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Il trattamento chemioterapico metronomico ha dimostrato una maggiore attività

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

I carcinomi dell’apparato gastroenterico sono costituiti da un’eterogenea varietà di forme neoplastiche sia per quanto riguarda le scelte terapeutiche che la prognosi e sono caratterizzate dal fatto che negli stadi avanzati di malattia, dopo il fallimento dei trattamenti chemioterapici standard, una quota di pazienti si presenta ancora in buone condizioni generali. Nella pratica clinica questi pazienti sono generalmente valutati per ulteriori linee chemioterapiche anche in assenza di dati certi sul reale impatto di questi trattamenti sulla sopravvivenza del paziente. Inoltre, questi trattamenti espongono i pazienti al rischio di tossicità anche di grado severo. Da qui la necessità di sviluppare in questo setting di pazienti trattamenti medici con una potenziale attività antitumorale ma con un basso rischio di tossicità. Il trattamento chemioterapico metronomico, caratterizzato dalla somministrazione di basse dosi di farmaci chemioterapici per lunghi periodi di tempo, potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica in questo setting di pazienti in quando in grado di produrre una promettente attività antitumorale in assenza sostanzialmente di tossicità. In particolare sono stati condotti una serie di studi clinici in pazienti con diagnosi di carcinoma della mammella metastatica dove il trattamento chemioterapico metronomico con ciclofosfamide (CTX) si associava ad una attività antitumorale di circa il 25%-30% anche in pazienti sottoposte precedentemente a numerose linee chemioterapiche. A supporto dell’utilizzo del trattamento chemioterapico metronomico vi è ancora l’evidenza clinica di come le associazioni tra le targeted therapy dirette contro il processo di neoangiogenesi e la chemioterapia siano più efficaci rispetto alla sola chemioterapia. La strategia "metronomica"

sembra infatti migliorare l'efficacia degli effetti antiangiogenici della chemioterapia ed implica che le cellule endoteliali attivate, quando esposte in modo continuo e frequente, possano essere più sensibili alle basse concentrazioni di farmaci chemioterapici se comparate ad altri tipi di cellule normali o cellule tumorali.

Il trattamento chemioterapico metronomico ha dimostrato una maggiore attività

antitumorale/antiangiogenica se immediatamente preceduto dalla somministrazione di una

dose standard del chemioterapico di scelta. Una possibile spiegazione alla base di questi dati

ottenuti sperimentalmente sembra risiedere nell’immediata tossicità della dose standard nei

confronti delle cellule endoteliali in rapida proliferazione già presenti e la successiva e

conseguente inibizione della neoangiogenesi da parte della dose metronomica, per

inibizione della migrazione/proliferazione delle cellule endoteliali in situ ed attivazione dei

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precursori circolanti delle cellule endoteliali. È stato recentemente dimostrato come i farmaci chemioterapici somministrati secondo la modalità metronomica esercitino un’

azione di tipo antiangiogenetico attraverso una induzione marcata nelle cellule endoteliali e tumorali dell’espressione del gene e della proteina Trombospondina-1 (TSP-1), un potente e specifico inibitore della crescita delle cellule endoteliali. L’analisi di espressione e sintesi di TSP-1 e del Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), un potente induttore endogeno dell’angiogenesi, a livello delle cellule mononucleate del sangue periferico, durante il trattamento metronomico potrebbe quindi rappresentare un valido indice per studiare l’effetto farmacodinamico a livello molecolare delle cellule normali dell’organismo ed in particolare delle cellule endoteliali.

Ci siamo proposti quindi di condurre uno studio clinico di fase II di chemioterapia metronomica tra ciclofosfamide, uno dei farmaci maggiormente valutati con questa modalità di trattamento, e uracile/tegafur in associazione a celecoxib in pazienti con diagnosi di carcinoma del tratto gastroenterico già sottoposti a dei precedenti trattamenti chemioterapici per la malattia metastatica. L’obiettivo primario dello studio è stato determinare la percentuale di pazienti liberi da progressione a due mesi dall’inizio del trattamento. Obiettivi secondari dello studio sono stati: la valutazione della sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale, l’ attività antitumorale, la tollerabilità, le eventuali variazioni dei livelli plasmatici di alcuni mediatori del processo angiogenetico quali la TSP-1, il VEGF e il sVEGFR-2 a seguito del trattamento e una analisi farmacogenomica dei geni di TSP-1 e di VEGF. Infine è stata eseguita una analisi farmacocinetica dei metaboliti dell’ UFT e del 5-fluorouracile (5-FU).

Il trattamento ha previsto la somministrazione di ciclofosfamide (CTX) alla dose di 50 mg

al giorno + uracil/tegafur (UFT) alla dose di 100 mg per due volte al giorno + celecoxib 200

mg per due al giorno. Il trattamento, somministrato interamente per via orale, è stato

continuato fino a progressione di malattia. Sono stati arruolati nello studio 27 pazienti

(previsti 36) con un’età mediana di 75 anni (range 55-87) già pretrattati con più linee

chemioterapiche per la malattia metastatica. Sono stati somministrati un numero mediano di

12 settimane di terapia (range 4-45). Ogni 4 settimane di trattamento sono stati eseguiti dei

prelievi di sangue venoso su cui sono state condotte le analisi dei parametri di

farmacocinetica e di farmacodinamica. I risultati preliminari osservati su questo gruppo di

pazienti confermano la buona tollerabilità del trattamento chemioterapico metronomico. In

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nessuno dei 27 pazienti trattati abbiamo infatti osservato tossicità di grado superiore al I secondo la scala NCI, tranne una ipertransaminasemia transitoria di grado 2 che non ha comportato interruzioni del trattamento o riduzioni di dosi. L’ aggiunta dell’ UFT e del celecoxib non ha quindi comportato un aumento delle tossicità già descritte con l’ utilizzo della CTX somministrata in modalità metronomica. Per quanto riguarda l’ obiettivo primario dello studio, a due mesi la percentuale di pazienti liberi da progressione di malattia è risultata essere del 45% con una PFS mediana di 3.85 mesi (range 2.1 - 8.52+). Da un punto di vista di attività antitumorale non sono state osservate risposte obiettive (20 pazienti valutabili) con una stabilità di malattia (SD) nel 45% dei pazienti; la durata mediana della SD è stata di 5.06 mesi (range 2.07+ - 8.52+). In particolare, delle 9 stazionarietà osservate 7 erano pazienti con diagnosi di carcinoma colon-rettale (su un totale di 15 pazienti valutabili) e 2 erano pazienti con diagnosi di carcinoma pancreatico (entrambi ancora in SD). Benché lo studio sia ancora in corso, i risultati sembrerebbero in linea con quanto osservato nello stesso setting di pazienti con altri trattamenti chemioterapici di terza linea.

Inoltre i risultati osservati fin qui risultano particolarmente promettenti in quanto ottenuti in assenza di tossicità.

Un’analisi dei parametri di farmacodinamica è stata eseguita al momento su 11 pazienti.

Sono state confrontate le differenze delle concentrazioni basali del recettore solubile del Vascular Endothelial Growth Factor (sVEGFR-2) e del VEGF tra 6 pazienti con stabilità di malattia (SD) e 5 pazienti in progressione di malattia (PD). I risultati preliminari del nostro studio evidenziano al momento una differenza statisticamente significativa nelle concentrazioni basali del sVEGFR-2 con una ridotta concentrazione nel gruppo dei pazienti con SD rispetto al gruppo dei pazienti in PD (rispettivamente 1671 pg/ml ± 110 vs 2058 pg/ml ± 113, p=0.038), mentre la differenza tra i livelli di concentrazione basale del VEGF è risultata essere non statisticamente significativa tra i due gruppi (rispettivamente 82 pg/ml

± 17 vs 75 pg/ml ± 5, p>0.05). Al momento sono in corso le determinazioni dei valori

plasmatici del sVEGFR-2 e del VEGF dei pazienti in studio al 28° e al 56° giorno per

valutare come le concentrazioni di questi mediatori dell’ angiogenesi si modifichino in

corso di trattamento. Il VEGF è una potente proteina pro-angiogenetica in grado di attivare

il recettore ad attività tirosino-chinasica (VEGFR) espresso sulla superficie delle cellule

dell’endotelio vascolare. Il sVEGFR-2 è una forma solubile troncata di questo recettore che

può essere dosata nel plasma e che ha un ruolo importante nel processo di angiogenesi

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tumorale. Studi sperimentali hanno dimostrato come l’ attività antitumorale di alcuni dei farmaci ad attività antiangiogenetica oggi disponibili, come gli anticorpi monoclonali diretti contro il VEGFR, si associ ad un decremento dei valori del sVEGFR-2. Studi clinici sembrano confermare come anche farmaci a bersaglio molecolare come il sunitinib e il sorafenib determinino una diminuzione dei livelli plasmatici del sVEGFR-2 nei pazienti in trattamento, suggerendo un possibile ruolo futuro di marker surrogato di risposta al trattamento antiangiogenetico del sVEGFR-2 mentre al momento non sono noti studi che abbiano valutato se la concentrazione basale di sVEGFR-2 possa in qualche modo predire la risposta al trattamento. Benché interessanti, le differenze osservate tra le concentrazioni plasmatiche basali del sVEGFR-2 tra i pazienti con SD rispetto ai pazienti con PD sono quindi al momento estremamente preliminari e non supportate da risultati di altri studi. Le analisi sono in corso e possibili ipotesi per queste differenze saranno eventualmente da valutare se i risultati finali confermeranno questi dati.

Per quanto riguarda i dati di farmacocinetica, un’analisi preliminare eseguita su 11 pazienti, 6 pazienti con SD e 5 pazienti con PD, ha evidenziato una differenza statisticamente significativa nei valori dell’Area Under Curve (AUC), della Concentrazione plasmatica Massima (C

max

), del Tempo di picco Massimo (T

max

) e dell’Emivita (T

1/2

) del FT al giorno 1 che risultano essere maggiori nei pazienti con SD vs i pazienti con PD (rispettivamente 8.970 h

.µg/ml ± 1.188, 3.080 µg/ml

± 0.436, 0.857 h ± 0.143 vs 4.622 h

.µg/ml ± 1.174,

1.433 µg/ml ± 0.361, 3.100 h ± 0.872) e del T

1/2

al giorno 28 che risulta essere maggiore nei pazienti con SD vs i pazienti con PD (rispettivamente 3.998 h ± 0.823 vs 1.937 h ± 0.549).

Anche la differenza dell’AUC del 5-FU tra il gruppo di pazienti con SD ed il gruppo di

pazienti con PD è risultata essere statisticamente significativa (rispettivamente 3.448

h

.µg/ml ± 0.465 vs 1.747 h.µg/ml ± 0.603). Sono state inoltre osservate delle differenze

statisticamente significative nei valori della AUC del FT nei pazienti con SD al giorno 28

vs il giorno 1 (rispettivamente 12.85

h

.µg/ml ± 1.084 vs 8.970 h.µg/ml ± 1.188) e nei valori

della C

max

del FT nei pazienti con PD al giorno 28 vs il giorno 1 (rispettivamente 2.808

µg/ml

± 0.575 vs 1.433 µg/ml ± 0.361). Questi dati sollevano alcune considerazioni

riguardo a possibili meccanismi d’ azione dell’ UFT diversi da quello della citotossicità, che

giustifichino queste differenze farmacocinetiche tra i due gruppi di pazienti con SD e con

PD. In particolare i pazienti con diagnosi di carcinoma colon-rettale e i due pazienti con

carcinoma del pancreas erano già stati tutti pretrattati con fluoropirimidine e presentavano al

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momento dell’ inserimento in studio una malattia clinicamente resistente alle fluoropirimidine stesse. Improbabile quindi che fosse ancora presente una certa chemiosensibilità dei pazienti a questa classe di farmaci. Altri aspetti infine supportano l’

esistenza di meccanismi diversi da quello citotossico. Come già descritto, studi sperimentali hanno confermato come il trattamento chemioterapico metronomico con UFT + CTX produca un’ attività antineoplastica di tipo sinergico rispetto ai singoli farmaci, che questa attività è sostenuta da una azione di tipo inibitoria sulla neoangiogenesi tumorale e che uno dei metaboliti dell’ UFT, l’ acido gamma idrossibutirrico (GHB), ha una azione specifica di tipo antiangiogenetica. In particolare, studi condotti in vitro hanno dimostrato come la 50%

inibitory concentration (IC50) del GHB su cellule endoteliali sia di 0.0258 µg/ml. Emi e coll. hanno osservato quindi come la somministrazione di UFT alla dose di 200 mg x 2/die produca una C

max

del FT di 14.7 µg/ml ± 5.2 a cui corrisponde una concentrazione di GHB di 0.147 µg/ml ± 0.0573, concentrazioni quindi superiori di circa 6 volte rispetto a quelle osservate in vitro per ottenere l’ effetto antiangiogenetico confermando come il GHB possa contribuire all’effetto antitumorale del trattamento con UFT anche quando l’ UFT è somministrato a dosi più basse. Le analisi di farmacocinetica che sono in corso andranno a valutare quindi se anche nel nostro studio sono state raggiunte delle concentrazioni plasmatiche attive del GHB. In caso di affermativo questo potrebbe rafforzare maggiormente l’ ipotesi di un meccanismo d’ azione diverso da quello citotossico della combinazione.

In conclusione, i risultati preliminari dello studio sembrano supportare l’ ipotesi che il trattamento chemioterapico metronomico in studio possa determinare un beneficio clinico in una popolazione di pazienti con diagnosi di carcinoma del tratto gastroenterico già pesantemente pretrattata.

Se questi risultati verranno quindi confermati, un ulteriore proposta di studio potrebbe

essere quella di andare a valutare nella stessa popolazione di pazienti l’ associazione UFT +

CTX metronomica con il bevacizumab, anticorpo monoclonale diretto contro il VEGF e

registrato per l’ utilizzo in vari tumori solidi tra cui il carcinoma colon-rettale. Diversi studi

sperimentali dimostrano infatti come la migliore attività antitumorale si osservi quando la

chemioterapia metronomica è associata a degli antiangiogenetici specifici.

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