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LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

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LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

di Paola Costa

1. INTRODUZIONE: ITER PARLAMENTARE DI APPROVAZIONE E FINALITÀ DELLA RIFORMA In conseguenza dell’aggravarsi della crisi finanziaria ed economica che ha colpito i paesi periferici dell’Unione Europea, fra cui l’Italia, il nostro Paese nel corso del 2011 è stato destinatario di severi richiami da parte della Commissione Europea affinché fossero avviate ampie riforme strutturali dirette al risanamento dei conti pubblici e al recupero di condizioni di produttività, competitività e occupazione.

Una delle grandi riforme a cui è stato chiamato il Governo Monti, insediatosi nel dicembre 2011 per “salvare l’Italia”, è stata proprio la riforma del mercato del lavoro, da tutti considerata necessaria per contrastare la crescente disoccupazione.

La gravità del fenomeno emerge dalle rilevazioni dell’ISTAT, che hanno registrato un tasso di disoccupazione del 10,1% (maggio 2012), che raggiunge il 36,2% se si considera la disoccupazione giovanile (fascia di età compresa fra i 15 e i 24 anni). L’ISTAT rileva inoltre quasi tre milioni di inoccupati, ossia di persone disponibili a lavorare, ma che hanno rinunciato alla ricerca di un posto di lavoro, perché scoraggiate.

A causa della ferma opposizione sindacale, il progetto iniziale del Governo di intervenire con decretazione d’urgenza è stato abbandonato a favore di un disegno di legge, che ha subito numerose modificazioni durante i lavori della Commissione parlamentare del Senato, frutto di inevitabili compromessi fra le forze politiche della maggioranza.

Il testo di legge, su cui il Governo aveva già posto la questione di fiducia al Senato, è stato poi approvato in tutta fretta anche dalla Camera dei Deputati con un nuovo voto di fiducia, per permettere al Premier di presentarsi al vertice del Consiglio Europeo del 28 e 29 giugno 2012 – programmato per discutere le misure “anti-spread” – con una importante riforma all’attivo dell’azione di Governo, come dimostrazione dell’impegno profuso sulla via del risanamento dei conti pubblici.

In questo modo, la Riforma del mercato del lavoro (c.d. “Riforma Fornero”) è divenuta legge senza la presentazione di emendamenti e senza una vera discussione parlamentare, al termine di difficili trattative fra Governo, partiti e parti sociali che hanno prodotto una soluzione di compromesso che, per opposte ragioni, ha lasciato molti insoddisfatti.

Il Ministro Fornero, insistendo nel difendere la Riforma come “un buon punto di equilibrio”, ha espresso la disponibilità del Governo a interventi correttivi richiesti dai partiti e dalle parti sociali.

La spiegazione di una così larga insoddisfazione per il risultato raggiunto – che trae origine da opposte convinzioni politiche, diverse sensibilità sociali e contrastanti ragioni di interesse – può essere cercata nelle stesse finalità della Riforma e nelle soluzioni proposte per attuarle.

La Legge 28 giugno 2012, n. 92, intitolata “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, in vigore dal 18 luglio 2012, si prefigge l’obiettivo di

“realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione”.

In particolare, la Riforma, è intesa a:

favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, confermando il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale “contratto dominante”;

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redistribuire in modo più equo le tutele dell’impiego, contrastando l’uso improprio e strumentale dei contratti di lavoro flessibili e adeguando contestualmente la disciplina del licenziamento alle mutate esigenze del contesto di riferimento;

rendere più equo ed efficiente il sistema degli ammortizzatori sociali;

promuovere una maggiore inclusione nel mondo del lavoro delle donne e valorizzare l’apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

In sintesi, il progetto di Riforma si pone l’obiettivo di perseguire una maggiore equità sociale attraverso una riduzione della flessibilità in entrata nel mondo del lavoro, controbilanciata da una maggiore flessibilità in uscita, realizzando una più equilibrata distribuzione delle tutele fra i lavoratori assunti a tempo indeterminato (beneficiari di una legislazione molto garantista) e i lavoratori precari, i disoccupati e gli inoccupati, titolari di tutele assai ridotte o nulle.

La concreta traduzione normativa delle finalità dichiarate è stata oggetto di giudizi opposti ma ugualmente negativi: le imprese ritengono che a fronte della minore flessibilità in entrata non si sia realizzata alcuna significativa riduzione della rigidità in uscita, mentre alcuni sindacati considerano le modifiche alle norme sui licenziamenti un vero e proprio attacco ai diritti dei lavoratori. Inoltre le misure di incentivazione all’occupazione e le politiche attive del lavoro appaiono ai più insufficienti.

Un primo pacchetto di 11 modifiche alla Riforma, frutto di un’intesa fra il Governo e i partiti che lo sostengono, è stato approvato con un emendamento alla legge di conversione del d.l.

83/2012 (“decreto sviluppo”).

Il testo normativo della Riforma – composto da 4 articoli e 270 commi – interviene sulle seguenti aree tematiche:

flessibilità in entrata;

flessibilità in uscita;

ammortizzatori sociali;

formazione e politiche attive del lavoro.

Di seguito vengono illustrati i contenuti più significativi delle nuove disposizioni.

2. FLESSIBILITÀ IN ENTRATA

Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato viene definito dalla Riforma

“contratto dominante”, per sottolineare il fatto che esso rappresenta la forma comune di rapporto di lavoro, la cui istituzione è favorita dall’ordinamento.

Tuttavia, al fine di garantire flessibilità alle imprese, tanto più necessaria in una fase di recessione economica, la legge 92/2012 contiene alcune misure che agevolano la stipulazione del contratto di lavoro a tempo determinato.

In particolare:

viene introdotta la possibilità di instaurare il primo rapporto a tempo determinato, anche in assenza delle ragioni giustificatrici di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che sono normalmente richieste ai fini della valida apposizione del termine al contratto (c.d. “causalone”), ma solo per contratti di durata non superiore a dodici mesi e senza possibilità di proroga;

al fine di consentire il completamento delle attività per le quali è stato stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato, i limiti temporali entro i quali il rapporto può proseguire oltre la scadenza del termine – con obbligo del datore di lavoro di corrispondere una maggiorazione retributiva, ma senza conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato – vengono estesi da 20 a 30 giorni (per i contratti di durata inferiore a 6 mesi) e da 30 a 50 giorni (per i contratti di durata superiore). Superato tale periodo di tolleranza, il contratto si considera a tempo indeterminato.

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3 Altro elemento positivo di flessibilità in entrata riguarda l’apprendistato, che nelle intenzioni del Governo dovrebbe diventare canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

La Riforma prevede infatti che, nelle aziende che occupino almeno 10 dipendenti, possano essere assunti 3 apprendisti ogni 2 lavoratori specializzati (il precedente rapporto di 1 a 1 viene mantenuto per le aziende con un numero di dipendenti inferiore a 10, mentre i datori di lavoro che non hanno alle proprie dipendenze maestranze specializzate possono assumere un massimo di 3 apprendisti).

A fronte di tale agevolazione e per favorire la stabilizzazione dei posti di lavoro, viene però previsto che i datori di lavoro che occupino almeno 10 dipendenti non possano stipulare nuovi contratti di apprendistato se nei 36 mesi precedenti non abbiano confermato in servizio almeno il 50% degli apprendisti che abbiano concluso il periodo formativo (percentuale ridotta transitoriamente al 30% nei primi tre anni di vigenza della legge).

Qualora non sia rispettata la percentuale di stabilizzazione oppure non sia stato confermato nessun apprendista nei 36 mesi precedenti, è comunque consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista.

Il contratto di apprendistato deve infine avere una durata minima di 6 mesi, salva la possibilità di una durata inferiore per le attività stagionali.

Al fine di contrastare gli abusi e un uso distorto delle forme di lavoro flessibile come mezzo per eludere le tutele previste dalle norme giuslavoristiche, la Riforma ha introdotto maggiori vincoli all’utilizzo dei contratti atipici.

In particolare per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative a progetto (co.co.pro.) le principali novità sono le seguenti:

definizione più stringente del progetto, che deve essere “specifico” e non può consistere in una semplice riproposizione dell’oggetto sociale del committente, né comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Il progetto deve inoltre essere descritto attraverso l’individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire;

eliminazione del concetto di “programma di lavoro o fase di esso”, più ampio e flessibile;

conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione, in caso di rapporti stipulati senza l’individuazione di uno specifico progetto (per presunzione assoluta), nonché di quelli in cui il collaboratore svolga la propria attività con modalità analoghe a quelle tipiche dei lavoratori dipendenti dell’impresa committente, ad eccezione delle prestazioni di elevata professionalità, e salva la prova contraria fornita dal committente;

previsione di un “salario di base”, proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e non inferiore ai minimi stabiliti per ciascun settore di attività in sede di contrattazione collettiva, che deve in ogni caso tener conto dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati;

limitazione della facoltà di recesso anticipato del committente alle ipotesi di giusta causa e di emersione di profili di inidoneità professionale del collaboratore, tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto.

La Riforma contiene poi misure di contrasto alle “false Partite Iva”, utilizzate ai fini dell’instaurazione di rapporti di lavoro autonomo che in realtà dissimulano rapporti di lavoro dipendente.

Salvo prova contraria fornita dal committente, vengono ora automaticamente riqualificate come rapporti di collaborazione coordinata e continuativa le prestazioni lavorative rese da un soggetto titolare di Partita Iva, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:

1. che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;

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4 2. che il corrispettivo derivante da tale collaborazione (anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi) costituisca oltre l’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;

3. che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.

La riqualificazione del rapporto comporta l’applicazione della disciplina legale, fiscale e contributiva propria del contratto collaborazione coordinata e continuativa. Inoltre, in assenza dei requisiti previsti per questa tipologia contrattuale (ad esempio, in assenza del progetto), si attiva la presunzione assoluta di subordinazione, con l’applicazione del relativo regime di tutela.

La presunzione non opera qualora la prestazione lavorativa presenti i seguenti requisiti:

sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da particolari capacità tecnico-pratiche, acquisite attraverso significative esperienze lavorative;

il reddito annuo da lavoro autonomo non sia inferiore a un determinato livello (pari a 1,25 volte l’imponibile minimo previsto per il versamento dei contributi previdenziali nella Gestione Inps degli artigiani e commercianti). Attualmente il livello reddituale minimo necessario per vincere la presunzione si colloca intorno ai 19.000 euro.

Restano inoltre escluse dalla presunzione le attività professionali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione a ordini professionali, albi, ruoli o elenchi.

Sempre nell’ottica del contrasto al “cattivo uso” della flessibilità, la Riforma interviene sull’istituto del lavoro accessorio, limitandone l’ambito di operatività alle prestazioni di lavoro di natura meramente occasionale che non diano luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro in un anno solare (mentre in precedenza il limite di 5.000 euro era riferito ai compensi erogati dai singoli committenti).

Inoltre tali prestazioni possono ora essere rese anche a favore di imprenditori e professionisti, ma per compensi non superiori a 2.000 euro per committente, nel rispetto della soglia annua di 5.000 euro. Il pagamento dei compensi deve poi avvenire a mezzo di voucher orari, numerati progressivamente e datati.

Infine la Riforma dispone:

1. l’abolizione dei contratti di inserimento a decorrere dal 1° gennaio 2013, in quanto assorbiti dal nuovo e più organico sistema di incentivi all’occupazione dei lavoratori svantaggiati previsto dalla Riforma;

2. la conclusione di un accordo fra Governo e Regioni per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento, nel rispetto dei seguenti criteri:

previsione di interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell’istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività;

individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza;

riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta;

previsione di sanzioni amministrative (comprese fra 1.000 e 6.000 euro) in caso di mancata corresponsione dell’indennità al tirocinante.

3. FLESSIBILITÀ IN USCITA

Allo scopo di aumentare la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro come contrappeso a una riduzione della flessibilità in entrata, la Riforma ha completamente riscritto l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970).

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5 Il nuovo testo – oggetto di un lungo braccio di ferro fra Governo, Confindustria e sindacati – è il frutto di un compromesso apparso a molti troppo timido e insufficiente per avere un’effettiva incisività sul rilancio dell’occupazione.

In merito al licenziamento disciplinare, che può essere intimato per cause imputabili a colpa o dolo del lavoratore, la Riforma attribuisce innanzitutto alla contrattazione collettiva o ai codici disciplinari aziendali il compito di tipizzare le fattispecie che integrano le ipotesi di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, al fine di limitare il potere discrezionale dei giudici nella valutazione della legittimità del licenziamento.

L’attribuzione di un valore legale dirimente alle tipizzazioni contrattuali risulta certamente utile al fine di un’applicazione uniforme della disciplina, ma è insufficiente nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva non individui condotte disciplinari sanzionabili con il licenziamento.

Il licenziamento economico (o per giustificato motivo oggettivo), continua ad essere legittimo in presenza di “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

La Riforma introduce però una condizione di procedibilità al licenziamento economico intimato da datori di lavoro aventi i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (illustrati più avanti). Tali soggetti sono infatti tenuti ad esperire un tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione, per esaminare anche soluzioni alternative al recesso. Se non viene raggiunto un accordo, il datore di lavoro può procedere al licenziamento del lavoratore.

La Riforma interviene poi sul regime di tutela reale disposto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori a favore dei soggetti occupati da datori di lavoro che superino alternativamente le seguenti soglie dimensionali:

oltre 15 dipendenti (5 se si tratta di imprese agricole) nell’unità produttiva in cui ha avuto luogo il licenziamento ovvero nelle unità produttive situate nello stesso Comune;

oltre 60 dipendenti, qualunque sia il numero dei dipendenti occupati nelle singole unità produttive.

Al superamento di tali soglie dimensionali, il giudice che accerti l’illegittimità del licenziamento può ora disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro esclusivamente nelle seguenti ipotesi:

1. assenza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, in quanto:

il fatto contestato dal datore di lavoro non sussiste (o non è imputabile al lavoratore),

il fatto contestato rientra in una delle condotte punibili con una sanzione disciplinare conservativa del posto di lavoro (e dunque più lieve), secondo quanto previsto dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari;

2. manifesta infondatezza del giustificato motivo oggettivo.

In tali casi il lavoratore ha diritto, oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro, a un risarcimento non superiore a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è inoltre condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerti che non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva stabilita fra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Tale fattispecie si verifica, ad esempio, quando il motivo oggettivo, pur ritenuto insufficiente dal giudice, non sia manifestamente infondato: è di tutta evidenza come la distinzione fra

“manifesta infondatezza” (che comporta la reintegrazione) e semplice “infondatezza” (che comporta il solo risarcimento) sia fonte di notevoli difficoltà esegetiche, che dovranno essere risolte dalla giurisprudenza.

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6 Contrasti interpretativi potranno sorgere, in assenza di specifiche disposizioni di legge, anche nell’individuazione delle “altre ipotesi” in cui il licenziamento disciplinare sia ingiustificato, ma sanzionato con il solo risarcimento anziché con la reintegrazione. Il caso potrebbe porsi, ad esempio, quando il giudice accerti la sussistenza del fatto ma consideri la contestazione non tempestiva.

Rimane invece sempre applicabile, indipendentemente dalle dimensioni dell’organico aziendale, la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro in caso di:

licenziamento discriminatorio, ossia intimato per ragioni sindacali, politiche, religiose, di razza, di lingua o di sesso. In tal caso l’onere della prova della natura discriminatoria del recesso è a carico del lavoratore;

licenziamento contra legem (perché intimato in concomitanza di matrimonio o in violazione dei divieti di licenziamento disposti a tutela della genitorialità) o per motivo illecito determinante;

licenziamento inefficace, in quanto intimato in forma orale.

In tali ipotesi il risarcimento non può essere inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Infine viene previsto esclusivamente un risarcimento onnicomprensivo stabilito fra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in caso di licenziamento inefficace per:

1. omissione dell’indicazione dei motivi di recesso (che la Riforma impone ora di specificare per iscritto nella comunicazione di licenziamento);

2. violazione delle regole procedurali (relative al procedimento disciplinare o alla procedura di conciliazione).

Nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, al fine di abbreviare i tempi del giudizio, la Riforma ha poi introdotto un rito speciale per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti.

Da ultimo la Riforma contiene misure di tutela dei lavoratori contro la pratica ritenuta ancora oggi diffusa delle “dimissioni in bianco”, consistente nella richiesta al lavoratore, all’atto dell’assunzione, di una lettera di dimissioni firmata senza indicazione della data di decorrenza.

Per garantire la genuinità delle dimissioni e l’effettiva volontà del lavoratore di interrompere il rapporto, viene previsto che l’efficacia delle dimissioni sia subordinata, alternativamente:

alla convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti,

alla sottoscrizione di apposita dichiarazione del dipendente dimissionario, apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto al Centro per l’impiego. In tal modo viene accertata la veridicità della data di manifestazione della volontà del lavoratore.

Inoltre ogni abuso è colpito con una sanzione una sanzione compresa fra 5.000 e 30.000 euro.

4. AMMORTIZZATORI SOCIALI

La Riforma ha innovato il sistema degli ammortizzatori sociali attraverso il nuovo istituto dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), che entrerà in vigore a decorrere dal 1°

gennaio 2013 attraverso un regime transitorio che si concluderà solo nel 2017.

L’ASpI, istituita presso la “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti” facente capo all’INPS, ha la funzione di fornire ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione un’indennità mensile di disoccupazione, che sostituirà le precedenti indennità di mobilità e di disoccupazione.

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7 Beneficiari del nuovo istituto sono tutti i lavoratori dipendenti (a tempo determinato e indeterminato), compresi gli apprendisti. Restano esclusi i pubblici dipendenti a tempo indeterminato e i lavoratori agricoli, cui sono applicabili diversi istituti. L’indennità non spetta se il rapporto di lavoro è cessato per dimissioni o per risoluzione consensuale del contratto.

Per accedere al beneficio, il soggetto in stato di disoccupazione deve avere i seguenti requisiti:

status di “disoccupato”;

almeno un’anzianità assicurativa di due anni e un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione.

La misura dell’indennità è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, in base a una percentuale variabile in funzione dell’ammontare della retribuzione mensile, nei limiti di un massimale (attualmente fissato in 1.119,32 euro). È prevista una riduzione dell’indennità del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione e un’ulteriore decurtazione del 15% dopo il dodicesimo mese.

La durata del trattamento, a decorrere dal 1° gennaio 2016, sarà pari a un massimo di:

12 mesi per i lavoratori di età inferiore a 55 anni;

18 mesi per i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni.

Per il triennio 2013-2015 è previsto un regime transitorio, in cui la durata dell’indennità sarà variabile fra un minimo di 8 e un massimo di 16 mesi.

La fruizione dell’indennità è condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione.

In via sperimentale negli anni 2013, 2014 e 2015 il lavoratore può richiedere la liquidazione in unica soluzione degli importi del trattamento spettante per le mensilità non ancora percepite, al fine di intraprendere un’attività di lavoro autonomo o di impresa o per associarsi in cooperativa.

A decorrere dal 1° gennaio 2013 l’ASpI verrà estesa ai collaboratori coordinati e continuativi che soddisfino congiuntamente i seguenti requisiti:

avere operato, nel corso dell’anno precedente, in regime di monocommittenza;

avere conseguito, nell’anno precedente, un reddito lordo complessivo non superiore al limite di 20.000 euro, annualmente rivalutato sulla base dell’indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenuta nell’anno precedente;

poter fare valere almeno una mensilità di contribuzione alla Gestione separata INPS nell’anno di riferimento e 4 mensilità nell’anno precedente;

avere avuto un periodo di disoccupazione ininterrotto di almeno 2 mesi nell’anno precedente.

L’indennità è pari al 5% dell’imponibile contributivo minimo previsto per la gestione previdenziale INPS degli artigiani e dei commercianti (14.930 euro per il 2012) moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate l’anno prima e quelle non coperte da contribuzione.

In sostituzione dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, viene poi introdotta la Mini-ASpI, destinata ai lavoratori che possano far valere almeno 13 settimane di contribuzione per l’assicurazione obbligatoria negli ultimi 12 mesi.

L’indennità è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione nell’ultimo anno.

Restano sostanzialmente invariati gli istituti della Cassa Integrazione Ordinaria e Straordinaria.

Viene però imposto alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale di stipulare intese, anche intersettoriali, per la costituzione di Fondi di solidarietà bilaterali, per i settori non coperti dalla Cassa integrazione Guadagni.

I Fondi hanno la finalità di assicurare ai lavoratori interventi di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, analogamente a quanto previsto dalla normativa in materia di CIG ordinaria e straordinaria.

I Fondi verranno istituiti presso l’INPS e diverranno obbligatori per tutti i settori non coperti dalla CIG, limitatamente alle imprese che occupino mediamente oltre 15 dipendenti.

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8 5. FORMAZIONE E POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

Allo scopo di incrementare i livelli di occupazione, la Riforma prevede misure volte a incentivare la formazione e a promuovere l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro soprattutto dei giovani, delle donne, dei lavoratori “anziani” e dei disoccupati, anche attraverso l’implementazione del sistema informativo.

In particolare vengono promosse le iniziative di apprendimento permanente, ossia le attività intraprese dalle persone nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le proprie conoscenze, capacità e competenze.

Le iniziative di apprendimento permanente possono svolgersi in modo formale (nel sistema di istruzione e formazione e nelle università), non formale (in altri organismi che perseguano scopi educativi e formativi, anche del volontariato) e informale (nello svolgimento delle attività quotidiane nel contesto lavorativo, familiare e del tempo libero).

La promozione delle attività di apprendimento è effettuata attraverso:

la realizzazione e lo sviluppo di reti territoriali di istruzione, formazione e lavoro, che offrano sostegno alla costruzione di percorsi personali di apprendimento, mediante il coinvolgimento anche di università, imprese e Camere di Commercio;

la certificazione degli apprendimenti acquisiti, attraverso la creazione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze;

il riconoscimento di crediti formativi;

la fruizione di servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita lavorativa.

Inoltre viene rinnovata al Governo la delega (già contenuta nel Protocollo Welfare del 2007) ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Riforma e in armonia con i principi in essa contenuti, uno o più decreti legislativi volti a riordinare la normativa in materia di:

servizi per l’impiego e politiche attive per il lavoro,

incentivi all’occupazione,

formazione continua, qualificazione e riqualificazione professionale,

collocamento di soggetti svantaggiati.

Per garantire l’efficacia delle politiche di sostegno all’occupazione, la Riforma ha infine rivisitato l’impianto che regola le cause di decadenza dai sussidi, attraverso la previsione della decadenza:

dai trattamenti di sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro, in caso di rifiuto ingiustificato di frequentare regolarmente corsi di formazione o riqualificazione professionale;

dalla indennità di mobilità e dai sussidi di disoccupazione o inoccupazione, in caso di rifiuto ingiustificato di partecipare a iniziative di politiche attive o di mancata accettazione di un’offerta di lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore al 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità spettante.

6. EFFETTI DELLA RIFORMA SUI RAPPORTI DI LAVORO DEI DIPENDENTI PUBBLICI

In merito all’ambito di applicazione della Riforma, le disposizioni in essa contenute costituiscono principi e criteri validi anche per la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni in regime di diritto privato.

Al Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione viene attribuito il compito di definire ambiti, modalità e tempi di armonizzazione alla disciplina del pubblico impiego, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

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9 La Riforma non può invece modificare l’assetto dei rapporti di lavoro dei comparti del pubblico impiego esclusi dalla privatizzazione (ad esempio magistrati, personale militare e forze di polizia, personale della carriera diplomatica).

7. COPERTURA FINANZIARIA

All’onere derivante dall’attuazione della Riforma – quantificato nella tabella che segue – si farà fronte, oltre che con risparmi di spesa, con inasprimenti fiscali derivanti da:

riduzione della deducibilità dei costi relativi agli autoveicoli non esclusivamente strumentali utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni (dal 40% al 27,50%) e dei costi delle autovetture assegnate in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta (dal 90% al 70%);

aumento del reddito imponibile ai fini Irpef derivante dalla locazione di immobili, per effetto della riduzione dal 15% al 5% dell’abbattimento forfettario dei canoni di locazione;

inasprimento dei diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili.

Anno Onere (in milioni di euro)

2013 1.719

2014 2.921

2015 2.501

2016 2.482

2017 2.038

2018 2.142

2019 2.148

2020 2.195

2021 2.225

Inoltre, al fine di finanziare l’ASpI, vengono previsti:

• un contributo previdenziale aggiuntivo dell’1,4% sui contratti di lavoro a tempo determinato a carico del datore di lavoro (che verrà restituito al datore di lavoro nei limiti delle ultime 6 mensilità, in caso di assunzione del lavoratore con contratto a tempo indeterminato);

• un graduale innalzamento dei contributi dovuti alla Gestione separata dell’INPS, le cui aliquote arriveranno nel 2018 al 33% (24%, se il collaboratore ha anche altra copertura previdenziale).

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