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Confine: qualche spunto

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Academic year: 2022

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Confine: qualche spunto

G

iuseppina

t

uMMinelli*

Abstract

1

Mai come in questi ultimi anni, una delle parole più usate è quella di

“confine” applicata in diversi contesti: geopolitico, economico, culturale, territoriale, sociale.

Una delle primordiali attività dell’uomo è stata di tracciare confini al fine di definire il rapporto tra l’io e l’altro, di stabilire il raggio d’azione entro il quale agire. Ma il confine non è servito soltanto a questo perché anche la costruzione di concetti contribuisce a creare confini, a generare realtà, a dare forma al mondo.

Pertanto, parlare di confini è alquanto complesso per i rimandi alle di- verse discipline e alle diverse letture, agli approcci e alle analisi che nel tempo sono state compiute. È pur vero che se l’attenzione è stata rivolta in particolar modo ai confini geografici quali marcatori dei territori degli Sta- ti, è opportuno analizzare un altro livello, ossia il confine come separatore simbolico e mentale, ma anche come strumento per costruire l’identità. Si pensi in quest’ultimo caso ai riti di passaggio studiati da van Gennep. Il significato che il confine ha è mutato nel tempo mettendo anche in relazione al concetto d’identità che si trasforma in identità plurali che devono essere messe in discussione e ripensate alla luce delle trasformazioni sociali con- temporanee.

Per Simmel, il confine è il risultato di dinamiche sociale che aiutano a produrre la realtà sociale. È pertanto una categoria che apre a mondi diversi e a possibili applicazioni.

Il paper avrà l’obiettivo di analizzare il concetto di confine al fine di of- frire spunti di riflessione successivi, non volendo essere esaustivo del tema e rimandando alla letteratura specifica sull’argomento. La lettura e l’analisi

1  Ricercatrice SPS/07, Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali.

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del confine in questa sede saranno proposte come una possibile prospettiva epistemologica ossia come un metodo per leggere la realtà.

Keywords:Confine, Stato, Diversità, Altro, Realtà

In recent years, the word “border” has been used in different contexts: geo- political, economic, cultural, territorial, social. One of man’s first activities was to draw boundaries to define the relationship between the ego and the other, to establish the space of action. The border has not only served this purpose.

Borders contribute to construct concepts, to generate reality, to shape the world.

Therefore, studying the boundaries is quite complex in the first place for the different disciplines, approaches and analysis. Particular attention was paid to geographical boundaries as markers of the territories of the States, but the border is a symbolic and mental separator, but also a tool to build identity. Meaning of the border has changed over time. For Simmel, the bor- der is the result of social dynamics that produce social reality. It is therefore a category that opens up to different worlds and possible applications.

The paper will aim to analyze the concept of the border to offer subse- quent points of reflection, not wanting to be exhaustive and referring to the specific literature on the subject. The reading and analysis of the border will be proposed as a possible epistemological perspective to read reality.

Keywords: Border, State, Diversity, Reality

1. Il confine è una linea

Nonostante le conseguenze della globalizzazione sui confini siano evi- denti a molti, i confini continuano a essere riproposti, difesi, osannati nelle forme e modalità operative che assumono in relazione all’ambito e al conte- sto di discussione. Il confine è presente nella nostra vita a livelli diversi svol- gendo funzioni diverse: confini geografici, confini politici, confini mentali, confini tra quartieri, confini tra classi sociali, tra discipline, saperi e concetti.

Possono servire per mantenere il controllo su un territorio o per proteggere gli abitanti; contribuiscono a creare legami e identità e a delimitare il raggio d’azione di ciascuno.

Senza confini non è possibile concepire alcuna organizzazione e per tale ragione i confini sono la base delle interazioni e della coesione interna e aiutano a definire la natura delle relazioni sia interne sia esterne. Non è possibile pensare all’eliminazione dei confini ma alla modifica della loro morfologia. Ciò vuol dire che i confini si possono allargare ma si possono restringere, si possono ridefinire o inglobare.

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La prima immagine che viene alla mente quando pensiamo al confine è la linea ossia il modo più facile e visibile di tracciare confini anche se i confini possono assumere forme diverse e non sempre essere visibili.

Aristotele definiva nella Metafisica il confine di una cosa qualsiasi come la sua estremità, ossia

Il primo termine oltre al quale non risiede alcuna parte di quella cosa, e il primo termine entro il quale sta tutto ciò che invece le appartiene (1022)2. Ma anche Leonardo pensando al confine tra il mare e il cielo si chiedeva di che cosa fosse fatto, se di acqua o di aria. I confini possono essere simboli o segni materiali visibili ma possono essere anche invisibili come quelli pre- senti nelle culture o nelle idee delle persone.

Trovandosi di fronte a un oggetto di studio complesso, la prima domanda è:

quale definizione di confine utilizzare? Tale quesito nasce dall’avere a che fare con una parola che oltre agli aspetti accennati precedentemente presenta anche numerosi sinonimi come “limite”, “frontiera”, “periferia”, “linea”, “ostacolo”,

“barriera”. Termini che rimandano a ulteriori definizioni che esaltano alcuni aspetti in relazione ai contesti nei quali vengono utilizzati ma che non aiutano nell’individuazione di eventuali collegamenti tra i sinonimi stessi.

Ad esempio, nella distinzione tra confine e limite, quest’ultimo è la separazione tra ciò che è noto e ciò che è ignoto per antonomasia. Di conseguenza, quando l’ignoto inizia ad essere definito – e, quindi, si trasfor- ma gradualmente dell’Altro, divenendo un potenziale antagonista – allora il limite inizia a trasformarsi in confine. Da questo punto di vista potrebbe es- sere corretto definire il confine anche come un “limite comune” (Zanini 1997, pp. 10), dove la parola “comune” contraddicendo il senso stesso del termine

“limite”, ne determina la trasformazione nel suo opposto (Belli 2015, 193).

Ritornando alle definizioni, il confine può essere come propone Gori (1979) una “interruzione di continuità” tra unità in relazione reciproca.

Quando il confine diventa instabile, dà origine alla frontiera cioè al Luogo dove forze opposte si confrontano, spesso si scontrano, altre volte si incontrano, comunque entrano in crisi (Zanini 1997, 12).

Ma la frontiera è anche una necessità,

perché senza di essa ovvero senza distinzione non c’è identità, non c’è forma, non c’è individualità e non c’è nemmeno una reale esistenza, perché essa viene risucchiata nell’informe e nell’indistinto. La frontiera costituisce una realtà, dà contorni e lineamenti, costruisce l’individualità, personale e collettiva, esistenziale e culturale (Magris 1999, 58).

2  Cit. in Varzi, 2005, 399-418.

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Interessante è l’analisi fatta da Belli che nel diramare le differenze se- mantiche tra i termini, propone il confine come

[…] una “astrazione che separa” (Magris 1999); la frontiera è un “luogo”, una zona di interconnessione. Il limite quindi respinge, allontana, intimo- risce; il confine funge da catalizzatore, attira, assorbe, definisce separando, incuriosisce e, conseguentemente, genera la frontiera, un’area dove è intenso lo scambio, il confronto, la competizione e dove predomina l’instabilità, il cambiamento, l’incertezza: in altri termini quest’ultimo è il luogo delle dif- ferenze. In sintesi, si potrebbe osservare che i limiti si rispettano, i confini si superano, le frontiere si penetrano e, quindi, si violano (Belli 2015, 94).

Come hanno sottolineato Mezzadra e Neilson (2014), il confine esercita sia una funzione esclusiva quando si presenta come ostacolo all’accesso sia una funzione inclusiva quando, invece, include e accoglie. Si pensi ad esem- pio al ghetto e all’ambiguità che questo presenta trattandosi di un esempio di confine spaziale che svolge una funzione negativa, di segregazione, ma che nello stesso tempo è espressione d’identità per chi vi abita.

Da qui, la domanda: i confini sono utili? Quale è il significato del confine nel rapporto tra chi è in-group e chi è out-group, tra chi è dentro e chi è fuori?

Il confine è ciò che separa ma è anche ciò che unisce chiamando in causa il concetto di alterità che a sua volta rimanda a quello di identità da applica- re a diversi temi nonostante i caratteri di ambiguità che sono legati all’essere ad esempio un “limite convenzionale”. Si pensi alla costituzione dell’Unio- ne Europea e all’assenza di confini tra gli Stati dell’Europa da una parte e alla rivendicazione del confine dell’Unione rispetto a tutto il resto.

Ora se pensiamo alla globalizzazione, come osservano Giddens e Har- vey, una delle conseguenze del processo è la compressione spazio-tempora- le e la perdita del confine tra lo spazio e il tempo. Davanti a tali cambiamenti globali, gli studiosi hanno parlato spesso in maniera ingenua della dissolu- zione o dell’annullamento dei confini. Ma anche dall’esempio precedente sull’Unione Europea, è impossibile pensare che i confini possano scompa- rire. Si assisterebbe alla fine di ciò che contribuiscono a delimitare, mentre possono essere ridefiniti in conseguenza della riorganizzazione della società anche a livello internazionale. Ciò che può mutare è la morfologia dei confi- ni che possono ad esempio ampliarsi o restringersi ma non essere eliminati.

Proprio perché i confini contribuiscono a definire le forme, a interagire nel reale, sono percepiti e non esistono confini assoluti o oggettivi. A livello internazionale, ad esempio anche in nome del confine si sono costituite le unità sociopolitiche, fatte guerre e trovati accordi.

Saldívar (1997) ricorda che «il confine tra Stati uniti e Messico [è] un paradigma dell’attraversamento, della circolazione, della mescolanza mate- riale, e della resistenza». O la prospettiva della scrittrice Anzaldúa che nel suo libro vede il confine come un

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luogo di contraddizioni […] non è un territorio confortevole per viverci:

odio, rabbia e sfruttamento sono le caratteristiche preminenti di questo pae- saggio. […] Questa è la mia casa / questa sottile linea di / filo spinato. [...] il confine tra Stati uniti e Messico es una ferida abierta dove il Terzo mondo si scontra con il primo e sanguina (2000, 21).

Per il linguaggio geografico, esistono confini artificiali o politici e confini naturali. Se i primi sono il risultato di convenzioni, il frutto di intenzionalità collettive manifestate in accordi che hanno l’obiettivo di indicare l’inizio e la fine di un territorio, i confini naturali non dipendono dalle decisioni umane.

I confini sono mezzi attraverso i quali classifichiamo e costruiamo le mappe non solo geografiche ma anche sociali.

Un altro esempio è rappresentato dal virtuale e dalla promozione e dif- fusione di un nuovo modello di relazioni: la rete, un insieme di nodi e di connessioni che sono caratterizzati dalla velocità, dalla multidirezionalità e interattività. I confini vengono meno, vaporano, nell’illusione di relazioni simmetriche ad esempio tra gli Stati, tra gli individui, tra le città. Suggesti- va l’immagine ripresa da Augé del dio della soglia della città, Hermes che, nonostante il momento nel quale viviamo, continua ad essere presente a riprova della presenza di città che rilanciano se stesse, ma che hanno muri interni e muri esterni.

2. I confini come simboli visibili e invisibili

Come è sottolineato dalla letteratura sull’argomento, è possibile consi- derare il confine anche in senso figurato avendo un grado diverso di meta- foricità:

Al primo livello di questa gradazione nell’uso metaforico il confine si tra- duce in una traccia segnata (o segnabile) nello spazio: è la situazione tipica dei confini fra gli stati nazionali, e corrisponde alla visione del senso comune allorquando si impegna con il termine confine. Ad un livello intermedio di

“metaforicità” si ritrova l’utilizzo del termine in corrispondenza delle distin- zioni nello spazio sociale. Ad un livello più elevato si ritrova un pieno uso metaforico del termine, senza riferimenti espliciti alle tracce o allo spazio so- ciale (Cella, 2006, 25-26).

Il confine può, pertanto, tradursi nella realtà in forme differenti come simboli visibili o come elementi invisibili ma essere sempre presente ed es- sere anche tramandato. E ancora riprendendo le parole di Cella:

Non tutti i confini hanno la materialità della cortina di ferro o del muro di Berlino, spesso sono solo una linea tracciata su una mappa, altre volte sono indicati da pietre (intermittenti!) come nelle società antiche, dall’Egitto dei fa- raoni su fino alle lande orientali dei cavalieri templari, negli ultimi secoli del medioevo, oppure segnalati da croci su alberi, come era diffuso nell’Europa

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delle grandi foreste. [...] Altre volte perdono addirittura ogni segno materiale (ivi, 37).

Come ricorda Bauman, la globalizzazione divide e unisce, «l’idea di uni- versalizzazione racchiudeva in sé la speranza, l’intenzione e la determina- zione a creare un ordine» e riprendendo Geertz e altri studiosi, la rivoluzio- ne nella quale siamo immersi è mobiletica, basata sul movimento di denaro, di dati e informazioni, di merci, di persone. Rivoluzione che, però, non coin- volge tutti poiché non tutti possono muoversi liberamente oltrepassando i confini fisici ma anche mentali.

Ritorna l’immagine dei confini come il prodotto di relazioni sociali, espressione di rapporti di potere tra attori sociali. Forme, segni, che sono sempre esistiti nella storia dell’umanità e che si sono trasformati nel tempo e nello spazio in relazione a ciò che li ha innescati. Pertanto, anche se alla globalizzazione si attribuisce il superamento dei confini, in realtà, come si accennava, siamo di fronte a una nuova ridefinizione delle forme e delle funzioni degli spazi, a una rigenerazione continua, a una moltiplicazione e a una sovrapposizione tra confini.

Lo Stato moderno ha affermato la sua sovranità ribadendo il principio della territorialità. L’esercizio del potere sugli individui è strettamente vin- colato a chi risiede nel territorio che è definito e delimitato da confini. Agli attori territoriali tradizionali oggi se ne affiancano altri che esercitano altre forme di potere in una cornice che da una parte vede la liberalizzazione anche delle forme di separazione e di protezione tra gli spazi e dall’altra la difesa della territorialità dello Stato attraverso il mantenimento e la difesa dei confini.

In questo quadro, seppur non esaustivo, potremmo leggere le migra- zioni e le contraddizioni che hanno caratterizzato l’Europa negli ultimi anni.

Da una parte lo sviluppo dell’informatica e della tecnologia che hanno comportato la ridefinizione delle relazioni politiche ma anche economiche, culturali, sociali tra gli Stati e dall’altra la progressiva chiusura dei confini degli Stati come quelli dell’Europa ai processi migratori. È pur vero che sia- mo di fronte a un nesso simbiotico tra i due concetti, non esiste l’uno se non esiste l’altro: non potrebbero esistere le migrazioni se non esistessero i con- fini che demarcano un territorio da un altro e che vengono oltrepassati nel momento in cui si migra da uno spazio ad un altro. Ovviamente, il rapporto tra migrazioni e confini muta nel tempo e nello spazio. Se fino a ieri i rome- ni erano considerati extracomunitari, l’ingresso della Romania nell’UE ha mutato la loro condizione facendoli diventare parte del gruppo comunitario e ridefinendo i confini dell’appartenenza. Quindi, la presenza di confini è ineliminabile perché è necessaria.

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3. I confini per separare

Nel momento in cui si arriva in una città, la prima cosa che si nota è il cartello che ne riporta il nome e che indica qualcosa di molto preciso su cui spesso si sorvola. Superando quel confine si entra in uno spazio abitato da autoctoni che fanno dello spazio stesso un elemento d’identità, che parlano la stessa lingua, e che riconoscono nel Santo patrono il protettore della città stessa e dei suoi abitanti. I confini sono delle linee sottili e impercettibili che separano ma che allo stesso tempo uniscono e che contribuiscono a costruire il senso di appartenenza a un luogo. Ma sono segni di demarcazione interna che separano le classi sociali, il centro dalla periferia, i quartieri. Ma sono anche muri costruiti tra Stati e territori al fine di legittimare strategie politi- che. Si pensi al muro tra Israele e Palestina, al muro di Berlino, al muro tra il Messico e gli Stati Uniti. Barriere per separare le popolazioni, per mantenere il controllo dei territori ed esercitarvi potere impedendone lo spostamento.

Oltre a delimitare uno spazio, i confini servono per separare. Rispondo- no al bisogno di sicurezza e di protezione ma anche al bisogno di avere dei punti di riferimento stabili. Si pensi a come i confini sono utilizzati per in- dividuare la differenza tra i cittadini ai quali spettano diritti e doveri e tutti gli altri con le possibili conseguenze quali l’esclusione di tutto ciò che non è idoneo, adatto, sicuro e l’avvio di processi di emarginazione,

[…] una delle conseguenze naturali connesse alla costruzione di un con- fine è il buttare fuori, l’espellere dall’ambito che si è creato ciò che viene con- siderato intruso. Limitare uno spazio tracciandone i confini è un tentativo di annullare la possibilità che al suo interno possa accadere qualcosa di non voluto, di imprevisto, rendendolo se non impossibile almeno molto impro- babile (Zanini 1997, 55).

Vivere dentro i confini o sul limite, determina modifiche nella propria condizione umana. Continua Zanini:

L’esclusione porta qualcuno o qualcosa verso il margine di un territorio, lon- tano dal centro: è da qui che viene l’emarginato. Talvolta questo può venire spin- to anche oltre il margine (è il caso dell’esiliato) fino a farlo diventare straniero, quindi altro rispetto a ciò che si vuole contenere con il confine [ibidem]. […] Lo straniero è infatti qualcuno fuori luogo, qualcuno che non si sa né come né dove collocare, incompreso sia nel luogo di arrivo sia in quello d’origine (ivi, 61).

È possibile anche che l’esclusione dal gruppo corrisponda a un’autoe- sclusione come scelta personale che è motivata dal desiderio di differenziar- si e di affermare la propria identità o di non aderire al contesto, alla cultura del luogo.

La marginalità diviene allora un modo di manifestare la propria identi- tà. Un modo per non stare né dentro né fuori, sempre pronti, se si presenta

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l’occasione e in base alle proprie necessità, a entrare o a uscire da qualcosa.

È anche un modo per guardare con un certo distacco le cose che stanno da una parte del confine e quelle che stanno dall’altra; oppure una maniera per entrare in contatto con una cultura, per viverci in mezzo rimanendovi però allo stesso tempo distanti (ivi, 56-57).

Superare il confine diviene espressione di desideri sociali, di affermazio- ne di sé; di voglia di essere ricordati. Spostando l’attenzione su altri ambiti, si pensi allo sport, al raggiungimento del podio, o alle competizioni per il guinness dei primati.

4. Per riepilogare…

Nonostante si possa pensare che i confini siano in crisi, questi continua- no ad esistere come limiti sia fisici sia culturali e identitari influenzando le nostre scelte e i nostri comportamenti. Sono necessari perché ci aiutano a comprendere il significato di molte dinamiche, a conoscere la realtà e l’altro.

Pertanto, l’individuazione dei confini è legata al processo di definizione del sé poiché grazie al riconoscimento e al confronto con chi è altro da noi, è possibile definire se stessi e costruire la propria identità. Il confine rafforza la percezione dell’altro e di conseguenza la percezione di sé; permette di riconoscere gli altri, di essere riconosciuti da questi e di riconoscersi nel mo- mento nel quale si guarda.

Il confine assume significati diversi in base ai contesti, alle situazioni e alle esigenze e può esprimere «arbitrarietà e violenza, ma anche ordine e ras- sicurazione; unione e divisione profonda; criteri di giustizia ma anche fonti di inspiegabili ingiustizie» (Cella, 2006, 20). È anche uno «[…] strumento di pacificazione e fonte di tensioni, luogo di incontro, ma anche luogo di scontro. Ma anche demarcazione tra ciò che è possibile conoscere, fare, dire, e ciò che non è permesso; tra ciò che può essere attraversato, oltrepassato, e ciò che non deve essere nemmeno avvicinato; tra l’ordine da una parte e il disordine dall’altra» (Zanini, 1997, 4).

Bibliografia

Anzaldúa, G. (2000). Terre di confine/La frontera. Bari: Palomar.

Belli, C. (2015). Il ruolo dei confini nei sistemi sociali internazionali. Gen- tes, II (2), 192-199.

Cella, G.P. (2006). Tracciare confini. Realtà e metafore della distinzione. Bolo- gna: Il Mulino.

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Gori, U. (1979). By way of synthesis. In R. Strassoldo, Temi di sociologia delle relazioni internazionali. La società globale, ecologia delle potenze, la teoria dei confini. Gorizia: Isig.

Leonardo da Vinci (1966). Scritti scelti. Torino: Utet.

Magris, C. (1999). Utopia e disincanto. Storie speranze illusioni del moderno.

Saggi 1974-1998. Milano: Garzanti.

Mezzadra, S., & Neilson, B. (2014). Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale. Bologna: il Mulino.

Saldívar, J.D. (1997). Border matters: Remapping American cultural studies.

Berkeley: University of California Press.

Simmel, G. (1989). Sociologia. Milano: Edizioni di Comunità.

Varzi, A.C. (2005). Teoria e pratica dei confini. Sistemi intelligenti, 17 (3), 399-418.

Zanini, P. (1997). Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali. Mi- lano: Mondadori.

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