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Di fronte alla manipolazione a cui il Medioevo sottopone i soggetti classici, gli umanisti accentuano la specificità del mondo antico e l’inconciliabilità dei suoi contenuti e valori alla logica cristocentrica dell’età di mezzo

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4. FONTI RINASCIMENTALI

Se in epoca medievale le favole antiche necessitano di una lettura in chiave allegorica per poter divenire i soggetti della produzione artistica e letteraria, con l’inizio del Rinascimento si assiste a qualcosa di radicalmente diverso: viene ripristinata la forma originaria dei racconti mitologici, capaci di comunicare e rappresentare l’essenza degli antichi, la loro incomparabile sapienza e il loro ricchissimo immaginario. Le favole antiche più diffuse sono quelle legate all’amore, le quali trovano nelle stesse Metamorfosi un ampio repertorio; accanto ad esse, particolarmente diffusi sono i miti legati alla ciclicità e alla fecondità naturale. Entrambe le tematiche sono ascrivibili alla saga di Bacco e Arianna.

Di fronte alla manipolazione a cui il Medioevo sottopone i soggetti classici, gli umanisti accentuano la specificità del mondo antico e l’inconciliabilità dei suoi contenuti e valori alla logica cristocentrica dell’età di mezzo. Si inizia così ad attuare una reintegrazione di forme classiche con i contenuti classici.

Il recupero del mito nella sua forma originaria è connesso alla conoscenza diretta e più ampia della letteratura degli Antichi. In epoca rinascimentale era nota gran parte dei testi antichi che descrivevano gli dei olimpici e riferivano le vicende mitiche di cui essi erano protagonisti; nelle fonti letterarie le divinità erano rese come personaggi dinamici, dalle sembianze umane e interagenti tra loro e con i mortali. Tra gli autori più studiati vi sono Omero e Virgilio, Lucrezio e Catullo, ma sono le opere di Ovidio a costituire la fonte più influente nell’ambito della produzione di immagini mitologiche, sebbene si tratti talvolta di un’influenza indiretta, mediata

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dalle mitografie successive e dalle versioni moralizzate delle Metamorfosi.

La storia delle edizioni rinascimentali dei testi ovidiani appare piuttosto complessa poiché le traduzioni, le illustrazioni e i commentari mutano continuamente e in modo indipendente l’uno dall’altro; in particolare, è evidente un contrasto tra le letture allegoriche e le rappresentazioni visive.

L’interesse rinascimentale per i miti classici non si riflette solamente nello studio dei testi antichi, ma porta anche alla stesura di nuove opere letterarie, che avranno un’influenza più o meno accentuata sulla creazione artistica di soggetto mitologico. Esse presentano una straordinaria varietà: vengono composti manuali mitografici, libri di emblemi, compendi astrologici, descrizioni di monete antiche, trattati filosofici e testi poetici.

4.1. La figura di Arianna nella Firenze medicea.

Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

Quest’è Bacco e Arianna belli, e l’un dell’altro ardenti:

perché il tempo fugge e inganna, sempre insieme stan contenti.53

Con questi versi si apre la celebre Canzona di Bacco, composta da Lorenzo il Magnifico in occasione del carnevale del 1490; si tratta, infatti, di un canto carnascialesco, ossia di un componimento destinato ad essere cantato da allegre maschere durante il carnevale. Il capolavoro di Lorenzo descrive un corteo trionfale ispirato a soggetti dionisiaci e composto da personaggi mitologicamente travestiti: il protagonista è Bacco, dio dell’ebbrezza e della gioia frenetica; accanto a lui compare Arianna, mentre, tra i satiri e le ninfe

53 MEDICI LORENZO de’, Opere, a cura di A. Simioni, Laterza, Bari 1937, vv.1-8.

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che formano il suo seguito, spiccano le maschere di Sileno ubriaco e del re Mida intento a constatare quanto sia superflua la ricchezza se impedisce il godimento della vita.54

Il componimento mostra come, durante il Rinascimento, gli eroi antichi entrino a far parte delle feste di corte e dei carnevali cittadini; uno dei personaggi più ricorrenti è proprio Bacco, spesso accompagnato dalla sposa Arianna.

Tema ispiratore di tutto il canto è quello della gioventù lieta e fuggitiva. Al passaggio del trionfo, il poeta (voce della folla che segue con lo sguardo quell’immagine di diletto) riflette sulla fugacità dei piaceri terreni e sulla caducità della stessa vita umana; ne deriva un invito, velato di malinconia, a cogliere le beatitudini dell’amore e a gustarne la gioia fugace, con la consapevolezza che è possibile conoscere solo il presente e che il domani è incerto e imprevedibile. Viene così rinnovata l’antica lezione oraziana del carpe diem: come aveva già cantato Orazio tanti secoli prima, Lorenzo consiglia di trarre il massimo piacere dal presente, senza fidarsi del futuro.

Già nell’antichità il baccanale era strettamente legato alla felicità dell’attimo; ciò che è nuovo è la contrapposizione tra la fugacità della vita umana e l’eternità del tempo mitico. La canzone presenta dunque situazioni e temi classicheggianti, derivanti anche da Ovidio, come mostra la stessa scelta delle figure mitologiche che animano il carro mascherato.

La figura di Arianna si inserisce nella dimensione delle gioie della vita terrena; al pari delle ninfe e delle altre dee pagane, ella incarna una nuova figura laica di donna, strettamente legata al godimento dei piaceri dell’amore.

L’eroina compare accanto allo sposo Bacco anche nei versi delle Stanze per la giostra, composti da Angelo Poliziano per celebrare la vittoria di Giuliano de’ Medici nella giostra (un torneo d’armi) del 1475.55 Si tratta di un poemetto epico-encomiastico e al contempo mitologico, poiché fatti e

54 Secondo il mito, il re Mida aveva ottenuto da Bacco il dono di trasformare in oro tutto ciò che toccava, come ricompensa per avergli ritrovato Sileno.

55 Giuliano aveva corso la giostra in onore di Simonetta Cattaneo, moglie di Marco Vespucci; la favola mitologica delle Stanze si ispira proprio all’amore di Giuliano per la donna.

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persone sono trasfigurati nel mito e riportati a situazioni della mitologia greca e latina. L’autore lascia cadere gli aspetti bellicosi e marziali del tema della giostra e del torneo, per spostarsi sul valore simbolico della prova e sui significati filosofici che le si possono sovrapporre; ne consegue l’abbandono del tenore narrativo e degli stereotipi descrittivi tipici di quella produzione e la risoluzione dell’esile trama in una serie di quadri legati tra loro da un filo simbolico, secondo uno schema che mette in gioco, attraverso il corredo mitologico, un sistema complesso di allegorie e ha il suo ascendente più illustre nei Trionfi di Petrarca. Evidenti e vari sono, inoltre, i modelli classici ripresi: Virgilio, Orazio e soprattutto Ovidio. Le numerose reminescenze letterarie vengono rielaborate in una nuova prospettiva, quella del sogno di evasione dalla società, tipico dell’Umanesimo neoplatonico; viene così prodotta una trasfigurazione del reale in chiave mitica e idilliaca, in cui si realizza un’ideale di calma, perfezione ed eterna bellezza.

Il componimento di Poliziano ruota intorno al tema dell’eros, applicando la dottrina dell’amore platonico di Marsilio Ficino all’intreccio della favola mitologica narrata. Il primo libro illustra il favoloso Palazzo d’Amore e le antiche vicende erotiche che lo decorano, descritte tramite la tecnica dell’ekphrasis; nelle stanze 110-112, lo scenario diviene quello dell’isola di Nasso e i protagonisti Arianna, Teseo e Bacco:

Dall’altra parte la bella Arianna colle sorde acque di Teseo si duole, e dell’aura e del sonno che la ‘nganna;

di paura tremando, come suole per picciol ventolino palustre canna pare in atto aver prese tai parole:

“Ogni fera di te meno è crudele, ognun di te più mi saria fedele”.

Vien sovra un carro, d’ellera e di pampino coverto Bacco, il qual duo tigri guidono,

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e con lui par che l’alta arena stampino Satiri e Bacche, e con voci alte gridono:

quel si vede ondeggiar, quei par che ‘nciampino, quel con un cembol bee, quelli altri ridono;

qual fa d’un corno e qual delle man ciotola, quale ha preso una ninfa e qual si ruotola.

Sovra l’asino Sileno, di ber sempre avido, con vene grosse nere e di mosto umide, marcido sembra sonnacchioso e gravido, le luci ha di vin rosse infiate e fumide;

l’ardite ninfe l’asinel suo pavido

pungon col tirso, e lui con le mani tumide a’ crin s’appiglia; e mentre sì l’aizono, casca nel collo, e’ satiri lo rizono.56

Il baccanale di Poliziano presenta numerose analogie con le descrizioni del corteo di Bacco offerte dalle fonti classiche. In particolar modo, è evidente uno stretto legame con l’Ars amatoria di Ovidio: il lamento di Arianna, intenta a maledire l’amante infedele, viene bruscamente interrotto dall’arrivo sull’isola del rumoroso corteo di Satiri e Baccanti; nel frastuono generale, Bacco balza giù dal carro trainato da tigri e si avvicina alla fanciulla disperata. Poliziano riprende persino la nota ovidiana dell’impronta lasciata dal dio sulla sabbia.

Pur rinnovando il fascino del racconto mitico, il componimento illustra anche le mascherate dionisiache così diffuse nella Firenze rinascimentale. Il mito, infatti, occupa un ruolo significativo nella cultura delle corti italiane ed europee e diviene spesso il soggetto delle rappresentazioni musicali e teatrali che animano le feste aristocratiche. All’interno del vasto repertorio mitologico, vengono scelte le favole inerenti all’occasione da celebrare o da commemorare. Bacco è uno dei personaggi più ricorrenti in questo tipo di

56 POLIZIANO, Stanze di Messer Angelo Poliziano cominciate per la giostra di Giuliano de’ Medici, a cura di V. Perticone, Loescher, Torino 1954, stanze 110-112.

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rappresentazioni, talvolta accompagnato dalla sposa Arianna. Già presente nella scena finale dell’Orfeo di Poliziano, un trionfo di Bacco e Arianna venne rappresentato durante il carnevale fiorentino del 1489. Sempre nella città di Firenze, venne allestito un corteo dionisiaco anche in occasione delle nozze tra il granduca Cosimo de’ Medici ed Eleonora di Toledo, celebrate nel luglio del 1539; il corteo era composto da Baccanti e satiri che cantavano e ballavano e venne introdotto durante uno degli intermedi con musica di Francesco Corteccia “per non lasciar gli spettatori addormentati”.

La mitologia, infatti, entra anche nella messa in scena delle commedie classiche, sotto forma di intermezzi; questi, inizialmente semplici composizioni musicali, si arricchiscono di apparati scenici sfarzosi e, a partire dal Cinquecento, divengono vere e proprie favole per musica.

Altrettanto significativi sono i ricchi festeggiamenti organizzati da Pietro Riario per accogliere a Roma Eleonora d’Aragona;57 il cardinale allestisce uno spettacolare convito, che, secondo quanto riporta Bernardino Corio nella su Historia di Milano, comprende proprio una

“rappresentazione di Bacco e di Arianna”.58 Nel corso del Rinascimento il banchetto acquisisce finalità spettacolari; esso è una forma di coreografia tipica del tempo festivo, come il carnevale, oppure di un evento speciale, ad esempio una nascita o un matrimonio. Gli apparati scenici che lo compongono seguono una sequenza pianificata e aspirano all’ideale di bellezza e perfezione proprio dei canoni estetici della cultura rinascimentale. Un aspetto importante è la decorazione di muri, tovaglioli e posate, che hanno il compito di suggerire lo spettacolo al pubblico (vengono usati, ad esempio, tovaglioli modellabili che assumono la forma del personaggio principale dello spettacolo); altrettanto importante è il momento dell’ingresso delle portate, che avviene con delle vere e proprie azioni, ispirate a soggetti mitologici o allegorici. Carattere peculiare dei

57 Eleonora d’Aragona si sta spostano, con il corteo degli Estensi, da Napoli a Ferrara, dove sarà celebrato il suo matrimonio con Ercole I. I festeggiamenti per tale avvenimento coinvolgono le numerose tappe di questo viaggio, tra cui Roma. Il corteo degli estensi che si reca a prendere Eleonora a Napoli e soprattutto quello che l’accompagna a Ferrara è un’enorme macchina trionfale, uno spettacolo in se stesso che si muove di spettacolo in spettacolo.

58 B. CORIO, L’Historia di Milano, Bonelli, Venezia 1554, v. 418.

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banchetti rinascimentali è, infine, il lusso con cui vengono allestisti, allo scopo di sorprendere, oltre che divertire, i partecipanti. Esemplificativi sono, appunto, i festeggiamenti organizzati dal cardinale Pietro Riario per Eleonora d’Aragona59. I motivi politici60 che spinsero Sisto IV ad accogliere con grandi onori la figlia del re di Napoli non sono sufficienti a giustificare la grandiosità delle feste romane; decisivo fu il gusto per il lusso, il piacere e lo spettacolo del cardinale Pietro Riario, incaricato dallo stesso Sisto IV di pianificare l’evento. La sua eccezionalità spiega l’esistenza di numerose testimonianze,61 le quali giudicano il convito, nucleo teatrale di maggior rilievo, come il più lussuoso mai allestito e ne rendono possibile la ricostruzione del complesso programma. La stessa Eleonora d’Aragona, in una lettera datata 10 giugno 1473 e indirizzata probabilmente a Diomede Carafa,62 descrive il banchetto ed esprime il proprio compiacimento per aver assistito ad una rappresentazione così esclusiva.

Lo spettacolo è allestito nella piazza dei SS. Apostoli, antistante il Palazzo Riario. La piazza viene ricoperta da ampi velari e ospita un palco laterale, sul quale si svolgono le rappresentazioni, divenute parte integrante di ogni evento festivo. Il portico del palazzo viene trasformato in una grande loggia e diviso in tre sale, e nella maggiore viene collocato il banchetto spettacolo.

La scenografia di quest’ultima è arricchita da vasellame prezioso e da una fontana di acque profumate, raffigurante un fanciullo vestito di foglie dorate; vi sono collocate una credenza e due tavole, a cui siedono, dopo un prologo in piedi, dieci commensali. Su ogni tavola sono poste quattro tovaglie e il toglierle, una per volta, scandisce i tempi del banchetto- spettacolo. Ogni portata è seguita da una rappresentazione, che talvolta consiste in un intermezzo recitato; molti sono i personaggi mitologici, ora

59 Bibliografia: F. CRUCIANI, Teatro nel Rinascimento. Roma 1450-1550, Bulzoni, Roma 1983, pp. 151-164; C. BENPORAT, Feste e banchetti. Convivialità italiana fra tre e quattrocento, Olschki, Perugia 2001, pp. 73-78 e 166-175

60 L’intenzione di papa Sisto IV è quella di evidenziare il ruolo egemone rivendicato dalla Chiesa nello scacchiere della situazione politica italiana.

61 Il Diario romano di Stefano Infessura,, la Lettera da Campagnano a Diomede Carafa (?) datata 10 giugno 1473 di Eleonora d’Aragona, l’Historia di Milano di Bernardino Corio.

62 BENPORAT 2001, pp. 167-171.

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vivi a danzare o recitare versi, ora solamente figurati nei piatti. Nel corso del primo servizio fa il suo ingresso un attore che tiene in mano una viola e, su invito di Giove, saluta i presenti; le vivande della seconda portata sono presentate da Perseo e Andromaca, i quali cantano alcuni versi, mentre Cerere, sopra un carro trainato da due anguille, porge due lamprede e recita un distico. Durante la terza portata entrano in scena anche Bacco e Arianna, i quali, in compagnia di Venere, Atlante, Ippomene ed Ercole, offrono le pietanze e recitano alcuni versi; il quarto e ultimo servizio presenta alcune confezioni di zucchero raffiguranti episodi tratti dal mito, ma anche uomini primitivi, castelli in rovina ed elementi naturali.

Il convito si conclude con l’ingresso di otto coppie mitologiche (tra cui anche Teseo e Fedra) che improvvisano una danza, ma sono importunati da attori vestiti da centauri; ha quindi inizio un combattimento tra Ercole ed i centauri, con la conseguente fuga di questi. Segue la rappresentazione di Bacco e Arianna, impersonati da due attori che sfilano davanti agli occhi dei convitati. L’eroina cretese è, dunque, presentata come la compagna di Bacco, piuttosto che nelle vesti dell’amante di Teseo, tanto che quest’ultimo compare al fianco di Fedra. Non è dato sapere se le figure di Bacco e Arianna alludano direttamente ad Ercole I ed Eleonora d’Aragona, ma il motivo della loro unione straordinariamente felice è indubbiamente consono a festeggiare la celebrazione di un matrimonio.

Gli eventi festivi allestiti nel corso del Rinascimento mostrano come la coppia divina, talvolta, esca dalla dimensione del mito per prendere parte alla vita di corte e ai suoi divertimenti.

4.2. L’unione di Bacco e Arianna: una lettura in chiave filosofica.

Verso la fine del Quattrocento, a Firenze, emerge un tema iconografico prima inedito, che entrerà per qualche decennio nel repertorio degli artisti del rinascimento italiano: una fanciulla distesa, spesso abbandonata al sonno, che viene scoperta, osservata o risvegliata, da una figura maschile.

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Risulta immediata la connessione tra un’immagine di questo tipo e la raffigurazione dell’incontro tra Bacco e Arianna sull’isola di Nasso (secondo la tradizione letteraria trasmessa da Filostrato, in base alla quale la fanciulla sta dormendo nel momento in cui il dio giunge sull’isola, seguito da un rumoroso corteo).

Il soggetto ha un primo, evidente, significato didascalico in quanto raffigurazione dell’iniziazione della nymphe, ovvero della giovane sposa, all’amore. Ma il tema della ninfa dormiente che viene risvegliata al piacere presenta anche una valenza allegorico-filosofica, in evidente consonanza con la ricercata armonia della coincidentia oppositorum cara al neoplatonismo fiorentino. In particolare, è evidente il legame con il connubio tra Virtus e Voluptas, ovvero la riconciliazione tra Virtù e Amore.

Il tema si basa, dunque, sulle idee sviluppatesi all’interno dell’Accademia neoplatonica fiorentina, fondata da Marsilio Ficino col preciso intento di far rivivere la tradizione platonica, da lui concepita come pia philosophia, ovvero una sorta di divina rivelazione filosofica e religiosa. Uno degli obiettivi principali della speculazione ficiniana è la conciliazione tra il mito classico e la dottrina cristiana, presupposto fondamentale per l’armonia vitale del mondo.

I personaggi della mitologia antica vengono così ad assumere significati del tutto nuovi, come nel caso di Bacco e Arianna: grazie al connubio tra l’amore e la virtù, la loro unione offre un esempio di coincidenza degli opposti. Ne deriva una rivalutazione dell’eros e, conseguentemente, delle figure dei satiri, fedeli compagni di Bacco: nelle loro rappresentazioni l’accento non cade sulla naturale lussuria che li caratterizza, bensì sulla potenza della voluptas che essi sono chiamati a manifestare con la loro presenza e ad attivare con il loro intervento nella scena. Si tratta di una voluptas interpretata positivamente, come tramite per il “risveglio” erotico che, in prospettiva neoplatonica, corrisponde alla rivelazione divina in grazia della potenza d’amore. E’ l’amore di Dioniso, infatti, a porre fine al sonno di Arianna.

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L’iconografia della fanciulla distesa si ispira alle immagini delle fabulae antiche, che gli umanisti andavano riscoprendo proprio in quegli anni. Il tema ha larga diffusione nelle corti italiane, e deve la sua fortuna al gusto per la riconversione ecfrastica dai testi classici e per la lettura del mito in chiave allegorica.

4.3. La Hypnerotomachia Poliphili.

La versione allegorico-sapienzale dell’iconografia della ninfa svelata raggiunge il suo acme con la “Madre di tutto” dell’Hypnerotomachia Poliphili. Il testo contiene, infatti, un’illustrazione raffigurante una figura femminile svegliata da un satiro; essa è identificabile con la Virtus ed è assimilata da una scritta greca alla madre di tutte le cose. L’azione del satiro, quindi, è volta a svelare/rivelare la Virtù genitrice di tutto.

La Hypnerotomachia Poliphili (Battaglia d’amore in sogno di Polifilo) è il titolo di un romanzo allegorico in prosa, pubblicato nel 1499 dal tipografo veneziano Aldo Manuzio, in un’edizione preziosa per la bellezza dei caratteri e per lo splendore delle xilografie. Un acrostico contenuto nel testo, formato dalla lettera iniziale della prima parola dei trentotto capitoli, indicherebbe l’autore dell’opera in un Francesco Colonna; probabilmente si tratta di un frate domenicano di Treviso, morto a Venezia nel 1517.63 Il testo è denso di riferimenti a temi pagani, erotici, ma anche di natura filosofico-speculativa; contiene, inoltre, numerose citazioni dalla letteratura classica e dalla trattatistica architettonica antica e contemporanea. L’opera rivela, dunque, i rapporti che intercorrono tra arte e letteratura durante il Rinascimento e si pone tra le più intense testimonianze della cultura antiquaria ed erudita dell’epoca.

63L’ipotesi che l’autore dell’Hypnerotomachia Poliphili sia il frate domenicano non è unanimemente accettata. Maurizio Calvesi (nel libro Il sogno di Polifilo Predestino) ha sostenuto che l’autore potrebbe essere un Francesco Colonna dell’illustre famiglia di Roma, signore di Palestrina, nato intorno al 1430 e educato all’Accademia Romana di Pomponio Leto.

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Il testo, in due volumi, narra “il sogno di una lotta d’amore dell’amante di Polia”.64 Si tratta di un viaggio iniziatico che ha per tema centrale la ricerca della donna amata e che si dipana attraverso una serie di passaggi allegorici oscuri, culminanti nelle descrizioni delle architetture. Polifilo, dopo essersi smarrito in una selva, e dopo aver visto straordinarie opere architettoniche e scultoree, sparse tra rovine archeologiche e in giardini lussureggianti, raggiunge l’amata Polia. Con lei visita il palazzo di Venere, presso il quale i due amanti si confermano i loro sentimenti; mentre si stanno abbracciando, però, il sogno finisce e la donna scompare.

Tra le opere incontrate dal protagonista, vi è una fontana che riproduce la ninfa sopra menzionata. La figura femminile, sdraiata e addormentata, viene scoperta da un satiro; essa costituisce un chiaro riferimento alla celebre statua antica di Arianna, conservata nei Musei Vaticani.

Tale statua viene ricordata anche da Giovanni Francesco Pico della Mirandola, mistico neoplatonico e ardente seguace di Savonarola, che giunge a Roma nel 1512 in seguito alle vicissitudini di una tumultuosa carriera politica. Durante il suo soggiorno, trascorre molto tempo nella residenza papale e ha quindi modo di visitare il Belvedere, un piccolo giardino pieno di statue classiche. Tra queste compare anche l’immagine di Arianna, erroneamente interpretata come Cleopatra e descritta in una lettera che il visitatore invia all’amico Lilio Giraldi, richiamando proprio un passo della Hypnerotomachia:

La quale bellissima Nynpha dormendo giacea commodamente sopra uno esplicato panno […] ritracto il subiecto braccio cum la soluta mano sotto la guancia il capo ociosamente appodiava […] Per le papule (quale di virguncule) dille mammille dilla quale, scaturiva uno filo di acqua freschissima dalla dextera. Et dalla sinistra saliva fervida. Il lapso dambe due cadeva in un vaso porphyritico.65

64 Così la traduzione letterale del titolo greco.

65 E. H. GOMBRICH, Immagini simboliche. Studi sull’arte del Rinascimento, Einaudi, Torino 1978, p. 152-153.

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La principessa cretese è menzionata già nel primo capitolo del testo di Francesco Colonna:

Finalmente in questo scabroso et invio bosco, solamente della pietosa Ariane cretea desiderava el soccorso, quando che essa, per uccidere el fratello mostro, conscia et ductrice el maestrevole filo ad lo ingannevole Theseo porgette, per fora uscire del discolo labyrintho: et io el somigliante per uscire della oscura silva.66

Tormentato dall’insonnia d’amore, Polifilo finalmente si addormenta e sogna di trovarsi in un fitto bosco, dal quale non è in grado di uscire;

invidia, quindi, l’eroe Teseo, il quale poté contare sull’aiuto della “pietosa Arianna”67 per venir fuori dal Labirinto di Creta. La vicenda della saga di Arianna qui ricordata è quella relativa all’uccisione del mostruoso fratello;

la principessa, innamorata di Teseo, gli consegna il celebre filo da svolgere lungo il Labirinto per ritrovare agevolmente l’uscita dopo aver vinto il Minotauro.

Il successivo abbandono sulla spiaggia solitaria di Nasso e il conseguente lamento di Arianna sono riferiti nel trentaduesimo capitolo, in cui Polifilo narra del suo primo incontro con Polia. Egli vede la donna durante una festa e se ne innamora perdutamente, tanto che quando si deve separare da lei prova un grande dolore. Lo stesso dolore che ha provato Arianna vedendo la nave dell’amato Teseo lontana all’orizzonte:

O Ariadne isciagurata, trovastite cusì desolata di omni sperancia non vedendo il tuo perfido mentitore Theseo, spargendo il suo nome et inane et vanamente vocando per gli vasti antri et cavate rupe della deserta Dia vocantelo cassamente, non altro gli ochii toui sucidi obiectantise apparendo che gli arrosi scopuli, gli rigidi monti di murice, gli silvatici arbusti di pruni et gli asperri littori, gli curvamini delle ripe dalle strumose unde et da irruenti flucti undirugi: como ora me, misero, relicto dal mio ritrovato diletto, dal

66 F. COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, a cura di G. Pozzi, L. A. Capponi, Antenore, Padova 1964, vol. I, I, p. 7.

67 Ibidem.

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mio unico et efficacissimo rimedio, in tanto lachrymabile angore et aspero tormento, cum reaccendimento di più feroce amore, et cusì onerata d’omni dolore.68

Alla gloriosa sorte della principessa cretese si fa riferimento nel ventottesimo capitolo della Hypnerotomachia, tramite un’allusione alla costellazione di Arianna. Essa viene citata dalla nutrice di Polia, la quale, lodando la fanciulla, paragona i suoi occhi alle stelle che la compongono:

Et ultra tute le preclare et incredibile bellecie che in te precipue puose, di dui amorosi et splendidi ochii il tuo eximio et vetusto fronte adornoe, che cusì adornata delle ix stelle non apparisse cum le tre più lucente la corona di Ariane nel lympido cielo nel sinistro numero di Arctophilace et aderente al calceo del dextro pede Engonai, nel’exorto de Cancro, et il Leone exoriente cum Scorpione ascondendosi.69

L’autore si limita a menzionare brevemente la costellazione, precisandone la posizione; non riporta, però, gli antefatti. Non sono quindi narrate le nozze tra Bacco e Arianna, in occasione delle quali il dio dona alla fanciulla una corona, che in seguito trasferisce in cielo come simbolo dell’immortalità della propria sposa.

4.4. Le mitografie cinquecentesche.

Nel XVI secolo le ville, le dimore cittadine, le logge, i giardini si vanno popolando di immagini degli dei pagani, mentre le feste, i trionfi e gli apparati celebrativi esigono ricostruzioni esatte di favole, divinità e personificazioni; i committenti si rivolgono quindi a consiglieri ed équipe di artisti ai quali è richiesta familiarità con le fonti e le opere classiche, correttezza filologica, fantasia inventiva, arguzia di concetti e allo stesso

68 Ibidem, I, p. 435.

69 Ibidem, I, p. 405-406.

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tempo facilità di interpretazione. Per affrontare un compito così arduo, si avvalgono dei manuali mitografici, caldamente consigliati da Gian Paolo Lomazzo e Giovan Battista Armenini in quanto, venendo incontro ai suddetti requisiti, garantiscono uniformità di linguaggio ed un territorio comune per artisti, committenti e pubblico.

Tra il 1540 e il 1600 vedono, così, la luce numerosi testi dedicati alla mitologia, le antichità, le imprese, i geroglifici, gli usi e i costumi degli antichi. Frutto del lavoro di decifrazione e divulgazione svolto dagli umanisti, questi manuali presentano come dato comune l’attenzione alle immagini, sia come oggetto di decifrazione che di creazione letteraria.

Nella maggior parte dei casi, inoltre, gli autori si rivolgono ad un pubblico interessato alla produzione artistica o alla ricerca archeologica e tutti, in maniera diretta o tramite successive mediazioni, finiscono con l’influenzare la creazione di opere d’arte di tema mitologico. La grande fortuna del genere trova motivazione nel nuovo ruolo degli umanisti, alle prese con un profondo mutamento culturale che condurrà a un passaggio dalla ricerca filologica e dal commentario erudito dei testi classici a monumentali sintesi, spesso corredate di indici, sommari e tavole: vere e proprie summae del sapere acquisito nei periodi di più vivace e fertile ricerca, sistemate ora per un pubblico più vasto.

Tale letteratura delle immagini trova la sua pubblicazione intorno alla metà del XVI, per lo più al nord (soprattutto a Venezia e Basilea); la sua elaborazione, però, si disloca in decenni diversi ed i testi presentano diversità di carattere tipologico e contenutistico. A pochi anni di distanza si succedono ben tre generazioni di letterati e umanisti, quindi i debiti ed i prestiti dei vari testi sono indissolubilmente intrecciati tra loro, con continui rimandi alle opere precedenti. Ma se il materiale tramandato da una generazione all’altra è sempre quello umanistico della metà del XV - inizio XVI secolo, cambia profondamente il modo di affrontarlo, interpretarlo e porgerlo al pubblico.

I manuali in questione si rifanno, dunque, ad un patrimonio di conoscenze comuni: fonti classiche pubblicate o tradotte tra il XV e il XVI secolo o

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mitografi medievali, tra i quali spicca Boccaccio. A tutto questo materiale si aggiunge gradualmente quello dei successivi testi sulla mitologia, istituendo una catena di rimandi e plagi.

Le mitografie, inoltre, costituiscono un’importante fonte per le immagini che contengono, sebbene esse non abbiano grande rilievo all’interno del testo. Il corredo illustrativo, infatti, è sentito come necessario per gli autori di altri generi di compendi, come quelli di emblemi o medaglie, ma non viene utilizzato mai per la prima edizione delle opere mitografiche (come dimostra il caso delle Immagini degli dei degli antichi di Cartari). Esso compare in molti di essi solo dopo il 1570 come abbellimento estetico o guida alla lettura, ma raramente come contributo sostanziale ed integrazione al testo. Prove di questa irrilevanza delle illustrazioni sono il fenomeno del riuso delle immagini nel tempo, a corredo di opere diverse, e la dipendenza di molte tavole da precedenti compendi di emblemi e medaglie piuttosto che da modelli antichi e pitture originali. Questa tendenza muterà solo alle soglie del XVII secolo, parallelamente all’affermarsi di una diversa considerazione delle immagini, intese come documenti primari di informazione. Non stupisce, dunque, che non siano state tramandate informazioni relative agli autori delle illustrazioni dei testi cinquecenteschi e che le scarse notizie di cui disponiamo riguardino gli incisori piuttosto che i disegnatori.

4. 4.1. De deis gentium varia et multiplex historia.

L’umanista ferrarese Lilio Gregorio Giraldi compone uno dei primi e più celebri testi mitografici cinquecenteschi, il De deis gentium varia et multiplex istoria, edito a Basilea nel 1548. Lo scopo che muove l’autore nella stesura dell’opera è quello di fornire una summa del sapere acquisito e di codificare la vitale eredità umanistica del passato.

Il trattato di Giraldi costituisce un caso a sé in quanto unisce le caratteristiche del manuale mitografico, sul modello di Boccaccio, con

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quelle di trattato erudito, dedicato a problemi di traduzione e di etimologia.

Le fonti letterarie a cui si rifà sono per la maggior parte di prima mano e coprono la letteratura classica sul tema; in particolare, l’umanista attinge molto da opere di carattere storico e geografico, come la Guida della Grecia di Pausania. Accanto ad esse compaiono testi più recenti, come le già ricordate Genealogie di Boccaccio.

L’opera è suddivisa in capitoli, ciascuno dedicato ad una divinità e preceduto da una dedicatoria; di queste viene analizzata l’immagine, ma anche l’origine dei nomi, con la frequente introduzione di digressioni erudite su etimologie, problemi di traduzione dal greco o altre questioni di carattere linguistico. L’obiettivo principale di Giraldi, infatti, è quello di analizzare gli dei pagani in base agli epiteti e ai titoli che sono loro attributi nei testi classici. Talvolta il testo si arricchisce anche di notazioni su reperti archeologici e collezioni di antichità, di cui l’autore deve aver avuto esperienza diretta a Roma.

L’ottavo sintagma è dedicato a Bacco. Esso si apre con un’analisi dei numerosi epiteti del dio, i quali individuano entità diverse; l’autore parla, ad esempio, di un Bacco Calidonio, Edonio, Iacco. Il primo ad essere ricordato è il figlio di Giove e Semele, detto Dioniso, del quale viene ripercorsa la vicenda della doppia nascita: i Titani attaccarono Dioniso-Zangreo, nato dall’unione tra Zeus e Persefone, e ne smembrarono il corpo; il suo cuore, però, fu messo in salvo da Demetra e quindi consegnato a Zeus, che lo trangugiò e generò un nuovo Dioniso nel corpo di Semele.

Proprio all’interno della trattazione del Bacco-Dioniso compare l’unico riferimento alla principessa cretese, ricordata per la danza che Dedalo aveva organizzato per lei a Crosso:

Atque hic Ariadnae chorus dictus, ut puto, quem Daedalum statuarium effinxisse ferunt in Cnoso, ex albo marmore: cuius in Iliade meminisse videtur Homerus. Quem chorum etiam designasse videri potest Propertius in 2 Elegiarum: “Egit ut euantes dux Ariana choros”.70

70 L. G. GIRALDI, De deis Gentium. Libri sive Syntagmata, apud Haeres Iacobi Iunctae MDLXV, p.233.

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Giraldi spiega come la descrizione omerica dello scudo di Achille riferisca di un χopòç in marmo bianco, costruito da Dedalo “per la bella Arianna”.71 Lo stesso coro viene menzionato nelle Elegie di Properzio: il poeta paragona la danza leggiadra dell’amata a quella svolta da Arianna a Crosso, nel momento in cui “guidava i cori inneggianti”72 (si tratta del grido rituale dell’esaltazione bacchica).

Nel narrare di un Bacco-Libero, l’autore allude ad una divinità detta Libera;

non si tratta, però, di Arianna, nonostante questo appellativo le sia spesso attribuito:

An vero, sicut Alexander dit, quo pro Boeatiae libertate pugnavit. […] Id est, Liber e Liberator cognominatus est. Paus. etiam in Attica, commemorat templum non magnum Bacchi, id est, ut ex ponit Dominitius, Liberatoris.

Hesychius etiam eodem nomine cultum scribit. Augustinus Liberum appellatum scribit, quod mares in coeundo per eius beneficium emissis foeminibus liberentur: quod etiam agere in foeminis Liberam dicunt ob hoc Libero virilem corporis partem in templo poni, foeminaem Liberae lib.73

L’autore ricorda come il titolo di Libero appartenesse in origine ad Alessandro Magno; egli, però, identificandosi con Bacco, ottenne l’ironico risultato che sia le sue imprese sia il suo epiteto fossero attribuiti al dio.74 Libero formava con Libera una coppia di divinità protettrici della fecondità animale e vegetale; in base alle fonti utilizzate da Giraldi (oltre a S.

Agostino, Cicerone e Tito Livio), tale dea sarebbe Cerere, o, in alternativa, Venere, ma mai Arianna.

71OMERO, Iliade, tr. di G. Tonna, Garzanti, Milano 2004, p. 590.

72 PROPERZIO, Elegie, tr. di G. Leto, Einaudi, Torino 1970, p. 141.

73 Ibidem, p. 234.

74

M. BULL, The mirror of the gods, Lane, London 2005.

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Il testo passa, quindi, a delineare i numerosi attributi bacchici, compresi quelli femminili, ed i vari cognomi acrostici attribuiti al dio; in seguito sono riferiti alcuni episodi della sua vita.

Il capitolo si conclude con la descrizione di simulacri e templi romani dedicati al culto di Bacco.

Per la sua vastissima erudizione l’opera di Giraldi ha un rilievo eccezionale per i mitografi successivi, ma il forte carattere speculativo ne limita l’influenza sulla creazione artistica.

4.4.2. Le Mythologiae.

Le Mythologiae sono l’opera più conosciuta di Natale Conti, soggetta a numerose riedizioni. Essa venne redatta in latino, presupponendo una diffusione al fuori dai confini italiani; in effetti, il testo ebbe immediata e duratura fortuna in Francia, dove l’autore sembra aver soggiornato per un periodo.75

Pur utilizzando fonti analoghe ai mitografi contemporanei, per lo più di seconda mano, Conti si dimostra più attento alla letteratura greca degli epigrammi, agli idilli e alle ekphrasis e predilige un tipo di narrazione del mito più legato a modelli letterari che puramente filologici o divulgativi.

Nell’introduzione, infatti, dedica un lungo paragrafo al significato delle favole antiche, al loro metodo di composizione, agli artifici della retorica;

anche all’interno del testo abbondano spiegazioni allegoriche dei miti, condotte secondo il metodo dell’esegesi storica, morale e fisica, con accentuate sfumature neoplatoniche. Conti mostra dunque di avere interessi principalmente letterari e filosofici e dichiara esplicitamente il fine morale e didascalico delle sue favole: resta indifferente a questioni di carattere iconografico e tende ad attribuire al mito una funzione di metafora ed emblema, a cui associare significati moderni istruttivi. Ne consegue, però, una scarsa influenza sulla produzione artistica coeva.

75 Tale ipotesi si basa sulle dediche costanti a Carlo IX presenti nel testo.

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Il tredicesimo capitolo delle Mythologiae è volto ad analizzare la figura e la leggenda di Bacco. Anche il testo di Conti afferma l’esistenza di molti Dionisi, la cui descrizione è tratta dal terzo libro del De natura deorum di Cicerone: oltre al Dioniso nato in seguito ad una doppia gestazione (nel ventre di Semele e nella coscia di Zeus) esisterebbero, tra gli altri, un Dioniso figlio di Giove e Proserpina e uno nato dal Nilo, un Dioniso figlio di Caprio, re dell’Asia e uno nato dall’unione tra Giove e Luna.

Dalle fonti classiche deriva anche la narrazione dei momenti salienti del mito: la vicenda della mortale Semele, ad esempio, è tratta dalle Baccanti di Euripide e dalle Metamorfosi di Ovidio, mentre la morte di Orfeo deriva dai Dialoghi di Luciano e, ancora, dalle Metamorfosi, dalle quali è ripreso anche il racconto dell’educazione di Dioniso da parte delle ninfe.

Sono quindi riferite alcune delle ammirevoli gesta del dio, dispensatore di fertilità e prosperità e venerato da un fragoroso corteo di baccanti, satiri e Sileni, sempre al suo seguito. Tra le imprese più gloriose sono ricordate quelle in India, in Libia ed in Spagna:

Hic ubi Nysam florentissimam civitatem in India condidisset apud Indium fluvium, ac postea in Diam insulam rebus Indicis compositis traiecisset, Ariadnam duxit. Hic Deus cum aliquando in Naxum navigare iuberet nautas, atque hi in alios locos illum asportarerent, repente hederae per remos serpebant.76

Secondo quanto riferisce l’autore, Bacco, dopo aver fondato la città di Nisa in India, si dirige verso l’isola di Dia. Prima di arrivarvi, però, deve scontrarsi con alcuni pirati, che intendono catturarlo e venderlo come schiavo; il dio allora fa in modo che l’edera invada completamente la loro nave e l’albero maestro si tramuti in una vite, i cui tralci si estendono e paralizzano l’imbarcazione. I marinai, sconvolti, si gettano in mare, divenendo delfini. Giunto finalmente sull’isola, Bacco incontra Arianna e se innamora, tanto che la porta via con sé e ne fa la sua sposa. Il dio manifesta

76 N. CONTI, Mythologiae. Sive explicationum fabularum, Venetiis, apud cominum de Tridino MDLXVII, p. 149.

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tutto il suo amore per la giovane mortale rendendo eterna la sua memoria:

dopo la morte di Arianna, getta in cielo la corona che egli stesso le aveva donato, mutandola in costellazione. Sarà così sufficiente rivolgere lo sguardo alle stelle per ricordare la compagna prediletta di Bacco.

Nam fertur Bacchus, ut hic attigit Horatius, coronam, quam sua uxor gestabat Ariadna, post Ariadnae mortem ad Serpiterman eius memoriam inter Stellas collocasse, quare ita scripsit Aratus in Astronomicis:”Atque corona nitet, clarum inter Sydera signum, Defunctae quam Bacchus ibi dedit elle Ariadnae”.77

L’autore si avvale dei racconti di Orazio ed Arato per narrare il momento in cui il diadema d’oro creato da Efesto viene lanciato in cielo da Bacco e va a formare la costellazione della Corona Boreale, eterno ricordo della defunta Arianna.

In un passo successivo, Conti menziona per l’ultima volta la principessa cretese, ricordando come la sua unione con Bacco sia stata feconda;

Arianna, infatti, avrebbe dato alla luce ben sei figli:

Dicitur Staphylus Bacchi fuisse filius, e Hymeneus, e Thyones, atq; Bacchus ex Ariadna Ceranaum, Tauropolim, Euanthem, Latramym, Thoantem, Oenopionem suscepit.78

4.4.3. Le immagini degli dei degli antichi.

Le immagini degli dei degli antichi, opera principale di Vincenzo Cartari, godettero di uno straordinario successo, attestato da ben quindici edizioni che si succedettero tra il 1556 e il 1615. Già le prime due edizioni ebbero un’influenza immediata e assai vasta, anche grazie ai consigli di teorici e trattatisti come Armenini e Lomazzo, che nel manuale videro la

77 Ibidem, p. 154 78 Ibidem.

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possibilità di dare una regola alla trasmissione ed alla ricezione delle iconografie pagane.

La trattazione mitografica, dal carattere prettamente manualistico, è stesa in volgare. Le fonti usate spaziano da Filostrato, Pausania, Omero, Virgilio, Ovidio, Catullo, Plinio, fino ad Apuleio e Macrobio, ma a ben guardare molti di questi autori non sono citati in modo diretto, bensì attraverso il tramite di noti umanisti della generazione precedente, principalmente di Lilio Gregorio Girali, da cui Cartari deriva la maggior parte del materiale.

Esso viene, però, organizzato in modo profondamente differente; ciò diviene una discriminante essenziale e fa la fortuna del manuale di Cartari, il primo a porre in modo così sistematico l’accento sull’iconografia antica dei personaggi mitici. L’autore, dunque, attinge a piene mani dai suoi predecessori, ma seleziona, organizza e interpreta favole e miti con l’occhio puntato al nuovo pubblico di artisti e poeti, con il proposito di “giovare non poco alli dipintori e agli scultori, dando loro argomento di mille belle invenzioni da poter adornare le loro statue e le dipinte tavole”.79 In un’impresa assai più editoriale che umanistica, egli divulga abilmente fattezze e attributi, significati e varianti di immagini divine già pronte ad essere tradotte in pittura.

La seconda edizione, del 1571, risulta accresciuta e soprattutto arricchita da tavole incise da Bolognino Zaltieri. L’incisore non sembra essersi preoccupato di controllare le fonti iconografiche classiche, preferendo ricostruire le descrizioni del testo alla lettera o attingere agli stessi repertori usati dall’autore.80 Ne risultano immagini composite e prive di coerenza formale, i cui effetti negativi sulla pittura coeva sono evidenti soprattutto in artisti minori, che non seppero interpretarle. In ogni caso, il corredo di immagini è una delle caratteristiche distintive del trattato di Cartari, insieme all’assenza di questioni genealogiche (a partire da Boccaccio, centrali nei testi mitografici) e la volontà di riferire le opinioni e le percezioni che gli

79 Prefazione di Marcolini all’edizione di Venezia del 1556

80 Le Iscriptiones sacrosantae vetustatis di Appiano, la Theologia Mythologica di Georg Pictor, gli Hieroglyphica di Piero Valeriano, gli Emblemata di Alciati e i compendi di medaglie di Agustin, Erizzo e Du Choul.

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antichi avevano dei loro dei, anziché inserire il mito in una prospettiva moderna e tentare di svelarne i significati inespressi.

Nelle Immagini le divinità si presentano nel loro aspetto e sono seguite dai loro cortei, secondo la logica dei trionfi; in tale successione compaiono anche le figure di Bacco e della sposa Arianna.

Dapprima Cartari ricorda la sventura che ha colpito la fanciulla, abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso. Lo fa all’interno di un discorso relativo alle Furie, considerate dai poeti responsabili dei turbamenti della mente umana. Dopo un lungo lamento, Arianna chiede vendetta per il traditore fuggito con la sorella Fedra, rivolgendo proprio alle Furie la seguente preghiera, ripresa dai versi di Catullo:

Voi Furie, ch’a’ mortai de le male opre Solete dar le meritate pene,

A le quali il vipereo crine cuopre La trista fronte che segnato tiene In sé l’empio furor et apre e scopre L’ira arrabbiata che dal petto viene, Qua, qua venite a udir le mie querele Contra questo malvagio, empio e crudele.81

Cartari giustifica le richieste di Arianna, poiché i subbugli dell’anima sono la causa delle maggiori sofferenze e quindi la punizione più crudele.

Quando l’autore torna a parlare della principessa cretese, il suo stato d’animo appare profondamente diverso: lo sconforto e l’ira scatenati dal tradimento dell’amato hanno lasciato il posto alla grande gioia per l’incontro con il divino Bacco. Cartari descrive tale momento cruciale avvalendosi della tavola di Arianna contenuta nelle Eikones di Filostrato:

Lo (Bacco) vestirono alcuna volta di abito femminile, come lo fa Filostrato nella tavola di Ariadna quando lo dipinge che vada a lei con bella veste,

81 V. CARTARI, Le Immagini degli dei degli antichi, Pozza, Vicenza 1996, p. 257.

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porporea, lunga e grande e coronato di rose. Né bisognava farlo in altra guisa in quello atto amoroso perché egli andava per congiungersi amorosamente con Ariadna quando fu abbandonata da Teseo, onde quelli tutti che quasi sempre erano con lui, come femine ardite e feroci, diverse e vaghe Ninfe, Sileni, Satiri, Silvani et altri simili (li quali, come scrive Strabone, erano ministri e seguaci di Bacco e chiamavansi il coro e la compagnia di Ariadna , intagliata già in marmo bianco da Dedalo in Creta) lo seguitavano gridando con voci liete […].82

Nell’osservazione della tavola di Arianna, l’attenzione del mitografo è catturata, più che dalla figura della fanciulla dormiente, dal fragoroso corteo di Bacco e dal vestiario del dio, particolarmente ricco e appropriato all’imminente unione d’amore con la sposa per eccellenza.

82 Ibidem, pp. 374-375.

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