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1.1 Inquadramento storico

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C A P I T O L O 1 – I N T R O D U Z I O N E A I V I L L A G G I O P E R A I

1.1 Inquadramento storico

La realizzazione di edifici industriali e delle strutture, abitative e non, ad esso connesse è relativamente recente e si può far risalire alla fine del XVIII secolo, quando in Europa si assiste ad una progressiva espansione economica che sfocia nella Rivoluzione Industriale

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.

Il ‘700 è un periodo di grandi cambiamenti, indotti soprattutto da importanti contributi intellettuali e filosofici

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, che producono trasformazioni sostanziali che hanno rilevanti conseguenze anche nel secolo successivo. Nel 1789 si assiste, infatti, alla Rivoluzione Francese, figlia delle idee illuministe divulgate da Voltaire, Diderot, Montesquier, mentre nella seconda metà del ‘700 sopravviene, in Gran Bretagna, la Rivoluzione Industriale.

La Rivoluzione Francese affonda le sue radici nelle disagevoli condizioni in cui è costretto a vivere il popolo, soggiogato dalla nobiltà e dal clero. Raggiunto il limite massimo di sopportazione di questa situazione di subordinazione estrema, la popolazione si ribella e conquista la libertà, mentre la borghesia acquisisce potere. Il clima rivoluzionario e la successiva Restaurazione, però, danneggiano gravemente l’economia francese, arrestandone lo sviluppo e impedendo la nascita di quella classe imprenditoriale che avrebbe potuto costituirne l’asse portante.

In Inghilterra, invece, la situazione è notevolmente diversa. Qui, infatti, la nobiltà e la monarchia non intervengono nella vita economica della borghesia e il Blocco Continentale

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diventa il pretesto per incrementare i traffici con le colonie e per potenziare la già autorevole flotta, dando quindi modo alla Gran Bretagna di

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Si distingue una “prima” Rivoluzione Industriale, che avviene tra gli ultimi decenni del XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo, e che riguarda prevalentemente il settore tessile e metallurgico, e una

“seconda” Rivoluzione Industriale, che inizia negli anni ‘80 del XIX secolo con la scoperta dell’elettricità e del motore a scoppio. Questa datazione vale, in particolare, per la Gran Bretagna, perché, come si vede nel capitolo 3, in Italia la Rivoluzione Industriale avviene alcune decine di anni più tardi.

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Si pensi, ad esempio, all’Illuminismo francese, le cui origini possono essere rintracciate nella corrente di pensiero dell’empirismo inglese (Locke, Berkley, Hume).

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Con la locuzione “Blocco Continentale” si indica il divieto emanato da Napoleone Bonaparte il 21

novembre 1806 da Berlino di consentire l’attracco in qualsiasi porto dei paesi soggetti al dominio

francese, alle navi battenti bandiera inglese. Napoleone giustifica questa palese violazione del diritto

internazionale con l’esigenza di rispondere all’azione di blocco dei porti francesi, già operata dalla

Gran Bretagna, la cui marina sequestrava da qualche tempo le navi francesi.

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creare un vero e proprio Impero. Il traffico commerciale instaurato con le colonie, infatti, fa sì che l’industria nazionale inglese si possa sviluppare e crescere in poco tempo in maniera incisiva.

In questo clima di grandi cambiamenti, un apporto considerevole alla Rivoluzione Industriale è dato dall’evoluzione e dalla scoperta di alcune macchine, in particolare quella a vapore di Watt, tra il 1765 e il 1781, e dall’invenzione del telaio meccanico di Cartwright, nel 1785. A questi eventi si aggiungono poi l’illuminazione a gas nel 1792, la rotativa a tiratura rapida nel 1795, la macchina a vapore ad alta pressione nel 1798 e il tornio perfezionato.

Con il Congresso di Vienna del 1815, teorizzato dall’austriaco Metternich, si stabilisce in Europa un certo equilibrio, che consente il più grande sviluppo economico e industriale mai conosciuto dall’umanità, al prezzo, però, dello sfruttamento incontrollato della manodopera, che porta, nella metà dell’800, alla nascita dei sindacati e alla diffusione delle idee socialiste, che sfociano nella formazione di veri e propri partiti politici, il cui compito è tutelare gli interessi di chi è biecamente sfruttato per produrre massimo profitto.

Nella seconda metà del XIX secolo, l’industria si sviluppa in tutta Europa, in particolare in Belgio, in Germania e in Francia. Questo accrescimento repentino e improvviso, causa problemi sia a livello sociale, sia a livello ambientale, perché apporta mutamenti e distruzioni spesso irreversibili in pianure, fiumi, mari e montagne, danneggiando l’ecosistema e conseguentemente la salute dell’uomo.

Contemporaneamente emerge con forza il problema di garantire un alloggio decente agli operai e alle loro famiglie.

Figura 1.1.1. Pianta di un’abitazione sovraffollata di Glasgow

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1.2 La città industriale e la nascita dell’urbanistica moderna

L’incremento della popolazione inglese, dovuto alla diminuzione del tasso di mortalità infantile

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, fa sì che aumenti la percentuale di giovani e questo comporta uno squilibrio tra generazioni, perché i posti lasciati vuoti dalle generazioni precedenti non sono sufficienti a quelle future, che quindi devono risolvere un problema che fino ad allora non si era mai presentato. Il crescere della popolazione, insieme alle trasformazioni economiche, provoca, poi, una diversa distribuzione sul territorio delle persone, che si riversano nelle città per lavorare nelle nuove industrie, provocando una grave alterazione dell’equilibrio tra città e campagna.

La prima tipologia di industria che si sviluppa è quella tessile, perché è in questo settore che si verifica una serie di invenzioni tecniche

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che permettono il passaggio della lavorazione dall’interno delle case contadine (lavoro a cottimo) a dei centri appositi, dove si trovano i macchinari necessari per la trasformazione delle fibre tessili. Poiché le prime macchine sono alimentate con l’energia idraulica, le industrie sorgono prevalentemente in prossimità di corsi d’acqua, che, oltretutto, consentono anche il facile smaltimento dei residui della produzione.

Lo sviluppo industriale comporta quindi il trasferimento di masse di contadini e la nascita di nuovi quartieri in prossimità delle fabbriche.

L’incremento di produzione porta poi allo sviluppo di nuove vie per il commercio, sia stradali sia fluviali

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, e, con l’invenzione della locomotiva di Stephenson, dal 1825 si implementa la rete ferroviaria

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.

L’espansione dei commerci e delle vie di comunicazione porta ad una crescita senza precedenti delle città inglesi

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, che subiscono una trasformazione sostanziale, causata dall’edificazione di nuove abitazioni, di nuove fabbriche e dalla realizzazione di moderne strade.

In questo primo periodo di industrializzazione, «La parte più progredita della cultura economica e politica persuade i governi e l’opinione pubblica a non interferire, anzi a non riconoscere i problemi derivanti dalle trasformazioni in corso sul territorio; scredita e indebolisce i tradizionali metodi di controllo urbanistico, senza proporre in alternativa altri metodi, anzi prospettando in questa materia un’assurda estensione del laisser faire (Adam Smith consiglia i governi di liberarsi dei loro demani per pagare i debiti)»

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. Questo atteggiamento lassista, però, porta alla nascita e alla crescita di quartieri le cui precarie condizioni igieniche mettono

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Il miglioramento nell’alimentazione, dovuto ad un cambiamento di dieta, la cura maggiore nell’igiene, l’impiego di materiali quali il mattone nella costruzione delle case, i progressi della medicina, la razionale collocazione di cimiteri e depositi per le immondizie, il potenziamento della rete fognaria e idrica sono fattori che aiutano la diminuzione del tasso di mortalità infantile.

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Oltre alle scoperte già elencate nel paragrafo 1.1, nel 1771 Arkwright inventa la prima macchina filatrice mossa da energia idraulica.

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Negli anni della Rivoluzione Industriale gran parte delle infrastrutture urbane e territoriali sono realizzate per iniziativa privata e non dello Stato, che si limita a supervisionare i lavori.

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Nel 1825 si effettua il primo servizio pubblico tra Stockton e Darlington e nel 1830 viene aperta la linea Manchester-Birmingham.

8

Londra, alla fine del ‘700, ha un milione di abitanti e nel 1841, 2.235.000.

9

Leonardo Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna (Bari, I: Editori Laterza, 1998), 26-27.

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in crisi intere città, al punto di dover intervenire con un’apposita legislazione e una pianificazione di tipo urbanistico

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.

La costruzione di nuove case e l’adattamento di quelle esistenti diventano prerogativa dei cosiddetti jerry builders, cioè di imprenditori privati che speculano sulle nuove costruzioni realizzando edifici con materiali scadenti, così da aumentare al massimo il profitto. Queste abitazioni non sono in realtà molto dissimili da quelle di campagna, anzi, a differenza di queste ultime non sono occupate dalle macchine filatrici e non pullulano del pulviscolo da esse prodotte, ma molto diverso è il rapporto che si viene a creare tra un edificio e l’altro, perché lo spazio tra volumi è molto ridotto. Questo provoca un grande problema a livello igienico, perché lo smaltimento dei rifiuti diventa difficile e le fognature non sono più sufficienti a smaltire i liquami. Accanto a questo, dobbiamo poi considerare che questi insediamenti sorgono in prossimità delle fabbriche e quindi sono investiti dai fumi prodotti nei processi di trasformazione e le acque sono inquinate dai rifiuti che si creano durante la lavorazione.

A questo proposito sono emblematiche le descrizioni delle città industriali inglesi, Manchester in particolare, fatte da Engels

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in alcune sue pubblicazioni.

Egli racconta come i quartieri operai siano nettamente separati da quelli in cui vive la classe media e lontani dalle vie principali, sebbene non ci sia alla base una pianificazione urbanistica definita, ma il tutto sia frutto del caso. Nei quartieri popolari le costruzioni sono una addossata all’altra, perché si è costruito fino a togliere il più piccolo spazio di terreno tra le case e le condizioni igieniche in cui le persone sono costrette a vivere sono pessime

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.

I casi che Engels descrive sono quelli peggiori e non la media, ma la sua raccolta trova giustificazione nel fatto che l’opinione pubblica non è più disposta a tollerare simili condizioni di vita per la classe operaia, indipendentemente da quanto queste siano diffuse. Mentre le situazioni disagevoli presenti in epoca pre- industriale sono concepite come un destino ineluttabile, quelle in epoca moderna, sviluppatesi in tempi brevi, non appaiono né fisse né inevitabili. Così come è stata creata questa nuova realtà, si ritiene che essa possa essere modificata con i mezzi che si hanno a disposizione e dal contrasto tra la situazione effettiva e quella possibile nasce lo scontento.

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Nel 1844 viene varata la prima legge che disciplina l’edilizia di Londra e nel 1848 si approva la prima legge sulla salute pubblica la Public Health Act (Riccardo Mariani. Abitazione e città nella rivoluzione industriale (Firenze, I: Sansoni, 1975) 150-165.) che istituisce il General Board of Healt h, che ha il compito di condurre indagini e inchieste dove il tasso di mortalità infantile è elevato e che pone, per la prima volta a livello nazionale, la questione dell’edilizia popolare sovvenzionata. Viene anche istituito in ogni distretto un Board of Health locale, che gestisce la rete fognaria e idrica, i rifiuti, le strade, i giardini pubblici e le sepolture; inoltre disciplina i macelli e le case in affitto. Nel 1890 tutte le leggi relative all’edilizia sovvenzionata e alle condizioni igieniche e sanitarie delle abitazioni sono raccolte nell’ Housing of the Working Classes Act. Il primo ente pubblico in grado di intervenire direttamente sull’assetto del territorio, il London Country Council , viene creato a Londra alla fine del XIX secolo ed entra in funzione nel 1899.

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Friedrich Engels (1820-1895), tedesco, è stato economista e filosofo, ideatore con Karl Marx del materialismo storico e dialettico e del marxismo.

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Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (Roma, I: Editori Riuniti, 1978),

81-105.

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Si può quindi «cogliere le origini dell’urbanistica moderna nel momento in cui le situazioni di fatto si sono concretate in maniera sufficiente per provocarne non solo il disagio, ma anche la protesta delle persone che vi sono coinvolte; qui il discorso storico deve necessariamente essere allargato dalle forme d’insediamento alla problematica sociale di quel tempo, mostrando la giusta collocazione dell’urbanistica moderna come parte del tentativo in corso per estendere a tutte le classi i potenziali benefici della rivoluzione industriale, e mettendo in chiaro una volta per tutte l’inevitabile implicazione politica insita nel dibattito tecnico»

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.

Il malessere dilagante nelle città industriali, lo scontento degli operai e le loro proteste non sono però sufficienti, almeno all’inizio dell’800, per creare degli strumenti utili a porre rimedio a queste situazioni. Si viene quindi a creare un vuoto che l’urbanistica tenta di colmare risolvendo il problema dell’organizzazione degli spazi, perdendo così il suo apparire distaccato dalle questioni sociali e fornendo indicazioni per modificare le situazioni attuali. Argomenti tecnici vengono associati ad argomenti ideologici, mettendo in luce il carattere scientifico e moralistico dell’urbanistica moderna. Sono sostanzialmente due le linee di azioni che si delineano: da una parte si cerca di realizzare un modello ideale di città alternativo a quella esistente, dall’altro, si cerca di correggere i difetti della città industriali partendo dalle esigenze tecniche rilevate nella città stessa, come, ad esempio, quelle legate all’igiene.

Queste due linee di condotta, nel tempo, tendono a convergere e integrarsi, perché, nel realizzare i modelli teorici, ci si scontra inevitabilmente con la realtà, mentre la soluzione di singoli problemi tecnici evidenzia la necessità di connettere i vari aspetti legati alla città.

1.3 Il socialismo utopico e le città giardino

Il primo modello, descritto nel paragrafo precedente, è quello portato avanti dai cosiddetti “socialisti utopisti”, che propongono un tipo di città basata sulle esigenze oggettive dell’uomo e sull’ordine razionale, in contrapposizione al caos delle città industriali e alla campagna. Alla definizione di un modello spaziale, i socialisti utopisti uniscono una teoria sociale e, in particolare, ritengono che l’ordine spaziale sia indice di una buona qualità di vita e che la razionalità analitica porti a un buon livello estetico del prototipo. L’insediamento è diviso in spazi che si differenziano tra loro per le funzioni che vi si svolgono all’interno e in genere si identificano lo spazio abitativo, quello del lavoro, quello del tempo libero e quello della cultura.

L’obiettivo degli utopisti è quindi mettere in pratica un modello astratto e generalizzarlo; il limite di questo modo di agire è che non si tiene conto delle problematiche legate alla gestione del potere e del sistema industriale, rimasto immutato rispetto alle esigenze che si cerca di soddisfare in questi nuovi modelli abitativi.

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Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, 53.

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I principali esponenti del socialismo utopista sono Robert Owen e Charles Fourier, che tentano di costruire unità produttive autonome capaci di assicurare una vita equilibrata e completa a un numero prefissato di abitanti.

1.3.1 Robert Owen

Robert Owen (1771-1858) nasce in una famiglia umile e inizia a lavorare a 10 anni. Nel tempo, riesce a riscattarsi fino a diventare capitano d’industria e in questa sua ascesa si rende conto che gli individui sono fortemente influenzati dall’ambiente in cui vivono; per questo motivo, ipotizza che l’ambiente debba essere al servizio dell’uomo prima di essere assoggettato a interessi economici, individuali o collettivi. Owen sperimenta questa sua teoria a New Lanark

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, introducendo salari più alti, orari di lavoro ridotti e abitazioni dignitose per i dipendenti e nel 1816 crea l’Istituzione per la Forma del Carattere, cioè un sistema scolastico destinato ai figli degli operai, in cui si insegnano, oltre alle nozioni base (leggere, scrivere e far di conto), storia, canto, danza e i principi religiosi. Owen è particolarmente attento all’educazione dei bambini, al punto da istituire un nido per i più piccoli e un asilo per i bambini dai quattro ai sei anni.

Per Owen l’istruzione contribuisce a migliorare il rendimento individuale ed è uno strumento necessario all’uomo per dominare la macchina e sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla rivoluzione industriale.

I benefici che si possono avere dall’educazione dei figli degli operai sono massimi quando si ha a che fare con comunità di 500-1.500 persone e a questo proposito Owen ipotizza un villaggio ideale per 1.200 persone, iscritto in un quadrato definito da fabbricati, all’interno del quale si trovano gli edifici pubblici che lo dividono in settori, circondato da un terreno di 1.000-1.500 acri.

«L’edificio centrale contiene la cucina pubblica, i depositi, e tutti i servizi necessari per cucinare e riscaldare in modo efficiente. A destra v’è un edificio con la scuola dei bambini più piccoli al piano terreno, una sala di lettura e un luogo di preghiera al primo piano. L’edificio a destra comprende a pianterreno la scuola per i ragazzi più grandi e una sala di riunione; sopra, la biblioteca e i locali per gli adulti.

Nello spazio sgombro dentro il quadrato sono sistemati gli spazi per gli esercizi fisici e la ricreazione, che si devono supporre alberati.

Tre lati del fabbricato perimetrale sono destinati alle case, soprattutto per le persone sposate, ciascuna composta di quattro alloggi. Il quarto lato è riservato ai dormitori per tutti i bambini che eccedano di due per famiglia, o che abbiano più di tre anni. Al centro di questo lato sono gli alloggi per i sorveglianti del dormitorio, a un’estremità l’infermeria e all’altra una foresteria per i visitatori. Al centro di altri due lati sono gli alloggi per il sovrintendente generale, il sacerdote, il maestro di scuola, il medico, ecc., e nel terzo lato i magazzini per tutte le cose necessarie nel villaggio. Fuori e dietro le case, tutt’intorno, giardini circondati dalle strade. Subito dietro, su un lato, sono gli edifici per gli impianti meccanici e produttivi, le stalle, il mattatoio, ecc. separati da piantagioni; sull’altro lato la lavanderia, ecc., e a distanza maggiore i fabbricati rurali, con gli impianti necessari alla fabbricazione del malto,

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Si veda il paragrafo 2.3.1.

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della birra e alla molitura del grano; attorno si trovano i campi coltivati, il pascolo, ecc., le cui recinzioni sono piantate con alberi di frutta…»

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.

Figura 1.3.1. La città ideale di Owen

Successivamente Owen dettaglia ulteriormente l’insediamento, prevedendo l’inserimento di refettori, definendo l’orientamento delle camere da letto, che dovranno essere rivolte verso la campagna, e ubicando laboratori e industrie al di fuori del parallelogramma, schermati da una zona alberata.

Benevolo definisce questa proposta di Owen il primo piano urbanistico moderno sviluppato in ogni sua parte, dalle premesse politico-economiche al programma edilizio e il preventivo finanziario

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.

Nel 1825, Owen acquista un terreno di 30.000 acri nell’Indiana e l’anno successivo emigra in America con la famiglia e 800 seguaci. Il suo obiettivo è realizzare un insediamento come quello da lui descritto e costruisce il villaggio di New Harmony. Purtroppo, nel giro di tre anni, questa esperienza fallisce a causa di difficoltà economiche e discordie interne e Owen è costretto a vendere la proprietà e rientrare in Gran Bretagna.

1.3.2 Charles Fourier

Charles Fourier (1772-1837), filoso francese, espone le sue teorie per la prima volta nel 1808, in un lungo trattato che esce in forma anonima. Egli si pone in maniera critica nei confronti della competizione fra le classi sociali e teorizza una riforma della società capace di garantire la libera soddisfazione delle tendenze individuali, nel rispetto dei diritti altrui. Fourier torna più volte a perfezionare il suo modello in opere successive, pur rimanendo sostanzialmente fedele al principio fondamentale del raggiungimento della “Armonia Universale” attraverso sette fasi temporali consecutive.

L’umanità, secondo Fourier, si trova nel passaggio tra il quarto periodo (barbarie) e il quinto periodo (civiltà). Il disordine e l’anarchia delle città

15

Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, 67.

16

Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, 73.

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contemporanee dovranno, nel sesto periodo (garantismo), far posto a un ordine minuzioso.

La città del sesto periodo, descritta in maniera così minuziosa (distacchi, altezze, materiali, recinzioni, ecc.) che taluni studiosi la paragonano ai regolamenti edilizi ottocenteschi, è costituita da tre cinte separate da siepi e piantagioni: la cité, i sobborghi con le grandi fabbriche, la periferia. Ogni casa della cité deve avere spazi liberi pari almeno all’area costruita; questi spazi sono doppi nella seconda cinta e tripli nella terza. Le strade, metà delle quali devono essere alberate, devono avere come sfondo una veduta campestre o un monumento ed è necessario che le piazze occupino almeno 1/8 della superficie.

Nel settimo periodo Fourier concentra i suoi sforzi progettuali e qui descrive il Falansterio, una struttura abitativa per 1.600 abitanti, ubicata vicino a un corso d’acqua, non lontano dalla città, costruito su un terreno di circa 25km

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, con spazi organizzati per ogni tipologia di attività (produttiva, ricreativa e di studio).

L’edificio è formato da due corpi centrali, destinati ad abitazioni e a luoghi di riunione, e da due ali, nelle quali si svolgono tutti i lavori di carattere artigianale e manifatturiero, quindi il centro del palazzo ha un carattere pubblico, mentre le ali hanno destinazione lavorativa.

Figura 1.3.2. Pianta del Falansterio

Figura 1.3.3. Sezione del Falansterio (1: sottotetto con camere per gli ospiti; 2: serbatoi idrici; 3:

appartamenti privati; 4: rue intérieur ; 5: sale di riunione; 6: mezzanino con alloggi per ragazzi; 7:

piano terreno con passaggi carrabili; 8: passerella coperta)

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Tutti i collegamenti avvengono al coperto dalle intemperie attraverso la strada-galleria posta al primo livello e le scale. La galleria è a tripla altezza e su di essa affacciano tutte le stanze dell’edificio. Al piano terra ci sono magazzini, laboratori e passaggi carrabili, mentre nel sottotetto vi sono i serbatoi per l’acqua e la foresteria per gli ospiti. Gli spazi comuni per lo svago sono al primo livello e si affacciano direttamente sulla strada galleria.

Dopo la morte di Fourier, il movimento fourierista ha un notevole successo in America. Nel decennio tra il 1840-50 vengono fatti numerosi esperimenti, il più interessane dei quali è la Brook Farm di George Ripley.

Tra i divulgatori di Fourier, si ricorda André Godin (1819-1888), un fabbricante di fornelli da cucina e stufe, che tra il 1859 e il 1870 realizza a Guise un Familisterio, cioè un Falansterio in scala ridotta, costituito da una manica continua di alloggi disposti su quattro lati di un rettangolo, con disimpegno all’interno. Il complesso comprende anche una nursery, un asilo infantile, scuole, un teatro, bagni pubblici e una lavanderia.

Figura 1.3.4. Il Familisterio di Guise

La principale differenza tra Familisterio e Falansterio sta nel fatto che Godin salvaguarda l’autonomia di ogni famiglia, dotandola di un alloggio privato, pur assicurando una serie di servizi in comune; inoltre, rispetto a Fourier, Godin appoggia l’iniziativa ad un’industria.

1.3.3 Ebenezer Howard

A Ebenezer Howard (1850-1928) si deve la prima teoria sulle città-giardino, illustrata nel libro Tomorrow: a Peaceful Path to Real Reform, pubblicato nel 1898

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, che in parte deriva dalle idee degli utopisti, che ipotizzano i nuovi aggregati urbani autosufficienti all’esterno della città, in campagna, e in parte dal concetto di casa unifamiliare inserita nel verde, dove proteggere la propria privacy, in contrapposizione alla vita caotica della città.

Nella pubblicazione Howard descrive la città del futuro e ne traccia delle raffigurazioni, ma raccomanda di considerare i disegni come semplici schemi da adattare a un luogo fisico definito, per rimarcare il carattere concreto della sua proposta. Poiché non è un tecnico, egli si sofferma sui particolari finanziari dell’iniziativa, ipotizzando che la gestione della città-giardino sia affidata a una società, proprietaria del terreno ma non delle abitazioni, delle attività economiche e

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Il volume è ristampato nel 1902 con il titolo: Garden Cities of Tomorrow.

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dei servizi, che sono ceduti per un certo numero di anni, generalmente un centinaio. Howard ipotizza poi l’autosufficienza della città, la cui economia deve basarsi su un armonico equilibrio tra agricoltura e industria e suggerisce che abitazioni e fabbriche occupino un sesto del terreno totale disponibile, destinando il resto all’agricoltura e sistemando attorno al nucleo urbano una cintura di fattorie.

Figura 1.3.5. Schema teorico della Garden City

Nel 1903 Howard inizia la costruzione della prima città-giardino, Letchworth, a 50 km da Londra, con l’aiuto degli architetti Barry Parker e Raymond Unwin. La cinta agricola è molto ridotta rispetto al progetto originario e si prevede una popolazione di 35.000 abitanti. Il regolamento è molto dettagliato, sia per quanto riguarda il decoro urbano, che le attività commerciali, che le regole di convivenza. Il progetto però fallisce perché gli abitanti non raggiungono nemmeno la metà del numero previsto e perché la proprietà del suolo non rimane agli abitanti ma ad azionisti esterni.

Nel 1919 Howard fa un nuovo tentativo e inizia la costruzione di Welwyn, progettata dall’architetto e urbanista Loius de Soissons. Il terreno scelto è più piccolo del precedente e si riduce ulteriormente la fascia agricola; l’insediamento è previsto per 50.000 abitanti e le case sono unifamiliari o a schiera, anche duplex, immerse nel verde e sono dotate di propri servizi e giardino e complessivamente presentano una certa uniformità.

Prima dello scoppio della Seonda Guerra Mondiale, la cittadina ha 35.000

residenti, ma il successo è dovuto essenzialmente alla vicinanza con Londra, dove la

maggior parte delle persone lavora. L’autosufficienza tanto auspicata da Howard è

dunque fallita, la cintura agricola si riduce sempre più, fino a diventare uno

schermo verde, e non riesce più a garantire il sostentamento dei cittadini.

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Le teorie di Howard lasciano il segno non solo in Europa, dove sono numerosi gli esempi di città-giardino, ma anche in America; la differenza fondamentale tra l’originale e le città realizzate sta nel fatto che queste ultime non sono autonome, ma rappresentano piuttosto dei quartieri satellite della città, con abitazioni immerse nel verde, dove il rispetto per l’ambiente è massimo.

Figura 1.3.6. Immagini propagandistiche della città-giardino di Welwyn

1.4 La città industriale di Tony Garnier

Accanto ai teorici inglesi visti fino ad ora, c’è un francese, Tony Garnier (1869-1948), che può essere considerato il precursore dell’urbanistica razionalista.

Nel 1901, infatti, Garnier progetta e disegna nei più piccoli particolari una città industriale per 35.000 abitanti, caratterizzata, ovviamente, dalla presenza dell’industria e dalla separazione in zone delle varie attività, e la colloca in un’area che comprende parti montuose e una pianura, attraversata da un fiume.

Garnier divide la città in zona industriale, zona residenziale-centrale e zona

ospedaliera-sanitaria; ogni elemento è separato, così da consentire, se necessario,

un ampliamento. La zona industriale, cuore della città, è localizzata in pianura, alla

confluenza di due fiumi, con strade e ferrovia nelle immediate vicinanze, così da

essere dotata di tutte le infrastrutture necessarie all’approvvigionamento delle

materie prime e alla commercializzazione delle merci. Oltre la fascia degli impianti

ferroviari c’è una cortina di verde che separa l’industria dal nucleo urbano, ubicato

in posizione medio-collinare e organizzato in isolati rettangolari di dimensioni 30

m x 150 m, a loro volta suddivisi in lotti di 15 m x 15 m che hanno sempre la strada

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su un lato. Garnier impone che la superficie costruita sia sempre inferiore alla metà della superficie totale su cui si sta edificando e dispone che il rimanente terreno sia lasciato a giardino pubblico e sia privo di recinzioni. Il macello è isolato, a valle, mentre l’ospedale e le relative infrastrutture sono collocate in collina.

Figura 1.4.1. Planimetria generale e vista prospettica della Cité Industrielle

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Questa separazione verticale delle zone pone l’accento sulla necessità di dare aria più pura agli abitanti della città industriale e aria salubre agli ammalati. Il fattore igienico-sanitario è molto curato negli studi di Garnier, che dispone, ad esempio, che le camere da letto abbiano almeno una finestra a sud, sufficiente per garantire illuminazione naturale e ricambio d’aria e vieta la realizzazione di chiostri per illuminare e aerare ambienti che altrimenti sarebbero ciechi.

Garnier riesce a realizzare una buona parte delle idee esposte a Lione, dove, grazie all’amicizia con il sindaco Herriot, costruisce, tra il 1909 e il 1913, il complesso del macello e il mercato di bestiame a La Mouche, lo stadio olimpico (1913-1926), l’ospedale della Grange-Blanche (1911-1933), suddiviso in padiglioni di 2-3 piani disseminati nei giardini in leggero declivio e ben distanziati tra di loro, e il quartiere Étas Units, iniziato nel 1928 su un progetto del 1920.

Le case del quartiere residenziale, inizialmente pensate di 3-4 piani, raggiungono i 6 durante la costruzione , per cui i rapporti tra costruito e ambiente risultano alterati rispetto all’idea primitiva. La lottizzazione si basa su cellule di abitazioni unificate che possono accostarsi tra loro in modi diversi e consentono una distribuzione variata degli edifici; la viabilità lenta, lungo i negozi, è separata dalla viabilità veloce che si trova nel viale centrale e da quella pedonale di servizio agli edifici: c’è, dunque, una precisa gerarchizzazione delle vie di circolazione.

Le teorie di Garnier sulla divisione in zone della città sono state successivamente codificate con la Carta di Atene del 1933 redatta dai CIAM e realizzate 20 anni più tardi da Le Corbusier a Chandigarh.

1.5 Il problema della casa e le esposizioni universali

A metà del XIX secolo la questione della casa è diventata un’esigenza sociale impellente, al punto che alla prima Esposizione Internazionale di Londra del 1851 si dedica un intero settore alla casa per operai.

Grande interesse è suscitato soprattutto dal prototipo di abitazione da destinare a famiglie operaie, progettato dall’architetto Henry Roberts

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e noto come

“The Prince Consort’s Model Cottage”, perché costruito in Hyde Park, durante l’Esposizione, in seguito all’intervento del Principe Alberto che riesce a vincere le perplessità del comitato organizzatore assumendosi l’onere delle spese di realizzazione.

Il modello consiste in un edificio in mattoni forati, per assicurare una buona coibentazione, e solai in laterizio e ferro, a prova di fuoco; la ventilazione è assicurata dalla presenza di griglie, che consentono il ricambio d’aria. Il fabbricato si sviluppa su due livelli, ognuno dei quali contiene due alloggi; per raggiungere il primo piano, c’è una scala anteriore che conduce a un balcone in facciata, che disimpegna due abitazioni; ogni appartamento è dotato di vestibolo, soggiorno, cucina, servizio igienico e tre camere, così da separare genitori e figli. Il prototipo è

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Per approfondire la figura dell’architetto Henry Roberts e i suoi progetti di abitazioni per operai e si veda:

Riccardo Mariani. Abitazione e città nella rivoluzione industriale (Firenze, I: Sansoni, 1975) 181-230.

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studiato in modo da poter essere unito in linea da un numero indefinito di edifici identici al modello.

Figura 1.5.1. Modello di abitazione per lavoratori presentato all’Esposizione del 1851

Nella successiva Esposizione di Parigi del 1867 sono presentati, nel settore dedicato all’abitazione, alcuni esempi recenti. Tra questi spicca quello francese di Mulhouse

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, dove nel 1835 è stato realizzato, per iniziativa di un’associazione locale di industriali, riconosciuta di pubblica utilità

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, un quartiere industriale, progettato dall’ingegnere Emile Müller. L’insediamento è dotato di attrezzature collettive e case singole a pianta quadrata, tagliate a metà da un muro divisorio a tutta altezza (così da avere 4 alloggi per ogni casa), provviste di corti e giardini, assegnate ai lavoratori a riscatto.

Nella stessa Esposizione si sviluppa, poi, un’inchiesta sul settore delle case operaie

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grazie alla presenza di delegati operai che, per ogni categoria, contribuiscono a redigere rapporti sulle loro condizioni e sulle loro esigenze, lavorando a gruppi.

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Nel 1867 le abitazioni dell’insediamento sono 792.

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Effren Magrini, Le abitazioni popolari (Case Operaie) (Milano, I: Ulrico Hoepli Editore, 1910), 385- 388, 419-423.

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La cosiddetta “Enquête du X groupe”.

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Figura 1.5.2. Disegno di casa divisa in 4 appartamenti, Mulhouse

Figura 1.5.3. Case operaie all’Esposizione del 1867

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Le successive Esposizioni che trattano il tema della casa operaia sono quelle di Amsterdam del 1862, di Vienna del 1873, di Bruxelles del 1876, di Parigi del 1878, di Londra del 1885 e di Parigi del 1889. In particolare, in occasione di quest’ultima Esposizione, che dedica un ampio settore al tema dell’abitazione, si tiene il Congresso Di Parigi per le abitazioni a buon mercato. Durante il convegno, Georges Picot descrive le caratteristiche delle case operaie: queste devono, preferibilmente, essere separate e dotate di piccoli giardini e se ciò non è possibile, si auspica che le famiglie mantengano la propria indipendenza pur vivendo in un unico caseggiato e a questo proposito si suggerisce di organizzare i vari piani in modo che i contatti tra gli inquilini siano esigui; pianerottoli e scale devono essere illuminati e si consiglia di evitare i corridoi; ogni alloggio deve avere una latrina dotata di un’apertura verso l’esterno e deve essere provvista d’acqua. Per le famiglie composte di più di 3 persone, con figli di sesso differente, è necessario avere almeno 3 stanze per permettere la divisione tra maschi e femmine. Infine, deve essere proibito ogni agglomerato in cui l’indipendenza del locatario e della sua famiglia non sia garantita.

Nell’Esposizione del 1900, tenutasi nuovamente a Parigi, è presente, ancora una volta, un vasto settore dedicato alle case operaie, segno evidente dell’importanza e della contemporaneità del tema. Parallelamente a questo evento, nei mesi di luglio e agosto, si svolge il V Congresso Internazionale degli Architetti, dove uno degli argomenti trattati è quello della casa per operai. In questa occasione non vengono illustrati e discussi prototipi, ma si analizzano esperienze consolidate e si evidenzia come gli esempi di insediamenti di stampo paternalistico e utopista studiati in precedenza siano ormai sorpassati. Durante i lavori, poi, si dettano le norme per le abitazioni popolari, che dovranno avere una cucina, una sala da pranzo, 3 camere da letto, un granaio al di sopra delle camere da letto, un deposito di legna, una cantina e una latrina; l’affitto previsto per questo tipo di alloggio, destinato ad una famiglia con 5-6 figli, è di 280 lire.

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Sitografia

http://www.alpcub.com/

http://www.cittasostenibili.it/

Riferimenti

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