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Svelata la meridiana di Aquileia: Skopas e il genio degli architetti romani

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Academic year: 2022

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Dopo quanto documentato col saggio “Le fonti misteriose di Vitruvio” e a seguito del sopralluogo effettuato il 10 agosto 2021 al Museo archeologico nazionale di Aquileia per eseguire l’analisi autoptica del monumento (autorizzata dal direttore del museo Marta Novello, a cui vanno i più sentiti ringraziamenti) che mi ha consentito di approfondire alcuni aspetti storici e scientifici e l’esame esame dei dettagli costruttivi, ritengo opportuno cercare di chiarire ora i misteri celati in uno dei più importanti reperti archeologici che la storia ci ha tramandato: la Meridiana di Aquileia o di Euporus.

Il complesso monumentale

L’impianto monumentale di Aquileia denominato Meridiana Orizzontale di M. Antistius Euporus

La

meridiana di Euporus venne

ritrovata dal dottor Carl o

Gregorutti, il 20

novembre 1878 negli ex terreni Cassis Faraone, ora

denominati Marginante, nella zona periferica a nord di Aquileia, la stessa in cui venne

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costruito anche

l’importante impianto del circo.

Il complesso, ritenuto un monumento anatomico-gnomonico-anemoscopico-astronomico- astrologico-religioso-topografico tanto da essere definito dai

professori Giulio Grablowitz ed Enrico Nestore Legnazzi nel 1887 la “Groma di Aquileia”, è costituito da una pesante e spessa lastra orizzontale di pietra calcarea

d’Aurisina di dimensioni di circa m. 1,05×2,10, appoggiata su due plinti circolari, anch’essi in pietra d’Aurisina.

Non è, come si potrebbe definire, un tavolo dalla superficie orizzontale, ma una lastra scavata in modo da lasciare un bordo periferico. Il manufatto è decorato all’interno con un bellissimo tracciato gnomonico, di cui l’importante asta gnomonica fu “stranamente”

smarrita, circondato e in parte intersecato da due circoli concentrici entro i cui solchi sono scritti i nomi dei venti antichi che, cominciando da nord ed in senso orario, sono: Septentrio, Boreas, Desolinus, Eurus, Auster, Africus, Favonius, Aquilo. All’interno del cerchio,

compreso fra i due rami dell’iperbole invernale, troviamo la scritta: M. ANTISTIUS EUPORUS FECIT.

La sua forma complessiva è sostanzialmente quella di una “vasca” poco profonda,

raggiungendo lo spessore di poco più di quattro centimetri. Tuttavia, a confutare l’idea che non si possa trattare di una vera e propria vasca è la circostanza che in un angolo è

presente un largo foro che ne compromette la tenuta. Quella che viene definita vasca, mostra una frattura in tre pezzi, riparata attraverso l’inserimento di tre pesanti zanche in piombo, per ridarne non solo la forma originaria, ma anche restituirne la compattezza sul piano orizzontale e la rigidità complessiva. Considerata la particolare tecnica di restauro, usata di romani solo per le opere di pregio, la meridiana doveva ricoprire un ruolo

particolarmente rilevante. A completare il monumento sono presenti una sorta di panca squadrata, realizzata pure in pietra calcarea d’Aurisina, a forma di “U”, che circonda quasi interamente la vasca, ed un blocco della stessa pietra in cui si possono notare alcune

attaccature dove sono presenti residui di piombo che servivano a sostenere ganci metallici,

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ora scomparsi, senz’altro usati per appendere animali da sacrificare.

La storia del monumento e il suo utilizzo

Per capire la funzione del monumento dobbiamo focalizzare alcuni passaggi e personaggi storici.

Di rilevante importanza, e citati in diversi trattati storici, sono gli agrimensores, ovvero i misuratori della terra dell’antica Roma, il più delle volte anche curatori delle acque (curator aquarum), professionisti fondamentali nelle colonie e nell’opera di centuriazione delle terre dell’impero. Se dovessimo paragonarli professionisti a noi più vicini potremmo, mutatis mutandis, definirli geometri, o meglio, architetti. Al tempo dei romani, queste importanti figure avevano un ruolo ben più rimarchevole di quanto si possa immaginare: erano gli unici incaricati ad impostare gli orientamenti delle colonizzazioni e la suddivisione gli

appezzamenti di terreno disponibili seguendo un piano prestabilito. In particolare, nel (232 a.C.) con l’approvazione della Legge Lex Flaminia voluta dal console Gaio Flaminio

Nepote che promise un ampio programma di riorganizzazione amministrativa ed economica di tutto il territorio a sud di Rimini (Ariminum), l’Ager gallicus, i nuovi territori conquistati vennero assegnati ai coloni dopo essere stati centuriati e divisi in tre parti: la prima di proprietà dello stato (ager publicus), la seconda lasciata ai vinti, la terza ai soldati. Da ciò la necessità di dividere il terreno in parti le più eque possibili. Un’opera dunque complessa e di fondamentale importanza, tanto che gli agrimensori dovevano possedere ampia cultura e, in particolare, una profonda conoscenza dell’astronomia e dell’astrologia. Nella scelta dei territori in cui impostare le colonizzazioni non solo si orientavano grazie alla stella polare ma si servivano e del sole, del sistema planetario e della Rosa dei Venti, inizialmente comprendente otto venti e successivamente sino a ventiquattro.

Queste basi conoscitive erano di fondamentale importanza sia per l’effetto che il sole ed il vento potevano avere sul calcolo, sia per le influenze del sistema planetario. Come è stato descritto nel De architectura da Marco Vitruvio Pollione, 80- 23 a.C., grande ingegnere militare e interessante scrittore ma soprattutto il più famoso teorico dell’architettura di tutti i tempi. Ecco come Vitruvio si esprime al riguardo: “Egli [l’architetto] deve avere per natura del talento, e deve essere desideroso di imparare […]. Dovrebbe essere pure uomo di

lettere, esperto nella pittura, dotto in geometria: dovrebbe conoscere bene la storia, aver

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studiato con diligenza la filosofia […] non essere ignaro di medicina, conoscere la legge ed avere una conoscenza profonda di astronomia e cosmologia […]. Con l’astronomia noi impariamo a localizzare i punti cardinali, a capire l’ordine del cielo, e a calcolare gli equinozi e i solstizi e i movimenti delle stelle”.

I Romani non furono gli unici a voler misurare con

precisione le terre controllate.

I Greci quando fondarono nuove colonie, il loro Istitutore, non solo doveva procurarsi i sacerdoti per

instaurare il culto del dio e della dea padroni della città, ma aveva anche il

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Commissione agraria romana. Miniatura del manoscritto Platinus, 1564 (IX secolo d.C. ) Roma

compito di provvedere agli

agrimensori che

dovevano suddividere le nuove terre tra la pianificazio ne urbana e quella fondiaria, dandone un preciso orientament o. Esempio eclatante di come si provvide all’orientam ento ed all’organizz azione dei nuovi territori è Selinunte (in

greco, Σελι νοῦς in latino Selin us), città magnogreca situata sulla

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costa sud- occidentale della Sicilia:

se si osserva la sistemazion e delle sue strade, questa ricorda molto da vicino l’organizzaz ione romana secondo cardini e decumani orientati in riferimento alla stella polare, al sole, al sistema planetario ed ai venti, cosi come ampiamente documentat o da

Vitruvio nel De architectura da Sesto Giulio

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Frontino n el Corpus e nella

recente letteratura da Oswald Ashton Wentworth Dilke nel saggio “Gli Agrimensori di Roma Antica”

(1971, capitolo 5, strumenti romani usati per il rilevamento ) dove descrive l’uso delle meridiane, citando proprio quella

presente nel museo di Aquileia.

Ed è proprio la meridiana orizzontale di Euporus che può confermare queste testimonianze in quanto chi scrive ritiene essere la copia di quella citata da Vitruvio nel De architectura e denominata Plinthium sive lacunar. Vitruvio, infatti, nel libro nono, capo IX De quorundam horologiorm ratione, & inventoribus (di alcune specie d’orologi, e loro inventori), descrive

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che il Plinthium sive lacunar, come è quello nel circo Flaminio, fu inventato da Skopas Syracusius, Scopa Siracusano (circa 390 – 330 a.C.) uno dei più grandi scultori ed architetti greci.

A suffragare tale nostra ipotesi viene in aiuto Cesare Cesariano, artista teorico, pittore e architetto, vissuto tra i 1483 e il 1543, colpevolmente dimenticato perché non “allineato” in quanto nel cimentarsi prima nello studio del De architectura e poi, nel 1521, nella difficile traduzione in italiano volgare, ebbe l’ardire di interpretare il concetto della teoria di Vitruvio, tanto che si trovò a passare grossi guai. Cesariano, nel tradurre un capitolo del libro nono, ne commenta dando una corretta interpretazione.

“Scopa Siracusano eccellentissimo scultore celebrato da Plinio il quale riporto e summa laude nel arte Marmorea per la fabricatione de le statue de Liberò patre e de Minerva nel Isola de Gnido e per l’intaglio del Mausoleo in Caria da la parte Orientale; persornio e una altra fogia de Horologio appellata Plinthio sia Lacunarei che significa una forma de Pietra consta nominata quadrello più longa che lata: e similmente il Lacunare qual e una forma de requadrato ne la Contignatione de le case vulgarmente di Eta Celo. Questo Plinthio era Incavato a ratione lassando uno Orlo del quadrato ambito: como ancora li Lacunari hano il requadramento de li Orli tra li quali remane una quadra o sia ablenga concauitate in Latino dimandata laco che vene pero dal greco Zoe da Lacos che significa una cossa concava como e dicto: E cosi in questo Plinthio voglia lacunare a tal modo incavato e requadrato haveva figurato la Lineae e situato il stilo Gnomonico a la ratione lui: E pare che questa Inventione fusse approbata per che li victoriosi romani il reportarono de Sicilia da la patria del praefato Scopa una insema con li altri spoglii e lo collocarono in Roma nel circo flaminio per questo prestandoli grande authoritate.”

A questa testimonianza si aggiungano le citazioni di Plinio il Vecchio, estratte e tradotte dal “La Naturalis Historia” Libro 36, C. 25:“Con questi gareggia il merito di Scopa. Egli fece una Venere e un Desiderio, che sono venerati a Samotracia con cerimonie molto religiose, anche un Apollo Palatino, una Veste che siede ammirata nei giardini servili ani e due colonnine intorno a lei, le cui copie sono edifici di Asino, dove anche un suo portatore di canestro.”10 sabato 16 ottobre 2021 C. 26 “Ma nella massima ammirazione nel tempio di G.

Domizio nel circo Flaminio un Nettuno stesso e Teti e Achille, Nereidi che siedono sopra delfini e cetacei o ippocampi, anche Tritoni e la schiera di Forco e balene e molti altri esseri

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marini, tutti per mano dello stesso, opera notevole, anche se fosse stata di tutta una vita.

Ora invece tranne quelle sopra citate e quelle che non conosciamo c’è anche per mano dello stesso un Marte colossale che siede nel tempio di Bruto Caleco presso lo stesso circo, inoltre nello stesso luogo una Venere nuda, che supera quella di Prassitele e destinata a nobilitare qualunque altro luogo”.

Inoltre fu sempre Plinio il Vecchio nella sua Naturlalis Historia nel Libro 7 – C. 213 a dirci che la prima meridiana introdotta a Roma fu quella presa come bottino nel 263 a.C. a Catania (prima guerra Punica) e per quasi un secolo i romani la usarono senza rendersi conto che era stata disegnata per una latitudine molto più meridionale. Solo nel 164 a.C. fu costruito un modello corretto secondo la latitudine di Roma.

Molti negli anni non diedero importanza, per non dire che vollero mascherare, l’invenzione del “Plinthim sive lacunar” e la sua paternità, a partire da alcune delle prime trascrizioni in latino il nome dell’inventore passò da Skopas a Scopinas Syracusius.

Nella traduzione dal latino all’italiano a cura di mons. Daniel Barbaro 1567, patriarca d’Aquileia, poi ripresa anche nella traduzione da parte del marchese Berardo Galiani nel 1758, ci avverte che dove leggersi lacunar si debba leggere laterem, perché later può essere sinonimo di pilntibus.” Ovvero si voleva far credere che si trattava di una meridiana a forma di plinto e non un piano orizzontale a forma lacunare.

Tutt’ora, per alcuni, c’è quindi ancora la tendenza di assegnare la paternità di questa invenzione a Scopinas Syracusius (vedi wikipedia).

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Lacunarii, Cesare Cesariano, De architectura 1521, Milano

Pertanto, l’unico che ebbe l’ardire di documentare nel dettaglio l’invenzione

del Plinthim sive lacunar e di affermare la sua vera paternità fu il citato Cesare Cesariano che, oltre a specificare nel dettaglio il termine lacunar, lo rappresentò anche graficamente.

Per alcuni anni, dopo la sua scoperta, il monumento venne studiato in diverse occasioni (Kenner, 1880 – Enrico Nestore Legnazzi, 1887 – Giulio Grablowitz, 1887 – Enrico Maionica, 1893).

In epoca recente il monumento destò l’interesse tecnico-gnomonimo-astronomico di altri tre importanti studiosi, Marco Pagliari 1991, Dante Tognin 1993, Paolo Albéri Auber.

Quest’ultimo, ingengere e grande esperto di gnomonica, a più riprese a partire dagli anni Duemila approfondì in maniera ineccepibile ed esaustiva tutta la storia del monumento, evidenziando anche i vari contesti in cui poteva inserirsi e dandone una sua personale interpretazione. L’ultimo suo aggiornamento risale all’agosto dello scorso anno è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Orologi Solari”.

Tutti gli studi che si sono cimentati sul tema, tuttavia, hanno formulato ipotesi diverse, ma non definitive.

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Aquileia, giardini del Museo archeologico nazionale, il dottor Enrico Maionica indica col bastone da passeggio la meridiana di Euporus ad altri

studiosi Ciò mi ha

spinto a ritenere che ci fosse spazio per una

proposta personale.

Pertanto, dopo aver approfondit o gli studi di cui sopra ed essermi confrontato di persona con alcuni autori, mi sono fatto l’idea che sinora tutti hanno cercato risposte complicate a domande semplici.

Probabilmente la difficolta nel semplificare è nata da un errore di base, cioè la datazione del monumento – che tutti fanno risalire al II secolo d. C. tratti in inganno da epigrafi che nulla hanno a che vedere con la meridiana.

Un altro errore è stato individuare la posizione del monumento all’interno del circo.

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Il ritrovamento è collegato all’orientamento dell’intero impianto monumentale

Il ritrovamento del 1878 rappresentò un fatto eccezionale, tanto che la notizia che si diffuse immediatamente.

La scoperta, tuttavia, forse volutamente, venne trattata da Gregorutti in maniera sommaria.

Inizialmente ne diede comunicazione al collega Wilhelm Henzen del Deutsches

Archaelolgisches Istitur Rom, che ne pubblicò il contenuto, così scrivendo: “la pietra trovasi collocata sul sito con i lati parallelamente al corso delle mura in modo che gli assi

trasversale e longitudinale della medesima segnano la direzione dei cardini e dei decumani della colonia”.

Successivamente, nel 1879-1880, Gregorutti, fece un rapporto ai soci della Società di Minerva “Archeografo Triestino” dove insistette fermamente sullo stesso concetto: “La direzione della pietra è parallela alle mura così che declina come queste per gradi 22°30′ da Settentrione verso Occidente. Il monumento segnava la giusta direzione del Cardo

Maximus di Aquileia.

Solo nel 1887, all’interno dell’opera “Del catasto romano e di alcuni strumenti antichi di geodesia” del professor Legnazzi, edita a Verona da Drucker e Tedeschi, fu riportato il disegno che illustrava tutto il complesso, compresa l’asta gnomonica (asta che al momento dello scavo non venne rinvenuta nel suo alloggiamento nella meridana, ma staccata, a poca distanza).

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Ricostruzione della disposizione dei venti della meridiana di Euporus realizzata da Albèri Auber (Istituto Veneto Scienze Lettere e Arti, 2005)

Anche Auber, basandosi su alcune testimonian ze

inconfutabil i, ricostruì l’intera apparecchia tura

gnomonica- anemoscopi ca, tenendo conto della direzione originaria, cioè

l’orientame nto storico di Aquileia (22°30’

ovest), lo stesso che si può vedere nell’Agro colonico di Aquileia di Grablovitz (1887).

Come si può notare nella rappresentazione grafica, l’orientamento dell’Agro colonico di Aquileia si trova esattamente a metà tra la direzione del vento Septentrio e il

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vento Aquilo ed esattamente a metà tra la direzione del vento Boreas e il vento Desolinus e questo per i motivi ben precisi che spiegherò oltre anche grazie alle considerazioni di Vitruvio.

Grafico dell’Agro colonico di Aquileia (Drucker e Tedeschi, Del castro romano, Verona 1887, studio ing.

Grablovitz) Consideriamo ora che, a poca distanza dal

complesso monumentale, immediatamente all’esterno del recinto del circo, durante gli scavi di metà Ottocento furono individuati anche i resti di un tempietto repubblicano, con colonne dell’iscrizione Tampia L. F./Diovei a Dio Giove. In questo Tempietto, prima di dar corso alle operazioni di colonizzazione,

venivano esercitati rituali e sacrifici, nonché la divinazione per la definizione degli spazi.

La definizione degli spazi e la loro attribuzione ai legittimi proprietari era basilare

nella weltanschauung religiosa romana. Gli spazi nei quali sarebbero stati eretti templi, altari, edifici venivano “inaugurati”,

organizzati cioè secondo un orientamento che facesse riferimento ai punti geografici e cardinali, dopo aver consultato la volontà di Giove.

Questo edificio, collocato immediatamente alle spalle del Podium e trasformato dopo il rifacimento delle mura in torre di difesa, aveva una pianta ottagonale che è la stessa pianta della famosissima Torre dei Venti eretta ad Atene da Andronico Cireste.

Pertanto, si può sostenere che questo edificio oltre a essere un tempietto dedicato a Giove era una torre dei venti, una delle torri citate da Vitruvio nel De architectura, Libro primo, Capo VI.

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Ciò si collegherebbe anche ad un’altra scoperta: un oggetto rinvenuto una ventina di anni fa ad Aquileia nel fondo di un pozzo (tipico riparo in caso di invasione barbarica),

un’applique con bassorilievo in bronzo raffigurante il profilo di un viso maschile coi capelli mossi dal vento. Per questo motivo è catalogato come un “Eolo”.

Ora, a logica, l’intero complesso monumentale non si poteva trovare allo stesso piano del circo e più precisamente nella pista delle corse dei cavalli in quanto, considerate le dimensioni, ne avrebbe ostacolato le gare.

Di conseguenza non poteva che essere alla stessa quota sia della pavimentazione del tempietto di Giove/Torre dei venti di età repubblicana, sia del quartiere abitativo ritrovato sotto il circo (e quindi con esso obliterati).

La Torre dei Venti di Atene di Andorico Cireste

(dal De architectura di Cesare Cesariano

1521 Milano). I Va sottolineato che una nota pubblicazione di qualche anno fa

sull’archeologia di Aquileia riporta alcune imprecisioni:

ridimensiona le dimensioni del circo per dimostrare che la struttura non si interseca con l’area del moderno cimitero. Si noti che il camposanto, risalente agli anni 1912-13, è stato costruito in parte proprio sopra le carceri dove sedeva l’imperatore;

attribuisce la costruzione del tempietto al II secolo d.C.

mentre la struttura è di epoca repubblicana;

cita studi – fuorvianti – che sostengono che la meridiana sia stata portata ad Aquileia da fuori;

posiziona in maniera errata il complesso monumentale di Euporus, che risulta disassato rispetto

all’allineamento delle mura antiche (e quindi non formante un angolo di 22°30′ con la linea del Nord).

La datazione, gli elementi che lo compongono e la loro funzione

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cassettoni nel cornicione interno

della torre sono i prototipi di quelli

riprodotti dai romani.

I principali dati che ci possono far risalire al periodo di datazione del monumento sono le misure che lo compongono e che non risulta siano mai state, da nessuno, prese in debita considerazione.

In particolare, le misure della pesante e spessa lastra orizzontale di circa metri 1,05 x 2,10 – corrispondenti esattamente a due cubiti reali in larghezza e quattro cubiti reali in lunghezza.

In Grecia e ancor prima presso gli egizi il sistema di misura era quello del cubito reale, corrispondente a cm. 52,5 centimetri. La sua proporzione tra i lati è identica al rapporto relativo al doppio quadrilatero della Città Murata e ancor prima al rapporto tra la lunghezza e la larghezza della tomba di Cheope corrispondente a 10 per 20 cubiti reali.

Questo motivo avvalorerebbe ancor di più la tesi che il complesso monumentale del tipo

“Plinthio Lacunare” (basamento a cassettone) denominata la meridiana di Euporus, è una copia esatta – con il solo adattamento della posizione del tracciato gnomonico – della

meridiana Plinthum sive lacunar inventata e scolpita da Sckopas nel III secolo a. C., oggetto di bottino della prima guerra Punica, poi trasportata a Roma, assieme ad altre pregevoli opere sempre realizzate da Skopas e posizionate a decoro dei templi realizzati all’interno del circo Flaminio.

Sicuramente anche nel periodo in cui venne realizzata la copia, risalente al circa II secolo a.C. periodo in cui fu fondata Aquileia, era di vitale importanza mantenere rigorosamente le misure con le relative proporzioni.

Altro elemento importante per la datazione del monumento è il tipo di finitura adottato nella realizzazione.

Tale dettaglio è emerso in occasione dell’analisi autoptica effettuata assieme

all’architetto Gabriele Cattarin, esperto lapideo e realizzatore di meridiane (non ultima quella realizzata a Lignano Sabbiadoro nell’area residenziale “La Porta del mare”).

Una particolarità rilevata è che questa meridiana, oltre ad essere una elaborata struttura architettonica, è l’unica che riporta scolpiti su elementi marmorei i nomi dei venti con la

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sessa sequenza di quelli della rosa dei venti scolpita nella meridiana di Euporus.

Nella relazione si evidenzia poi che la scultura monumentale, sicuramente estratta dalle cave romane di Duino (TS), può risalire all’arte greco-romana anche dal tipo di lavorazione della lastra in pietra, effettuata nella parte sottostante a mezzo di subbia, mentre nella parte superiore con scalpelli in ferro di varie misure. La meridiana doveva necessariamente

essere esposta all’esterno e soggetta alle gravose condizioni ambientali, ma non doveva deperire. Pertanto il suo capace scultore, oltre ad averla realizzata con una pietra molto resistente, deve aver adottato la tecnica della “tempera in superficie”, ottenuta mediante più passaggi di sale strofinato velocemente con sacco fino a provocarne il riscaldamento e di conseguenza l’indurimento. Questo accorgimento era usato sui monumenti di pregio

destinati a durare nel tempo.

Il tracciato gnomonico della meridiana di Aquileia, circondato e in parte intersecato da due circoli concentrici entro i cui solchi sono iscritti i nomi

dei venti e la dedica, M. ANTIUSTIUS EUPORUS FECIT

Di

conseguenz a il

monumento può essere sicuramente datato II secolo a.C.

Anche l’epigrafista Roberta Rio è della stessa opinione, datando le scritte a quel periodo.

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Una spiegazione plausibile che si può dare al largo foro presente in un angolo dalla vasca ricavata sulla lastra in pietra, che ne compromette la tenuta, è che questo foro servisse a far defluire dalla vasca il sangue che fuoriusciva durante le operazioni di sezionamento degli animali sacrificati. (Fig. 10). Questo rituale veniva regolarmente effettuato dai romani prima di prendere la decisione sulla colonizzazione o meno delle terre conquistate.

A conferma, ci viene in aiuto Vitruvio con il De architectura, dove nel Libro primo, Capo IV documenta quali siano gli studi necessari per realizzare le colonie e costruire città salubri.

“Pertanto io reputo doversi scrupolosamente aver sempre di mira gli usi antichi:

imperrocchè i nostri maggiori dovendo sacrificar animali che pascevano quali volevansi erigere o città o accampamenti, ne osservavano loro fegati e la loro milza, i quali se a prima giunta apparivano o lividi o viziati, uccidevano tosto altri animali, dubitando quelli esser infettati o di malattia o per causa de’ pascoli; e quando ne avevan molti sperimentati, ed accertatasi della sana e soda natura de’ fegati e milza, a cagion dell’acqua e del pascolo, ivi fermavano gli alloggiamenti. Se poi gli rinvenivano difettosi, argomentavano del pari che pestifera esser dovesse in que’ luoghi anche pe’ corpi umani la qualità de’ cibi e dell’acqua, e perciò passavano oltre e mutavan paese cercando in ogni cosa la salubrità. Ma che dai pascoli e dai cibi si conoscono le proprietà sane delle terre, si può argomentare ed intendere dalle campagne dei Cretesi, che sono intorno al fiume Potereo, il quale è ivi fra le due città di Gnosso e di Cortina: perciocchè a destra ed a sinistra del fiume si pascolano gli animali;

ma quelli che si cibano presso Gnoso patiscono di milza; e quelli poi dall’altra parte presso Cortina non mostrano siffatta infermità. Onde investigando i medici tal cagione, ritrovarono in quei luoghi un’erba, la quale mangiandone gli animali, assottigliava loro la milza. Da ciò si può dedurre, che dal cibo e dall’acqua rendonsi le proprietà dei luoghi o pestifere, o salubri”.

Ecco anche la ragione delle attaccature, ove sono presenti ancora dei residui di piombo, posizionate nel blocco: servivano a sostenere ganci metallici, ora scomparsi, usati per

appendere gli animali da sacrificare. Nelle panche squadrate, che parzialmente perimetrano la lastra e che in pianta sono disposte ad “U”, potevano così trovare posto a sedere chi doveva controllare le operazioni, gli agrimensori. Prendendo a suggerimento la miniatura del manoscritto Platinus 1564, riportata anche in copertina dell’importante libro di O.A.W.

Dilche “Gli Agrimensori di Roma Antica” 1971, in cui è raffigurata una commissione di nove

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agrimensori, si può pensare che essi si posizionassero attorno a questa lastra in pietra per prendere le decisioni più importanti sulla scelta del luogo in cui far sorgere gli

accampamenti e le città e sull’orientamento ed impostazione da dare alle nuove colonizzazioni dell’Impero Romano.

Il tracciato gnomonico

Il particolare tracciato gnomonico è stato scolpito sulla lastra di pietra all’interno della vasca.

Esso è costituito da un analemma che sta ad indicare la posizione angolare del sole al

mezzodì nei quattro momenti cruciali dell’anno ovvero, il solstizio estivo, quello invernale e i due equinozi. Era pratica antica osservare gli angoli sotto cui, al mezzodì il sole e tutti i fenomeni ad esso collegati.

L’analemma viene calcolato e successivamente tracciato conoscendo la latitudine di una località o viceversa, conscendo il tracciato dell’analemma si può risalire alla latitudine della località per cui è stato realizzato. Dal periodo in cui fu ritrovata la meridiana di Euporus, il suo analemma fu oggetto di molti studi da parte di diversi gnomonisti, che sollevarono diverse perplessità ed interrogativi.

Il motivo era perché lo sviluppo del suo tracciato, costituito dalle due iperboli solstiziali, non era compatibile con la latitudine di Aquileia. Nemmeno le linee orarie/ore antiche

corrispondono per alla latitudine di Aquileia.

Le uniche linee corrette di tutto il tracciato – dando per certo che la lastra del monumento sia stata ritrovata parallela alle mura così da declinare come queste per 22°30′ gradi da Settentrione verso Occidente e quindi segnare il Cardo Maximus – sono la retta equinoziale e quella ortogonale riferita all’ora VI.

Pur avendo letto tutti gli studi gnomonici effettuati, ma non avendo specifiche competenze in materia, non ritengo opportuno cimentarmi in valutazioni.

Ritengo infatti, come già accennato sopra, che il tracciato gnomonico della meridiana

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di Euporus sia esattamente (al netto di errori di trascrizione, del trasferimento da una località all’altra, del tracciamento sulla lastra in pietra) la copia del tracciato gnomonico della meridiana Plinthium sive lacunar inventata e scolpita da Skopas nel III secolo a. C.

Lacunare marmoreo romano del secondo secolo a foglie d’acanto usato

come fioriera Il suo analemma, infatti, è stato calcolato per

una latitudine di 36° ed una eclittica di 24°, riferimenti importantissimi nella geografia antica di Diarhodon. Da ciò, nell’assemblare la copia del tracciato gnomonico, calcolato per una latitudine di 36°, facendo coincidere la posizione della retta equinoziale con la latitudine di Aquileia – affinché fosse esattamente ortogonale all’asse Nord

Geografico/Sud ed al lato lungo della lastra e dell’intero impianto monumentale che andava collocato in allineamento con quella che sarebbe stato l’orientamento dell’Agro

coloniale di Aquileia – parte del tracciato fini al di fuori della superficie della lastra tanto da essere costretti, per contenerlo

completamente, a dover sagomare la cornice perimetrale.

Questa convinzione è supportata anche da quanto, molto dettagliatamente e

professionalmente, ha descritto l’ingegner Auber a pag. 274-275 nel suo studio 2005

“L’orologio solare orizzontale del circo di Aquileia (II sec. DC), il Plinto di Euporus” (prima parte, Atti dell’Istituto veneto di scienze lettere ed arti, tomo CLXIII (2004-2005), classe di scienze fisiche, matematiche e naturali).

L’asta gnomonica

Lo gnomone non è presente nel Museo archeologico nazionale di Aquileia, in quanto

“stranamente” smarrito e difficilmente ricomparirà.

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L’unica cosa al momento visibile è il foro delle dimensioni di circa 3×4 cm. presente nella lastra in pietra, riempito con residui di ferro e di piombo i quali farebbero pensare che la sezione era di circa 10×10 mm. La posizione del foro rispetto al tracciato gnomonico fa presupporre che lo stilo rappresentasse qualcosa di complesso in quanto troppo arretrato per proiettare correttamente la sua ombra sull’analemma e sulle rette raffiguranti le ore (antiche).

Questa posizione, che ha creato incertezze ed equivoci a diversi ricercatori, conferma la certezza che il tracciato gnomonico non era stato creato per essere un orologio solare per la latitudine di Aquileia, e quindi segnare le ore antiche del giorno nei vari mesi dell’anno.

Se assumiamo che sia la copia del tracciato gnomonico circondato, e in parte intersecato, da due circoli concentrici entro i cui solchi sono scritti i nomi degli otto venti antichi greci della meridiana Plinthum sive lacunar inventata e scolpita da Skopas nel III secolo a. C., tutto torna.

L’unico elemento importante per Aquileia era la retta equinoziale, che doveva essere

posizionata correttamente con l’orientamento levante e ponente ovvero Est/Ovest, e la rosa dei venti.

Al momento del ritrovamento dell’intero impianto monumentale Gregorutti riportava di aver ritrovato, in un secondo tempo e nelle immediate vicinanze del monumento, anche l’asta gnomonica, composta da diverse parti e di una lunghezza superiore rispetto ad un normale stilo gnomonico.

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Disegno della Groma nella pubblicazione del 1887. A destra, come sospeso sopra il piano della meridiana, si può notare il quadratino del dodecaedro

Nel disegno elaborato da Edoardo Del Neri e pervenuto a noi tramite la pubblicazione del Legnazzi, redatta da Drucker e Tedeschi (“Del castro romano”, Verona 1887 –

studio dell’ing. Grablovitz) viene rappresentata in scala con massima precisione la sezione A-B della pianta dell’intero monumento. Si può notare che al di sopra dell’asta gnomonica è stato disegnato un cubo delle dimensioni di circa 6 cm. che sicuramente rappresentava un dodecaedro romano.

Il dodecaedro

Ma cos’è il dodecaedro, oggetto studiato dai filosofi fin dall’antichità? Ne parleremo dettagliatamente in un prossimo articolo.

Basti qui sintetizzare che si tratta di un piccolo manufatto cavo, delle dimensioni che

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variano dai 4 agli 11 centimetri, realizzato in bronzo o in pietra (è stato reso noto del

ritrovamento anche di alcuni in oro), formato da dodici facce piatte pentagonali i cui vertici s’incontrano a gruppi di tre e sulle quali è presente un foro circolare con diametri diversi.

Questo preziosissimo strumento serviva agli agrimensori romani (a quel tempo persone stimate e facoltose) ad individuare esattamente, alle varie latitudini e prima dell’entrata in vigore del calendario Giuliano, il giorno esatto dell’equinozio primaverile ed autunnale e quindi tracciarne perfettamente la sua retta equinoziale, punto di partenza per impostare, con l’uso poi della meridiana piana, l’orientamento delle terre conquistate divenute colonie.

La rosa dei venti

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Rappresentazione della rosa degli otto venti, trattata dal De architectura, Cesare Cesariano, 1521, Milano

Nella spessa lastra orizzontale di pietra sono stati scolpiti due circoli concentrici, entro i cui solchi sono scritti i nomi dei venti antichi che

cominciand o da Nord e in senso orario sono: Septe ntrio, vento spirante da Nord

(Tramontan a); Boreas, vento spirante da Nord/Est (Bora); Des olinus, vento spirante da Est

(Levante); E

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urus, vento spirante da Sud-Est (Scirocco);

Auster, vento spirante da Sud

(Austro)

; Africus, vento spirante da Sud-Ovest (Libeccio);

Favonius, vento spirante da Ovest (Zefiro); Aq uilo, vento spirante da Nord-Ovest (Maestrale).

Vitruvio all’interno del libro primo, capo VI, spiega, sulla base della Rosa Ventorum, come nel corso della realizzazione delle colonizzazioni e delle città, venisse tracciata la direzione delle strade:

“Partendo dall’idea che piacque ad alcuni che i Venti non fossero che quattro: (Auster, Septentrio, Favonius, Solanus). Ma quei che ne hanno fatta ricerca più diligente ne stabilirono poi otto con l’aggiunta di (Afhricus, Chaurus, Aquilo, Eurus) grazie alle misurazioni fatte da Andronico Cireste che ad Atene eresse una torre di marmo a otto facce sulla quale fece scolpire l’immagine di ciascun vento e sulla cui sommità pose un tritone di bronzo che dal vento era girato e fermato dirimpetto al soffio), […] Si segni con un

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punto un’ora in circa prima di mezzogiorno, l’estremità dell’ombra dello gnomone; indi aperto il compasso fino a questo punto, che è l’estremità della lunghezza dell’ombra, con questo intervallo, e centro si descriva un cerchio. Si osservi parimenti dopo mezzogiorno l’ombra di questo gnomone, la quale va crescendo; ed ove toccherà la circonferenza del cerchio, sicché farà l’ombra del giorno eguale a quella della mattina, si segni un punto.

Fatto ciò si prenda la decimosesta parte di tutta la circonferenza, e fatto centro in quel punto ove la tocca la meridiana, si segnino in essa circonferenza i punti a destra e a sinistra, cioè tanto dalla parte di Mezzogiorno, quanto di Settentrione; quindi di questi quattro punti si tirino fino alla circonferenza le linee, che si intersecano nel centro. Così si farà un’ottava parte per l’Ostro, ed una per la Tramontana: le altre ottave parti tre a destra e tre a sinistra si devono distribuire in tutta la circonferenza, in modo che siano otto parti uguali per gli otto venti”.

“Ciò fatto la direzione delle strade e de vicoli si tireranno per gli angoli fra le due direzioni dei venti; ed in quella maniera, e con quella distribuzione si verrà a tener lontano dalle abitazioni, e dalle strade la molesta violenza de venti. […]. Debbono dunque le strade essere tirate opposte alla direzione dei venti, 36 sabato acciocché quando questi soffiano, si

frangano ai cantoni delle isole delle case, e ribattuti si disperdano”. “Nulla deve essere lasciato al caso così sarà da evitare strade esposte a venti freddi perché offendono, caldi perché viziano e umidi perché nuocciono. L’esempio che viene portato è la città di Mitilene nell’isola di Lesbo, fabbricata con magnificenza ma non situata con giudizio, perché in essa a seconda del vento che soffia ne risente la salute della popolazione e dove nelle strade non si può resistere per la veemenza del freddo. Obiettivo fondamentale è tenere lontani i venti, solo in questo modo il luogo potrà essere salubre”.

Ecco perché la posizione del vento Aquilo è al posto di Caurus (NO) ed in luogo di Aquilo (NE) l’inserimento di Boreas’.

Un passo indietro.

Non è noto quando il senso umano di orientamento geografico venne associato ai venti, ma già l’antico poeta greco Omero (circa 800 a.C.) si riferisce ai quattro venti con i loro nomi – Borea, Euro, Noto, Zefiro – nella sua Odissea e nell’Illiade. A lui si susseguirono diversi importanti, filosofi, fisici e poeti, dove ognuno si cimentò ad aumentare, diminuire, cambiare

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il nome ed ubicazione dei venti.

Rappresentazione vitruviana dell’analemma alla latitudine di Roma, Cesare Cesariano, De architectura, 1521, Milano

Aristotele, (ca. 382 a.C.) introdusse nel suo Meteorologi a (ca. 340 a.C.) un sistema di venti che ne annovera da dieci a dodici, di cui agli otto venti

principali: A parctias (N) , Cecias (NE ), Apeliotes (E), Euros ( SE), Notos ( S), Lips (SO ), Zephyrus (O)

e Argestes ( NO),

aggiunge due venti intermedi, T rascias (NN O)

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e Meses (N NE),

notando che questi non hanno contrari.

Pertanto, in questo modo, Aristotele concepisce una rosa dei venti

asimmetrica di dieci venti.

Nord (N) Apartias (ὰπαρκτίας, variante Boreas (βoρέας) il meridiano superiore Nord-Nordest (NNE) Meses (μέσης) l'”alba” polare

Nordest (NE) Cecias (καικίας) punto di levata del sole in estate Est (E) Apeliotes (ὰπηλιώτ ης) punto di levata del sole all’equinozio

Sudest (SE) Euros (εΰρος) (variante: Euronotos (εὺρόνοtοi) punto di levata del sole in inverno

Sud-Sudest (SSE) Nessun vento (tranne il locale Fenicia (φοινι κίας) Sud (S) Notos (νόtος) il meridiano inferiore.

Sudovest (SSO) Nessun vento

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Sudovest (SO) Lips (λίψ) punto di tramonto del sole in inverno

Ovest (O) Zephyrus (ζέφυρος) punto di tramonto del sole all’equinozio

Nord-Ovest (NO) Argestes (ὰργέστης ) (varianti: Olimpias (ό λυμπίας) e Scirones (σκίρων) punto di tramonto del sole in estate

Nord-Nordovest (NNO) Trascias (θρασκίας) il “tramonto” polare

Supponendo che lo spettatore sia localizzato ad Atene, si può calcolare che questa

costruzione darebbe come risultato una rosa dei venti simmetrica con angoli approssimati di 30º. Il sistema di Aristotele potrebbe dunque essere concepito come una rosa a dodici venti con quattro venti cardinali (N, E, S, O), quattro “venti solstiziali” (a grandi linee, NO, NE, SE, SO), due “venti polari” (approssimativamente NNO, NNE) e due “non-venti” (SSO, SSE).

Aristotele ha ingrandito il sistema dei venti, portandolo da quello omerico ad uno di dieci venti, ma lo ha lasciato sbilanciato.

Il navigatore Timostene di Rodi (ca. 282 a.C.) aveva sviluppato un sistema di 12 venti, aggiungendo quattro venti agli otto consueti). La lista di Timostene

era: Aparctias (N), Boreas (non Meses, NNE), Caecias (NE), Apeliotes (E), Eurus (SE),

“Fenicia, anche chiamato Euronotos (SSE), Notos (S), Libonotos (prima menzione, SSO), Lips (SO), Zephyrus (O), Argestes (NO) e Thrascias (NNO).

Si dice che il geografo Eratostene di Cirene (ca.200 a.C.), comprendendo che più venti presentavano solo leggere varianti, ridusse i dodici venti agli otto principali. L’opera

originale di Eratostene è andata perduta, ma la storia è riportata da Vitruvio, che prosegue dicendo che Eratostene giunse a questa conclusione nel tentativo di misurare la

circonferenza della terra. Egli dedusse che c’erano in realtà solo otto settori di uguale ampiezza e che gli altri venti non erano altro che varianti di questi otto venti principali. Se ciò fosse vero, Eratostene sarebbe l’inventore della rosa dei venti ad otto punte. È

interessante notare che sia Timostene sia Eratostene suo discepolo si discostano su questo punto. Entrambi riconoscono che la rosa a dieci venti di Aristotele non è simmetrica, ma mentre Timostene ripristina l’equilibrio aggiungendo due venti per creare una rosa a dodici venti, Eratostene elimina due venti per creare una rosa ad otto punte. Sembra che la

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riduzione di Eratostene abbia trionfato. Gli otto venti che nomina sono: Boreas (non Aparctias,N), Cecias (NE), Apeliotes (E), Eurus (S

E), Notos (S), Lips (SO), Zephyrus (O) e Scirones (NO) variante di Argestes. È notevole la ricomparsa di Boreas nel settore Nord al posto di Aparctias.

La famosa “Torre dei Venti” di Atene mostra solo otto venti piuttosto che i dieci di Aristotele o i dodici di Timostene. Si dice che la torre sia stata costruita da Andronico di Cirro (ca. 50 a.C.) ma è comunemente datata dopo il 200 a.C. (ovvero dopo Eratostene).

Il sistema greco dei venti fu adottato dai Romani, parzialmente con la nomenclatura greca, ma sempre più con l’uso di nuovi nomi di origine latina. Dopo aver osservato che dodici venti sono un’esagerazione, Plinio il Vecchio (23 d.C.- 79 d.C.) prosegue nella sua Naturalis Historia (ca.77 d.C.) dicendo che i “moderni” li hanno ridotti ad otto. Li elenca come

Settentrione (N), Aquilone (NNE), Subsolano (E), Volturno (SE), Austro (S), Africo (SO), Favonio (O) e Coro (NO). Quando discute dei mezzi venti, Plinio dice che l’Aquilo, in estate, si trasforma nei venti Estesii (Meltemi) i venti periodici che erano già stati nominati da Aristotele come Argestes (ὰργέστης) (NO) varianti: Olimpias (όλυμπίας)

e Scirones (σκίρων), e successivamente da Eratostene come Scirones (σκίρων) (NO), in quanto a quelle latitudini di 36°, rappresentate dalle iperbole solstiziali riportate nella meridiana di Euporus, soffiano in quella direzione.

Essendo la rosa dei venti della meridiana orizzontale di Euporus del tipo Plinto Lacunare, non c’è da meravigliarsi se la disposizione dei venti ricalca quella della cultura greca per una latitudine di 36°.

Chi era M. Antistius Euporus, il cui nome è inciso sulla meridiana?

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Pianta di Aquileia Romana. Da P. Kandler, Aquileia Romana in

“Archeografo Triestino” 1869

Di Marco Antistio no n si hanno molte notizie, questo probabilme nte per le ovvie ragione legate a non far

emergere i segreti celati dietro la

meridiana ed a lui facente riferimento.

Comunque, riferendoci al periodo che va da III al II secolo a.C. a cui fa riferimento la

presente ricerca, Marco Antistio, fu citato per ben tre volte nei libri storici a noi conosciuti.

La prima volta da Tito Livio nella – Ab Urbe condita Libro XXXIII, documentando un periodo relativo al 220 a.C. Dopo la prima guerra punica (264-241 a.C.) il console Gaio Flaminio Nepote promosse un ampio programma di riorganizzazione amministrativa ed economica di tutto il territorio a sud di Rimini (Ariminum), l’Ager gallicus, tanto che nel (232 a.C.) con l’approvazione della Legge Lex Flaminia le aree conquistate vennero

assegnate ai coloni dopo essere state centuriate e divise in tre parti: la prima rimaneva di proprietà dello stato (ager publicus), la seconda veniva lasciata 46 sabato 16 ottobre 2021 ai vinti, mentre la terza era data ai soldati.

Ariminum era snodo di importanti vie di comunicazione tra il Nord e il Centro: qui

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terminava la Via Flaminia (220 a.C.) proveniente da Roma. Da Ariminum si dipartivano: la Via Emilia (187 a.C.), diretta a Piacenza, e la Via Popilia-Annia (132 a.C.), che collegava la città a Ravenna, Adria, Padova, Altinium, Aquileia.

Di questo periodo Tito Livio riporta: “Gaio Flaminio andò in disaccordo con il Senato per non essersi recato a Roma in Campidoglio e per essersi proclamato per la seconda volta console nel 217 a.C., entrando in carica senza aver preso gli auspici nel tempio di Giove.

Partito di nascosto per iniziare il consolato a Rimini invece di fermarsi a Roma. Il Senato venuto a conoscenza di tale fugace partenza, d’accordo con tutti, era dell’avviso che si dovesse richiamarlo e astringerlo a compiere di presenza i suoi doveri verso gli Dei e verso gli uomini, prima che giungesse alla sua provincia presso l’esercito. Per questo incarico, il Senato deliberò di mandare i Commissari Q. Terentius e M. Antistius, che però fallirono nell’intento”.

La seconda volta fu sempre ricordato da Tito Livio nella – Ab Urbe condita Libro XXXIII, nel periodo 212 a.C. che di seguito si riporta una traduzione dell’estratto: “Poi fu data udienza dal senato ai Campani, il cui discorso fu assai più commovente […] Indi, fatti uscire dalla sala, ci si chiese per un momento se si dovesse richiamare Quinto Fulvio da Capua (poiché il console Claudio era morto dopo la presa della citta) affinchè si discutesse in presenza del comandante che aveva fatto l’impresa, come già si era disputato tra Marcello ed i Siciliani;

poi, venendo in senato, Marco Atilio, e Caio Fulvi, fratello di Flacco, di lui legati, non che quinto Minucio, e Lucio Ventulio Filone come pure i legati di Claudio che erano stati

presenti a tutte le cose, né volendo che Fulvio fosse richiamato Capua, né che si differisse di rispondere ai Campani, chiesto del parere Marco Attilio Regolo che, di quelli che erano stati a Capua, era credito maggiore, “Presa Capua, disse, mi ricordo di essere intervenuto al consiglio con i consoli, quando si ricercò quali dei Campani avesse meritato della nostra patria; e non essendosi trovate che due donne, Vestia Oppia Atellana, abitante in Capua, e Faucula Cluvia, che in passato si manteneva vendendo il proprio corpo; quella essersi sacrificata ogni giorno per la salute e la vittoria del popolo Romano; questa aver dato di nascosto cibo ai prigionieri bisognosi; di tutti gli altri Campani essere stato l’Animo simile a quello dei Cartaginesi; ed aver Fulvio fatto decapitare quelli che sopravanzavano gli altri per dignità, più per colpa. Non vedo cosa il senato possa deliberare dei Campani, che sono cittadini di Roma, senza che il popolo non lo autorizzi; il che trovo essersi fatto dai nostri maggiori nel caso dei Satricanti, che si erano ribellati, avendo il tribuno della plebe Marco

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Antistio proposto alla medesima, e questa approvato, che il senato potesse dare il suo giudizio nell’affare dei Satricanti (…)”.

La terza volta invece fu ricordato da Marco Tullio Cicerone nel – Retorica- De Oratore Libro II – LXXI C. 286-287, nel periodo 178 a.C. che di seguito si riporta.

“Il ridicolo spesso si ottiene concedendo all’avversario ciò che egli ti nega, come fece C.

Leilio, quando a un tale di ignobili natali che diceva: Tu sei indegno dei tuoi antenati, rispose: Ma tu, per Ercole, sei degno dei tuoi! Spesso si dicono facezie anche in tono sentenzioso, come quando una volta mentre si discuteva sulla legge riguardante i doni e i regali agli avvocati, presentata da M. Cincio saltò fuori C. Centone, che disse con tono fortemente offensivo: Che cos’è che vuoi proporre, o piccolo Cincio? e Cincio di rimando:

Che tu debba comprare, o Gaio, ciò di cui hai bisogno. spesso il ridicolo deriva dal chiedere cose impossibili, come quando, davanti a tutti i compagni che si addestravano nel Campo Marzio, M. Lepido comodamente sdraiato sull’Erba disse: Come vorrei che la fatica fosse questa! Siamo facenti anche quando, alla gente che c’interroga e quasi c’incalza con domande, noi rispondiamo con calma, in senso contrario all’aspettativa; così il censore Lepidio avendo tolto a M. Antistio di Pirgi la dignità equestre, gli amici che gridavano e dicevano: Che cosa dovrà dire il padre, per giustificare la perdita della dignità equestre, questo colono esemplare, sobrio modesto e frugale quant’altri mai, rispose: Che io non credo nulla di tutto questo.”

Ricordiamo che, come documentato da Plinio il Vecchio nella sua (Nat. Hist.III, 18,26) , che ad Aquileia fondata nel 181 a.C. che a organizzare l’impianto del porto delle navi, una delle prime opere per dar inizio alla colonizzazione della città, furono tre personaggi di spicco della vita politica di Roma, i Triumviri coloniae Lucio Manlio Acidino, Scipione

Nasica e Gaio Flaminio (figlio di console Gaio Flaminio Nepote), che guidarono un contingente di 3000 coloni-soldati (con relative 49 sabato 16 ottobre 2021 famiglie, più un numero oscillante tra le 300 e le 400 unità di graduati e cavalieri, per un totale complessivo di 12.000-15.000 persone) provenienti dall’Italia centrale (Lazio, Umbria, Sannio, e fascia adriatica picena), cui si unirono, come indicato da fonti documentarie, gruppi di veneti, tradizionali alleati di Roma, costituiti da famiglie prestigiose, precocemente presenti nelle magistrature e negli ambiti produttivi).

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Rilievo esatto della via Annia, dell’ubicazione del porto, delle navi e del circo

Fu proprio in quel periodo che, venne

costruita la meridiana orizzontale di Euporus per

permettere agli

agrimensori di dare l’orientame nto all’Agro colonico di Aquileia e di centuriare i terreni sulla base della Legge Lex Flaminia div idendoli nelle tre parti

sopracitate.

Probabilme nte fu proprio Gaio Flaminio a disporre che il

monumento

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venisse dedicato al primo Commissari o, poi

Tribuno della Plebe nonché Equestre M.

Antistius di Pirgi a cui fu

aggiunto Eu porus fecit, che

significa

“per il bene che ha fatto”

(Euporus, d al gr. eu = bene e porus

= modo di fare – Fecit

= dal lat. ha fatto)

Quindi: “A Mario Antistio per il bene che ha fatto”.

Conclusioni

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Si può dunque sostenere che la meridiana orizzontale di Euporus, del tipo Plinto Lacunare è uno dei principali monumenti topografico-gnomonico-anemoscopico-astronomico-

astrologico-religioso attualmente noti ed è una delle varianti del Plinthium sive Lacunar del circo Flaminio inventato e scolpito da Scopas Syracusius (citato da Vitruvio nel Libro nono, capo IX del De architectura) introdotta a Roma come bottino di guerra nel 263 a.C. con l’occupazione di Catania. La meridiana di Euporus risale sicuramente a prima del 164 a.C., in quanto non ancora modificata, ed è stata costruita presumibilmente verso il 180 a. C. per impostare l’orientamento di quello che diventò l’Agro colonico di Aquileia.

Alla luce di queste considerazioni andrebbe rivista la datazione attualmente assegnata al monumento. Anche Vitruvio per giustificare che la meridiana inventata e realizzata da Skopas, andasse modificata al fine di adeguarla alle latitudini di Roma e del resto dell’Impero Romano, riporta nel suo De architectura, Libro primo Capo VI: “Nulla deve essere lasciato al caso così sarà da evitare strade esposte a venti freddi perché offendono, caldi perché viziano e umidi perché nuocciono. L’esempio che viene portato è la città di Mitilene nell’isola di Lesbo, fabbricata con magnificenza ma non situata con giudizio, perché in essa a seconda del vento che soffia ne risente la salute della popolazione e dove nelle strade non si può resistere per la veemenza del freddo. Obiettivo fondamentale è tenere lontani i venti, solo in questo modo il luogo potrà essere salubre”.

Mentre nel Libro nono – fornendoci elementi di gnomonica, tra cui quelli per la realizzazione dell’analemma e la scienza relativa agli orologi solari e ad acqua – racconta come l’ombra dello gnomone equinoziale abbia diversa lunghezza ad Atene, Alessandria, Roma o Piacenza e che quindi il calcolo dell’analemma, per la realizzazione degli orologi, sia differente a seconda del luogo in cui questi vengono realizzati. Il tutto come dalle seguenti

rappresentazioni grafiche.

La cosa più sorprendente è che usando tutti i riferimenti della meridiana piana di Euporus e le lezioni di Vitruvio, nonché aiutato dalle moderne tecnologie, sono riuscito a tracciare:

tutto il tratto della Via Annia che insiste sull’Agro aquileiense, compreso il punto di partenza, corrispondente alla porta a cavedio ubicata nelle mura della Città antica. Lo stesso, si trova esattamente in corrispondenza della cella mortuaria all’interno della cappella del cimitero moderno, mentre il punto di arrivo si trova

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nei pressi del ponte Orlando sul fiume Ausa. Nei pressi di quel luogo ho trovato anche le fondazioni di una torre dei venti a pianta ottagonale uguale a quella ritrovata nei pressi del circo, che servì per il tracciamento della stessa via Annia;

l’esatto posizionamento del circo che con le sue misure della lunghezza di

444,00 m. pari a 1.500 piedi o 1.000 cubiti, per una larghezza di 88,80 m. pari a 300 piedi o 200 cubiti, viene sovrapposto per circa 50,00 m. dal cimitero

moderno, proprio nella zona della cavea riservata all’imperatore;

l’esatta posizione del primo porto realizzato per l’approdo delle navi (ai più sconosciuto) ubicato in località Mariniane, nell’attuale antica vigna nei pressi del circo;

l’esatta posizione del punto di partenza della via Julia Augusta, che si trovava nei pressi dell’attuale campanile della Basilica, dove a poca distanza c’è un’altra fondazione di una torre dei venti a pianta ottagonale.

Luciano Cecconello

BIBLIOGRAFIA Articoli

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