:

a. effettuare una ricognizione normativa comparatistica al fine di tratteggiare i diversi modelli di prevenzione del crimine esistenti a livello nazionale;

b. analizzare, anche alla luce delle categorie di diritto interno, la legislazione internazionale e sovranazionale in materia di prevenzione della criminalità globale, onde individuare (specie fra i provvedimenti di incerta natura – po- litici, penali o bellici? – che non hanno ancora trovato un preciso inquadra- mento sistematico) le misure di prevenzione negative attualmente previste e tentare di organizzarle in un sistema complessivo che possa risultare fruibile ai giuristi di qualsiasi nazionalità;

c. verificare la legittimazione delle misure così individuate e identificare i limiti e i principi minimi cui debbono soggiacere;

d. formulare eventuali proposte per migliorare la legislazione vigente in materia nel senso di un maggior rispetto delle garanzie e le libertà umane fondamen- tali e di una maggiore efficacia preventiva.

Nonostante le misure di primario interesse per la nostra ricerca siano quelle negative, nel corso della trattazione prenderemo in considerazione anche le misure positive, in prospettiva di raccordo fra criminologia e diritto penale14. In primo luogo, il loro studio può rivelarsi necessario al fine di delineare con la maggior precisione possibile i confini fra queste ultime e le misure negative, e verificare se entro i contenuti apparentemente benefici delle misure di prevenzione positiva non si annidino forme più o meno indirette di compressione della libertà personale. In secondo luogo, potrà essere opportuno rendere conto delle più disparate tecniche di prevenzione della criminalità previste dagli ordinamenti internazionale e regionali, allo scopo di verificare, almeno in una prospettiva de jure condendo, se i modelli di prevenzione positiva si rivelino non solo più rispettosi dei diritti e delle libertà fondamentali, ma anche più efficaci nei confronti di quelle forme di criminalità che oggi si ritiene di poter combattere solo con limitazioni di libertà.

13 Per un approfondimento sul tema del c.d. «diritto globale» vedi S. Cassese, Il diritto globale: giustizia e democrazia oltre lo Stato, Einaudi, Torino 2009 e G. Ziccardi Capaldo, Diritto globale: il nuovo diritto internazionale, Giuffrè, Milano 2010.

14 Cfr. L. Monaco, Su teoria e prassi del rapporto tra diritto penale e criminologia, Grafica 10, Città di Castello 1983 (anche in Studi urbinati, 33, 1982, p. 399 ss.).

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In quest’ ottica, lo studio delle misure di prevenzione della criminalità globale può rappresentare un ulteriore punto di partenza per delineare una grammatica universale del diritto penale15.

Quanto al metodo adottato dalla presente ricerca, esso ci è suggerito dalla prospettiva globale dettata dal tema oggetto del nostro lavoro, nonché dalla potenziale ampiezza e varietà dei destinatari che potrebbero beneficiarne. Nonostante la rilevanza della dottrina italiana in materia, la nostra analisi non sarà aprioristicamente costretta entro gli schemi dogmatici del diritto interno: anzi, nella ricerca delle categorie e dei principi applicabili alle misure di prevenzione del crimine globale, faremo ampio ricorso alla comparazione giuridica, imprescindibile viatico per una compiuta lettura della legislazione internazionale e sovranazionale, nonché per l’ adozione di un linguaggio possibilmente comune16.

Del resto, le strategie preventive adottate dalle organizzazioni internazionali e regionali spesso ripetono i propri tratti salienti (insieme con i rispettivi pregi e difetti) dalle strategie elaborate in seno agli ordinamenti nazionali. Perciò, la sistematizzazione del diritto positivo sovranazionale in materia di prevenzione del crimine globale può ben prendere le mosse anche dall’ analisi del diritto interno17.

I limiti di questa trattazione e, soprattutto, la strumentalità della nostra analisi

15 Su questa esigenza vedi, ex multis, i lavori di George P. Fletcher: G.P. Fletcher, Rethinking Criminal Law, Little, Brown, Boston 1978); più di recente, vedi Id., Basic concepts of criminal law, Oxford University Press, New York 1998 (vedine pure l’ ottima traduzione italiana a cura di M. Papa, Grammatica del diritto penale, Il Mulino, Bologna 2004, che merita autonoma lettura, e – con più ampia prospettiva – G.P. Fletcher, Basic concepts of legal thought, Oxford University Press, New York 1996), lavoro poi ulteriormente sviluppato in Id., The grammar of Criminal Law: American, comparative, and international, Oxford University Press, Oxford-New York 2007. Si veda, inoltre, Id., S. Shepard, American law in a global context: the basics, Oxford University Press, New York 2005 (in particolare Part IV – Criminal Law: The Adversary System and Its Alternatives, p. 531 ss.). Per un approccio non limitato al diritto penale, si veda pure I. Edge (ed.), Comparative Law in Global Perspective, Transnational Publishers, Ardsley 2000. Di recente, con riferimento al sistema di diritto internazionale, si veda la sistematizzazione elaborata da R. Borsari, Diritto punitivo sovranazionale come sistema, cedam, Padova 2007. Cfr. pure G. Fiandaca, Sul contributo della scienza penalistica alla costruzione di un diritto penale europeo, in «Nuove Autonomie», 1, 2006, p. 59 ss.

16 Cfr. P.J.A. Feuerbach, Kleine Schriften vermischten Inhalts, Verlag von Theodor Otto, Nürnberg 1833, p. 163. Si vedano anche G. Fornasari, Aspectos problematicos de la relacion entre comparacion penal y derecho penal internacional, in «Revista del Ministerio Público», 2006, p. 168 ss.; Id., Sfide e conquiste della comparazione penalistica, in E. Dolcini, C.E. Paliero (a cura di), Studi on. Marinucci, t.

i, Giuffrè, Milano 2006, p. 265 ss.; E. Fronza, Riflessioni sulla nascita di un sistema penale internazionale:

il ruolo della comparazione, in L. Foffani (a cura di), Diritto penale comparato, europeo e internazionale:

prospettive per il XXI secolo. Omaggio a Hans-Heinrich Jescheck per il 92° compleanno, Giuffrè, Milano 2006, p. 171 ss.; F.C. Palazzo, M. Papa, Lezioni di diritto penale comparato, Giappichelli, Torino 2005, cap. I, La comparazione nel diritto penale, pp. 2-41.

17 Cfr. M. Delmas-Marty, The Contribution of Comparative Law to a Pluralist Perception of International Criminal Law, in «J. Int’ l Crim. Just.», 1, 2003, p. 13 ss. Vedi pure G. Zuccalà, L’ unitario diritto penale europeo come meta del diritto penale comparato?, in «Riv. trim. dir. pen. econ.», 2002, p. 603 ss.

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comparatistica rispetto all’ individuazione di categorie e concetti utili a descrivere in chiave sistematica le misure di prevenzione di diritto internazionale e sovranazionale, ci impongono di prendere in considerazione solo alcuni ordinamenti giuridici nazionali, selezionati in base a diversi criteri, fra cui l’ originalità (o la tradizionalità) di talune soluzioni adottate, la rilevanza della relativa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia di prevenzione, l’ influenza sulla scena politica mondiale, etc. Per il futuro sarebbe auspicabile, proprio ai fini di una miglior percezione della situazione globale in tema di prevenzione, una compiuta analisi comparatistica delle misure di prevenzione negative praeter delictum previste dalla maggior parte degli ordinamenti giuridici18.

Inoltre la tematica renderebbe quanto mai necessaria l’ adozione di una prospettiva interdisciplinare ancora di là da venire, in quanto la materia richiama l’ attenzione di studiosi di diversi settori giuridici (dal diritto penale al diritto internazionale, dal diritto costituzionale al diritto militare…)19 e financo di diversi ambiti scientifici (dal diritto alla filosofia, dalle scienze politiche alle discipline sociologiche…). Il che è vero soprattutto in relazione alla risposta di certi ordinamenti ad atti criminosi particolarmente violenti, quali quelli perpetrati dal terrorismo internazionale, che spesso suggeriscono la necessità di regimi emergenziali derogatori rispetto all’ ordinamento costituzionale ordinario.

La prospettiva globale condizionerà anche le nostre opzioni terminologiche.

Per quanto possibile, cercheremo di far uso di termini facilmente comprensibili (e traducibili) quanto meno in lingua inglese, al fine di consentire una certa diffusione e fruibilità del nostro lavoro al di fuori dei confini nazionali.

In proposito, avvisiamo sin d’ ora che, proprio ai fini della progressiva costruzione di un linguaggio tecnico-giuridico quanto più universale in materia, riterremmo auspicabile la diffusione globale, in ambito penalistico, dell’ espressione sintetica

«misure di prevenzione» (o «misure preventive») per indicare, in senso stretto, le misure negative di prevenzione speciale applicabili a soggetti socialmente pericolosi, a prescindere dall’ (accertamento della) previa commissione di un reato.

Molti i benefici che potrebbero trarsi dall’ adozione di siffatta convenzione terminologica. Essa consentirebbe, innanzitutto, di identificare immediatamente tali misure e di distinguerle altrettanto immediatamente dalle misure cautelari e dalle misure

18 Per un approccio di questo tipo, si cfr. A. Harding, J. Hatchard (eds.), Preventive Detention and Security Law. A Comparative Survey, Martinus Nijhoff Publishers, Dordrecht-Boston-London 1993 (sia pur limitato a sedici sistemi di common law derivanti le loro caratteristiche per lo più dal sistema britannico); nonché F. Sgubbi, Le «misure di prevenzione» nei principali ordinamenti dell’ Europa continentale, in Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Le misure di prevenzione, Atti del Convegno «Enrico de Nicola» (Alghero, 26-28 aprile 1974), Giuffrè, Milano 1975, p. 317 ss. (sia pur ormai piuttosto risalente nel tempo). Per un lavoro più recente, con interesse però ai risvolti più criminologici che strettamente penalistici, si veda A. Crawford (ed.), Crime Prevention Policies in Comparative Perspective, Willam Publishing, Cullompton-Portland 2009.

19 In questo senso, in particolare contro l’ «isolamento cronico» degli internazionalisti, dei filosofi del diritto e dei giuspenalisti nello studio del diritto di guerra, vedi G.P. Fletcher, Is Justice Relevant to the Laws of War?, in «Washburn L.J»., 48, 2008-2009, p. 407 ss. e passim.

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di sicurezza ed eviterebbe la proliferazione di termini e attributi, dal significato spesso incerto, discutibile o intraducibile, per qualificare la medesima categoria di provvedimenti giuridici. Inoltre, potrebbe giovare non poco alla redazione e all’ interpretazione dei testi normativi internazionali e sovranazionali. Infine, garantirebbe una maggiore sintesi e una migliore linearità espositiva (nonché una maggiore estetica del linguaggio). Ma, soprattutto, il ricorso a una simile consuetudine linguistica potrebbe rivelarsi utile su un piano sostanziale, anche a fronte della tendenza, ricorrente specie in ambito sovranazionale, a far confluire certe misure di prevenzione praeter delictum nel più ampio genus delle «sanzioni penali» in relazione alle loro caratteristiche e ai loro effetti, anziché in base al loro nomen juris, secondo un approccio contenutistico-sostanziale piuttosto che formalistico20. Se è vero che l’attrazione delle misure di prevenzione negativa praeter delictum nell’ambito delle sanzioni penali (e, perciò, dei principi che presiedono alla loro applicazione) è, come diremo, del tutto apprezzabile e auspicabile, è pur vero che tale assimilazione non può e non deve portare a trascurare o, peggio, ad obliterare la specificità della funzione (puramente special-preventiva e non già punitiva) e dei presupposti applicativi (una fattispecie di pericolosità e non già una fattispecie di reato) di tali misure rispetto alle altre «sanzioni penali» (pene e misure di sicurezza)21. Specificità, queste, che non possono non riflettersi sulla precipua disciplina normativa di ciascuna sanzione o misura. Peraltro occorre considerare che alla ricordata tendenza unificatrice si contrappongono opposti orientamenti volti a negare natura di sanzione penale alle misure di prevenzione negative praeter delictum, proprio in virtù della loro funzione puramente preventiva o per via della loro applicazione in (occasionale) concomitanza con procedimenti penali, il che fa propendere taluno per una configurazione in termini di misure processuali cautelari nonostante il fine preventivo anziché endoprocessuale.

Una chiara distinzione, anche terminologica, fra i diversi tipi di sanzioni penali, pur sottoposti ai medesimi principi garantistici, non potrà che stimolare un’attenta riflessione su tali profili e agevolare applicazioni concrete quanto più efficaci rispetto ai fini precipui di ogni sanzione/misura e maggiormente rispettose dei diritti individuali.

Beninteso, in senso lato – e quindi al di fuori dell’ ambito strettamente penalistico – l’ espressione «misure di prevenzione» potrà pure continuare a comprendere le misure di prevenzione positive, quelle, cioè, consistenti in un incremento della sfera giuridica personale.

A ogni buon conto, in attesa che possa consolidarsi tale consuetudine, in questo

20 Vedi amplius, infra, cap. ii, par. 1.2 e cap. iv, par. 1.2. Per ora cfr., ex multis, V. Manes, Introduzione. La lunga marcia della Convenzione europea ed i “nuovi” vincoli per l’ordinamento (e per il giudice) penale interno, in V. Manes, V. Zagrbelsky, (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell'uomo nell'ordinamento penale italiano, Giuffrè, Milano 2011, p. 2 ss. e G. Mannozzi, Diritti dichiarati e diritti violati: teoria e prassi della sanzione penale al cospetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ivi, p. 299 ss.

21 Su questi profili, con riferimento al «concetto unitario della “sanzione criminale”», cfr. già A. De Marsico, Le misure di sicurezza nei progetti preliminari germanico, austriaco e svizzero, in «Riv. it. dir.

proc. pen.», 1912, p. 1 ss.

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lavoro ci serviremo ancora di espressioni più articolate, per evitare facili confusioni (specie fra misure positive e negative). Una prima semplificazione, però, si può già operare: fra le varie espressioni latine proposte per qualificare tali misure, la più comprensiva ci pare «praeter delictum» (o l’ analoga «extra delictum»), pertanto – ove necessario – ricorreremo prevalentemente a questa. La locuzione sine delicto sembra indicare soltanto misure applicabili quando non sia stato affatto commesso alcun reato. Essa sembra escludere, cioè, i casi in cui, invece, un reato è stato commesso ma ai fini dell’ applicazione della misura si prescinde dal suo accertamento. Quanto all’ espressione ante delictum, essa risulta impropria poiché, a ben vedere, ogni misura di prevenzione – anche quelle applicabili a seguito dell’ accertamento di un reato già perpetrato – è intrinsecamente ante delictum in quanto finalizzata a evitare la futura perpetrazione di (ulteriori) reati22. Le espressioni «praeter» e «extra delictum», invece, si limitano meramente a evidenziare l’ irrilevanza della previa commissione di un reato ai fini dell’ applicazione delle misure in questione. Esse ben distinguono, perciò, le misure preventive da quelle di sicurezza, pur senza escludere la possibilità di applicazioni delle prime anche a seguito della commissione di un fatto di reato.

2. Universalità dell’ istanza di prevenzione del crimine tra istinto, ragione e diritto Prendiamo le mosse da un assunto universalmente condivisibile: l’ istanza di prevenzione del crimine è prerogativa di ogni ordinamento giuridico.

L’ esigenza (pre-giuridica) di prevenire il male, e, quindi, il crimine, quale malum23 immanente a ogni contesto sociale24, appartiene a ogni civiltà, non solo in quanto istanza razionale logicamente conseguente all’ esperienza del carattere offensivo di certi fatti25, bensì prima ancora quale prodotto dell’ insopprimibile istinto di sopravvivenza che caratterizza ogni essere umano26 e di quella zona d’ ombra dell’ irrazionalità che è la paura27.

22 Prae + venire: venire prima. Cfr. P. Nuvolone, Misure di prevenzione, cit., p. 633; F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cedam, Padova 20014, p. 903.

23 «Malum actionis», secondo le immortali parole di Grozio (H. de Groot, De iure belli ac pacis libri tres, libro ii, cap. xx, De poenis, § 1, Paris 1625, p. 557).

24 E. Durkheim, Les règles de la méthode sociologique (1893), Paris 19074, p. 81.

25 In questo senso la prevenzione è davvero «una componente ontologicamente necessaria di ogni società organizzata» (F. Bricola, Forme di tutela «ante-delictum» e profili costituzionali della prevenzione, in Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Le misure di prevenzione, cit., p. 64. Vedi le ficcanti considerazioni di V.W. Peterson, Facts and Fancies in Crime Prevention, in «J. Crim. L. & Criminology», 38, 1948, p. 466 ss., il quale, a ridosso del secondo dopoguerra ricordava l’ universalità e la storicità del problema della prevenzione del crimine, «not a new one nor […] peculiar to modern America».

26 A.M. Dershowitz, The Origins of Preventive Confinement – Part I, cit., p. 11. Cfr. anche Id., Preemption, cit., p. 29. Vedi pure J.A. Roux, Cours de droit criminel français, t. ii, Droit pénal, Sirey, Paris 1927, p. 8.

27 Sull’ argomento vedi l’ efficace lavoro di J.M. Rico e L. Salas, Inseguridad ciudadana y policía, Tecnos,

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L’ esigenza preventiva è anche un’ esigenza giuridica: la prevenzione accede, cioè, al diritto. L’ istanza preventiva sostanzia, infatti, lo stesso concetto di tutela di beni, diritti o interessi, cui ogni ordinamento giuridico è preposto. Cos’ altro significa tutelare, se non proteggere da eventuali aggressioni, evitare ogni possibile lesione?

Una tutela effettiva presuppone un’ azione preventiva28. In questo senso, ha senz’ altro ragione Pietro Nuvolone quando afferma che la tutela dei beni e degli interessi oggetto di protezione penale, esige logicamente che il legislatore si proponga il fine di evitare l’ offesa di questi beni e di questi interessi29 e che prevenire il reato è un compito imprescindibile dello Stato, che si pone come un prius rispetto alla potestà punitiva30. L’ adagio per cui «è meglio prevenire i delitti che punirli», espresso già nel secondo secolo dopo Cristo da Tacito31 e ripetuto più di millecinquecento anni dopo da Cesare Beccaria32, ricorre, nel corso della storia – a metà strada fra la saggezza di un proverbio e la mistica di un mantra – nella letteratura giuridica33. E, del resto, non pare proprio possibile contestare – in astratto – la ragionevolezza della preferenza per la prevenzione del crimine rispetto alla sua punizione. La questione verte sui mezzi.

La presa in carico da parte dell’ ordinamento dell’ istanza criminal-preventiva (prevenzione in senso teleologico, finalità preventiva) si traduce nell’ adozione delle più disparate forme di intervento (prevenzione in senso oggettivo, intesa cioè quale azione preventiva o insieme di misure preventive in senso lato). La conformazione e i contenuti (positivi o negativi) della prevenzione del crimine variano, naturalmente, di ordinamento in ordinamento, a seconda del contesto sociale, ideologico e politi-

Madrid 1988. In particolare, si vedano le pp. 43 ss. Cfr. anche – in altra prospettiva – C.R. Sunstein, Laws of fear: beyond the precautionary principle, Cambridge University Press, Cambridge (UK)-New York 2005.

28 Cfr. C. Beccaria, Dei delitti e delle pene (1764), Feltrinelli, Milano 200713, § xli, per cui la prevenzione del crimine sarebbe «il fine principale d’ ogni buona legislazione, che è l’ arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d’ infelicità possibile, per parlare secondo tutt’ i calcoli dei beni e dei mali della vita».

29 P. Nuvolone, voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Enc. dir., vol. xxvi, Giuffrè, Milano 1976, p. 632.

30 Id., Relazione introduttiva, in Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Le misure di prevenzione, cit., p. 16.

31 Tramite le parole di Cornelius Dolabella «a legibus delicta puniri: quanto fore mitius in ipsos, melius in socios, provideri ne peccaretur?»: Publius Cornelius Tacitus, Annales, iii, p. 69.

32 C. Beccaria, op. loc. cit.

33 Si vedano, ad esempio, L. Toussaint, Société et répression, Rousseau, Paris 1936, p. 14; R. Merle, A.

Vitu, Traité de Droit Criminel, t. ii, Problèmes généraux de la science criminelle. Droit pénal général, Editions Cujas, Paris 19845, p. 123. Per i sistemi di common law si veda W. Blackstone, Commentaries on the Laws of England, vol. iv, Clarendon Press, Oxford 1778, p. 251. Sul pensiero di Blackstone in tema di giustizia preventiva cfr. amplius A.M. Dershowitz, Preventive Detention and the Prediction of Dangerousness. The Law of Dangerousness: Some Fictions about Predictions, in «J. Legal Educ.», 23, 1970-1971, p. 24 ss.; Id., The Origins of Preventive Confinement in Anglo-american Law – Part I, cit., passim e ora anche Id., Preemption, cit.

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co, nonché degli sviluppi delle scienze giuridiche e sociali. Nondimeno, proprio la natura pre-giuridica dell’ istanza preventiva consente di individuare alcuni tratti e problemi universali.

In generale, si può affermare che l’ azione preventiva, di qualsiasi natura essa sia, consiste sempre nella rimozione o nella riduzione delle cause, più o meno remote, della criminalità34.

Com’ è noto, tuttavia, la ricostruzione dell’ eziologia del crimine è operazione assai complessa e vivacemente dibattuta nell’ ambito di diversi settori scientifici. Una compiuta individuazione delle ragioni biologiche, psicologiche, sociali, ambientali della delinquenza e la conseguente predisposizione di un apparato di misure volte a gestire e contenere questi fattori causali sembrano ancora assai lontane. Si profila, pertanto, in ogni ordinamento, l’ eventualità del ricorso a provvedimenti finalizzati a rimuovere la causa ultima della criminalità: la libertà personale. È, infatti, la libertà personale – se non altro nella sua dimensione materiale – l’ indiscusso motore di ogni condotta criminosa, in quanto condotta umana. Anche l’ autore di reato che non disponga della propria libertà morale (ad esempio, l’ infermo di mente, il tossicodipendente o colui che delinque dietro minaccia) agisce in virtù dell’ esercizio della propria libertà fisica35.

Nella sua ovvia logica meccanicistica, l’ inibizione della libertà personale a scopo preventivo è l’ unica misura in grado di dimostrarsi efficace anche laddove ogni altro intervento preventivo fallisca. Ciò spiega il fatto che nessun ordinamento, neppure quelli più liberali e progressisti, sia ancora riuscito ad affrancarsi completamente dal ricorso a misure preventive di contenuto negativo (quanto meno per contenere la pericolosità dei soggetti che non sono padroni delle proprie azioni)36.

La sola efficacia di una misura, tuttavia, è condizione necessaria, ma non certo sufficiente a legittimarne l’ utilizzo in uno stato (o in una comunità)37 di diritto.

In uno stato di diritto, l’ inevitabile accesso dell’ istanza preventiva all’ ordinamento

34 E. Gallo, voce Misure di prevenzione, in Enc. giur., vol. xx, Treccani, Roma 1990, p. 1 ss.; P. Mazza, Pericolosità sociale e legalità, cedam, Padova 2012, p. 156. Cfr. anche C.A. Murdock, Methods of Prevention, intervento alla Pacific Coast Conference of Charities, San Francisco 1886, p. 1. Sul tema si veda anche W.A.

Lunden, The Theory of Crime Prevention, in «Brit. J. Criminology», 2, 1961-1962, p. 213 ss.

35 Su questi profili vedi, più approfonditamente, Balbi G., La volontà e il rischio penale d’ azione, Jovene, Napoli 1995; M. Bertolino, L’ imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Giuffrè, Milano 1990, nonché, più di recente, Id., Il «breve» cammino del vizio di mente. Un ritorno al paradigma organicistico?, in «Criminalia», 2008, p. 325 ss. e Id., Le incertezze della scienza e le certezze del diritto a confronto sul tema della infermità mentale, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 2006, p. 539 ss.

36 In argomento, F. Bricola, Fatto del non imputabile e pericolosità, Giuffrè, Milano 1961.

37 Cfr. CGCE, 3 settembre 2008, C-402/05 P e C-415/05 P, Yassin Abdullah Kadi e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione, in «Raccolta», 2008, i-6351, §§ 81, 316, nonché Trib. UE, 21 settembre 2005, T-315/01, Yassin Abdullah Kadi c. Consiglio e Commissione, ivi, 2005, ii-3649, § 209 e Trib. UE, 21 settembre 2005, T-306/01, Ahmed Ali Yusuf e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione, ivi, ii-3533, § 260 e giurisprudenza ivi richiamata. Su queste pronunce ci intratterremo nel quarto capitolo.

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giuridico dovrebbe essere sempre e comunque governato dalla razionalità del diritto, che limita e legittima l’ esercizio di ogni potere statale38.

Ma – si sa – non sempre è facile tracciare i confini fra ragione e istinto39. La componente intuitiva e irrazionale dell’ istanza preventiva rappresenta per ogni sistema giuridico un persistente fattore di rischio di strumentalizzazioni e irrigidimenti utilitaristici (la prevenzione «costi quel costi»), destinati a sfociare in gravi menomazioni dei diritti fondamentali della persona. Anche di recente e anche in ordinamenti considerati democratici si è assistito a casi di sistematico ricorso alla manipolazione della libertà personale (quando non addirittura alla manomissione dell’ integrità fisica) a scopi di controllo sociale, al di fuori di ogni confine garantistico. Si pensi a quanto è avvenuto, ad esempio, negli Stati Uniti d’ America, ove, dopo l’ attacco alle Twin Towers, è stato concepito un sistema di detenzione preventiva che, affidato al potere politico al di fuori di ogni controllo giurisdizionale, ha finito per comprendere anche la tortura.

A favorire tali derive è senz’ altro l’ espunzione, in certi ordinamenti, delle misure di prevenzione negative praeter delictum dal sistema penale, spesso indotta in base a concezioni troppo formalistiche. Si invoca una pretesa differenza teleologica e ontologica fra pene e misure di prevenzione al fine di ascrivere queste ultime a settori dell’ ordinamento diversi dal diritto penale. Come meglio diremo oltre, infatti, in alcuni paesi di common law (Stati Uniti) alcune di queste misure sono considerate misure civilistiche (civil forfeiture), mentre altre sono considerate misure (amministrative) di guerra o comunque emergenziali (preventive detention). Anche alcune fonti di diritto sovranazionale affermano a chiare lettere che certe misure restrittive di contrasto al terrorismo sono preventive in natura e non dipendono dalle norme di diritto penale di diritto interno40. Né si tratta di una questione meramente dogmatica: la sottrazione delle misure di prevenzione in senso stretto dal rispetto di quei principi funzionali alla protezione dei consociati da arbitrarie compressioni della libertà perpetrate dalle pubbliche autorità che sono i principi penalistici comporta, inevitabilmente, importanti conseguenze (anche pragmatico-applicative) sul piano della tutela dei diritti e delle libertà degli individui che vi sono sottoposti41.

38 E. Tosato, voce Stato (dir. cost.), in Enc. dir., vol. xliii, Giuffrè, Milano 1990, p. 770 ss. Sui rapporti fra diritto penale e stato di diritto si veda, inoltre, G. Bettiol, Diritto penale e tipi di Stato di diritto, in Études Jean Graven, Georg, Genève 1969, p. 13 ss. Sui limiti del diritto penale in relazione alle istanze di prevenzione vedi A. Ashworth, L. Zedner, Just Prevention: Preventive Rationales and the Limits of the Criminal Law, in R.A. Duff, S.P. Green (eds.), Philosophical Foundations of Criminal Law, Oxford University Press, Oxford 2011. Sui limiti morali del diritto penale cfr. G. Forti, Per una discussione sui limiti morali del diritto penale, tra visioni «liberali» e paternalismi giuridici, in E. Dolcini, C.E. Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, t. i, cit., p. 58 ss.

39 Cfr. C. Darwin, The Descent of Man, D. Appleton and Co., New York 1871, p. 45.

40 Vedi i preamboli delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nn. 1822 (2008) del 30 giugno 2008, 1904 (2009) del 17 dicembre 2009, e 1989 (2011) del 17 giugno 2011.

41 Cfr. G. Fiandaca, Spunti di riflessione su diritti umani e diritto penale nell’ orizzonte sovranazionale, in

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Ma la tutela della persona umana non può dipendere da giochi di etichette.

Occorre guardare alla sostanza: pena e misure di prevenzione in senso stretto, a ben vedere, condividono gli stessi contenuti e, talora, anche gli stessi fini. Quanto ai contenuti, entrambe consistono in una compressione della sfera giuridica individuale.

Quanto ai fini, poi, non solo la pena è applicata (anche) a scopi preventivi, ma spesso le misure di prevenzione trovano surrettizia applicazione (anche solo) a scopo punitivo-retributivo. Per tali ragioni, come le pene, anche le misure di prevenzione negativa dovrebbero rimanere circoscritte entro i limiti dettati dai principi del diritto penale. Sempre che – naturalmente – siffatte misure possano trovare legittimazione nell’ ambito dell’ assetto costituzionale del rispettivo ordinamento. Vedremo, infatti, come la legittimazione del ricorso a tali misure in diversi sistemi costituzionali nazionali e nei trattati fondamentali di diritto internazionale sia tutt’ altro che scontata (e, comunque, spesso sottoposta a stringenti condizioni).

La relazione fra pene e misure di prevenzione rappresenta, pertanto, uno dei cardini su cui costruire un sistema di prevenzione negativa globale, nonché il punto di partenza del nostro discorso. Una (sia pur succinta) analisi delle evoluzioni anche storiche di questa relazione porterà a evidenziare, come pressoché in ogni ordinamento, la prevenzione – anche praeter delictum – fosse in un primo tempo affidata alla pena (leggi: identificazione sostanziale pena-misura di prevenzione). La misura di prevenzione nasce, cioè, come pena preventiva. Solo in un secondo momento le esigenze di umanizzazione della pena promosse dalle elaborazioni giuspenalistiche liberali hanno portato al reciso rifiuto della pena preventiva. Senonché proprio tale rifiuto ha provocato in certi ordinamenti quella separazione formale fra pene e misure preventive negative che rischia di legittimare anche applicazioni di tali misure in spregio dei diritti umani fondamentali.

La storia delle misure di prevenzione è, così, una storia di inclusione nel sistema di diritto penale, in una prima fase, e di (tendenziale) esclusione da tale sistema, in una seconda fase. Solo in tempi più recenti, la consapevolezza delle aberrazioni cui tale esclusione può condurre ha portato a una rimeditazione della questione, volta al recupero di tali misure al rispetto (quanto meno di alcuni dei) principi che presiedono all’ applicazione della pena.

Possiamo dunque tracciare alcune prime conclusioni di carattere universale, che guideranno la nostra analisi successiva:

1. la prevenzione del crimine è prerogativa di ogni ordinamento giuridico;

2. ogni ordinamento prevede, in una qualche misura, misure di prevenzione a contenuto negativo sovrapponibile a quello delle pene;

3. tali misure di prevenzione non accedono, tuttavia, necessariamente al diritto penale (inteso quale sistema di principi funzionale alla tutela dei diritti e delle libertà della persona);

«Diritti umani e diritto internazionale», 1, 2007, p. 69 ss.

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4. la combinazione degli ultimi due fattori espone al rischio dell’ impiego di misure negative a scopo retributivo e general-preventivo, quali succedaneo della pena, nonché a scopo repressivo, quali strumenti di neutralizzazione indiscriminata di personalità indesiderate.

3. Cenni storici sul rapporto fra misure di prevenzione e pena nelle tradizioni giuridiche di civil law e di common law

La confusione fra pene e misure di prevenzione è un fenomeno antico e globale.

Prima di noi, altri hanno ben tracciato le origini dei contemporanei sistemi di prevenzione praeter delictum42. Anziché limitarci a ripercorrere supinamente le analisi di chi ci ha preceduto, tenteremo piuttosto un raccordo fra le varie evoluzioni di tali sistemi nell’ ambito di diverse realtà nazionali, nonché fra queste evoluzioni e la situazione attuale, onde restituire la dimensione globale del fenomeno, così come si è presentato nella storia e così come si presenta oggi.

Da sempre, nelle mille forme della pena, tutte consistenti, in ultima, nell’ uso mediato o immediato della forza, si esprime un’ esigenza immanente nell’ essere umano quanto quella difensivo-preventiva: l’ istanza punitiva43. Eterno contrappunto del crimine, anche tale istanza ha una matrice al contempo razionale, nel suo inerente significato retributivo44,e irrazionale, in quanto «espressione di quella esigenza

42 Fra questi, di recente, Alan Dershowitz, per gli ordinamenti anglo-americani, e Davide Petrini, per l’ ordinamento italiano, ai cui lavori faremo puntuale riferimento nei prossimi paragrafi.

43 Cfr. M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris 1975 (ed. it. Id., Sorvegliare e punire. Nascita delle prigioni, trad. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino 2005). Sul problema della pena, oltre agli scritti che citeremo di seguito, vedi F. Carnelutti, Il problema della pena, Tumminelli, Roma 1945.

44 Su questi temi cfr. G. Bettiol, Punti fermi in tema di pena retributiva, in Scr. on. De Marsico, a cura di G. Leone, Giuffrè, Milano 1960, ora in Id., Scritti giuridici, t. ii, cedam, Padova 1966, p. 937 ss. Per una più recente valorizzazione della retribuzione vedi M. Ronco, Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, Giappichelli, Torino 1996; nonché L. Eusebi, La pena «in crisi». Il recente dibattito sulle funzioni della pena, Morcelliana, Brescia 1990 e Id., La «nuova» retribuzione, in «Riv.

it. dir. e proc. pen.», 1983, ii, p. 914 ss. (Sez. I: pena retributiva e teoria preventiva) e p. 1315 ss. (Sez. II:

l’ ideologia retributiva e la disputa sul principio di colpevolezza). Per il c.d. neo-retribuzionismo si vedano gli scritti di Andrew von Hirsch, fra cui A. von Hirsch, Doing Justice. The Choice of Punishment, Hill and Wang, New York 1976; Id., Past or Future Crimes: Deservedness and Dangerousness in the Sentencing of Criminals, Rutgers University Press, Manchester 1986; Id., Proportionality in the Philosophy of Punishment:

From «Why Punish?» to «How Much?», in «Criminal Law Forum», 1, 1990, p. 259 ss.; Id., Censure and Sanctions, Clarendon Press, Oxford 1993. Si vedano, inoltre, N. Morris, The Future of Imprisonment, University of Chicago Press, Chicago 1974 e Id., Punishment, Desert and Rehabilitation, in H. Gross, A.

von Hirsch (eds.), Sentencing, Oxford University Press, New York 1981, p. 257 ss. Per un’ analisi delle teorie retributive tra la modernità e la postmodernità si veda F. Zanuso, A ciascuno il suo. Da Immanuel Kant a Norval Morris: oltre la visione moderna della retribuzione, cedam, Padova 2000; Ead., La concezione

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