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CAPITOLO 8: INTERVENTI PER LA STABILIZZAZIONE DEL VERSANTE

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CAPITOLO 8: INTERVENTI PER LA

STABILIZZAZIONE DEL VERSANTE

8.1 Interventi per il ripristino dell’equilibrio naturale

I risultati delle analisi svolte nei capitoli 5 e 7, nonché le Classificazioni Geomeccaniche discusse nel capitolo 6, hanno messo in evidenza la possibilità che lungo il tracciato stradale alla base del versante di Costa delle Calde, si verifichino scivolamenti planari e di cunei, con fattori di sicurezza ben al di sotto del valore imposto dal D.M.LL.PP. del 1988.

Nel caso in cui emerga che il pendio si trovi in una situazione di equilibrio precario o di non equilibrio, sorge la necessità di intervenire sul pendio stesso con opportune opere, atte a migliorarne o ripristinarne la stabilità. In relazione all’uso del territorio in prossimità e nelle immediate vicinanze del pendio potenzialmente o relativamente instabile, è fissato per legge il fattore di sicurezza minimo accettabile per quel dato versante (Gattinoni et alii, 2005):

o FS ≥ 1.3 per fronti di scavo e per pendii interessati da opere umane di qualsiasi genere.

Gli interventi per il ripristino degli equilibri naturali devono tendere a portare il rapporto resistenze/ sforzi applicati a valori superiori all’unità cosicchè, in occasione di eventi naturali prevedibili e ritenuti capaci di provocare squilibri, non si giunga a valori inferiori all’unità. In linea generale, ciò si può realizzare agendo sulle cause dei fenomeni con interventi idonei ad incrementare le forze resistenti e/o con opere rivolte alla riduzione delle forze che tendono a provocare la rottura (Martinetti & Ribacchi, 1976; Bruschi A., 2004; Gonzales De Vallejo et alii, 2005; Sauli & Cornelini, 2006).

L’incremento delle forze resistenti si può raggiungere mediante l’aumento degli sforzi normali lungo la superficie di rottura, con la riduzione delle pressioni neutre in punti interni o lungo il contorno della superficie di rottura, ed infine con il miglioramento della resistenza al taglio del materiale (iniezioni di miscele cementizie, stabilizzazione chimica, congelamento,cottura, ecc.).

L’incremento degli sforzi normali è conveniente soprattutto per superfici concave, in modo da evitare che il sovraccarico incrementi proporzionalmente anche le forze di taglio; inoltre, può ridurre l’effetto della coesione. Tale incremento può essere ottenuto

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con la realizzazione di sovraccarichi al piede della frana, mentre la riduzione delle pressioni neutre si realizza con l’allontanamento delle acque superficiali dalla zona in frana e nelle aree immediatamente circostanti; per quanto riguarda le acque sotterranee, sono necessari drenaggi da realizzare mediante setti, trincee, gallerie, pozzi, ecc.

Gli interventi di drenaggio si distinguono in opere provvisorie e definitive: le prime si realizzano subito dopo il verificarsi di un evento franoso, le seconde comprendono sia le opere di drenaggio superficiali (canalette e fossi di guardia) rivestite in calcestruzzo, sia opere di drenaggio profonde (trincee drenanti, canne drenanti, tubi drenanti suborizzontali, gallerie, cunicoli, pozzi, setti, speroni e pannelli drenanti).

La riduzione delle forze mobilitanti si può realizzare con la riduzione degli sforzi tangenziali lungo la superficie di rottura e con il trasferimento di tali sforzi ad elementi strutturali fondati o ancorati ad un ammasso roccioso non interessato dal fenomeno. Nel primo caso si agisce sulla geometria del versante (sbancamenti, riprofilature, modifiche di tracciati stradali), nel secondo si realizzano opere di sostegno e rilevati al piede del versante.

▪ Sbancamenti: la riduzione della resistenza al taglio mobilitata può essere raggiunta con il decremento degli sforzi tangenziali lungo la superficie di rottura, asportando materiale dalla porzione sommitale del versante in frana, al fine di diminuire le forze destabilizzanti alleggerendo la porzione di terreno potenzialmente mobilizzabile.

▪ Riprofilature: riduzione della pendenza del versante, comprendenti la gradonatura, tecnica maggiormente usata nei versanti in roccia, a causa degli elevati costi dell’abbattimento dell’inclinazione del versante mediante un’unica livelletta. Svolge quindi varie funzioni: diminuisce l’inclinazione del versante, elimina parte del peso della testata, incrementa il peso al piede della scarpata (berme o scogliere) e realizza gradonature.

▪ Disgaggio: rimozione meccanica o mediante cariche di esplosivo dei massi rocciosi pericolanti. Si tratta di una tecnica utilizzata per la messa in sicurezza in tempi brevi di una parete rocciosa, di una scarpata tendente a franare o del fronte di abbattimento di una galleria, sia mineraria che civile, qualora vi si trovino parti o frammenti che siano soggetti al rischio di distacco e di caduta. La situazione di rischio può essere determinata da fattori naturali quali forti e persistenti piogge, l'azione erosiva di flussi d'acqua, lo stress determinato dal congelamento e disgelo di acque contenute in fratture della roccia, oppure da fattori legati allo scavo di gallerie o alla coltivazione di cantieri minerari.

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Figura 8.1: Esecuzione di fasi di disgaggio (google images/disgaggio).

▪ In alternativa, possono essere trasferiti gli sforzi tangenziali a formazioni rocciose non interessate dal movimento, mediante la realizzazione di elementi strutturali quali muri di sostegno, palificate, paratie di pali e direttamente con ancoraggi e chiodature (vedi paragrafo successivo).

Opere di contenimento e di sostegno

Le opere di sostegno al piede del versante devono essere fondate e appoggiate su porzioni stabili del versante (per esempio a profondità maggiore della superficie di scivolamento) ed è indispensabile che a tergo delle stesse venga predisposto un efficace sistema di drenaggio tale da impedire l’insorgere di sovrapressioni al piede dello stesso.

Vengono anche impiegate nello scavo di trincee, per la realizzazione di terrazzamenti, ecc. Possono essere rigide o flessibili in relazione alla capacità di adattarsi, senza fratturarsi, alle deformazioni dei terreni o degli ammassi rocciosi a tergo delle opere stesse.

RIGIDE FLESSIBILI OPERE DI SOSTEGNO SPECIALI Muri (a gravità, a

semigravità, in cemento armato gettato in opera, a elementi prefabbricati ed a

mensola)

Palancolate (metalliche, in cemento armato)

Crib-walls: muri speciali costituiti da una maglia rettangolare di travetti in calcestruzzo

prefabbricato riempita di terreno.

Diaframmi (a pannelli, a pali accostati)

Terra armata: rilevato in terra la cui capacità portante è aumentata grazie alla infissione di nastri in acciaio sub orizzontali, vincolati sulla superficie esterna del rilevato, a delle piastre

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Muri in gabbioni (a gravità, a semigravità, per

rivestimento di scarpate, gabbionate ancorate)

Terra rinforzata: rilevato costituito da strati sovrapposti di terreno compatto, intercalati a

geotessili o georeti. Paratie di pali in terra

‘stabilizzata’ con jet grouting Paratie di micropali in

calcestruzzo

Tabella 8.1: Tipologie di opere di sostegno (Martinetti & Ribacchi, 1976).

Oltre che in rigide e deformabili, si possono distinguere in esterne ed interne. Le opere esterne comprendono muri (opere rigide) oppure gabbionate (deformabili). Le opere interne comprendono paratie di pali e micropali di tipo deformabile.

I muri di sostegno vengono realizzati per rinforzare e proteggere la zona al piede potendo assolvere la funzione di incremento delle forze resistenti, di contenimento e sostegno a fronte di fenomeni di instabilità superficiale. Comporta l’esecuzione di uno scavo al piede, che può creare problemi di destabilizzazione. I muri, oltre all’azione di sostegno prevista in progetto, costituiscono un incremento di carico sul versante ed anche un ostacolo al deflusso delle acque sotterranee.

La tipologia di muro di sostegno in cemento armato è maggiormente utilizzato per altezze di terrapieno superiore a 3 m, in quanto le elevate caratteristiche di resistenza del materiale impiegato (conglomerato cementizio armato) permettono di ottenere spessori notevolmente minori di quelli necessari per il muro a gravità (Tanzini M., 2001). È formato da una parete verticale e da un solettone di base e proprio quest’ultimo elemento, per effetto del contributo fornito dal peso della terra gravante sulla porzione a monte del solettone, assicura la stabilità al ribaltamento dell’intero manufatto. La parete verticale risulta incastrata alla base sul solettone e, quindi, soggetta a flessione e taglio; pertanto occorre posizionare armature metalliche nella parte tesa della parete.

Mentre i muri di sostegno a gravità sono dimensionati, mediante la formula di verifica a ribaltamento, imponendo che il momento resistente MR sia maggiore del 50% rispetto al momento spingente MS, i muri di sostegno in cemento armato sono dimensionati con criteri empirici.

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Figura 8.2: Muro di protezione alla base del versante di Costa delle Calde.

Una specifica tipologia di muro rigido è quella dei diaframmi in cemento armato, realizzati in opera mediante appositi escavatori a benna mordente. Raggiunta la quota di progetto viene introdotta l’armatura in pannelli preassemblati.

8.2 Interventi attivi e passivi

Il territorio italiano, a causa della conformazione litologica e geomorfologica, è di per sé un sistema particolarmente "sensibile" ed instabile. Se poi alla naturale e generalizzata predisposizione all'instabilità, uniamo gli effetti del dissesto causato dall'uomo sia con interventi "distruttivi", sia con la cattiva gestione delle risorse ambientali, otteniamo la spiegazione di un grandissimo numero di eventi franosi, talora anche catastrofici, che caratterizzano le cronache degli ultimi anni in ogni nostra regione.

I sistemi di protezione e stabilizzazione di terreni e rocce si differenziano in attivi e passivi (Bromhead, 1986; Gattinoni et alii, 2005; Gonzales De Vallejo et alii, 2005). I sistemi attivi (chiodatura, bullonatura, ancoraggio, sigillatura, spritz beton e gunite, reti

fermaneve, tiranti attivi, reti in acciaio elastiche) sono dimensionabili e pretensionabili e,

in base alle caratteristiche dei materiali che li compongono, possono acquisire un’energia tale che, ridistribuita sul terreno/roccia, impedisca ogni forma di alterazione (erosione), movimento (frana) e distacco (crollo). Evitano quindi che un dissesto accada.

I sistemi passivi, sia rigidi (valli, gabbionate, reti a maglia esagonale, reti rinforzate

con funi, muri, pannelli di rete in fune d’acciaio, terre rinforzate, barriere tradizionali, opere di ingegneria naturalistica, gallerie paramassi) che elastici (barriere elastiche e deformabili, briglie in acciaio) servono a dissipare le energie scaturite a seguito dei

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dissesti ed a contenere i materiali di risulta. Intervengono a dissesto avvenuto per mitigarne i danni.

Un sistema attivo di consolidamento deve intendersi come “immediatamente attivo” cioè che entra in azione prima che avvenga il movimento incipiente della massa di terreno/roccia instabile, a differenza dei sistemi passivi che servono a mitigare la forza ed il movimento del terreno/roccia.

Da sottolineare il basso impatto ambientale dei materiali componenti i sistemi attivi, a differenza degli altri sistemi di protezione in quanto, aderendo perfettamente al substrato, si possono mimetizzare meglio ogni tipo di terreno/roccia.

La manutenzione è praticamente nulla in quanto lo stato di continua tensione sul terreno/roccia evita i classici rigonfiamenti determinati, ad esempio nelle reti passive, dall’erosione e dalle spinte intrinseche al terreno/roccia che comportano continue opere di svuotamento e ripulitura, oltre a costituire un grave pericolo di rottura delle stesse opere di contenimento (Gattinoni et alii, 2005).

Reti paramassi

Sono costiuite da fili di acciaio zincato intrecciati in maglie poligonali. Possono essere armate o rinforzate mediante funi di armatura costituite da trefoli verticali di acciaio. Tali strutture aderiscono corticalmente ai versanti e sono ad essi vincolati per mezzo di un sistema di ancoraggi meccanici. Le reti paramassi corticali vengono utilizzate per stabilizzare versanti caratterizzati da fenomeni di crollo di blocchi rocciosi con volumi inferiori a qualche decimetro cubo (Gerber, 2001).

L'aumento del degrado ambientale ha provocato un intensificarsi degli agenti corrosivi nell'aria e nell'acqua; per tale ragione, la ricerca scientifica si è impegnata per individuare dei rivestimenti per il filo d'acciaio più resistenti rispetto alla forte zincatura.

La Hydrogeo propone una lega particolare, composta da Zinco - 5% Alluminio - Terre Rare, nota come Galmac; si tratta di una rete paramassi a maglia esagonale a doppia torsione con filo in acciaio rivestito in tale lega. Le caratteristiche tecniche della "doppia torsione" e le doti di durabilità del rivestimento in lega Galmac rispetto al tradizionale rivestimento in forte zincatura, posizionano questa rete paramassi ai massimi livelli qualitativi internazionali.

La doppia torsione dei fili che costituiscono le maglie della rete impedisce il rapido propagarsi di smagliature in seguito alla rottura accidentale di un filo, evitando in questo modo il pericolo di improvvise rotture dell'intera struttura.

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Il filo Galmac, inoltre, può essere anche ricoperto da uno strato di 0,40 - 0,60 mm di P.V.C. che garantisce l'isolamento totale del filo dall'ambiente corrosivo incrementandone ulteriormente la durabilità. Le reti sono fornite in rotoli di altezza variabile tra i 2 e i 4 metri e lunghezza dai 25 ai 100 metri.

Figura 8.3: Rete a doppia torsione con lega Galmac (www.hydrogeo.net).

Nella tabella della figura 8.4 sono elencate le tipologie di maglie e filo disponibili.

RETE A DOPPIA TORSIONE IN ROTOLI

Galmac Galmac e plasticata

Maglia Tipo Filo Altezza rotoli

(m) Maglia Tipo Filo

Altezza rotoli (m) 2,7 2 - 4 8 X 10 2,7/3,7 2 - 5 10x12 3,0 2 - 4 6 X 8 2,2/3,2 2 - 4 2,7 2 - 4 8x10 (standard) 3,0 2 - 4 2,2 2 - 4 6x8 (standard) 2,7 2 - 4 5x7 2,0 2 - 4

Le reti elencate sono fornite in rotoli di lunghezza:

ƒ 25 m

ƒ 50 m (standard)

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Figura 8.4: Elementi di un campione di rete metallica a maglia esagonale a doppia torsione. 1. Filo della maglia - 2. Filone di bordatura - 3. Doppia Torsione - 4. Asse della Torsione (www.hydrogeo.net).

Rilevati e valli paramassi

I rilevati paramassi sono terrapieni a sezione trapezoidale, costituiti da materiale grossolano, ubicati alla base del versante. Possono avere uno sviluppo lineare notevole (fino a 700 m). il sistema difensivo è completato da uno scavo sagomato (vallo) posto immediatamente a monte del terrapieno. Il vallo rallenta i blocchi rocciosi prima che questi raggiungano il rilevato e raccoglie i blocchi mobilizzati ed è ricoperto da uno strato di materiale granulare sciolto (sabbia e/o ghiaia) o da materiale detritico proveniente dallo scavo, dello spessore di circa 40-100 cm (Gattinoni et alii, 2005; Sauli et alii, 2006).

In alcuni casi, le pareti del vallo sul lato valle, sono sostenute da muri di sostegno con paramento inclinato (muri cellulari, muri in terra rinforzata), mentre la parete sul lato monte, più direttamente soggetta agli urti, spesso è protetta da strutture resistenti e deformabili quali ad esempio muri in gabbioni metallici con paramento verticale e a gradoni interni, di grande efficacia per l'arresto dei massi. Sulla sommità del rilevato è spesso installata una barriera elastica paramassi (rete metallica) la cui funzione è quella di intercettare frammenti rocciosi o piccoli massi che potrebbero superare la struttura difensiva sia a causa di processi di frantumazione lungo il versante, sia per fenomeni di impatto “masso su masso” (frantumazione e proiezione di frammenti nella zona a tergo della struttura (Gonzales De Vallejo et alii, 2005).

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Figura 8.5: Rilevato paramassi (google images/rilevati paramassi).

Barriere paramassi

Sono delle strutture di difesa passiva, realizzate in genere lungo la base di versanti in roccia instabili e/o in canaloni, dimensionate ed ubicate in modo tale da arrestare blocchi e massi anche di grosse dimensioni e materiale detritico mobilizzato.

In funzione del loro comportamento fisico, dei materiali e delle modalità costruttive, si possono distinguere due tipi principali di strutture: barriere paramassi rigide e barriere paramassi elastiche (Gonzales De Vallejo et alii, 2005; Sauli & Cornelini, 2006).

▪ Barriere paramassi rigide: sono strutture poco deformabili, pesanti e di grandi dimensioni, capaci di opporsi con notevoli forze resistenti agli impatti. Il loro dimensionamento tiene conto in fase di progettazione della sollecitazione dinamica indotta dall’impatto di un “masso di progetto”. Generalmente, sono realizzate in calcestruzzo armato, con o senza contrafforti, opportunamente ancorati al terreno stabile con micropali o tiranti di ancoraggio.

▪ Barriere paramassi elastiche: sono strutture deformabili, leggere con elementi altamente resistenti, formati da materiali di alta qualità. La leggerezza della struttura, la semplicità, la rapidità di installazione e di manutenzione, consentono di eseguire l'intervento anche in zone montuose di difficile accessibilità. La struttura è progettata e dimensionata in modo tale da poter intercettare, rallentare o arrestare la caduta di massi isolati o di detrito. Spesso queste barriere sono associate ad altri sistemi di difesa passiva, quali ad esempio muri in calcestruzzo armato, valli e rilevati paramassi.

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a b

Figura 8.6: a) Barriera paramassi elastica; b) Esempio di applicazione di una barriera a protezione della sede stradale (Bruschi, 2004).

Sono essenzialmente formate da singoli pannelli in rete estensibile ad alto assorbimento d'energia in funi d'acciaio galvanizzato ad alta resistenza, disposte in maniera da formare maglie di varia forma. I pannelli, collegati tra loro da funi di cucitura d'acciaio, sono posti in opera perpendicolarmente al pendio, sostenuti da piedritti (ritti) metallici, con interasse di qualche metro, tiranti di monte e controventi di valle in cavi di acciaio ad alta resistenza. Gli elementi di sostegno e di rinforzo (piedritti, cerniere dei piedritti, tiranti) sono ancorati e fissati nella roccia o nel materiale detritico mediante barre d'acciaio ad aderenza migliorata cementate o in micropali di lunghezza adeguata.

Quelle elastiche hanno un impatto ambientale molto contenuto, dovuto alle tecniche di installazione, che non richiedono grandi scavi, sbancamenti o impiego di mezzi pesanti ed ingombranti. La verniciatura della struttura con colori simili a quella della vegetazione, del terreno o della roccia affiorante in sito, permette di ottenere un migliore inserimento ambientale nelle zone dove è di primaria importanza la salvaguardia del paesaggio naturale.

Il sistema TECCO, (paragrafo 8.2.1), propone una serie di tipologie di barriere di protezione contro la caduta massi, in base all’energia di impatto dei massi stessi. Si distinguono così le barriere per energie fino a 100 kJ, fino a 250 kJ, fino a 3000 kJ e infine a 5000 kJ; le differenze principali riguardano le altezze dell’opera, l’interasse tra i montanti e la resistenza nominale.

Interventi di consolidamento

Riguardano tutte quelle tecniche che consentono di migliorare la resistenza del terreno: iniezioni, chiodatura, tirantatura, ancoraggi, micropali, metodi di cottura, congelamento, ecc.

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La tecnica dell' iniezione è di uso corrente nel campo dell'ingegneria civile, per consentire il miglioramento delle caratteristiche idrauliche e meccaniche dei terreni, delle rocce e dei manufatti (opere murarie in calcestruzzo). Per quanto concerne l'operatività si distinguono iniezioni in terreni sciolti eseguite con tubi valvolati ed iniezioni in roccia, eseguite direttamente nel foro aperto (Tanzini, 2001).

Le iniezioni consistono nell’immissione forzata, attraverso perforazioni, di particolari miscele, la cui composizione è estremamente variabile in relazione alla permeabilità del materiale da trattare. Più precisamente, nelle rocce si utilizzano comunemente miscele cementizie o resine sintetiche in grado di indurire rapidamente anche in presenza di acqua. Le miscele consolidanti da un lato conferiscono al materiale una certa coesione, aumentandone la resistenza al taglio, dall’altro ne diminuiscono la permeabilità.

GIETECH è una nuova tecnica d'iniezione di resine espandenti presente oggi sul mercato, con caratteristiche peculiari che la rendono unica, a partire dal materiale iniettato: la Georesina®.

La Soil Stabilization, dedicato alla compattazione ed il consolidamento del sottofondo, sfrutta invece l'iniezione di resina sintetica GEOSEC®, caratterizzata da un tempo di inizio espansione maggiore di 40 secondi, nell'interfaccia terreno /struttura ceduta; tale resina, posata liquida a leggere pressioni, riempirà tutti i vuoti sottostanti penetrando anche negli fratture più minute e, successivamente, espandendosi in seguito a reazione chimica, produrrà una efficace azione di compattazione e consolidamento del sottofondo.

Le più comuni operazioni di iniezione sono la tecnica di:

▪ intasamento o impregnazione – tecnica impiegata per riempire i vuoti presenti nella roccia senza modificarne la struttura;

▪ fratturazione controllata – per il consolidamento di materiali a bassa permeabilità (< 10-5 m/s) vengono aperte le discontinuità dell’ammasso, attraverso le quali le miscele iniettate si diffondono.

Miscele di iniezione

Miscele stabili acqua-cemento: caratterizzate da un basso contenuto di acqua, vengono additivate con superfluidificante

Sospensioni cementizie: le miscele di cemento e acqua con elevati rapporti acqua-cemento (miscele instabili) vengono rese stabili con aggiunta di minime percentuali di additivo colloidale (bentonite) Miscele chimiche che non prevedono la presenza di cemento, possono essere inorganiche, organiche o sintetiche

Tabella 8.2: Miscele usate durante il consolidamento per iniezione (dalle meno fluide alle più fluide) (Gattinoni et alii, 2005).

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Un particolare metodo di consolidamento è il jet grouting, realizzato tramite la tecnica di idroperforazione: una miscela cementizia ad altissima pressione viene iniettata, disgregando la roccia e miscelandola con un fluido cementizio stabilizzante fino a formare una colonna di materiale, avente caratteristiche meccaniche migliori rispetto a quelle della roccia originaria.

Chiodature, bullonature e tirantature (ancoraggi) tendono a migliorare la resistenza

iniziale del terreno tramite l’introduzione di elementi lineari metallici, in modo da realizzare un complesso capace di resistere a sollecitazioni che la sola roccia non riuscirebbe a sopportare (Martinetti & Ribacchi, 1976; Bruschi, 2004). L’effetto di un ancoraggio si può schematizzare con l’applicazione di un’azione pari alla forza di trazione dell’ancoraggio, agente nella sua direzione di posa.

La chiodatura viene impiegata per il consolidamento di pareti rocciose e per opere di sostegno definitive quali ad esempio l’ancoraggio di reti metalliche a protezione della caduta di pietrame e blocchi dalle pareti rocciose.

I chiodi sono particolari ancoraggi non pretesi che vengono installati per migliorare la resistenza a trazione ed al taglio dell’ammasso roccioso, costituiti da aste metalliche (o di vetroresina, fibre di carbonio o altro materiale) introdotte in fori di sondaggio, integralmente connesse al terreno e operanti in un dominio di trazione e taglio. La connessione al terreno può essere ottenuta con cementazione mediante miscele cementizie o chimiche o con mezzi meccanici. La differenza principale è che nei bulloni la connessione con il terreno non è completa e che i chiodi lavorano anche sotto sforzi di taglio non eccessivi.

I bulloni vengono normalmente utilizzati per ancorare, vincolandoli a porzioni di roccia stabile, blocchi di materiale isolati da fratture; essi vengono inseriti in fori realizzati in precedenza e successivamente ancorati, nella parte terminale, alla roccia sana.

L'ancoraggio alla base può essere meccanico, realizzato mediante dispositivi di espansione che entrano in funzione durante la fase di avvitamento del dado (bullone ad espansione), oppure mediante cementazione con boiacca di cemento o resine dell'intercapedine foro-bullone che può interessare un tratto della estremità inferiore o l'intera lunghezza del foro (bulloni cementati). I chiodi ed i bulloni sono fissati sulla superficie esterna, in genere, mediante piastra di ripartizione e dispositivo di bloccaggio (Bromhead, 1986). Essi sono costituiti da elementi metallici che lavorano prevalentemente a trazione. Rappresentano una tipologia di tiranti, ad uso esclusivo in roccia, caratterizzati da lunghezza limitata e da esclusiva armatura a barra sprovvista di

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tra 25 e 40 mm. Si collocano in perforazioni realizzate nella roccia e sigillate con malte, boiacche o resina; il loro carico ammissibile di solito oscilla tra 5 e 15 t per bullone (Gattinoni et alii, 2005).

I tiranti sono elementi strutturali operanti in trazione, formati da trefoli o barre di acciaio e capaci di trasmettere forze al materiale; essi forniscono una forza di contrasto al movimento e quindi un incremento delle tensioni normali sulla superficie di rottura.

Sono costituiti da una testa, munita di una piastra di ripartizione e di un dispositivo di bloccaggio, collegata ad una parte libera, che comprende la porzione tensionabile e la guaina di rivestimento, e una fondazione, dotata di armatura. La testa trasmette alla struttura ancorata o alla roccia la forza di trazione del tirante, la parte libera la forza di trazione dalla testata alla fondazione, mentre la fondazione le forze di trazione del tirante all’ammasso roccioso. La testa di ancoraggio viene di solito cementata a una struttura di sostegno (muri, diaframmi, pali). Possono essere realizzati di varie lunghezze, anche diverse decine di metri (di solito tra 15 e 40 m), e possono sviluppare forze da un minimo di 45 fino a 120 t per ancoraggio.

La reazione R, indotta dal tirante, è scomponibile in due componenti, T ed Nes, rispettivamente parallele e perpendicolari alla superficie di movimento, come osservabile nella figura 8.7.

a

b

Figura 8.7: a) Scomposizione della reazione R, indotta dal tirante; b) Esempio tipico di ancoraggio con cementazione del bulbo e possibilità di tesare il tirante agendo sul bullone autocentrante su piastra di

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I tiranti di ancoraggio possono essere:

pretesi (o attivi) se viene in loro generata una tensione al momento dell’installazione pari alla tensione d’esercizio;

parzialmente pretesi: se viene generata in loro una tensione al momento dell’installazione minore della tensione d’esercizio;

non pretesi (o passivi) se la tensione, nulla all’inizio, cresce progressivamente con il crescere delle deformazioni.

Tiranti e micropali sono interventi che prevedono inclusioni di materiali nel terreno; si realizzano eseguendo fori di sondaggio ed introducendo barre di acciai speciali che vengono ancorate alla roccia in corrispondenza del fondo del foro (tiranti) o solamente poggiate (micropali). I tiranti possono essere utilizzati in qualsiasi tipo di terreno o roccia, consentendo la realizzazione di interventi di sostegno leggeri rispetto alle tradizionali strutture a gravità. Vengono realizzati frequentemente in direzione normale alla superficie di rottura.

Spritz beton e gunite

Il rivestimento con un sottile strato di cemento della superficie affiorante dell’ammasso roccioso conferisce a quest’ultimo una coesione aggiuntiva. Il cemento, mescolato con acqua e inerti, viene spruzzato in pressione sulla superficie rocciosa e penetra nelle fratture, sigillandole. Lo strato di cemento presenta una certa fissibilità che gli consente di adeguarsi alle deformazioni dell’ammasso senza fratturarsi. Il corrispondente italiano è il "betoncino spruzzato". Consiste in un calcestruzzo con granulometria generalmente inferiore a 15 mm, dosaggio in cemento tipo 42,5 in ragione di 400-500 kg/mc, addittivato con un accelerante di presa (silicato sodico o simili).

L'applicazione avviene a spruzzo mediante aria compressa. Trova applicazione negli scavi in sotterraneo come prerivestimento e opera di sostegno ed è spesso affiancato a bullonature e chiodature.

8.2.1 Un esempio di sistema di stabilizzazione: TECCO

Il sistema TECCO, per la protezione combinata contro l'erosione, la caduta di detriti rocciosi, per l'intervento su smottamenti e instabilità profonde, e per la messa in sicurezza dei versanti, è una delle più recenti novità tecnologiche offerte dal mercato internazionale. Il Tecco è utilizzato, con interventi di tipo corticale e strutturale, per la stabilizzazione dei versanti in frana e soggetti ad erosione, il consolidamento di terreni e rocce, la protezione da caduta massi e da detriti rocciosi e di fango.

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Si presta abbinato ad altri prodotti come biostuoie, geostuoie e geogriglie (substrato per interventi di idrosemina a spessore), che favoriscono l'inerbimento artificiale o naturale, trattenendo il terreno vegetale indispensabile per l'attecchimento dei semi. Posando a contatto con il terreno, al di sotto della rete Tecco, i suddetti geocompositi concorrono a trattenere le particelle di terreno di piccola granulometria, ed attenuare l'azione erosiva superficiale delle precipitazioni e del vento.

La leggerezza e la maneggevolezza della rete ne ha permesso l'utilizzo quale efficace protezione temporanea di strade e cantieri in situazioni d'emergenza contro la caduta di massi e lastroni di neve.

Il sistema è il risultato delle molteplici esperienze maturate sin dagli anni '70 dalla

Fatzer SA Geobrugg, azienda svizzera, che per questo genere di applicazioni ha

sviluppato negli anni dei validi prodotti presenti sul mercato. Le particolarità costruttive dei componenti, l'alta qualità dei materiali e le particolari galvanizzazioni assicurano la massima efficacia e la durata nel tempo dell'intervento e contengono ed in parte annullano le necessità di manutenzione ordinaria.

Il nuovo sistema, in molti casi, può sostituire opere più complesse di maggior impatto visivo e opere di intervento che necessitano di lunghi e costosi tempi d'esecuzione. Il colore dei suoi componenti facilmente si mimetizza con la natura circostante, rendendolo quasi invisibile sin dalla posa. Per rapporto ad altri prodotti similari, l'alta resistenza del filo elementare della rete, che è in acciaio 1770 kN/mm2 e la mobilità delle maglie, garantiscono al Tecco alta resistenza ed elasticità.

Esso è composto da:

a) rete tridimensionale, ordita da filo di acciaio di ø almeno 3 mm e classe di resistenza non inferiore a 1770 kN/mm2, galvanizzata con una lega di zinco ed alluminio che assicura la longevità del prodotto, con spessore protettivo minimo di 200 g/m2, formante sequenza continua di maglie a rombo di superficie unitaria minima di 2625 mm2 tale da garantire, per ogni metro lineare, un allineamento minimo di 12 maglie in orizzontale e 7 in verticale;

b) piastra di ripartizione in Ac 37, fortemente zincata a fuoco, a forma di rombo, dotata alle estremità di due zanche di fissaggio, di un foro centrale per il posizionamento della barra rigida e di apposite nervature longitudinali permettenti lo scorrimento di eventuali funi di armatura, atte comunque ad un suo opportuno irrigidimento;

c) barre rigide, in quantità, lunghezza e diametro definite di volta in volta;

d) anelli di congiunzione in Ac 37, fortemente zincati, per il collegamento dei teli di rete, sovrapposti su tutta la lunghezza del rotolo (30 ml) in ragione di due anelli ciascuna maglia.

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L'elasticità della rete Tecco garantisce la messa in tensione dell'intera superficie trattata con la rete ed il conseguente ottimale consolidamento del terreno. La rete e le piastre, aderendo perfettamente sulle superfici trattate rendono, di fatto, l'intervento a basso o nullo impatto ambientale. Inoltre, la rapidità e la semplicità della posa in opera di tale sistema, lo favoriscono in interventi di massima urgenza.

Particolare della rete in acciaio Tecco, nel punto di collegamento dei teli con anelli in acciaio, intimamente aderente al terreno ed alla roccia grazie

alla massima elasticità ed all'azione dei tiranti attivi.

Versante acclive, costituito da rocce fratturate e terreno vegetale di copertura, consolidato con il sistema Tecco per eliminare l'erosione e

garantire la sicurezza stradale.

Un versante stradale, a seguito di intervento di taglio, è stato messo in sicurezza con il sistema attivo Tecco a basso impatto ambientale.

Posa in opera della rete Tecco per il consolidamento di massi instabili. La massima aderenza al terreno è assicurata dalla elasticità della rete in

acciaio Tecco, dalle piastre, dagli ancoraggi e da eventuali funi di coronamento.

Consolidamento di ammassi rocciosi con sistema attivo Tecco e barre di ancoraggio, dimensionate con apposito calcolo, solidarizzate al

substrato solido per garantire la stabilità globale del pendio.

Pendio in roccia sistemato a seguito di frana da crollo e rock avalanche; intervento combinato di consolidamento con sistema attivo

Tecco e di protezione con barriera paramassi.

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8.3 Interventi proposti per la messa in sicurezza della parte di

versante che insiste sulla Strada di fondovalle

Il versante di Costa delle Calde è stato oggetto di vari studi e controlli in passato, a causa del suo stato di attività per quanto riguarda i fenomeni franosi. Le più importanti evidenze di attività si sono avute in concomitanza allo svolgimento di lavori pubblici, prima agli inizi degli anni ’30 con la costruzione della galleria ENEL, e poi successivamente con i tentativi di allargamento della Strada Provinciale di fondovalle (vedi capitolo 1). Ciò ha portato alla necessità di intervenire, a partire dagli anni ’80, con muri di sostegno, reti e barriere paramassi e iniezioni di spritz beton, collocate in prossimità del Rio Forcone e del Rio Fontanino. Appare evidente, quindi, come il tratto centrale della sede stradale sia totalmente privo di alcuna protezione.

Tale lavoro di tesi intende quindi proporre dei metodi di intervento, per mettere in sicurezza la sede stradale, affiancati da una ricerca su particolari tipologie di leghe o materiali utilizzati che possano offrire dei vantaggi.

L’affioramento di Calcare Selcifero della Val di Lima lungo la strada provinciale si presenta molto fratturato, caratterizzato da discontinuità aventi parametri geomeccanici abbastanza scadenti.

L’utilizzo del programma Dips 5.1 ha permesso di individuare la presenza di scivolamenti planari e di cunei rocciosi, i primi ben evidenti lungo tutto l’affioramento, come mostrato nella figura 8.9.

Figura 8.9: Parte dell’affioramento lungo strada interessato da fenomeni di scivolamento planare (stazione C).

Le due tipologie di cinematismi riscontrate all’interno delle tre stazioni in cui l’affioramento è stato suddiviso (scivolamento planare e di cunei) sono state poi con maggior dettaglio analizzate tramite l’utilizzo dei programmi RocPlane 2.0 e Swedge 5.0; i risultati di tali analisi hanno dato dei fattori di sicurezza molto bassi, inferiore ad 1.

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L’inserimento di tiranti ha migliorato molto tale situazione di instabilità, raggiungendo così valori superiori a 1.3. Ma tali interventi attivi si riferiscono ad un singolo blocco instabile, quindi andrebbe collocato un tirante per ognuno di essi (di capacità rispettivamente di 5 e 15 t/m, angolo 17° e trend/plunge 250/50, con una distanza minima l’uno dall’altro), per tutta la lunghezza di progettazione dell’opera di intervento, il che risulterebbe troppo oneroso dal punto di vista economico, ma soprattutto non vantaggioso, in quanto la sicurezza del tratto stradale non sarebbe del tutto garantita (i tiranti si adattano di più ad aree maggiormente estese, trattandosi di un intervento ‘puntuale’, di solito affiancato ad altre opere di intervento). Inoltre, i tiranti sono degli interventi attivi abbastanza profondi, e questo richiederebbe una conoscenza più approfondita e certa sullo spessore della roccia alterata, in modo da ancorarli al substrato stabile. Chiaramente, la loro installazione dovrebbe essere preceduta da nuove indagini geognostiche (quali carotaggi, prospezioni sismiche, ecc).

Tra le tre stazioni in cui l’affioramento è stato suddiviso, è soprattutto la C quella che necessita di maggior attenzione e in riguardo alla quale viene proposto di intervenire con opere di stabilizzazione.

È utile tenere in considerazione anche i principali interventi di sistemazione di versante, sia con tecniche tradizionali che di Ingegneria Naturalistica, per varie tipologie di movimento, come proposto nella tabella 8.3 (estratto da “Interventi di sistemazione del territorio con tecniche di Ingegneria Naturalistica” Regione Piemonte, 2003).

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Tabella 8.3: Correlazione tra dissesti e possibilità di intervento.

Le tecniche di Ingegneria Naturalistica si vanno affermando sempre di più nella progettazione delle sistemazioni di versante e idrauliche e mirano, con l'impiego di materiali vegetali vivi, a ripristinare le condizioni di stabilità con un pieno inserimento delle opere nell'ambiente circostante (Gonzales De Vallejo et alii, 2005).

La morfologia della parete in prossimità della sede stradale, è tale da rendere necessario un contenimento diretto della parete stessa. Le conoscenze acquisite durante il lavoro di tesi, nonché quelle da studi precedenti, portano a proporre di intervenire con metodi passivi all’interno della stazione C e per pochi metri all’interno della B (proseguendo verso NW), quali reti ancorate tramite chiodature. Tale intervento deve essere preceduto da una rimozione dei massi rocciosi isolati in equilibrio precario; bisogna a questo punto ricordare che il reticolo di discontinuità è tale da consigliare di operare con estrema cautela la rimozione di masse instabili, in quanto in ammassi molto fratturati è possibile incorrere in un pericoloso effetto domino.

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Durante la rimozione meccanica, potrebbero anche essere realizzate delle iniezioni immettendo, nelle fratture più minute, delle miscele cementizie o resine sintetiche in grado di indurire rapidamente anche in presenza di acqua.

Si propone di dimensionare la rete a protezione della sede stradale con le seguenti caratteristiche: altezza pari a circa 10 m, in modo da mettere in sicurezza anche il tratto subito sovrastante il tracciato stradale e profondità di ancoraggio pari a 4-5 m, per una lunghezza di 50 m circa (lunghezza della stazione C e di un tratto della B).

Viene proposto l’utilizzo della lega Galmac (Zinco - 5% Alluminio - Terre Rare), in modo da offrire una maggiore durabilità del rivestimento, una migliore resistenza alla corrosione (data dall'alluminio) e una maggiore protezione galvanica (conferita dallo zinco) e da evitare il pericolo di improvvise rotture dell'intera struttura.

In alternativa, potrebbe essere adottata la rete TECCO e realizzato un intervento simile a quello riportato nella figura 8.10, su un versante acclive, costituito da rocce fratturate, consolidato con tale sistema, in modo da eliminare l’erosione e garantire la sicurezza stradale.

Figura 8.10: Applicazione del sistema TECCO in un versante roccioso.

Anche la scelta di un'altra tipologia di intervento passivo, quale un’opera di sostegno tramite muro in cemento armato nelle vicinanze dell’altro già esistente, collocato in prossimità della piccola cava di Maiolica, potrebbe rinforzare e proteggere la zona al piede, assolvendo la funzione di incremento delle forze resistenti e di contenimento e sostegno, a fronte di fenomeni di instabilità superficiale.

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Rete paramassi e/o muro di sostegno

Figura 8.11: Interventi di stabilizzazione proposti per la stabilizzazione del versante.

Come osservabile dalla figura, gli interventi proposti si collocano all’inizio del tratto stradale (dopo il muro collocato in prossimità della cava di Maiolica), e ricadono essenzialmente all’interno della stazione C (in arancione) e solo per un breve tratto all’interno della B (viola). Nella parte finale del tracciato stradale, sono già presenti reti e barriere paramassi (giallo), a protezione della sede stradale dal distacco di frammenti provenienti dalle porzioni superiori del versante, interventi realizzati dopo gli anni ’80 in seguito ai primi lavori di allargamento della S.P. di fondovalle.

Tali proposte di intervento di stabilizzazione sono perfettamente concordanti con i risultati ottenuti dalla classificazione geomeccanica di Romana (1985): muri e drenaggi nel caso di scivolamento planare, e tiranti e ancoraggi (interventi di rinforzo) e reti e barriere (interventi di protezione) nel caso di ribaltamenti e scivolamenti di cunei rocciosi (vedi Capitolo 6).

Figura

Figura 8.1: Esecuzione di fasi di disgaggio (google images/disgaggio).
Tabella 8.1: Tipologie di opere di sostegno (Martinetti &amp; Ribacchi, 1976).
Figura 8.2: Muro di protezione alla base del versante di Costa delle Calde.
Figura 8.3: Rete a doppia torsione con lega Galmac (www.hydrogeo.net).
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Riferimenti

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