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III - CONSERVAZIONE E DOCUMENTAZIONE ... 2

1 La catalogazione ... 2

a) OA. Una scheda da analizzare ... 2

b) Schede alternative per la catalogazione di abiti ... 6

c) La scheda VeAC – Vestimenti Antichi e Contemporanei... 8

d) Confronto pratico per una corretta analisi e riflessioni personali ... 11

d) Catalogazione di abiti all’estero... 21

2 Documentazione e condizioni per la conservazione e l’allestimento di abiti appartenenti ad una collezione museale ... 23

a) Schede conservative ... 24

b) Documentazione e condizioni legate al prestito di abiti ... 26

- Facilities report ... 27

- Condizioni di prestito... 28

- Condition report ... 31

3 Documentazione fotografica ... 33

a) Norme per la riproduzione fotografica nelle schede di catalogo ... 35

b) Fotografie per le schede conservative ... 37

c) Fotografie divulgative ... 38

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2

III - CONSERVAZIONE E DOCUMENTAZIONE 1 La catalogazione

La catalogazione è l’atto che sta alla base dell’azione di tutela del patrimonio:

«La catalogazione è l’attività di registrazione, descrizione e classificazione di tutte le tipologie di beni culturali. Si tratta di individuare, riconoscere e conoscere i beni, documentarli in modo opportuno, archiviare le informazioni raccolte secondo precisi criteri»

1

.

Parlando di conservazione di manufatti tridimensionali tessili risulta quindi impossibile non considerare anche i processi di catalogazione e schedatura, gli unici che offrono la possibilità di conoscere l’entità del nostro patrimonio - primo passo per le azioni di tutela, conservazione e promozione dello stesso. Nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 42/2004 e s.m.i.- art.17) la catalogazione è inserita nel TITOLO I, quello dedicato alla tutela, in quanto fase conoscitiva indispensabile per una corretta conservazione e gestione del patrimonio culturale.

In Italia l’organo che si occupa dello studio e della pubblicazione di norme e schede per catalogare i diversi tipi di beni culturali è l’Istituto Centrale per la Catalogazione e Documentazione (ICCD) del MIBACT - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, che raccoglie e gestisce attraverso programmi informatizzati la documentazione registrata nelle campagne di catalogazione delle varie Soprintendenze sul territorio nazionale. Dalla sua nascita, nel 1975, l’ICCD

2

ha avviato l’elaborazione delle schede di catalogo diversificate in base alle differenti tipologie di beni, necessarie per fornire una puntuale descrizione, in modo metodologicamente adeguato, delle innumerevoli ed eterogenee categorie di beni che necessitano di campi differenziati e vocabolari specifici

3

.

a) OA. Una scheda da analizzare

1 Matilde Amaturo, Paolo Castellani (a cura di), Catalogare le opere d’arte, Roma, ICCD, 2006, p. 9.

2 Preceduto dall’Ufficio Centrale per il Catalogo (UCCD) della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione che fu istituito invece il 19 maggio 1969. Da

<http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/UfficioStudi/documents/1319624067422_Not24- 24_pg_14-15.pdf>, [data consultazione 24/03/16]

3 Matilde Amaturo, Paolo Castellani (a cura di), Catalogare le opere d’arte, Roma, ICCD, 2006, p. 13.

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3 Prima dell’introduzione della scheda VeAC, quella specifica per gli abiti e gli elementi vestimentari, questi venivano catalogati con la scheda OA relativa alle Opere d’Arte in generale.

È costituita da tre parti:

- Scheda di catalogo: contiene la vera e propria struttura dei dati. È composta da insiemi omogenei di informazioni chiamati paragrafi, ciascuno dei quali suddiviso a sua volta in campi che possono essere semplici oppure strutturati, in questo caso ulteriormente divisi in sottocampi.

- Norme di compilazione: per ogni elemento che compone la struttura dei dati vengono fornite precise indicazioni per l’inserimento dei contenuti.

- Vocabolario: è un elenco di termini che gli schedatori devono utilizzare per mantenere un linguaggio comune e condiviso sia in fase di acquisizione dei dati sia per la loro corretta consultazione e fruizione.

Alcuni campi sono obbligatori e la loro compilazione è ritenuta necessaria per la

validità della scheda. Altri campi che presentano una discrezionalità che è detta di

contesto, la cui compilazione non è vincolante per la validità della scheda, ma risulta

necessaria a conferma delle informazioni date. Un criterio di obbligatorietà si applica

anche a campi e sottocampi. Quando un paragrafo viene compilato, sia esso facoltativo o

obbligatorio, tutti i campi obbligatori che contiene devono essere riempiti. Lo stesso vale

per i sottocampi: se un campo viene riempito, tutti i suoi sottocampi obbligatori devono

essere compilati.

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4 La scelta tra compilare tutti i campi, obbligatori, semi-obbligatori e liberi oppure fermarsi al primo o secondo livello determina il grado di approfondimento dell’indagine condotta sull’oggetto e tipologie di schede di catalogo OA differenti: I (inventariale); P (pre- catalogo); C (catalogo) che è il più complesso e indica che nella scheda sono stati compilati molti dei paragrafi facoltativi.

Paragrafi Obbligatori (costituenti la scheda Inventariale)

Codici

Oggetto Localizzazione

Cronologia

Definizione Culturale Dati Tecnici

Conservazione Dati analitici

Condizione Giuridica e vincoli Fonti e documenti di riferimento Accesso ai dati

Compilazione

Paragrafi Facoltativi (necessari per realizzare schede di Precatalogo o Catalogo)

Relazioni Altri codici

Ubicazione e dati patrimoniali Altre localizzazioni

Georeferenziazione Modalità di reperimento Rapporto

Restauri

Annotazioni

Nell’esempio dello schema di base riportato sotto, vediamo più specificatamente quali siano, oltre ai paragrafi, i campi e sottocampi che sono imprescindibili per realizzare una scheda di tipo Inventariale. Ciò che salta immediatamente all’occhio è quanto la scheda risulti essenziale nelle informazioni che richiede soprattutto se confrontata con una scheda più completa di Precatalogo o Catalogo (allegato 2). I paragrafi seppur numerosi sono costituiti da uno solo o pochissimi campi e sottocampi mirando solo ad un inquadramento molto generico dell’oggetto senza scendere mai nel puntuale e specifico.

La scheda dunque per la sua essenzialità risulta essere molto semplice e veloce da

compilare e da consultare. Queste fondamentalmente sono anche le ragioni per le quali

può essere prediletto in alcuni casi questo modello rispetto quelli più complessi.

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5 I dati riuniti con l’atto di catalogazione vengono poi raccolti nel portale SIGECweb, creato nel 2011 ma entrato realmente in funzione nel 2012, accessibile successivamente alla registrazione del proprio ente, inserendo un nome utente e password. Il livello di accessibilità dunque non è pubblico.

Nelle schede di catalogo è presente un paragrafo obbligatorio nel quale l’ente schedatore sceglie un profilo di accesso, ossia il livello di riservatezza che i dati inseriti devono avere. Si passa dal livello I con il quale tutti i dati possono essere visibili a chiunque, al livello II dove i dati sono riservati per motivi di privacy, fino ad arrivare al livello III dove la massima riservatezza è data da ragioni di tutela

4

.

4 Informazioni apprese durante la lezione seminariale Principi e metodi della catalogazione: la scheda OA (opera d’arte) tenuta dal professore Lorenzo Carletti presso l’Università di Pisa in data 11/09/15.

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6 b) Schede alternative per la catalogazione di abiti

Ancora precedentemente all’introduzione della scheda VeAC, sono stati adottati in alternativa metodi di schedatura elaborati autonomamente dal proprietario del bene nel tentativo di mettere a punto uno strumento catalografico che meglio rispondesse alla descrizione di tutte le numerose componenti degli abiti che non trovavano spazio adeguato nei paragrafi della scheda OA. Un esempio è quello della Scheda OAT (Opere d’Arte Tessile) utilizzata per la campagna di catalogazione del corpus delle uniformi civili della Regione Liguria nel 2009. La scheda era stata messa a punto nel 1999 dalla Regione Liguria tenendo di conto delle esigenze catalografiche individuate da Carla Cavelli Traverso e utilizzata nell’ambito del progetto “Inventario-Catalogo dei Beni Culturali della Regione Liguria”, realizzato in collaborazione con Datasiel: un procedimento d’inserimento dati ed immagini risultanti da attività di catalogazione ed inventario dei beni culturali presenti nel territorio ligure. Questo progetto pilota aveva come scopo la realizzazione di una scheda informatica per la catalogazione dei tessili provenienti dal Monastero genovese dei Santi Maurizio e Lazzaro

5

.

Questa scheda contiene una serie di campi identici a quelli della Scheda OA, (collocazione oggetto, datazione attribuita, ambito culturale, ecc.) ma presenta alcuni campi in aggiunta a questa. La principale modifica sta nell’aver inserito nel paragrafo dei

“Dati Tecnici” il campo ripetitivo “Tipo Componente” (TCP), che permette di avere un elenco dettagliato delle singole parti che compongono l’oggetto e di specificare le tecniche e i materiali della parte di abito che si vuole analizzare (nel caso delle uniformi:

cappello, marsina, gilet o pantalone). È stata per tanto realizzata anche la ripetitività delle voci materia, tecnica, colore, misure, in modo tale che esse, concatenate tra loro, permettendo la lettura articolata prima dell’oggetto complessivo, poi dei vari componenti (tessuto, ricamo, fodera, bottone, merletto)

6

.

La strutturazione del campo “Tipo Componente” permette un ulteriore livello di approfondimento consentendo di dividere l’oggetto anche nei tagli sartoriali che lo

5 Vedi Carla Cavelli Traverso, Corpus delle uniformi civili. Un progetto di catalogazione informatizzata, Roma, De Luca Editori D’arte, 2009, p. 34.

6Vedi Carla Cavelli Traverso, Corpus delle uniformi civili. Un progetto di catalogazione informatizzata, Roma, De Luca Editori D’arte, 2009, p. 33.

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7 compongono (colletto, paramano, tasca, ecc.) elemento rilevante per una descrizione che serva anche a differenziare ed individuare un’uniforme dall’altra

7

.

Ugualmente per la scheda OAT sono stati resi ripetitivi anche i campi

“Cronologia” (DCP), “Danneggiamenti” (NCP), “Conservazione” (OCP), “Restauro”

(RSTP) e i “Dati Analitici” (DEST)

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associandoli ad ogni “Tipo Componente”. Questo si rivela essere molto utile per la catalogazione di un abito, vista la varietà e la rilevanza dei singoli elementi che lo compongono. È stato infine introdotto un nuovo campo per la

“Confezione” (articolato nelle voci taglio, cuciture e rifiniture, materiali) in quanto la realizzazione sartoriale di questi manufatti ha una notevole importanza e può essere utile al riconoscimento dell’oggetto, della sua storia, dell’ambito di produzione, a volte della stessa datazione.

9

Esistevano moltissimi altri casi come quello delle uniformi, per i quali ogni ente aveva la possibilità di redigere una scheda propria con funzione di catalogo. Questo sistema - come si può immaginare - ha creato e crea tuttora non poca confusione, dal momento che ognuno tendeva a rilevare ciò che riteneva necessario e utile ai fini della propria inventariazione, schedatura e catalogazione. Basti pensare a quante tipologie di musei conservano abiti e ci rendiamo conto che – a parità di manufatto - i dati ritenuti fondamentali potevano essere molto diversi. Questo scenario seguiva un percorso diametralmente opposto rispetto agli obiettivi che già da molti anni si era proposto il Ministero congiuntamente all’ICCD, quello cioè di istituire un sistema di catalogazione e raccolta delle schede ufficiale che vede come primo strumento per la sua realizzazione proprio quello dell’utilizzo – a livello nazionale - di schede univoche che mirino allo scopo precipuo della completezza.

Con la nascita del portale SIGEC, il Sistema Informativo Generale del Catalogo, sono state informatizzare le schede cartacee raccolte dalle varie soprintendenze regionali, e sono attualmente in corso di traduzione nel linguaggio del nuovo portale tutte quelle schede prodotte dai numerosi enti territoriali.

7 Vedi Carla Cavelli Traverso, Corpus delle uniformi civili. Un progetto di catalogazione informatizzata, Roma, De Luca Editori D’arte, 2009, pp. 37-42.

8 Vedi Carla Cavelli Traverso, Corpus delle uniformi civili. Un progetto di catalogazione informatizzata, Roma, De Luca Editori D’arte, 2009, p. 34.

9Vedi Carla Cavelli Traverso, Corpus delle uniformi civili. Un progetto di catalogazione informatizzata, Roma, De Luca Editori D’arte, 2009, pp. 34 e 38.

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8 c) La scheda VeAC – Vestimenti Antichi e Contemporanei

Fino a non molti anni fa dunque la catalogazione degli abiti e degli elementi vestimentari avveniva mediante la scheda di catalogo più generale in assoluto, quella OA (Opere d’Arte); finalmente nel 2010 è nata una scheda ad hoc anche per questa tipologia di beni, la cosiddetta Scheda VeAC (Vestimenti Antichi e Contemporanei).

Il progetto per la realizzazione di questa scheda di catalogo è stato promosso dalla Commissione Nazionale per la Tutela e la Valorizzazione delle Arti Decorative, della Moda e del Costume, istituito nel 1996 dall’allora Ministro per i Beni Culturali Antonio Paolucci, composta da Alessandra Mottola Molfino, Sandra Pinto, Maria Luisa Polichetti e Bonizza Giordani Aragno. A tale Commissione, fu affidato il compito di individuare criteri per la realizzazione di un archivio informatizzato di immagini e dati riguardanti queste tipologie di beni. Si formarono così due gruppi di lavoro che iniziarono ad operare nel restauro delle residenze sabaude in Piemonte e nel riallestimento dei Palazzi reali nazionali tra cui anche Palazzo Pitti a Firenze. Lavorare per queste due realtà portò subito all’attenzione degli studiosi la vastità e la rilevanza del patrimonio indumentario reperito e presente in questi luoghi, e conseguentemente la necessità di catalogarlo, attuando un coordinamento a livello nazionale.

Al gruppo che stava operando a Palazzo Pitti a Firenze - composto da tre esperte della storia della moda e del costume, Grazietta Butazzi

10

, Roberta Orsi Landini

11

e Thessy Schoenholzer Nichols

12

, dal funzionario dell’Ufficio Catalogo dell’allora

10 Grazietta Butazzi, illustre storica del costume e della moda, mancata l’1 dicembre 2013. Per più di quarant’anni, Grazietta Butazzi si è occupata di storia del costume, spaziando dalle corti cinquecentesche al costume popolare, dalla moda italiana del novecento alla stampa di moda del settecento, con una profonda conoscenza degli aspetti materiali dei manufatti vestimentari, ma con una costante attenzione agli intrecci fra le mode, la società, la cultura, il potere, la quotidiana vita delle donne. Il suo metodo di studio ha contribuito a formare una generazione di ricercatori e a creare le basi di una “scuola italiana”

negli studi sulla moda. Da

<http://www.fondazioneratti.org/seminarsMuseo/308/moda_arte_storia_societa_omaggio_a_grazietta_but azzi> [24/03/16]

11 Roberta Orsi Landini: studiosa del tessuto e del costume, ha curato numerose mostre e cataloghi, fra cui Moda alla corte dei Medici, Anni Venti la nascita dell’abito moderno, I principi bambini, Seta Potere e Glamour. Autrice di saggi e pubblicazioni, fra cui Moda a Firenze 1540-1580: Lo stile di Eleonora di Toledo (2005) e Moda a Firenze 1540-1580 Lo stile di Cosimo I de’ Medici (2011). È membro del Consiglio direttivo del Centre International des Études des Tissus Anciens e responsabile della didattica per la Fondazione Roberto Capucci. Da

<http://www.fondazioneratti.org/press/MODA%20ARTE%20STORIA%20SOCIETA'.%20Omaggio%20 a%20Grazietta%20Butazzi/Biografie_dei_Relatori.pdf > [data consultazione 24/03/16]

12 Thessy Schoenholzer Nichols: si trasferisce nel 1984 da New York City a Firenze, dove lavora come studiosa e conservatrice per la Galleria del Costume di Palazzo Pitti. Durante la sua permanenza in Italia, collabora con i musei Provinciali di Gorizia, Palazzo Braschi a Roma e altri musei in Italia. Da 25 anni

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9 Soprintendenza per i beni artistici e storici di Firenze Gianna Piantoni e da Elisabetta Griffi, rappresentante dell’Istituto Centrale per la Catalogazione e Documentazione - fu assegnato il compito di redigere una scheda di catalogazione specifica per gli abiti, che fosse utilizzabile per quelli antichi e per quelli contemporanei, e un dizionario di termini per la normalizzazione del linguaggio di questo settore

13

.

Il lavoro è stato pubblicato nel febbraio del 2010: Scheda VeAC. Vestimenti Antichi e Contemporanei, supportata da altri due strumenti, le Norme per la compilazione ed il Lemmario. Prima dell’introduzione del lemmario, ogni oggetto di abbigliamento era definito con nomi diversi, a seconda ad esempio della regione dello schedatore; dal 2010, grazie alla corrispondenza univoca tra un determinato vocabolo e una veste o parte di essa, è avvenuta una standardizzazione dei termini e delle definizioni.

Questo lavoro di organizzazione della conoscenza e normalizzazione del linguaggio permetterà alla comunità scientifica di parlare almeno la stessa lingua

14

.

Il gruppo di lavoro che ha elaborato la Scheda VeAC ha sicuramente il merito di aver assolto un compito tanto fondamentale quanto complicato: quello di «rivolgere l’attenzione a tutte le categorie potenzialmente rientranti nella definizione di abito»

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. Questo fa sì che nella Scheda si trovino campi adeguati a qualsiasi tipo di vesti, che siano da teatro, abiti ecclesiastici, uniformi militari, abiti popolari, da bambini, da bambola o da travestimento.

Nella Scheda VeAC si compongono in realtà 3 elementi.

- Scheda di catalogo. È strutturata mediante paragrafi ben distinti, che a loro volta si compongono di campi, suddivisi in sottocampi. Come ha detto una delle sue ideatrici,

insegna drappeggio e design filologico presso il Polimoda di Firenze e presso altre scuole in Europa. I suoi interessi sono molteplici, dallo studio del ricamo e merletti, al costume antico fino ai costumi funebri come ad esempio quelli dei Malatesta, i Della Rovere e i Medici, oltre alle mummie di Monsampolo del Tronto, e Roccapelago. È autrice di numerosi saggi sul tema di costumi e merletti. Da <

http://www.fondazioneratti.org/press/MODA%20ARTE%20STORIA%20SOCIETA'.%20Omaggio%20a

%20Grazietta%20Butazzi/Biografie_dei_Relatori.pdf > [data consultazione: 24/03/16]

13 Cristina Aschengreen Piacenti, I progetti della Commissione nazionale per la tutela e la valorizzazione delle arti decorative, della moda e del costume, in Lemmario. Strumenti di catalogazione per la

conoscenza e la tutela di un patrimonio, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Roma, 2010, pp. 12- 13.

14 Vedi Cristina Aschengreen Piacenti, I progetti della Commissione nazionale per la tutela e la valorizzazione delle arti decorative, della moda e del costume, in Vestimenti antichi e contemporanei.

Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Roma, 2010 pp. 12-13.

15 Giovanna Damiani, Dalla prassi al metodo, in Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma, 2010, pp. 25-26.

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10 Roberta Orsi Landini, a prima vista presenta un “aspetto minaccioso” per la molteplicità di spazi da compilare, ma proprio questa molteplicità di informazioni riflette l’eterogeneità degli oggetti cui è possibile riferirla e lo scopo è che la scheda sia utilizzabile anche per il caso più particolare di veste. Anche le sigle con cui sono tradotti i domini dei vari campi e sottocampi risultano tutt’altro che di immediata comprensione, contribuendo a determinare quest’aspetto “ostile”. Comunque non tutti i campi sono obbligatori, ed è possibile selezionare solo quelli più coerenti con l’oggetto da catalogare o più utili al livello di catalogazione adottato.

- Norme per la compilazione. È un apparato essenziale alla compilazione della scheda dato che punto per punto descrive quali informazioni inserire in ogni campo.

Inoltre contiene numerosi disegni esplicativi dei vari elementi vestimentari, realizzati da Thessy Shoenholzer Nichols, indispensabili per la spiegazione grafica di come prendere le misure, ma anche utili per redigere correttamente i campi relativi alle strutture sartoriali.

- Lemmario

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. È un database costituito da oltre 400 schede e 600 immagini finalizzato alla corretta compilazione della scheda VeAC. Le illustrazioni sono lo strumento indispensabile per fare veramente chiarezza nel caotico mondo in cui molti significanti corrispondevano ad un solo significato e viceversa. Il Lemmario è esclusivamente informatizzato, reperibile on line sul sito ICCD oppure in formato CD distribuito a corredo del volume Scheda VeAC. Vestimenti Antichi e Contemporanei. Al suo interno troviamo termini relativi a diversi elementi:

 indumenti singoli completi ed elementi di ambito vestimentario riguardanti l'abbigliamento maschile, femminile e infantile, connessi alle principali finalità d'uso e alle diverse occasioni della vita privata e sociale; prendendo in considerazione le principali tipologie storiche dei secoli XVIII, XIX e XX, e quelle relative a indumenti tuttora in uso;

 indumenti ed elementi relativi a biancheria intima e calzetteria (es. mutande, calze e calzettoni);

 elementi di modellazione e di ampliamento della forma femminile dal secolo XVIII alla moda attuale (es. busto, gabbia, gabbia a crinolina o a mezza crinolina);

16 Lemmario per la schedatura degli abiti e degli elementi vestimentari

<www.iccd.beniculturali.it/siti_tematici/Scheda_VeAC/lemmario/index.asp.html> [data consultazione 10/02/15]

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11

 componenti strutturali e decorative di elementi vestimentari (es. cannone, sparato);

 termini relativi alle diverse lavorazioni sartoriali (es. sopravveste all’inglese, sopravveste andrienne, sopravveste chimono);

 sistemi di allacciatura e/o chiusura, oltre agli elementi, applicati o inseriti, che li determinano (es. cerniere, bottoni);

 tecnica e decorazione tessile, principali tecniche e applicazioni di merletto e ricamo

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(es. tessuto unito, taffetas, organza, merletto meccanico).

d) Confronto pratico per una corretta analisi e riflessioni personali

Sia la scheda VeAC (allegato 1) che la scheda OA (allegato 2) sono schede ministeriali caricate in un sistema informatico unico (SIGEC), quindi presentano una serie di paragrafi in comune che sono quelli più generali e di importanza rilevante per ogni opera d’arte, quali il paragrafo iniziale relativo ai “Codici” - che viene in parte compilata in automatico facendo richiesta di una scheda di catalogo alla Soprintendenza - le

“Localizzazioni geografico-amministrative” attuali e passate, la “Georeferenziazione tramite punto”, i dati sullo stato di “Conservazione” e “Restauro”, la “Condizione giuridica e i vincoli”, le “Fonti ed i documenti di riferimento”, il “Livello di accesso”

della scheda e i “Dati del compilatore”. Al contrario, i paragrafi assieme ai relativi campi e sottocampi, in cui le due schede si discostano e differiscono maggiormente sono:

- OGGETTO (OG),

- DEFINIZIONE CULTURALE (AU), - DATI TECNICI (MT),

- DATI ANALITICI (DA).

Analizziamoli ora più nello specifico proponendo un confronto.

17 Lemmario per la schedatura dell’abito e degli elementi vestimentari

<www.iccd.beniculturali.it/siti_tematici/Scheda_VeAC/lemmario/index.asp@page=progetto.html>

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12 OGGETTO (OG):

L’inquadramento del paragrafo “Oggetto” (OG) della scheda VeAC già sottintende che si sta trattando di abiti. Troviamo infatti sottocampi specifici per gli abiti, per i quali è richiesto di definire la categoria di appartenenza, come ad esempio il sottocampo “Funzione/Occasione” per cui è stato indossato, la “Tipologia del modello”

e l’eventuale “Nome del modello”, la categoria di “Appartenenza” ed in caso si parli di un costume il tipo di “Travestimento”, il “Soggetto del personaggio” e la “Finalità del costume”. Tutte queste informazioni risultano fondamentali per l’identificazione di un abito. Questo livello d’informazioni non viene richiesto invece nella scheda OA, dove non esistono a livello del paragrafo OG campi e sottocampi così specifici.

L’identificazione dell’oggetto si risolve in due campi, per il riempimento dei quali è

possibile fare riferimento ad un vocabolario chiuso (lista prestabilita) o aperto (lista alla

quale eventualmente lo schedatore può aggiungere dei vocaboli). Da notare che il numero

di caratteri consentiti per la compilazione dei sottocampi di questo paragrafo permette,

già in questa prima fase di identificazione dell’oggetto, una presentazione discorsiva dove

è eventualmente possibile inserire quelle informazioni richieste puntualmente nella

scheda VeAC, ma rimandando esclusivamente alla sensibilità descrittiva dello

schedatore.

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13 DEFINIZIONE CULTURALE (AU):

Nel paragrafo “Definizione Culturale” è richiesta in un campo specifico la paternità del manufatto e dunque l’”Autore” ed il “Ruolo” da esso ricoperto. Vediamo inoltre però che dove nella scheda OA appare il campo “Ambito culturale” nella VeAC troviamo più opportunamente “Ambito sartoriale e produzione”, quindi ancora una volta specifico per i manufatti indumentari. In questo paragrafo, in entrambe le schede, esiste poi un campo che specifica la committenza, ma nella VeAC si chiede in un ulteriore campo aggiuntivo di chiarire, al di là dunque del ”Committente/Acquirente”, chi sia stato in realtà il “Fruitore” effettivo dell’abito, dettaglio molto significativo che invece non trova campi o sottocampi specifici nella scheda OA.

DATI TECNICI (MT):

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14 Si noti la differenza tra le due tipologie di scheda per quanto riguarda la specificazione dei materiali in particolare. Anche la VeAC, come la OA, non richiede una schedatura del tessuto approfondita - o meglio - la normativa relativa alla compilazione della scheda ragguaglia lo schedatore affinché non specifichi cose di cui non vi è certezza, meglio fermarsi ad un grado di indagine minore piuttosto che sbagliare. Ma per lo schedatore esperto che abbia una specifica conoscenza dei tessuti troviamo un intero campo “Materia” a sua volta suddiviso in sottocampi, in cui inserire informazioni specifiche sul tessuto attenendosi alle norme fornite dal C.I.E.T.A.

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. Dal microscopico al macroscopico sono richiesti “Fibra/materia”, “Tecnica”, “Analisi”, “Colore”, “Tecnica di produzione”. Tali sottocampi si ripetono nel campo utile alla descrizione di “Fodera e Struttura interna”, che sono spesso presenti negli abiti. Per la scheda OA invece la parte relativa ai materiali rimanda ad un vocabolario aperto che consiste in un elenco di termini che il catalogatore può incrementare durante la redazione di una scheda, mediante l'inserimento di nuovi lemmi che, sottoposti ad un'attività di verifica scientifica coordinata dall'ICCD, se approvati, vengono inseriti ufficialmente negli strumenti terminologici standard. Questa apertura lascia ancora una volta ampio spazio al giudizio soggettivo del compilatore e all’inserimento di terminologie ancora nuove e che come abbiamo visto possono differire da persona a persona.

Anche le misure degli oggetti richiesti nella VeAC sono molto più approfondite rispetto a quelle della OA: quelle richieste nella VeAC si riferiscono a misurazioni precise che sono fondamentali nella rilevazione delle dimensioni di un abito, quali ad esempio

“Circonferenze petto”, “Circonferenza vita” e “Circonferenza fianchi”, “Misura maniche” e specifica differenziazioni per le misure anteriori e posteriori dell’abito.

18 Il CIETA (Centre International d’Etude des Textiles Anciens) è un’associazione internazionale con sede a Lione in Francia, fondata nel 1954 con lo scopo di coordinare i metodi di lavoro degli storici e degli specialisti del tessile. L’associazione ha messo a punto un metodo descrittivo normalizzato ed utilizzato in tutto il mondo poiché tradotto in nove lingue, linguaggio tecnico comune agli specialisti del tessile ai fini di facilitare la comunicazione. Da <http://www.cieta.fr/fr/cieta_presentation_fr.htm> [data consultazione:

01/02/16].

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15 DATI ANALITICI (DA):

Nel campo della “Descrizione” dell’oggetto del paragrafo “Dati Analitici” (DA) della scheda OA è lasciato totalmente libero ed aperto. Soprattutto uno schedatore non esperto di abiti e costumi potrebbe qui avere serie difficoltà nell’inserire dettagli significativi per la descrizione fisica di tali manufatti. I dati richiesti in questa scheda non sono sufficienti quando si deve descrivere un pezzo il quale, per essere identificato con sicurezza, ha bisogno di essere descritto anche nelle sue specificità, come ad esempio quelle della confezione e dei tagli sartoriali. La scheda VeAC invece chiede puntualmente di specificare quali siano il numero di pezzi in cui è tagliato un tessuto per creare la confezione, la “Struttura manica” e la “Struttura elementi” annessi come “Tipologia collo/scollo”, “Tipologia tasche” e “Posizione tasche”, “Tipologia” e “Posizione chiusura/allacciatura”.

Sempre all’interno del paragrafo “Dati Analitici”, un altro campo di non semplice compilazione infine è quello relativo agli “Elementi decorativi e/o applicati”. Per la compilazione corretta di questo campo, nella scheda VeAC è stato dato un criterio logico che segue l’ordine di individuazione, dallo sfondo al tema principale e per il vocabolario da utilizzare sono state raggruppate le forme decorative per grandi gruppi di riferimento.

Stesso discorso vale per le decorazioni applicate e gli inserti. Nella OA sono assenti campi

e sottocampi così specifici. Nel campo libero della “Descrizione”, verranno inserite la

maggior quantità possibile di informazioni, lasciando ancora una volta all’esperienza e

alla sensibilità dello schedatore la responsabilità di approfondire le tipologie di merletto,

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16 spiegare la varietà di bottone utilizzato, analizzare la modalità di allacciatura e chiusura, tutto ciò con un linguaggio piuttosto libero e soprattutto con l’utilizzo di una terminologia che varia sensibilmente da persona a persona.

Nella pratica, ho testato personalmente entrambe le schede di catalogo su un abito piuttosto semplice: la prima conclusione a cui sono giunta è come la scheda OA in un settore così eterogeneo come quello degli abiti lasci ampio spazio di discrezione allo schedatore. I campi della OA non obbligano a dare informazioni, che invece sono richieste ad un livello molto dettagliato nella scheda VeAC. Certo è che utilizzando il lemmario redatto assieme alla scheda VeAC è possibile - con un po’ di impegno - realizzare anche una scheda OA chiara ed esaustiva.

Come scrive Elisabetta Giffi nel suo saggio Per una condivisione delle conoscenze:

«Ciò che è interpretativo sfugge alla gestione automatica e, se il dato non è normalizzato secondo determinati parametri, con difficoltà viene recuperato in fase di ricerca; così la descrizione del bene culturale è ‘strutturata’ all’interno di uno schema dato e il lessico descrittivo è ‘normalizzato’ mediante l’utilizzo di vocabolari controllati. La scheda di catalogo rappresenta, dunque, il bene al livello di astrazione necessario per la gestione automatica dei dati che lo descrivono; la sua definizione pone di fronte a scelte tanto necessarie quanto faticose e difficili, soprattutto nel caso di beni di natura complessa»

19

.

La scheda VeAC prevede campi specifici dove trovano corrispondenza la maggior parte delle peculiarità riscontrabili in un indumento di qualunque genere. Pertanto lo schedatore è guidato passo dopo passo dalla scheda, non vi è spazio per analisi soggettive ed anzi sempre di più è indirizzato dalle norme di compilazione e dal lemmario a fornire risposte concrete e semplici. Anche per la scheda VeAC come per la OA non è obbligatorio compilare tutti i campi per ogni indumento, ma allo stesso tempo ogni parte è necessaria e deve esistere perché deve prevedere e poter rispondere a tutta la molteplicità di informazioni possibili relative ai manufatti tridimensionali tessili esistenti.

Questa moltitudine di sottocampi rende superflua la descrizione discorsiva - presupposto

19 Elisabetta Giffi, Per una condivisione delle conoscenze, in Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma 2010, p. 27, qui p. 27.

(17)

17 invece della scheda OA. Per riempire i campi della VeAC, il compilatore è tenuto nella maggioranza dei casi ad utilizzare un vocabolario standard. Questa modalità ha il grande vantaggio di favorire ed incrementare il livello di scientificità del risultato ottenuto. E proprio per il raggiungimento di questo fine scientifico - a cui hanno mirato fin dall’inizio gli ideatori di questa scheda – è apparso necessario l’utilizzo di un linguaggio univoco e di un vocabolario comune: ed ecco spiegata la nascita del lemmario, supporto informatico davvero straordinario ed esaustivo. L’esclusiva forma informatizzata del lemmario è data dal fatto che essa e solo essa può riflettere perfettamente la sua struttura dinamica e nello stesso tempo assolvere il necessario compito di rendere i propri contenuti facilmente fruibili e consultabili da chiunque. Innanzitutto la consultazione è possibile per ordine alfabetico o per immagini; oltre a ciò è disponibile anche un indice ragionato ed il tasto

“cerca” per indagini mirate. Gran parte dei termini, oltre ad essere descritti, sono anche illustrati e le singole parole sono collegamenti ipertestuali che rimandano ad altri termini in qualche modo relazionabili. Inoltre, di volta in volta è indicato il campo della scheda in cui il termine può o deve essere utilizzato. Il lemmario - che nasce come corredo alla scheda di catalogazione - è probabilmente lo strumento più innovativo e che ha necessitato di maggiori sforzi per la sua realizzazione.

L’obiettivo finale che gli ideatori di questa scheda si erano proposti era la costruzione di una banca dati informatizzata che favorisse e semplificasse la ricerca e l’ordinamento di un così vasto patrimonio. È dunque vero che con l’adozione di questa scheda da parte di tutti sarebbe effettivamente possibile realizzare una banca dati che rispecchi il nostro patrimonio o almeno buona parte di esso in questo settore e che agevoli la ricerca, mettendo in evidenza relazioni che per la dislocazione fisica dei singoli pezzi non potrebbero essere rilevate

20

. D’altra parte, non si può dire che la scheda VeAC, dalla sua realizzazione ad oggi, abbia riscosso né una grande fortuna critica, né una notevole diffusione ed utilizzo. La comunità scientifica di settore si divide di fronte al giudizio su tale scheda di catalogo. Le critiche più diffuse vertono sul linguaggio ostico, sulla difficoltà di compilazione per i non addetti ai lavori, sulla esagerata quantità di informazioni richieste, soprattutto quando non vi è riscontro della loro fruibilità pratica.

La compilazione della scheda VeAC richiede infatti conoscenze specifiche e scientifiche tutt’altro che comuni: conoscenza della storia del costume come dei tessuti, delle loro

20 Vedi Roberta Orsi Landini, La nuova scheda di catalogazione dei vestimenti antichi e contemporanei, in Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma, 2010, pp. 28-29.

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18 funzioni d’uso oltre che almeno delle fondamentali nozioni di conservazione utili per individuare il corretto modo per tutelare l’abito - in deposito come in mostra - ma anche competenze di restauro sufficienti almeno ad interpretare l’oggetto e a determinare con precisione rimaneggiamenti successivi alla confezione originale, interventi precedenti, o piuttosto proporne altri ritenuti necessari a fini conservativi

21

.

La scheda VeAC è dunque ritenuta in generale troppo complessa, d’altro canto riscontriamo invece un’unanimità di concordanza sull’utilità del lemmario. La normalizzazione del vocabolario nel campo della moda facilita la comunicazione tra gli specialisti definendo in maniera univoca ogni oggetto esaminato, ed è soprattutto uno strumento che si lascia utilizzare proprio per la sua struttura davvero intuitiva ed efficace.

Personalmente, ho colto degli aspetti positivi nell’introduzione della VeAC: è vero che questo tipo di scheda presuppone che il compilatore debba avere una certa familiarità con la materia che sta trattando, ma è anche vero che per il compilatore meno esperto la scheda fornisce delle soluzioni ‘chiuse’, riducendo al minimo la possibilità di inserimento di informazioni errate.

È vero, come molti studiosi sostengono, che se un ricercatore specializzato cerca informazioni specifiche ed approfondite su un manufatto significa che vuole compiere su di esso degli studi e ciò implica per gli storici dell’arte l’osservazione diretta del manufatto e la raccolta di dati dalla fonte diretta, senza fidarsi dello studio talvolta superficiale che qualcun altro ha fatto precedentemente inserendo le informazioni nella VeAC. Ma è anche necessario notare che se la VeAC fosse effettivamente adottata dalle istituzioni museali aventi le maggiori collezioni, essa permetterebbe di fare già all’inizio di una ricerca almeno una mappatura di ciò che si reputa interessante andare a visionare direttamente, consentendo così anche relazioni e confronti utili che altrimenti rimarrebbero celati. Se partiamo dall’idea che per uno studioso nulla può sostituire l’osservazione diretta dell’opera, allora ritengo che sarebbero sufficienti schede di catalogo molto snelle e semplificate, dove i dati da rilevare sarebbero esclusivamente notizie inventariali, quali la collocazione, la proprietà, lo stato di conservazione dell’oggetto, in modo da tutelarlo e garantirne la salvaguardia. Se invece pensiamo anche a ciò che una scheda di catalogo dettagliata e compilata in modo scrupoloso può offrire,

21 Vedi Giovanna Damiani, Dalla prassi al metodo, in Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma, 2010, pp. 25-26.

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19 non possiamo non considerare i numerosi campi che vengono in aiuto di colui che si avvicina allo studio di un pezzo.

Pensiamo ad esempio ad un abito contemporaneo. Immaginiamo la rete delle relazioni che si formano attraverso la compilazione delle schede di catalogo: oltre la bibliografia eventualmente inserita, la documentazione grafica e multimediale, il cartamodello, il figurino o il video di una sfilata offrono spunti preziosi per lo studio ulteriore del pezzo e vanno a costituire una base storica da cui partire per aggiungere poi altre informazioni

22

.

Ritengo che in questo senso lo strumento di catalogazione proposto con la Scheda VeAC sia una buona base di partenza; quello che considero un punto debole non è qualcosa insito nella scheda in sé, quanto più un problema di sistema. Se il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali avesse riconosciuto l’efficacia e la validità di questa scheda, oltre a stanziare i fondi per realizzarla e promuoverla per i primi mesi, avrebbe dovuto fornire degli stanziamenti mirati agli enti che nel territorio nazionale sono in possesso delle maggiori collezioni di abiti, così da assumere schedatori già specializzati o eventualmente formarne di nuovi per dare avvio a campagne di schedatura di questo tipo.

Dal 2010 – anno di nascita della VeAC - ad oggi sono stati realizzati solamente 2 corsi ufficiali promossi dal Ministero per formare gli schedatori alla corretta compilazione della scheda VeAC, uno a Torino presso il Museo di Palazzo Madama nel 2011 e uno a Gorizia nel 2012 presso il Museo della Moda e delle Arti Applicate. È veramente un peccato ed uno spreco che un progetto di tale entità, che comunque è stato il risultato dello studio e della ricerca di molteplici personalità di spicco del settore, non sia supportato e promosso dagli enti stessi che lo hanno fortemente voluto.

Così facendo - a mio parere - la scheda VeAC è stata in qualche modo messa da parte e, invece di essere inserita nelle consuetudinarie attività dei musei e delle collezioni indumentarie, è stata mistificata rendendola nell’idea e non nella pratica uno strumento più ‘minaccioso’ di quanto sia nella realtà.

Nella presentazione del volume Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio è presente un intervento fatto dall’allora Ministro per i Beni e le Attività

22 Riflessioni suscitate dal colloquio con il dott. Lorenzo Carletti storico dell'arte con esperienza nel campo della tutela, della catalogazione e del restauro del patrimonio storico-artisitico.

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20 Culturali, Sandro Bondi, che conferma a mio parere le argomentazioni personali fin qui portate. Ciò che l’Onorevole si auspica, grazie all’introduzione e all’utilizzo di questa scheda, è di riuscire ad ottenere una ricognizione del patrimonio di questo settore specifico tanto dal punto di vista del pubblico che del privato, in modo da creare un archivio accessibile a chiunque, che permetterà agli utenti una lettura il più possibile completa «su quella che ancora oggi è riconosciuta come un’eccellenza artigianale e produttiva del nostro paese»

23

. Ho citato le parole del Ministro, per sottolineare quanto il patrimonio tessile -ed in particolare quello degli abiti - faccia fatica ad uscire dalla condizione a cui è comunemente relegato, ossia qualcosa di più ‘frivolo’ rispetto ad un’opera d’arte, al massimo relegabile alla categoria di alto artigianato. Lo stesso ministro Bondi, parlando di abiti, non li classifica come opere d’arte o beni culturali ma al massimo come ‘eccellenze artigianali’. L’ultima definizione di bene culturale configuratasi grazie alla Commissione Franceschini nel 1964 e valida ancora oggi è quella scritta nel Codice dei Beni Culturali all’art. 2/2 di “testimonianza avente valore di civiltà”. Gli abiti, in qualità di documento storico, antropologico ma anche di indirizzo artistico, rientrano pienamente in questa categoria di beni e - a mio parere - non sono assolutamente relegabili ad una categoria inferiore, vale a dire equiparabili ad opere di alto artigianato. Forse proprio questa generale non consapevolezza che gli abiti siano anch’essi da annoverare tra i beni culturali ha fatto sì che la necessità di realizzare una scheda di catalogazione specifica per loro sia nata in ritardo rispetto a quelle specifiche per altri beni particolari (mi riferisco a fotografie, numismatica, stampe, matrici, arte contemporanea).

Desidero sottolineare un ultimo ma sostanziale passo in avanti determinato dalla VeAC, che – ricordo - sta per Vestimenti Antichi e Contemporanei, rispetto alla OA:

finalmente questo modello permette di schedare anche manufatti recenti, che hanno meno di 50 anni. Questa rappresenta probabilmente la maggiore novità, che invece viene tenuta poco in considerazione. Gli abiti, soprattutto quelli contemporanei, rappresentano una specializzazione nella specializzazione, poiché sono sostanzialmente arte contemporanea applicata, dunque racchiudono in sé le numerose sfaccettature e problematiche riguardanti l’una e l’altra arte. È quindi comprensibile una certa difficoltà nel promuovere campagne di catalogazione di questo tipo, ma a mio parere ciò riflette anche il fatto che

23 Grazietta Butazzi, Giovanna Damiani, Elisabetta Giffi, Roberta Orsi Landini, Thessy Schoenholzer Nichols (a cura di), Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma, 2010, p. 5.

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21 nonostante la realtà italiana si sia rimessa in pari rispetto a molti altri paesi per quanto riguarda gli strumenti per una corretta salvaguardia di questo tipo di patrimonio, non sia ancora pronta a considerare veramente anche questa tipologia di beni artistici assieme a quelle che sono definite le arti maggiori, considerazione che invece altri paesi sostengono da almeno 3 decenni.

d) Catalogazione di abiti all’estero

È interessante notare come a livello internazionale sia sorto un tentativo di coordinamento che unisce più Paesi per la catalogazione dei costumi, soprattutto per ciò che riguarda il vocabolario da utilizzare nella compilazione delle schede di catalogo.

Già nel corso della riunione di ICOM svoltasi a Parigi nel 1971, il Comitato istituì un gruppo di lavoro che si concentrasse sul difficile tema della catalogazione dei costumi.

Infatti, con lo sviluppo dei vari sistemi d'informazione, era diventato più che mai necessario esaminare e mettere in discussione il problema della catalogazione specifica del costume, al fine di garantire che le informazioni sui capi di ogni collezione fossero registrate in modo chiaro in forma schematica ma esauriente e di immediata comprensione e lettura a livello internazionale. Apparve immediatamente evidente l’impossibilità di creare un sistema di catalogazione unico per più paesi: le più importanti collezioni mondiali si erano già dotate di un sistema proprio, quindi unificarli sarebbe stato impossibile. Si procedette quindi ad identificare quali fossero i parametri ed i campi fondamentali da registrare affinché una scheda di catalogo potesse dirsi esaustiva e completa: il risultato finale è stato presentato al comitato tre anni dopo, in occasione della riunione triennale di ICOM a Copenaghen nel 1974.

La redazione della scheda di catalogo ha comportato un’ulteriore problematica: la

realizzazione di un vocabolario che consentisse la corretta ed univoca denominazione di

ogni oggetto. Anche all’interno della stessa lingua, i termini che si riferivano alla moda –

sia antica che contemporanea – potevano variare, così nel 1975 iniziò una seconda fase

di lavoro dedicata all’individuazione di tutti i termini di base che possono e devono essere

utilizzati nella catalogazione. Nel 1978 si concluse la stesura dell’elenco dei vocaboli e

delle rispettive illustrazioni di abiti e accessori da donna; seguirono quelli da uomo nel

1980 e nel 1981 si concluse il lavoro con quelli da bambino. È nato così lo strumento

(22)

22 informatico chiamato Vocabulary of Basic Terms for Cataloguing Costume

24

(Vocabolario dei termini di base per la catalogazione del costume).

Il metodo di lavoro scelto per l’organizzazione dei vocaboli fu quello di considerare i capi nella loro relazione con il corpo umano. Per ogni categoria di abbigliamento per uomini, donne e bambini, i termini sono raggruppati in base alle varie tipologie di abbigliamento: capi principali; capispalla; abbigliamento protettivo;

biancheria intima; strutture portanti; abiti da notte. All’interno di queste categorie i termini sono ulteriormente suddivisi in base alla zona del corpo coperto. Gli accessori invece sono raggruppati come: accessori indossati; accessori trasportati; accessori aggiunti al corpo o sui vestiti per ornamento; accessori utilizzati nella cura della persona;

accessori utilizzati nella cura di abbigliamento, accessori utilizzati per la realizzazione e la regolazione di abbigliamento.

Per riempire il primo campo a disposizione nelle varie schede di catalogo, sono state utilizzate le definizioni delle varie tipologie di abbigliamento, desunte dal nuovo vocabolario: ciò consente un inquadramento generale che permetterà di mettere in relazione più oggetti. I campi successivi al primo vengono lasciati aperti alle specificità, che sono inserite secondo la terminologia ed il grado di conoscenza ed esperienza dello schedatore. L'uso di un numero limitato di termini per i campi identificativi del manufatto dovrebbe scongiurare l'uso inesatto di una denominazione più specializzata, che porterebbe a falsi raggruppamenti di indumenti.

Ciò che salta subito all’occhio consultando questo vocabolario informatizzato è la possibilità di avere la traduzione in francese e tedesco, oltre che in inglese. Le versioni non anglofone non sono solo delle semplici traduzioni, ma il risultato di una collaborazione di specialisti di vari paesi, che ha permesso l’esatta identificazione comune dei principali tipi di indumento, assegnando di volta in volta l’appropriata denominazione nella propria lingua

25

.

La traduzione in più lingue permette di utilizzare il medesimo vocabolario in sistemi informatici di catalogazione diversi da paese a paese, ma che seguono comunque una serie di parametri standard, che sono quelli proposti da Collection Trust, un ente del

24 Costume Vocabulary of Basic Terms for Cataloguing Costume

<http://www.collectionstrust.org.uk/assets/thesaurus_icombts/vbt00e.htm> [data consultazione: 10/02/15]

25 Costume Vocabulary of Basic Terms for Cataloguing Costume

<http://www.collectionstrust.org.uk/assets/thesaurus_icombts/vbt00e.htm> [data consultazione: 10/02/15]

(23)

23 Regno Unito che ha prodotto una guida completa chiamata SPETRUM

26

, tradotta in numerose lingue, che propone gli standard di gestione delle collezioni validi a livello internazionale.

Tale guida è libera e disponibile gratuitamente in tutto il mondo, attualmente utilizzata da più di 23.000 musei in 40 Paesi. I campi da compilare prevedono:

 storia del pezzo prima dell’entrata al museo, identificazione dei materiali e delle tecniche, misure, descrizione dei tagli sartoriali e confezione;

 eventuali modifiche successive all’originale, riparazioni, rotture e restauri;

 ove presente, la posizione e la tipologia di ogni etichetta, riportandone la trascrizione;

 luogo in cui il pezzo è attualmente conservato e i vari spostamenti all’interno del museo o all’esterno per esposizioni;

 come e quando il pezzo è stato utilizzato;

 i dati dello schedatore, di chi si è eventualmente occupato dell’informatizzazione e di chi ha aggiornato la scheda con le rispettive datazioni.

Tutti questi dati possono essere inseriti in uno dei molti database commerciali realizzati appositamente per la registrazione di oggetti museali compatibili con la scheda di catalogo proposta negli standard SPECTRUM

27

.

2 Documentazione e condizioni per la conservazione e l’allestimento di abiti appartenenti ad una collezione museale

Oltre le pratiche generali di documentazione e catalogazione ufficiali che abbiamo visto essere, se non adottate, almeno regolamentate con la nascita della scheda VeAC e il portale SIGEC, esistono altre tipologie di documentazione che si devono applicare ad un abito, come a tutte le opere d’arte musealizzate in generale, per garantirne la sicurezza, salvaguardia e corretta conservazione. Un museo ha infatti il compito - anche a livello burocratico - di mantenere costantemente aggiornata la documentazione che attesta la condizione fisica di un’oggetto delle sue collezioni, sia che si trovi custodito al suo

26 Alex Dawson, Susanna Hillhouse, Spectrum: The UK Museums Documentation Standard, London, Collection Trust 2011. Disponibile in pdf all’indirizzo < http://www.collectionstrust.org.uk/collections- link/collections-management/spectrum/item/1000-spectrum-4-0 > [data consultazione: 07/08/16]

27 Clothes tell stories <www.clothetellstories.com> [data consultazione: 01/10/2015]

(24)

24 interno, in deposito o in esposizione, sia nell’eventualità che il pezzo sia spostato dalla sua solita collocazione per un prestito ad un altro museo, per ragioni di esposizione, studio, restauro o fotografia.

Una guida utile alla realizzazione di questo tipo di documentazione ci è fornita dal sopracitato SPECTRUM: The UK Museum Collections Management Standard, un manuale che raccoglie in sé la descrizione di tutte le buone pratiche da seguire per la gestione dei processi in cui un oggetto è coinvolto durante il suo ciclo di vita in un museo.

Il manuale si basa su competenze ed esperienze di pratiche museali svolte sia nel Regno Unito che a livello internazionale

28

.

Seppur vero che tale documentazione e il manuale SPECTRUM siano riferibili a qualsiasi opera d’arte custodita in un museo, nel caso di manufatti fragili come tessili e costumi, soggetti ad un repentino deterioramento se immessi in condizioni non ottimali per la loro conservazione, o non correttamente maneggiati, i conservatori di tali collezioni dovranno assicurarsi che anche gli aspetti che possono apparire prettamente burocratici siano curati nel dettaglio al fine di garantire la sicurezza e la salvaguardia dei propri manufatti. Farò quindi una panoramica sulla natura di tali documentazioni, soffermandomi sugli aspetti direttamente relazionati alla cura di collezioni di abiti e analizzando alcune problematiche che possono sorgere in questo ambito particolare, rimandando invece al manuale di guida generico e consultabile online SPECTRUM

29

per gli aspetti più generali riguardanti ogni tipo di manufatto.

a) Schede conservative

La prima documentazione necessaria in assoluto per una corretta documentazione della cura e della conservazione degli abiti in un museo sono le schede conservative.

Le schede conservative sono schede redatte nel laboratorio di conservazione e restauro nello stesso momento in cui un oggetto viene sottoposto ad un qualsiasi trattamento che sia esclusivamente conservativo o di restauro. Ad esempio il consorzio Tela di Penelope, che si occupa della conservazione delle collezioni del Museo del

28 Alex Dawson, Susanna Hillhouse, Spectrum: The UK Museums Documentation Standard, London, Collection Trust 2011. Disponibile in pdf all’indirizzo < http://www.collectionstrust.org.uk/collections- link/collections-management/spectrum/item/1000-spectrum-4-0 > [data consultazione: 07/08/16]

29 Spectrum. The UK Museums Documentation Standard < http://www.collectionstrust.org.uk/collections- link/collections-management/spectrum/item/1000-spectrum-4-0 > [data consultazione: 07/08/16]

(25)

25 Tessuto di Prato, ha il compito di compilare le schede conservative nel momento in cui un qualsiasi oggetto del museo arriva nel laboratorio di restauro, e dunque nel caso di un intervento di conservazione o restauro mirato, come semplicemente per una nuova acquisizione, un prestito, o un’esposizione. La scheda conservativa rappresenta lo strumento per registrare la memoria storica dei manufatti delle collezioni, e può anche essere consultata per la redazione della scheda VeAC oppure OA, con il fine di completare in maniera esaustiva i paragrafi CO e RS, rispettivamente “Conservazione” e

“Restauro”. A differenza della scheda VeAC, che dal 2010 costituisce un modello unico ed ufficiale fruibile da tutti coloro che si accingono alla catalogazione di un abito, le schede conservative possono essere differenti e variare da ente a ente, anche di fronte alla stessa tipologia di manufatti. Non esiste difatti un modello unico, ma ogni laboratorio di restauro o museo provvede alla realizzazione di un suo personale schema di base: il redattore, come ricorda Sheila Landi in The Textile Conservator’s Manual, per scegliere quali dati inserire, dovrà immaginare di quali informazioni sulla vita conservativa e dunque anche sui restauri effettuati sul manufatto un restauratore o un conservatore di cinquant’anni dopo potrebbe aver bisogno per compiere correttamente il suo lavoro e offrire la giusta rappresentazione e testimonianza dello stato conservativo di un particolare manufatto ad una data epoca

30

.

La compilazione delle schede conservative trasforma obbligatoriamente il momento di riconoscimento della storia conservativa in un momento di studio approfondito sull’oggetto, dal quale è possibile ricavare una grande quantità di informazioni e tracce della storia passata dell’abito che è necessario segnalare in tali schede. Affinché tale ricerca sia coerente, è auspicabile che sul singolo oggetto lavori una sola persona, che si occupi della redazione della corrispettiva scheda conservativa

31

.

Essendo le collezioni del Museo del Tessuto diversificate, il laboratorio di restauro si è dotato di due tipologie di schede conservative studiate appositamente per il restauro e la conservazione di tessili: una specifica per i tessuti ed un’altra per i tridimensionali (allegato 3). All’inizio della scheda conservativa, oltre ai campi che si riferiscono a tipologia, origine crono-geografica del bene e specifiche su materiali e tecniche, sono richiesti i dati subito i dati identificativi dell’abito all’interno della collezione museale, il numero di inventario e la collocazione nel deposito. Subito dopo si passa all’analisi

30 Sheila Landi, The Textile Conservator’s Manual, London, Butterworths, 1985, p. 35.

31 Sheila Landi, The Textile Conservator’s Manual, London, Butterworths, 1985, p. 35.

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26 specifica del pezzo, alla sua descrizione - per la quale si fa uso del lemmario - all’analisi dello stato di conservazione del pezzo al momento dell’ingresso in laboratorio, ai risultati dei test preliminari e ad eventuali osservazioni; segue poi la scheda di identificazione delle fibre, nella quale è previsto un campo che riporta anche la collocazione del campione eventualmente prelevato. Un’altra importantissima sezione della scheda conservativa è quella riguardante la scheda di movimento: in questa pagina viene registrata qualunque attività di movimentazione di un manufatto. Ricorrendo alla scheda, sarà sempre evidente se l’oggetto che cerchiamo è collocato in deposito, e se non lo fosse viene specificata l’effettiva posizione: in restauro, in esposizione o in prestito. Troviamo poi le informazioni riguardanti i trattamenti che al di là delle iniziali previsioni sono stati effettivamente eseguiti: buona prassi sarà l’aggiornamento progressivo del campo, evitando il rischio di non annotare alcune informazioni importanti. Allegato a questo sono richiesti i dati sui materiali e le sostanze eventualmente utilizzate in tali processi, anche questo un dato fondamentale per rendere note eventuali reazioni positive o negative dell’abito ai trattamenti effettuati in modo da non dover più ripetere test. Per ultima la documentazione fotografica, che vedremo più specificatamente nel paragrafo sulle norme fotografiche.

b) Documentazione e condizioni legate al prestito di abiti

Un’altra tipologia di documentazione fondamentale relativa ad un manufatto musealizzato è quella relativa ai prestiti. Il prestito di un oggetto anche se effettuato tra due realtà museali rappresenta in ogni caso un momento è messa a rischio la salvaguardia di un abito. Si parla solitamente di prestito in entrata e prestito in uscita: il primo riguarda l’acquisizione per un determinato periodo di uno o più beni provenienti da un’altra entità museale, mentre la seconda riguarda la cessione di un bene ad un’altra entità museale.

Nella pratica del prestito di un abito è necessario per prima cosa considerare la

problematica della corretta manipolazione e movimentazione, che rappresenta un fattore

che accentua la complessità del prestito. Prestare un oggetto di questo genere, sottoporlo

quindi ad un viaggio, montaggio in vetrine su manichino, esposizione alla luce, può

davvero rappresentare un rischio e una fase che - se non rispettate pedissequamente le

buone norme di manipolazione, stoccaggio e allestimento - potrebbe trasformarsi davvero

in un momento in cui la vita di questi manufatti viene accorciata e di conseguenza

(27)

27 penalizzata anche la loro fruibilità. Dunque, per evitare tutto ciò, e garantire in primis la salvaguardia dell’oggetto, i musei seguono una serie di passi, durante i quali - in una fase antecedente al trasporto del manufatto da un’istituzione all’altra - i curatori/conservatori prestanti e quelli accoglienti stipulano una sorta di trattativa affinché siano stabilite tutte le condizioni necessarie a far sì che il manufatto non risenta in nessun modo dello spostamento dalla sua originale e sicura collocazione.

- Facilities report

Tale trattativa ha sempre inizio con l’invio di un facilities report: documento che

viene inviato da un museo contestualmente alla richiesta di prestito di un manufatto. Tale

documento ha lo scopo di illustrare al curatore delle collezioni - che deve decidere se uno

o più manufatti delle sue collezioni potranno essere custoditi in quel museo per un periodo

- il maggior numero possibile di informazioni riguardanti il museo ospitante. Il report in

generale si formula secondo una sorta di zoom che descrive dal macroscopico al

microscopico tutti i dati identificativi del museo: da quelli riguardanti il tipo di istituzione

e la struttura museale, ai dati sulla conservazione e salvaguardia dei manufatti conservati,

quali sistemi di sorveglianza ed allarme fino alla tipologia di sistemi utilizzati per il

controllo degli ambienti. Quando si tratta di un prestito per un’esposizione, nel facilities

report dovrà essere presente una descrizione esaustiva sull’area di esposizione ove

verranno a collocarsi gli oggetti che si vogliono ricevere in prestito, specificando se vi è

l’intenzione di inserire nell’allestimento vetrine espositive. Saranno inoltre specificate -

oltre le dimensioni della sala - anche quelle di porte e finestre e degli eventuali mezzi che

si intende utilizzare per trasportare i manufatti. Le valutazioni degli spazi sono di

fondamentale importanza quando si ha a che fare con abiti. Le dimensioni della scatola e

dell’imballaggio per il trasporto di tali manufatti non corrispondono necessariamente

all’oggetto montato e dunque - se questo non viene montato su manichino nel medesimo

luogo ove avrà luogo l’esposizione – dovranno essere valutati preventivamente gli spazi

di manovra. Altra fondamentale informazione che deve essere sempre fornita è se sul

luogo dell’esposizione sarà presente personale specializzato nel settore in grado di

contribuire e collaborare con il restauratore inviato dal museo prestante per la

movimentazione ed il montaggio degli abiti.

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28 Abbiamo visto essere di rilevanza fondamentale anche le specificazioni riguardanti i dati di controllo ambientale e dunque temperatura ed umidità relativa in ogni ambiente in cui verrà posizionato l’abito, dunque gallerie espositive, depositi e zone di imballaggio e sballaggio.

Per quanto riguarda i tessili, oltre alle condizioni climatiche che, se non idonee, possono essere risolte con una vetrina d’avanguardia, si riscontrano problematiche legate alla luce, in quanto assumono una rilevanza da non sottovalutare sia le luci interne alle vetrine espositive che quelle ambientali della sala che ospita il manufatto. Dunque un facilities report allegato alla richiesta di prestito per un tridimensionale tessile dovrà prevedere una particolare specificazione per la tipologia di illuminazione utilizzata fuori e dentro la vetrina e anche l’intensità di tale illuminazione, ossia il quantitativo di lux che andrà a colpire l’oggetto. Inoltre dovrà anche essere garantita la totale assenza di luce naturale della sala espositiva e specificato per quante ore al giorno si ha intenzione di tenere gli oggetti illuminati.

Un documento del genere - se realizzato in maniera completa ed esaustiva - permette al conservatore della collezione ‘prestante’ di comprendere innanzitutto le motivazioni del prestito e consente di valutare se il museo che sta chiedendo di ospitare un abito possegga nella pratica le caratteristiche idonee a garantire la salvaguardia di una veste che deve essere inviata e dunque la fattibilità di tale operazione.

- Condizioni di prestito

Ricevuto il facilities report e accertato che la struttura sia coerente con gli standard conservativi ministeriali di cui necessita il manufatto da prestare, si procede inviando al richiedente una documentazione attestante le condizioni di prestito per ogni singolo manufatto richiesto. L’accordo farà riferimento dunque a tutte le condizioni di prestito imposte e sarà firmato da entrambe le parti per garantire l’approvazione del prestito

32

.

32 Alex Dawson, Susanna Hillhouse, Spectrum: The UK Museums Documentation Standard, London, Collection Trust 2011, pp. 20-25. Disponibile in pdf all’indirizzo

<http://www.collectionstrust.org.uk/collections-link/collections-management/spectrum/item/1000- spectrum-4-0 > [data consultazione: 07/08/16]

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