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IL NESSO CAUSALE: IL CONFRONTO (E LO SCONTRO) TRA GIURISPRUDENZA CIVILE E PENALE

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IL NESSO CAUSALE: IL CONFRONTO (E LO SCONTRO) TRA GIURISPRUDENZA CIVILE E PENALE

Prof. Mauro Barni*

Il prossimo numero (n. 5, 2004) della Rivista Italiana di Medicina Legale dedicherà due contributi al tema – di grande rilievo scientifico – della dimostrazione del rapporto di causalità tra condotta erronea del medico (o inadeguatezza tecnico-organizzativa della struttura) ed evento dannoso per la salute ovvero produttivo di morte del paziente: un editoriale di Iadecola ed una rassegna del sottoscritto (in collaborazione con due giovani studiosi di Foggia). Per il 3-5 giugno a Taormina il centro per gli studi giuridici

“Cesare Beccaria” ha convocato in convegno scientifico un florilegio di penalisti italiani su «La responsabilità medica – nuove prospettive» (con il lusinghiero invito rivolto ad un medico legale). È questo il segno che il tema ha finalmente acquisito un grande rilievo (anche in rapporto alle forti ricadute sulla realtà sanitaria e sulla serenità della professione medica) ed una effettiva dignità scientifica che dopo decenni di ondeggiamenti giurisprudenziali, di relativo interesse dottrinario, di allarme rosso assicurativo, di ignavia legislativa, sembra finalmente avviarsi verso alcune certezze di più acquietante respiro. Ne è la prova la dedica alla responsabilità medica del XIV Congresso Nazionale della “Melchiorre Gioia”(

20-21 maggio 2005 – Pisa).

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Per quanto attiene la medicina legale si può per intanto affermare che:

a) la draconiana condanna della malpractice, che aveva prodotto devastanti conclusioni tra le quali la esasperata esaltazione del c.d. consenso informato, la valorizzazione del criterio probabilistico nella definizione della causalità materiale, l’attenzione ossessiva sui comportamenti omissivi (al limite del misconoscimento delle opzioni tecniche), la interpretazione notarile delle linee-guida, ed altre ancora, sta cedendo il passo ad una temperie giurisprudenziale, almeno in campo penale, che ha intanto ricomposto una più esatta scansione di competenze valutative (quelle del Giudice, del Consulente medico legale, del medico tenuto a documentare il suo operato)

b) La propensione consequenziale di una medicina difensiva sta virando verso la accettazione di una maggiore responsabilizzazione, anche operativa, dei medici, degli operatori sanitari e delle strutture aziendali.

c) La positiva impostazione di programmi di prevenzione dell’errore, di risk-management, di composizione pregiudiziaria delle vertenze (quale il ruolo del medico-legale?), ha in qualche modo fornito una risposta alla diaspora assicurativa.

d) La presa di coscienza della medicina legale italiana in merito alle reali competenze del consulente, non più apodittico dispensatore di colpe, ma diligente interprete di un metodo, di collaboratore tecnico nella rilevazione di evidenze capaci di essere tradotte in

“prove” e in “giudizi” da parte del magistrato, ha avvicinato la

“perizia”, alle istanze processuali.

A completare il quadro dei rinnovamenti, sarebbe comunque necessaria una adeguata crescita della “dimensione” assicurativa del fenomeno, nel quadro di una più limitata deriva giudiziaria: ma questo è un altro discorso, cui si proponeva di contribuire al fallito progetto di legge “Tomassini”.

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Il riferimento alla evoluzione dottrinaria del tema della causalità non può naturalmente prescindere dall’opera insigne di Federico Stella, cui, qui a Pisa lo scorso anno, è stata tributata una manifestazione di positivo riconoscimento da parte della Facoltà giuridica; ma non sono mancati del resto contributi di illustri penalisti come Pavero, Mazza, Fiandaca, Giunta (quest’ultimo, in particolare, in tema di consenso informato e dei suoi limiti) nonché di chiarissimi civilisti come Francesco Donato Bruscelli.

Per quanto attiene il modello e il “modo” medico-legale di affrontare la problematica della causalità materiale, molto pressante e autorevole è stato lo sforzo di molti autori (vedi n. 5, Rivista italiana di Medicina Legale, 2004). Ma al di là dell’inquadramento storico, occorre precisare i termini del rinnovamento.

In materia penale:

Soprattutto per merito della sezione IV penale (vedi Cassazione, sez.

unite penali 10 luglio – 11 settembre 2002, n. 30328, Pres. Marvulli, Rel.

Canzio, Ric. Franzese) si è chiarito dunque che

a) il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica - , si accerti che, ipotizzando come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

b) Non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatoriocce abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la

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conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con «alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica».

c) L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio (in base alle evidenze disponibili) sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva (o attiva) del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio.

Va infine ribadito che la Corte di Cassazione, qualora il giudice di legittimità, si assuma il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative – la cosiddetta giustificazione esterna – della decisione, inerente ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giusitificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell’ipotesi sullo specifico fatto da provare.

Importante sono da ultimo alcune sentenze come quelle della sez. IV pen. n. 41654 del 26 ottobre 2004 che cassa un giudizio d’appello di condanna di un medico di guardia di un ospedale sardo: per ritardo di intervento cesareo.

Ma almeno una ventina sono ormai le decisioni conformi “Franzese” del 2002.

In materia civile:

L’inquadramento prevalente in senso contrattuale della prestazione medica che investe oggi, in forza dello inusitato ciclone per lo più benefico prodotto dalla giurisprudenza fin dal 1999, investe la responsabilità del medico dipendente che si traduce e parzialmente vira in responsabilità della struttura;

ed il rapporto del singolo operatore (integrativo lui stesso della soggettività strutturale complessa) si stabilisce sin dal momento del contatto, sussunto alla

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stregua di contratto implicitamente stipulato con la Struttura, la cui personalità giuridica e la cui responsabilità civile sono, per così dire, spalmate e partecipate da tutti gli operatori dipendenti, in parte sgravati dalla responsabilità contrattuale, ma non da quella disciplinare, donde può derivare l’onere partecipativo all’obbligo del risarcimento.

Una delle conseguenze di questo processo oramai generalizzato di contrattualizzazione di tutta la medicina afferente a strutture risiede in una diversa scansione dell’onere della prova gravante sul presunto danneggiato, nel senso dell’alleggerimento, anche se tale principio teorico è stato recentemente messo in discussione come vedremo.

L’informazione e il consenso divengono così in forza di questa evoluta concezione privatistica, capisaldi anche negoziali della prestazione, intesa nel suo significato giuridico (senza tuttavia denegare gli aspetti etico- deontologici del rapporto) con la conseguenza che le obbligazioni di comportamento appesantite dal valore aggiunto (ma è davvero un valore?) di eventuali garanzie di risultato si rivelano assolutamente negative per il professionista «ove la informazione non fosse stata adeguata e non avesse tenuto conto di tutte le possibilità di complicanze anche in rapporto a reazioni individuali indipendenti da comportamenti colposi del sanitario». Il problema è dunque assolutamente rilevante come afferma la Cass. pen. Sez.

IV, 12 luglio 2001: “È dalla volontà del medico che deriva la sua obbligazione e l’accordo (preventivo) tra le parti è la fonte della sua obbligazione ed il limite della sua responsabilità”. Di qui l’importanza che sia sempre evidente e chiaro, in caso di rapporto contrattuale, l’impegno che il medico si assume, essendo appena il caso di ricordare che l’inadempienza contrattuale, si produce anche per l’eccesso di aspettative ingenerate nel paziente, e poi delusa dal risultato negativo.

È tuttavia certo e mai messo in discussione il fatto che il fallimento della prestazione non implica ipso jure la responsabilità del medico anche se si è imposto il concetto (e il pericolo) di una responsabilità paraoggettiva. Ne sono prova le numerose recenti sentenze della Cassazione Civile (riportate

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sul mio libro su Rivista italiana di Medicina legale, n. 5, 2004) che, in materia di casualità materiale ripristinano il “verbo” dell’alta probabilità, in materia di casualità psicologica, desumono la “colpa” della facilità della mancata prestazione, ovvero dalla ricorrenza del nesso, ovvero dalla rilevanza negativa dell’evento. Eppure, le stesse sentenze, non negano, contraddicendosi, che in realtà, così come per ogni altra condizione d’illecito la previa contrattualizzazione del rapporto non esclude la ricorrenza dei comuni elementi costitutivi dell’ordito giuridico di ogni vicenda professionale:

a) l’elemento soggettivo (errore, probabilità dell’evento) b) l’evento negativo (danno)

c) il rapporto di causalità materiale tra errore di condotta sanitaria ed evento.

Ed in effetti, la condotta dell’agente confortata o meno che sia da motivazioni scientifiche, da dati di esperienza, da linee-guida, ecc. non può ritenersi immune da possibilità di errore che solo il giudice (mai il consulente) può tradurre in termini di colpa, elemento soggettivo non implicito nell’aumento del rischio e nemmeno nella entità del danno (res ipsa loquitur) e meno ancora esauribile nella dimostrazione del nesso di causalità materiale tra condotta eventualmente erronea ed evento. Lo afferma brillantemente la Cassazione civile in una sentenza recentissima da definirsi come assolutamente promettente (sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997):

«Troppo spesso, l’evoluzione del contratto di colpa, segnatamente in tema di responsabilità professionale, e l’enucleazione di una concezione “oggettiva”

della colpa medesima, segnata sempre più all’individuazione di standard generali di comportamento, ha finito per ingenerare una (forse) inconsapevole (ma non per questo più accettabile) confusione/sovrapposizione tra l’indagine sul nesso causale e quella sull’elemento soggettivo dell’illecito (la colpa, appunto)»: un “vizio” proprio soprattutto nella giurisprudenza penale, in cui si è assistito «a un inquietante avvicinamento dei due concetti». Nesso e colpa, invece, devono

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restare distinti, essendo il primo rappresentato da «la relazione esterna intercorrente tra comportamento ed evento, svincolata da qualsivoglia giudizio di prevedibilità soggettiva», e la seconda «pur sempre – impositiva di una – “valutazione” di comportamento, inscritta tout court all’interno della relativa dimensione soggettiva». Sembra dunque almeno in parte sconfessata la evoluzione della giurisprudenza civilistica che avvicinava la responsabilità contrattuale a quella oggettiva, producendo effetti addirittura paradossali molto significativi sulla ripartizione dell’onere probatorio, ritrasferendo sul medico e sulla struttura l’onere di provare non solo la bontà della condotta posta in opera ma anche la assenza tecnicamente dimostrata del rapporto causale tra questa e l’evento. E ancora: lo svincolamento da ogni remora penalistica dell’obbligo di ristoro dei danni morali (o esistenziali, la mostruosità dei quali è stata ripetutamente denunciata dal Rossetti) dilatava a dismisura le pretese da parte del danneggiato di ristoro (del danno esistenziale e della perdita di chances). Di queste preoccupazioni di cui si sono dati cura i medici legali si è fatta dunque carico l’ultima gia ricordata sentenza della Cassazione sez. III civile n.7997 del 18 aprile 2005, che può definirsi in qualche misura accettabile per il medico e per la struttura sanitaria.

La chiarezza delle recenti soluzioni di dottrina e di giurisprudenza in materia penale che hanno ridimensionato come si è visto, anche alcune asprezze in tema di consenso informato, denotano dunque una maggiore fiducia nelle scelte mediche (che debbano però esser supportate e documentate e seguite nella loro evoluzione meglio di quanto emerga oggi in cartella clinica) e una più logica considerazione delle consulenze medico- legali e dei prodotti in essa profusi (le evidenze oggettive, le suggestioni statistiche, le linee-guida, i prodotti, in una parola, sui quali il giudice fonderà la certezza processuale). La diversa evoluzione della giurisprudenza sul nesso causale in materia civile avviata ad una deriva pericolosa verso la responsabilità oggettiva, soprattutto in chirurgia estetica ed in odontostomatologia, sembra anch’essa attenuarsi stando alla lettera

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dell’ultima decisione in tema di responsabilità del medico e della struttura sanitaria, che distingue l’elemento soggettivo dell’illecito e la causalità materiale dell’evento: proclamando la non desumibilità del nesso dalla gravità della colpa e per di più confinando la valutazione della causalità giuridica: criteri di probabilità scientifica e di logica aristotelica, riassegnando al creditore: la prova del nesso causale, al debitore la prova della colpa.

Ricordando come la logica aristotelica si avvalga di un processo deduttivo (del Giudice) fondato su dati obiettivi (capaci di resistere – aggiungo – ad ogni ragionevole dubbio) sembra dunque che anche in materia civile e in ambito contrattuale qualcosa si muova, a stare al richiamo fermissimo alla intrinseca serietà del contatto sociale già produttivo di contratto che deve essere liberato da ogni mirabolante auspicio e dalla esibizione di prospettive di splendide certezze e di insensate promesse, che deve essere ben compreso dal paziente nei suoi termini reali anche in ordine di aspettative, che deve essere onorato dal professionista con la diligenza propria di un attento operatore, con la prudenza atta a confortare ogni scelta, con la perizia che non si esaurisce nel tecnicismo ma si estende alla consapevolezza delle varianti possibili, con la onestà intellettuale che sostenga il versante etico del rapporto. La chiarezza delle scelte va ovviamente rischiarata dai lumi della adeguata informazione reciproca, cui dedicarsi, senza faciloneria, senza terrorismo e senza ossessivi ricorsi a presunte misure difensivistiche (la esasperazione modulare, ad es.).

Questa è d’altronde la logica di ogni contratto d’opera professionale, medica, cui è connaturata irrevocabilmente la assunzione di responsabilità, da condividere peraltro, sui piani cognitivo ed etico, con l’altro fondamentale protagonista del rapporto di cura. In definitiva, la prevenzione più efficace delle sequele giudiziarie risiede nella bontà del contratto che sciagura non è o forse lo è solo in parte, ed è comunque un esito avverso in buona parte prevedibile, prevenibile, attenuabile. E la prevenzione più efficace sta nella lealtà del contatto (informazione capillare e chiara), nella diligenza attuativa,

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nella diligentissima registrazione dei motivi delle scelte operative, dei consensi acquisiti, delle linee seguite. Tutto questo finisce col produrre una assunzione anche “etica” di responsabilità; e va producendo – sembra – un riavvicinamento tra “penale” e “civile” nella valutazione della responsabilità medica.

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