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Capitolo 1

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Capitolo 1

Introduzione

1.1 Il Madagascar

1.1.1 Caratteristiche generali

Con un’area di 587.000 km2, il Madagascar è la quarta isola più grande al mondo, dopo la Groenlandia, il Borneo e la Nuova Guinea. Essa si localizza all’interno dell’Oceano Indiano, a 400 km dalle coste dell’Africa continentale da cui si separa

attraverso il canale del Mozambico. Tuttavia, la situazione climatica e la variabilità ambientale del Madagascar ricordano più quelle di un piccolo continente che quelle di un’isola oceanica (Donque, 1972). Si possono distinguere, infatti, quattro principali ambienti: nel sud domina la foresta spinosa secca insieme agli ultimi frammenti di foresta galleria rimasti, nelle coste orientali e in quelle occidentali si trovano, rispettivamente, foreste pluviali e

foreste decidue mentre il nord rappresenta una zona di transizione tra l’ovest e l’est (Goodman e Benstead, 2003). Al centro domina una catena montuosa

Fig.1.1 Le foreste rimaste in Madagascar dopo 50 anni di deforestazione (da Garbut, 2007).

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2 di origine Precambriana che percorre l’intera isola dal nord al sud, scendendo bruscamente verso le coste orientali e gradualmente verso il canale del Mozambico sul lato occidentale (Garbut, 2007). I quattro habitat sono frutto dei diversi climi che caratterizzano le varie parti dell’isola: gli alisei e i monsoni che originano dall’Oceano Indiano, infatti, investono principalmente le coste orientali e causano un elevato tasso di precipitazioni in queste regioni. Nelle zone occidentali, al contrario, il clima è più secco dal momento che l’altopiano centrale protegge queste zone dalle piogge (Garbut, 2007). Durante l’estate australe le regioni occidentali sono soggette ai monsoni che originano da nord e il cui effetto gradualmente diminuisce procedendo verso sud. Dunque si assiste un doppio gradiente pluviometrico all’interno dell’isola: un gradiente est-ovest e uno nord-sud. Da ciò deriva che il nord-est sia la parte più umida dell’isola, mentre il sud-ovest la più secca (Jury, 2003). Dunque le precipitazioni variano enormemente da regione a regione, sia dal punto di vista quantitativo sia per la loro distribuzione annuale: nel sud e nell’ovest i livelli di pioggia non superano i 500 mm l’anno (Sorg e Rohner, 1996) e la stagione secca ha una durata di circa 7-8 mesi (Hladik, 1980). Nella zona orientale, invece, le precipitazioni possono arrivare fino ai 4000 mm l’anno (Hemingway, 1995; Du Puy e Moat, 1996; Tan, 1999) e la stagione secca è più corta, con una durata che oscilla tra i 4 e i 5 mesi (Hladik, 1980). Oltre alle fluttuazioni climatiche annuali, oscillazioni climatiche interannuali che coinvolgono l’isola nella sua interezza determinano periodi prolungati di siccità, ad andamento ciclico seppure imprevedibile (Gould et al., 1999; Wright, 1999). Tra questi, il più recente risale al biennio 1991/92, quando, in tutto il Madagascar, si è

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3 registrata una riduzione drastica delle precipitazioni (Gould et al., 1999). L’isola del Madagascar si situa all’interno della cintura ciclonica che si estende dal 10° al 20° di latitudine. Da ciò deriva che gli ecosistemi malgasci debbano far fronte a eventi disastrosi ad andamento casuale (Wright, 1999) e, tra il 1920 e il 1972, 362 cicloni hanno colpito l’isola con una media di 7 cicloni per anno (Donque, 1975; Ganzhorn, 1995) con conseguenze devastanti: inondazioni, alberi sradicati e villaggi distrutti (Ganzhorn, 1995). La frequenza con cui tali cicloni colpiscono l’isola aumenta andando da sud a nord; infatti nelle aree settentrionali si può raggiungere la media di un ciclone all’anno mentre nelle regioni meridionali i cicloni più devastanti compaiono con una frequenza di circa uno ogni dieci anni (Wright, 1999). Il ciclone più disastroso mai registrato nella storia del Madagascar ha colpito l’isola nel 1997 spazzando via circa l’80% delle copertura forestale (Wright,1999).

1.1.2 Colonizzazione dell’isola

Un argomento tuttora molto dibattuto è come i mammiferi abbiano potuto colonizzare il Madagascar, alla luce del fatto che nessun resto fossile trovato sull’isola può essere fatto risalire a un’epoca antecedente al Cretaceo superiore (circa 65 milioni di anni fa) (Alroy, 1999; Foote et al., 1999), quando cioè il Madagascar si era già distaccato dalle altre masse continentali.

Una delle prime ipotesi che è emersa riguarda la possibilità che i mammiferi di piccole dimensioni abbiano attraversato il canale del Monzambico sfruttando tronchi di alberi o altri detriti di carattere vegetale trasportati dai

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4 fiumi verso l’Oceano (la cosiddetta ipotesi del rafting; Simpson, 1940). Tuttavia il rafting avrebbe potuto consentire più facilmente il passaggio dei rettili dal momento che questi, non avendo una elevata richiesta energetica per mantenere alta la propria temperatura corporea, avrebbero potuto affrontare anche lunghe traversate (Stankiewicz et al., 2006). Per gli stessi motivi, tra i mammiferi, sicuramente quelli di piccole dimensioni e, in particolare, quelli capaci di entrare in uno stato di torpore o ibernazione, sarebbero stati maggiormente favoriti (Martin, 1972; Yoder, 1996; Kappeler, 2000; Yoder et al., 2003). Anche in questo caso sorgono, tuttavia, dubbi legittimi: sembra che le prime proscimmie che hanno colonizzato l’isola pesassero circa 2 kg e una tale massa corporea non consentirebbe una vera e propria ibernazione (Stankiewicz et al., 2006). In secondo luogo è possibile che la capacità di entrare in uno stato di torpore sia comparsa dopo la colonizzazione dell’isola da parte dei lemuri, dal momento che i galagoni, che condividono con le proscimmie malgasce un antenato comune risalente a circa 60 milioni di anni fa, non possiedono tale capacità. (Mzilikazi et al., 2004). Infine la direzione delle correnti oceaniche e dei venti avrebbero favorito un percorso inverso dal Madagascar all’Africa (Stankiewicz et al., 2006). Considerata la difficoltà di attraversare il canale del Mozambico attraverso zattere naturali, è probabile che la colonizzazione dell’isola sia stata favorita dalla presenza di una striscia di terra che avrebbe potuto fungere da “ponte” tra l’Africa e il Madagascar. Tuttavia il canale del Mozambico raggiunge, in gran parte, profondità tali (fino a 1500 m) da ritenere improbabile che qualsiasi escursione del livello del mare durante il Cenozoico abbia potuto consentire l’emergere di tali ponti. Nonostante ciò,

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5 McCall (1997) suggerisce l’ipotesi che la collisione dell’India con l’Asia avrebbe generato forze di compressioni tali da far emergere strisce di terra lungo il DFZ. Campioni raccolti da Leclaire et al. (1989) e Bassias (1992) testimoniano, in effetti, la presenza di una catena di altopiani formatasi lungo l’antica faglia DFZ. Ad ogni modo, Krause (2003) ha sottolineato che le estreme differenze che intercorrono tra fauna malgascia e fauna africana testimoniano che l’attraversamento del canale sia stato un processo più raro e difficile di quanto consentito da un ponte di terra. Quindi la questione sulla colonizzazione dell’isola da parte dei mammiferi rimane un dibattito ancora aperto.

1.2 I primati del Madagascar

1.2.1 Collocazione tassonomica e caratteristiche anatomiche

La classificazione tassonomica delle proscimmie del Madagascar subisce continue modifiche sia in seguito alla scoperta ed alla descrizione di nuove specie (Rasoloarison et al., 2000; Kappeler et al., 2005; Thalmann e Geissmann, 2005; Rubarivola et al., 2006; Andriaholinirina et al., 2006) sia come risultato di vere e proprie revisioni tassonomiche (Mayor et al., 2004; Mittermeier et al., 2006). Sono state riconosciute fino ad oggi 88 specie viventi (Garbut, 2007), distribuite all’interno di 15 generi e cinque famiglie (Cheirogaleidae, Lepilemuridae, Lemuridae, Indriidae e Daubentonidae). I lemuri, in quanto proscimmie, sono caratterizzati da tratti anatomici che li differenziano dagli antropoidei (Tattersall, 1982; Fleagle, 1999; Sauther et al., 2002), tra cui:

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6 b) L’assenza della chiusura postorbitale.

c) La presenza di un pettine dentario (o toothcomb), utilizzato per il grooming. Esso è formato dall’unione degli incisivi e dei canini dell'arcata inferiore. Nell'arcata superiore, invece, gli incisivi sono di piccole dimensioni e separati da uno spazio piuttosto ampio.

d) La presenza del cosiddetto toilet claw, un’unghia ad artiglio anch’essa usata per il grooming.

e) La presenza della sinfisi mandibolare non fusa che permette ai lemuri di muovere le due emimandibole indipendentemente l’una dall’altra.

f) La presenza di un tapetum lucidum, una struttura altamente riflettente, costituita da cristalli di riboflavina che, sebbene diminuisca l’acuità visiva, consente agli animali la visione notturna grazie ad un processo di “riciclaggio” dei fotoni. Fanno eccezione solo le specie del genere Varecia ed Eulemur. g) Il maggior sviluppo del sistema olfattivo e la presenza di un rinario umido, la cui funzione è quella di “catturare” le particelle olfattive e trasmetterle attraverso il tratto labiale superiore all’organo vomeronasale bilaterale (o organo di Jacobson). Questo giace alla base del setto nasale e comunica col palato attraverso il dotto nasopalatino.

h) La particolare collocazione dell’anello timpanico. Questo, infatti, si localizza, a differenza degli altri gruppi di primati, all’interno della cavità formata dalla bulla uditiva e si collega

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7 ad essa solamente nella sua porzione superiore.

i) L’irrorazione del cervello mediante l’arteria stapediale che, insieme all’arteria promotoria (maggiormente sviluppata negli antropoidei), rappresenta una diramazione della carotide interna.

l) La presenza di una placenta epiteliocoriale e la separazione della circolazione fetale da quella materna mediante diversi strati tissutali che comprendono l’endotelio vascolare e la superficie epiteliale sia del corion sia dell’endometrio. Le membrane placentali, inoltre, invadono l’endometrio per intero, invece di essere ristretti in una piccola area del corion come avviene nelle scimmie antropoidee.

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1.2.2 Radiazione adattativa

Il lungo isolamento del Madagascar, in concomitanza con la formazione di barriere naturali difficilmente valicabili come i fiumi e gli altopiani, ha avuto come conseguenza la nascita di una notevole molteplicità di forme viventi. (Martin, 1972; Raxworthy e Nussbaum, 1996).

Si possono distinguere forme notturne (come il Microcebus, il Cheirogaleus e il Phaner) (Fleagle, 1999; Schülke, 2003), diurne (come il Lemur, la

Varecia e il Propithecus) (Jolly 1966; Fleagle, 1999; Richard, 2003) e

catemerali che alternano cicli di attività tra il giorno e la notte (Sussman e Tattersall, 1976; Overdorff, 1988).

L’organizzazione sociale è estremamente variabile: le forme notturne adottano, in genere, una vita di coppia (come le specie dei generi Avahi e

Phaner) (van Schaik e Kappeler, 1993a; Thalmann, 2003; Schülke, 2003) o

solitaria (come alcune specie di Lepilemur e di Cheirogaleus) (Petter-Rosseaux, 1964; Fietz, 2003). Altre specie, come la Mirza zaza, vivono in piccoli gruppi composti da due a otto individui (Kappeler et al., 2005). Le specie che presentano un’attività diurna sono, in generale, gregarie e possono formare gruppi estremamente numerosi, a sex ratio variabile, come la Varecia rubra e l’Eulemur fulvus, che costituiscono gruppi fino a 30 individui (Vasey, 1998; Donati et al., 2001). Il sistema sociale più comune è quello multimale/multifemale (come nel Propithecus e nella Varecia) (Vasey, 1998; Richard, 2003) ma non mancano specie che possono adottare una vita di coppia, come nel caso dell’Indri (Pollock, 1979).

Anche dal punto di vista alimentare, i lemuri mostrano un’elevata variabilità e diversi gradi di specializzazione: si passa da una dieta varia come quella

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9 dei Cheirogaleidi e dei Daubentonidi, composta principalmente da insetti, gomma e frutta (Petter et al., 1971; Petter, 1975; Charles-Dominique e Petter, 1980) a una dieta altamente specializzata come quella degli Indriidi, basata quasi esclusivamente sulle foglie (Richard, 1978; Pollock, 1979; Powzyk e Mowry, 2003) o quella dell’Hapalemur spp, che predilige essenzialmente le foglie del bamboo (Tan, 2004).

Le specie altamente foglivore (come gli Indriidi) presentano adattamenti (un cieco allargato che ospita microrganismi in grado di fermentare la cellulosa) per la digestione delle fibre insolubili contenute nelle foglie (Fleagle, 1999; Powzyk e Mowry, 2003).

La locomozione può essere quadrupede terrestre o arboricola e saltatoria (Fleagle, 1999). Quest’ultimo pattern locomotorio si ritrova, in modo particolare, all’interno della famiglia degli Indriidi, specializzati per una locomozione saltatoria verticale (Fleagle, 1999).

Nonostante la molteplicità di specie e stili di vita, la maggior parte degli autori ritiene che la radiazione dei lemuri abbia avuto origine da un unico antenato arrivato sull’isola tra i 47 e i 54 milioni di anni fa (Martin, 2000; Yoder, 2003).

La biodiversità attuale è inferiore rispetto a quella passata: depositi fossili risalenti a circa 1000-2000 anni fa testimoniano la presenza di diverse forme estinte, vissute fino a epoche relativamente recenti (Flacourt, 1661). L’estinzione di tali forme sembra coincidere con l’arrivo dell’uomo sull’isola (circa 2000 anni fa): resti di specie estinte, in effetti, sono stati trovati in prossimità di manufatti umani o in siti dove l’uomo svolgeva le sue attività (Fleagle, 1999). Tra le cinque famiglie di lemuri, è senza dubbio

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10 quella Indriidae ad aver subito la più ampia radiazione adattativa, con otto generi, di cui cinque estinti. Tra questi, il genere Archeoindris comprendeva le specie di dimensioni più grandi, con un peso che poteva arrivare fino ai 200 kg, pari alla dimensione di un gorilla maschio adulto. Probabilmente tali specie erano terrestri con un andamento locomotorio molto simile a quello dei bradipi che popolano oggi il nord e il sud America (Fleagle, 1999). Il genere Megaladapis, appartenente alla famiglia dei Lepilemuridi, comprendeva alcune delle specie più grandi e la dimensione corporea poteva arrivare fino ai 150 kg (Fleagle, 1999). Tali specie possedevano arti anteriori più lunghi dei posteriori, falangi ben sviluppate e un tronco molto lungo come probabile specializzazione ad una locomozione verticale come quella degli attuali koala (Fleagle, 1999).

1.2.3 Principali adattamenti

I lemuri del Madagascar mostrano delle caratteristiche peculiari, rare negli altri gruppi di primati (Wright, 1999):

a) la dominanza femminile che si manifesta, nella maggior parte dei casi, sotto forma di priorità nell’accesso al cibo (Richard, 1987; Kappeler, 1993b). I maschi spesso fuggono dopo i conflitti emettendo vocalizzazioni di sottomissione (Jolly, 1966, Richard e Heimbuch, 1975; Kauffman, 1991). Il grado di dominanza varia da specie a specie: essa risulta maggiormente marcata nel Lemur catta (Pereira et al., 1990; Pereira e Kappeler, 1997), nelle specie appartenenti al genere

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11 nell’Indri indri (Pollock, 1979), nella Varecia variegata (Raps e White, 1995), nell’Eulemur macaco flavifrons (Digby e Kahlenberg, 2002), nel Microcebus murinus (Radespiel e Zimmermann, 2001), nel Phaner furcifer (Charles-Dominique e Petter, 1980) e nell’Hapalemur alaotrensis (Waeber e Hemelrijk, 2003); in altre specie la dominanza è meno evidente e, in certi casi, i maschi possono mostrare comportamenti aggressivi contro le femmine, come nel caso dell’Eulemur

coronatus (Pereira et al., 1990, Marolf et al., 2007), della Daubentonia madagascariensis (Rendall, 1993) e dell’Eulemur fulvus (Pereira et al., 1990; Pereira e Kappeler, 1997; Pereira e

McGlynn, 1997; Pereira, 1998; Overdoff, 1998).

b) il dimorfismo sessuale poco marcato (Kappeler, 1991, 1993b; Pereira e Kappeler, 1997).

c) la particolare abbondanza di specie monogame, pari a circa un quarto del totale delle specie (Eisenberg et al., 1972; Eisenberg, 1977). Tra i primati solo il 13% delle specie vive in coppia e tale valore scende al 3% se si considera l’intera classe di mammiferi (Kleiman, 1977, Kinzey, 1987).

d) la presenza di molte specie notturne e catemerali. La catameralità, in modo particolare, è un tratto peculiare delle proscimmie, se si escludono le specie del genere Aotus del Nuovo Mondo (Wright, 1999). Tale attività è stata trovata in tutte le specie del genere Eulemur (Sussman e Tattersall, 1976; Tattersall, 1987; Colquhoun, 1998; Overdorff, 1988; Overdorff

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12 e Rasmussen, 1995; Curtis e Zaramody, 1999; Rasmussen, 1999; Donati et al., 2000; Donati et al., 2001) ed è stata documentata anche nell’Hapalemur simus, nella Varecia

variegata e nell’Hapalemur alaotrensis (Mutschler, 1999;

Wright, 1999).

Per dare una spiegazione alle caratteristiche sopraelencate sono state avanzate due ipotesi (Wright, 1999): l’ipotesi della conservazione dell’energia (Energy Conservation Hypothesis, ECH) e l’ipotesi del “disequilibrio evolutivo” (Evolutionary Disequilibrium Hypothesis, EVDH). L’ECH, proposta per la prima volta da Jolly (1966), tenta di dare una spiegazione alla luce delle particolari condizioni ecologiche del Madagascar, le cui fluttuazioni climatiche annuali e interannuali possono essere fonte di stress per gli animali e per l’attività riproduttiva delle femmine (Jolly, 1966, 1984; Richard, 1987; Young et al., 1990; Wright, 1993b). Secondo l’ECH, le femmine avrebbero assunto un ruolo dominante all’interno del gruppo in risposta a tale stress, per ottenere un maggiore accesso al cibo e poter, quindi, fornire sostanze nutritive alla propria prole (Jolly, 1984; Young et al., 1990). Poiché nelle proscimmie non malgasce, i lorisi e i galagoni, la società è a dominanza maschile (Charles-Dominique, 1977; Richard, 1987), è possibile che la dominanza femminile possa essere legata proprio alle particolari condizioni ecologiche dell’isola (Wright, 1999). In più, i lemuri hanno un periodo di gestazione più corto rispetto ai lorisi (Leutenegger, 1979) e le femmine danno alla luce una prole inetta, che, di conseguenza, ha una richiesta nutritiva maggiore (Richard, 1987). A conferma di tale ipotesi, nelle foreste secche del sud del Madagascar, dove le fonti trofiche

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13 scarseggiano, femmine di Propithecus verreauxi hanno un tasso di aggressione maggiore rispetto alle femmine di Propithecus edwardsi che popolano, invece, le foreste pluviali orientali (Richard, 1985; Kubzdela et al., 1992; Pereira e Kappeler, 1997). L’ipotesi ECH è stata ampliata da Pereira (1993a,b) e Sauther (1993, 1998), i quali suggeriscono che la produzione ciclica di fonti nutritive può aver permesso l’evoluzione, nei lemuri, di processi fisiologici volti alla conservazione dell’energia (come l’ibernazione, la riproduzione strettamente stagionale, la regolazione del tasso metabolico, del tasso di crescita e della temperatura).

Secondo l’Evolutionary Disequilibrium Hypothesis (EVDH), i recenti e drastici cambiamenti ecologici avrebbero portato a una sorta di “squilibrio” tra la situazione ecologica presente oggi in Madagascar e gli adattamenti presenti nei lemuri, sviluppatisi in condizioni ambientali diverse dalle attuali (van Schaik e Kappeler, 1996). Ad esempio secondo alcuni autori l’estinzione relativamente recente dei grandi predatori diurni (Goodman, 1994; Goodman e Rakotozafy, 1995,1997) avrebbe favorito il passaggio da una vita notturna a una diurna. In quest’ottica, la catemeralità viene proposta come fase di transizione da una vita notturna a una diurna (Richard, 1987; van Schaik e Kappeler, 1996).

Tra i pochi predatori dei lemuri rimasti i più importanti sono il fossa, mammifero catemerale (Cryptoprocta ferox; Goodman et al., 1993; Wright

et al., 1997; Wright, 1998; Hawkins e Racey, 2005) e il falco diurno

Polyboroides radiatus (Goodman et al., 1993; Karpanty e Goodman, 1999;

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1.3 Propithecus verreauxi

1.3.1 Caratteri generali

Propithecus verreauxi appartiene alla famiglia Indriidae, che comprende 18

specie distribuite all’interno di 3 generi (Avahi, Indri, Propithecus). A differenza delle specie del genere Avahi, tutte di piccole dimensioni e strettamente notturne (Thalmann, 2003), le specie del genere Propithecus, insieme a Indri indri, sono di grandi dimensioni e conducono una vita strettamente diurna (Pollock, 1977; Erkert e Kappeler 2004). Tra le specie appartenenti al genere Propithecus, il P. verreauxi è una delle più piccole e pesa in media 3,5 Kg (Richard et al., 2002). Presenta un lungo pelo soffice di colore chiaro, ad eccezione della fronte marrone. Il muso è privo di peli e gli occhi sono di un giallo vivace. Il petto e il ventre, dove la pelliccia è più rarefatta, assumono un colorito scuro (Tattersall, 1982). Il P. verreauxi è diffuso nelle foreste decidue occidentali, nelle foreste spinose xerofitiche e nelle foreste gallerie meridionali e, solo occasionalmente, nelle foreste pluviali dell’estremo sud-est (Richard, 2003). Gli animali appartenenti al genere Propithecus (ad eccezione del P. tattersalli) vengono comunemente chiamati “sifaka” a causa del loro particolare richiamo d’allarme (Richard, 2003). Tutte le specie sono arboricole e, quando si muovono sul terreno, compiono dei salti che vengono paragonati ad una sorta di “danza” (Richard, 2003). La stagione delle nascite dura circa 2-3 mesi tra Giugno e Agosto. Le madri trasportano i piccoli appena nati ventralmente, ma dopo poche settimane gli infanti vengono trasportati sul dorso (Richard, 2003). Come gli altri membri della famiglia Indriidae, il Propithecus è altamente foglivoro e le specie possono essere distinte in “granivore-foglivore” e in

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“frugivore-15 foglivore”; tale differenza può dipendere dalla disponibilità di cibo o semplicemente dalla preferenza alimentare (Richard, 2003). Il P. diadema e il P. tattersalli si cibano principalmente di semi (Meyers, 1993; Hemingway, 1995), mentre il P. verreauxi predilige l’intero frutto (Richard, 2003).

1.3.2 Socialità

Propithecus verreauxi forma gruppi misti multimale-multifemale più o

meno ampi: i gruppi più piccoli sono composti da unità familiari, mentre i gruppi più grandi, generalmente, comprendono anche individui non imparentati. I gruppi possono contenere più di una femmina in età riproduttiva, ma in media sopravvive solo un infante all’anno (Richard e Nicoll, 1987; Richard, 1992; Richard, 2003). Le femmine adulte rimangono all’interno del gruppo d’origine, mentre i maschi, generalmente, migrano nei gruppi vicini durante la fase pre-riproduttiva (Richard et al., 1991). La stagione riproduttiva è breve e altamente sincronizzata: le femmine entrano nella fase di estro tra la seconda metà di Gennaio e la prima metà di Febbraio (Richard, 1974, 2003; Richard et al., 1991). La stagione delle nascite oscilla tra Luglio e Agosto e la gestazione dura circa 160-170 giorni. L’età in cui la femmina diventa matura sessualmente varia a seconda delle condizioni ambientali: in esemplari di Propithecus verreauxi osservati presso la foresta spinosa di Beza Mahafaly le femmine raramente si riproducono a un’età inferiore ai sei anni (Richard et al., 2002) mentre nella foresta di Berenty, dove le condizioni sono migliori, la maturazione sessuale delle femmine avviene già a tre anni di età (Jolly, 1966).

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16 comprendono il suono “si-fak” in presenza di un predatore terrestre, accompagnato occasionalmente da un movimento all’indietro della testa chiamato head-bobbing; la presenza di predatori aerei, invece, induce un forte verso sincronizzato tra gli individui del gruppo (Fichtel e Kappeler, 2002).

Uno dei primi siti in cui si è svolta una ricerca approfondita su P. verreauxi è la stazione di ricerca di Hazafotsy, localizzata presso le coste meridionali malagasce. Qui Richard (1974) ha analizzato l’organizzazione sociale del P.

verreauxi, mettendo in luce la dimensione e la composizione dei gruppi, il

tipo di dispersione, l’home range, la dieta e le scelte alimentari.

Altri siti di studio sono la Riserva Naturale di Beza Mahafaly nella zona sudoccidentale dell’isola dove si svolgono studi demografici da oltre un decennio (Richard et al., 1991; Richard et al., 2002), oltre che studi ecologici (Yamashita, 2001); la foresta decidua di Kirindy, nell’ovest del Madagascar, dove sono stati effettuati studi di tipo comportamentale (Carrai e Lunardini, 1996; Carrai et al., 2003; Erkert e Kappeler, 2004; Lewis, 2006; Lewis e Kappeler, 2005; Norscia et al., 2005; Norscia et al., 2006) e la riserva privata di Berenty, in cui gli studi etologici e demografici (Howarth et al., 1986; Jolly, 1966, 1984), interrotti negli anni ottanta, sono stati ripresi solo recentemente (Norscia et al. 2009; Norscia e Palagi, 2008; Palagi et al. 2008; Simmen et al., 2003).

1.3.3 Comportamento olfattivo

La comunicazione olfattiva è particolarmente importante in molte specie di Mammiferi, ma non particolarmente studiata nei Primati.

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17 Le marcature e messaggi olfattivi simili possono essere utilizzati per una grande varietà di scopi, incluso il segnalare lo stato di dominanza, lo stato sessuale e il possesso di un territorio (Epple, 1986; Irwin et al., 2004). Le informazioni convogliate dai segnali olfattivi riguardano l’identità dell’individuo, la specie, il gruppo o la famiglia di appartenenza, lo status sociale e il sesso (Gould e Overdorff, 2002; Kappeler, 1998; Ostner et al., 2002; Palagi e Dapporto, 2006, 2007; Wyatt, 2003). La marcatura olfattiva può anche potenzialmente comunicare informazioni sulla parentela che possono essere usate in contesti come la scelta sessuale o il nepotismo (Penn e Potts, 1999). La marcatura olfattiva si osserva in molte specie di Callitrichidae (Heymann, 1998, 2000) e in altre scimmie del Nuovo Mondo (Boinski, 1993; Setz e Gasper, 1991). Nelle scimmie del Vecchio Mondo solo i mandrilli sono stati osservati marcare olfattivamente (Setchell e Dixson, 2001a).

Molte Proscimmie comunicano attraverso le marcature olfattive, inclusi i galagidi (Lipschitz et al., 2001), i lorisidi (Fisher et al., 2003) e varie specie di lemuridi (Cheirogaleus medium Ganzhorn & Kappeler, 1996;

Daubentonia madagascariensis Price & Feistner, 1994; Eulemur coronatus Kappeler, 1988; E. fulvus rufus Gould & Overdorff, 2002;

Ostner et al., 2002; E. macaco Fornasieri & Roeder, 1992; E. mongoz Curtis & Zaramody, 1999; Harrington, 1978; Hapalemur sp. Irwin et al., 2004; Nievergelt et al., 1998; Lemur catta Dugmore et al., 1984; Kappeler, 1998; Lepilemur sp. Irwin et al., 2004; Microcebus murinus Andres et al., 2001; Propithecus verreauxi Kraus et al., 1999; Richard,

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18 1974 e Varecia variegata variegata Pereira et al., 1988).

Alcuni studi si sono recentemente focalizzati sulla chimica di queste marcature, per capire se possa variare tra gli individui o le specie (Gould e Overdorff, 2002; Hayes et al., 2004, 2005; Ostner et al., 2002; Pochron et al., 2005).

Propithecus verreauxi ha un sistema olfattivo molto sviluppato (rinario

umido, organo vomero-nasale, estesi bulbi olfattivi) e il maschio di questa specie presenta varie ghiandole che producono sostanze odorose. Tra queste troviamo ghiandole odorose di colore scuro (dette “ghiandole sternali”) (Fig. 1.2), posizionate sulla superficie ventrale della gola, la cui secrezione colora il pelo circostante. In genere per effettuare la tipica marcatura maschile, definita throat marking, essi posizionano il mento contro un ramo verticale, e con un movimento verso l’alto premono la gola contro il substrato depositando il secreto. Rimangono per un attimo fermi col collo in posizione concava e la gola contro il ramo poi ricominciano la sequenza di movimenti ripetendola tre o quattro volte (Jolly, 1966).

La marcatura può essere effettuata anche con l’urina (definita vertical urine

marking), utilizzata sia dai maschi che dalle femmine. Questa prevede che

l’individuo che marca apra le ginocchia, sollevi la base della coda, posizioni l’area genitale contro un substrato verticale, e si muova verso l’alto rilasciando una linea di gocce di urina (Jolly, 1966).

La marcatura che caratterizza maggiormente le femmine ed è usata più raramente dai maschi è invece il genital marking, in cui l’animale adotta la posizione del vertical urine marking e preme la regione anogenitale contro un ramo, strofinandola dall’alto verso il basso (Jolly, 1966). Osservazioni

(19)

19 comportamentali hanno permesso di stabilire che questo particolare tipo di marcatura viene utilizzata in genere per marcare i confini del territorio difeso dal gruppo sociale (Kappeler, 1998; Hayes et al., 2004).

Tutti i tipi di marcatura vengono spesso indagati attraverso il comportamento di sniffing da altri individui, che possono anche apporre le loro marcature sopra o accanto a quelle già presenti sul substrato (overmarking/countermarking).

Propithecus verreauxi, così come altre specie del genere Propithecus, vive

in territori esclusivi (Wright, 1999), e al contrario di altri membri della famiglia Indriidae (Pollock, 1986; Powzyk, 1997), non utilizza particolari richiami vocali per proteggere i propri territori. Inoltre sia i maschi che le femmine si allontanano dal gruppo in diverse occasioni durante le loro vite (Pochron et al., 2004; Wright, 1999), il che sembra suggerire che i maschi possano utilizzare la marcatura olfattiva come deterrente alle immigrazioni di maschi outgroup e per attrarre nuove femmine.

La marcatura olfattiva dei maschi del genere Propithecus sembra quindi ricoprire tre ruoli fondamentali:

- La comunicazione di caratteristiche individuali, che riflettono lo stato fisiologico dell’animale (Dugmore et al., 1984; Endler, 1993; Epple, 1986; Hayes et al., 2004; Kappeler, 1998; Price e Feistner, 1994;). Come accennato precedentemente l’attività di marcatura è particolarmente frequente in individui di alto rango (Fisher et al., 2003; Kappeler, 1998) soprattutto se al segnale chimico è associata un’informazione di status sociale dell’individuo (Fornasieri e Roeder, 1992; Kappeler, 1998; Kraus et al., 1999; Oda, 1999). La marcatura

(20)

20 maschile in particolare può anche funzionare per sintonizzare con precisione la sincronia dell’accoppiamento dopo l’inizio dei cambiamenti del fotoperiodo che conducono all’attività riproduttiva (Kappeler, 1988; Pereira, 1991).

- La difesa territoriale, così da permettere ai gruppi vicini di familiarizzare tra loro e ridurre le aggressioni (Curtis e Zaramody, 1999; Mertl, 1977; Mertl-Millhollen, 1979; Nievergelt et al., 1998).

P.verreauxi marca con maggiore frequenza ai confini del territorio

piuttosto che all’interno (Mertl-Millhollen, 1979). Anche il comportamento di sovra-marcatura (Kappeler, 1998) suggerisce l’importanza di questo comportamento nella difesa territoriale. La marcatura olfattiva può informare i maschi della localizzazione di altri individui, scoraggiando eventuali competitori (Gould e Overdorff, 2002; Kappeler, 1998; Ostner et al., 2002).

- La marcatura olfattiva potrebbe infine facilitare la completa o parziale soppressione riproduttiva nei maschi dei lemuri (Kraus et al., 1999; Perret, 1992). In uno studio su M. murinus in cattività si è constatato che l’odore dei maschi dominanti diminuisce i livelli di testosterone e di attività sessuale negli altri maschi (Perret, 1992). Data la mancanza di dimorfismo sessuale nei lemuri, e altri adattamenti al loro sistema riproduttivo poliginico, Kappeler (1998) ha suggerito che la soppressione riproduttiva attraverso la marcatura olfattiva costituisca un meccanismo per fronteggiare la competizione. Kraus e collaboratori (1999) suggeriscono l’esistenza di una parziale soppressione riproduttiva in P.verreauxi, in relazione alla presenza di

(21)

21 chiare relazioni di dominanza tra maschi coresidenti e alla marcata presenza di alti livelli di testosterone nei maschi dominanti rispetto ai subordinati, livelli di testosterone che aumentano significativamente nei primi durante la stagione riproduttiva. Un fenomeno simile è stato riportato per L. catta (Cavigelli e Pereira, 2000).

(22)

22

1.4 Stagionalità nei Primati

Variazioni stagionali nel comportamento e nell’attività riproduttiva sono state osservate in molti Mammiferi, non solo in quelli confinati nelle zone a latitudine maggiore, dove le differenze stagionali delle condizioni climatiche ed ambientali sono più pronunciate, ma anche in quelli che abitano le zone tropicali. Tali variazioni sono state riscontrate anche nell’ordine dei Primati. Nelle specie definite “stagionali” avvengono molti cambiamenti fisiologici e comportamentali in periodi dell’anno ristretti. Il termine “stagionalità” implica, quindi, una tendenza verso il restringimento temporale dell’attività riproduttiva: esistono così periodi dell’anno ben precisi in cui sono confinate tutte le nascite (stagione delle nascite) e periodi in cui avvengono gli accoppiamenti (stagione riproduttiva).

Nei Primati c’è grande varietà nella lunghezza dell’intervallo che intercorre tra due stagioni riproduttive. Le grandi antropomorfe (Hominoidea), ad esempio, hanno un figlio ogni 4-5 anni, per contro i piccoli cheirogaleidi spesso hanno due nati in un solo anno. Possono presentare stagionalità solo quei Primati che completano il ciclo dal concepimento allo svezzamento in un anno o meno (Lindburgh, 1987). Il solo Ominoideo per cui è stata suggerita la stagionalità è Hylobates hoolock (McCann, 1932, Tilson, 1979). Tra le scimmie del Vecchio Mondo è stata trovata stagionalità in tutte le Cercopitecine che vivono a più di 20° di latitudine dall’equatore, ad eccezione di Papio ursinus, mentre nessuna Colobina è ritenuta essere strettamente stagionale (Lindburgh, 1987). Per le scimmie del Nuovo Mondo c’è minore disponibilità di dati a riguardo, tra i Callitricidi sono descritte come stagionali alcune popolazioni di specie appartenenti al genere

(23)

23

Saguinus. Leontopithecus rosolia, che è la specie più meridionale, è l’unica

in cui sia stata inequivocabilmente distinta una stagione delle nascite. Infine tra i Cebidi è stata riconosciuta sicura stagionalità solo in Saimiri (Lindburgh, 1987).

Tra le Proscimmie, molte sono le specie stagionali, ma vi sono molti casi in cui le informazioni sui cicli riproduttivi scarseggiano. I Lorisidi africani sono un gruppo che presenta grande variabilità, con specie caratterizzate da stagioni ben definite (Perodicticus potto, Galago crassicaudatus e G.

senegalensis), ed altre che non presentano stagionalità (Arctocebus calabarensis, Galago alleni ed Euoticus elegantulus) (Lindburgh, 1987). Tra

i Tarsidi, Tarsius spectrum sembra avere due stagioni delle nascite, ma la popolazione campionata è troppo piccola per permettere conclusioni definitive (MacKinnon e MacKinnon, 1980).

Tutte le informazioni disponibili indicano le proscimmie malgasce come strettamente stagionali, benché l’analisi dei loro cicli riproduttivi non sia spesso lo scopo principale degli studi effettuati. Sono state fatte osservazioni, sia in natura, sia in cattività, riguardanti le specie delle famiglie dei Cheirogaleidi, degli Indriidi e dei Lemuridi (Lindburgh, 1987). Nei Cheirogaleidi è stata osservata una forte influenza delle stagioni sulla riproduzione, ma anche sul peso corporeo e sull’attività, con studi specifici in natura, in laboratorio (Petter-Rosseaux, 1980) ed anche in cattività (Foerg e Hoffmann, 1982).

Cheirogaleus medius e Microcebus murinus mostrano in natura una

variazione stagionale di attività, con una stagione degli accoppiamenti in estate malgascia (ottobre-febbraio) ed un periodo di “letargia” durante

(24)

24 l’inverno (Petter-Rosseaux, 1980).

Negli Indriidi è stata riscontrata una stagione riproduttiva tra gennaio e marzo ed una successiva stagione delle nascite tra giugno e luglio (Petter-Rosseaux, 1964; Jolly, 1966, 1967), anche se esistono forti differenze tra le specie e tra le popolazioni che abitano regioni diverse del Madagascar (Lindburgh, 1987).

Per i Lemuridi, gli accoppiamenti sono generalmente confinati tra aprile e giugno, mentre le nascite si concentrano tra la fine di agosto e novembre, come risulta da numerose osservazioni fatte in natura (Jolly, 1966, 1967; Budnitz e Dainis, 1975; Lindburgh, 1987).

Colonie in cattività di Lemur catta, di Eulemur macaco ed Eulemur fulvus e di Varecia variegata, hanno mostrato spiccata stagionalità, con un evidente slittamento di circa sei mesi nel caso in cui esse si trovino nell’emisfero boreale (Evans e Goy, 1968; van Horn, 1975; Bogart et al., 1977).

Tra i fattori che possono influenzare la stagionalità, quelli maggiormente presi in esame sono la piovosità, la temperatura, il fotoperiodo ed i cambiamenti nella quantità e nelle proprietà nutritive del cibo. Questi sono i risultati ottenuti:

a) sebbene ai tropici ci sia spesso coincidenza temporale tra stagione secca o umida e stagione delle nascite, non ci sono evidenze certe che la quantità di pioggia e i conseguenti cambiamenti nella vegetazione influenzino l’inizio dell’attività riproduttiva (Lindburgh, 1987);

b) il fotoperiodo è un fattore implicato nella regolazione dell’attività riproduttiva, anche per le specie che vivono nelle zone

(25)

25 tropicali, dove le variazioni della lunghezza del giorno durante l’anno sono minime, ma si sono dimostrate sufficienti nel determinare stagionalità (Evans e Goy, 1968; van Horn, 1975, 1980; van Horn e Resko, 1977; Bogart et al., 1977; Petter-Rosseaux, 1970, 1980; Foerg, 1982; Rassmussen, 1985; Lindburgh, 1987; Pereira, 1993);

c) in molte specie è stata dimostrata l’influenza degli stimoli sociali, specialmente per quel che riguarda la sincronizzazione dei concepimenti all’interno dei gruppi (Jolly, 1967; Schapiro, 1985; Pereira, 1991);

d) in alcuni Primati che si riproducono stagionalmente, il maschio e la femmina possono rispondere indipendentemente ai fattori estrinseci, anche se necessitano, soprattutto i maschi, della presenza dell’altro sesso per stimolare l’attività riproduttiva (Lindburgh, 1987). Pochi sono però i lavori sperimentali sui fattori che regolano la stagionalità nei Primati, se paragonati a quelli svolti sugli altri Mammmiferi.

1.4.1 Stagionalità in Propithecus verreauxi

Propithecus verreauxi vive in ambienti altamente stagionali, caratterizzati da

una stagione umida, che va da Ottobre a Marzo e da una stagione secca, che va da Aprile a Settembre. Dal punto di vista fisiologico si è osservato che sia i maschi che le femmine della specie subiscono perdite ponderali significative durante la stagione secca (Richard et al, 2000; Lewis e Kappeler, 2005).

(26)

26 Si è ipotizzato che la richiesta di foglie nella stagione secca, da parte di un “foglivoro” come P.verreauxi, possa superare la reale disponibilità delle foreste decidue che questa specie abita (Charles-Dominique e Hladik, 1971). Come conseguenza gli individui di questa specie subirebbero uno stress nutrizionale associato alla scarsità di cibo di alta qualità, più difficile da reperire in questa stagione, che potrebbe indurli a ridurre i loro livelli di attività per conservare energia (Oates, 1987; Wright, 1999).

In uno studio condotto sui sifaka della foresta di Kirindy (ovest del Madagascar) si è riscontrata la tendenza a ridurre l’home range e la core

area durante la stagione secca, probabilmente in relazione alla diversa

strategia alimentare che viene messa in atto (Norscia et al., 2006). Infatti le foglie adulte di cui si nutrono sono le più abbondanti e diffuse in questa stagione e richiedono minori spostamenti degli animali per trovarle.

Anche l’attività giornaliera subisce un’alterazione, legata probabilmente al diverso fotoperiodo che caratterizza la stagione secca (Erkert e Kappeler, 2004), nonché alla forte diminuzione delle temperature durante la notte, che comporta la riduzione del tasso metabolico degli animali (Pereira, 1993b; Sorg e Rohner, 1996).

La strategia adottata da P. verreauxi per fronteggiare il cambiamento climatico che interviene durante la stagione secca (abbassamento delle temperature, riduzione delle ore di luce giornaliere, ecc…) sembra legata all’adozione di un pattern di attività bimodale più pronunciato rispetto a quello della stagione umida (con picchi di attività la mattina e la sera) e alla riduzione della durata dell’attività giornaliera in rapporto alla durata del giorno. Entrambe le reazioni possono essere interpretate come la possibile

(27)

27 soluzione alla necessità di ridurre la spesa energetica nella stagione più difficile da fronteggiare, sia a livello climatico che a livello nutrizionale. Soltanto nel periodo corrispondente agli accoppiamenti si è osservata la presenza di un pattern di attività unimodale temporaneamente esibito dagli individui studiati come risultato di cambiamenti stagionali del loro stato ormonale (Erkert e Kappeler, 2004). L’aumento dello stato di veglia e dell’attività motoria in questa fase sono accompagnati in certi casi anche da un aumento nei livelli di aggressività intra-gruppo e inter-gruppo (Richard e Heimbuch, 1975; Brockman et al., 1998) e dall’aumento delle distanze giornaliere percorse (Meyers e Wright, 1993).

Il sifaka presenta un ciclo riproduttivo stagionale con una stagione degli accoppiamenti che coincide con la stagione umida e una stagione delle nascite in corrispondenza della stagione secca. All’interno della stagione riproduttiva tutti gli accoppiamenti sono concentrati in un periodo molto ristretto, dato che le femmine entrano nella fase di estro che varia da un minimo di 5 h ad un massimo di 96 h (Brockman e Whitten, 1996; Brockman, 1999; Kraus et al., 1999). Le nascite dei piccoli avvengono dopo circa 5 mesi a metà della stagione secca e lo svezzamento comincia ad un’età di 5-6 mesi all’inizio della stagione umida (Meyers e Wright, 1993). Van Schaik e van Noordwijk (1985) hanno proposto un modello per spiegare la variabilità delle strategie riproduttive nei macachi di Sumatra (Macaca fascicularis). Secondo il modello esistono due principali tipi di strategie: la strategia “classica” e la strategia “alternativa”.

L’adozione della strategia “classica” prevede che le femmine sincronizzino le nascite in modo da far coincidere la metà del periodo di allattamento

(28)

28 (maggiore richiesta energetica) con quello di massima disponibilità di cibo; di conseguenza le nascite e la prima fase dell’allattamento avvengono nel periodo di bassa disponibilità alimentare.

La strategia “alternativa” invece sincronizza il momento del concepimento con il periodo in cui le risorse di cibo incrementano. In questo modo le femmine possono immagazzinare le riserve energetiche sotto forma di tessuto adiposo o sotto forma di provviste di cibo, da utilizzare durante la gravidanza. In seguito esse si basano sulle riserve precedentemente immagazzinate per coprire i costi dell’allattamento.

Da uno studio condotto da Lewis e Kappeler (2005) presso la foresta di Kirindy è risultato che Propithecus verreauxi adotta la strategia di tipo “classica”. Infatti si è osservato che il periodo che va da metà alla fine dell’allattamento coincide col periodo di massima disponibilità di cibo. Il sifaka di Kirindy mostra significative variazioni della massa corporea (18% per le femmine e 13% per i maschi) e del grasso corporeo non appena la sua dieta passa da un’alimentazione ricca di foglie giovani e frutta (alta qualità) a una dieta basata quasi esclusivamente su foglie adulte (bassa qualità). Per le femmine di questa specie sembra quindi impossibile utilizzare grasso corporeo per sopperire a una fase di massiccia richiesta energetica, dato che necessitano di queste riserve per assicurarsi la sopravvivenza.

(29)

29 Fig. 1.3 Accoppiamento tra due individui del gruppo B, Bianco e Cappuccina.

1.4.2 Ladominanza femminile in Propithecus verreauxi

L’organizzazione sociale della maggior parte dei lemuri, a differenza degli antropoidei e, più in generale, degli altri gruppi di mammiferi, si basa sulla dominanza femminile (Pereira et al., 1990). L'esatta natura della relazione tra i maschi e le femmine rimane, tuttavia, ancora poco chiara: alcuni parlano di semplice dominanza femminile, che si esplica sotto forma di superiorità agonistica della femmina sul maschio, che mostra comportamenti di sottomissione (Richard, 1987; Bernstein, 1981). Altri ritengono che la dominanza si manifesti essenzialmente con una maggiore possibilità di accesso alla fonte trofica e non ad altre risorse (Jolly, 1966; Hand, 1986). Alla base di quest'ultima teoria vi è quella che viene definita “deferenza maschile” (Jolly, 1966; Hrdy, 1981, Kappeler, 1993b). Tale comportamento trae origine dal diverso investimento parentale che devono affrontare i maschi e le femmine nella cura della prole; le femmine, infatti, devono occuparsi delle fasi di gestazione e allattamento, entrambi processi che, associati alle forti variazioni

(30)

30 climatiche annuali e interannuali del Madagascar, risultano talmente dispendiosi da portare a una notevole perdita di peso corporeo nella femmina (Richard et al., 2000).

Pertanto si ritiene che il maschio, con i comportamenti di sottomissione e, in certi casi, diminuendo il numero di conflitti, possa aiutare la femmina a perdere meno peso in cambio di un aumentato successo riproduttivo (Richard et al., 2000; Pochron et al., 2003).

Diversi dati, tuttavia, sono in contrasto con entrambe le teorie: infatti specie che condividono le stesse pressioni ambientali, come Lemur catta,

Eulemur coronatus ed Eulemur fulvus, presentano un’organizzazione

sociale differente; il L. catta e l’E. coronatus hanno società a dominanza femminile netta, mentre solo una piccola parte dei conflitti nell’E. fulvus avvengono tra maschio e femmina e di questi solo in una minima percentuale la femmina riesce a vincere sul maschio (Kappeler, 1990, 1993a). Da questi dati si comprende come vi siano molteplici fattori che possono regolare il grado di dominanza in una società (Kappeler, 1990, 1993a). Gli studi svolti sul sifaka sia in natura sia in cattività sono stati spesso contraddittori ed equivoci (Radespiel e Zimmerman, 2001): in alcuni studi, sebbene sia stato documentato un certo grado di precedenza della femmina nell’accesso al cibo, i maschi non hanno mai mostrato alcun comportamento di sottomissione (Kubzdela et al., 1992; Richard et

al., 2000). In un altro studio in natura, al contrario, sono stati riportati

comportamenti di sottomissione dei maschi sotto forma di particolari vocalizzazioni (Richard e Heimbuch, 1975).

(31)

31 scelta del partner, la formazione, i movimenti e la composizione del gruppo (Pereira e Kappeler, 1997; Pereira et al., 1990).

Dato che P. verreauxi è monomorfico (Richard, 1992), si presume che i due sessi abbiano una forza pressoché identica (ciò esclude la teoria della superiorità agonistica della femmina sul maschio). Quindi se la femmina riesce a vincere la maggior parte dei conflitti inter-sessuali è probabile che siano i maschi a permettere che ciò avvenga, secondo la già citata teoria della “deferenza maschile” (Pereira, 1993a; Pochron et al., 2003). Nel nostro studio il numero di conflitti nella stagione delle nascite non è sufficientemente alto per poter stabilire una gerarchia. Uno studio precedente, condotto sugli animali dei nostri stessi gruppi nella stagione riproduttiva, ha invece stabilito una gerarchia lineare a dominanza femminile (Kaburu, 2007). Nell’81% dei conflitti inter-sessuali esaminati le femmine prevalevano sui maschi, i quali esibivano comportamenti di sottomissione (ad esempio la fuga). Lo studio ha inoltre evidenziato un livello di aggressioni intra-sessuali femminili molto basso, risultato comprensibile se si pensa alla composizione del nucleo dei gruppi (filopatria femminile) e alla distribuzione omogenea delle risorse trofiche nella stagione umida, che diminuisce la competizione.

Al contrario le aggressioni intra-sessuali maschili erano più frequenti: ciò è dovuto, probabilmente, alla forte competizione per l’accesso alla femmina durante la stagione degli accoppiamenti (Richard, 2003).

(32)

32

1.5

Scopo del lavoro

I Primati presentano sistemi sociali complessi che prevedono l’esistenza di una complicata rete di interazioni tra i vari individui del gruppo (Aureli e Shaffner, 2002). Tali relazioni dipendono dalle caratteristiche individuali dei membri del gruppo stesso (età, sesso, rango, temperamento) e dalle interazioni tra queste. Lo studio delle relazioni sociali e del loro valore può quindi essere utile nella comprensione delle dinamiche di un gruppo di animali, della loro funzione (Seifarth, 1977; Noë et al., 1991; Hemelrijk, 1999; Henzi e Barret, 1999) e delle differenze tra i vari sistemi sociali (Wrangham, 1980; van Schaik, 1989; Sterck et al., 1997).

Poiché la flessibilità nelle relazioni ha un ruolo importante in termini di vantaggio riproduttivo, è particolarmente importante capire i meccanismi che stanno alla base della capacità di ogni individuo di modificare il proprio comportamento in relazione alla qualità del rapporto col partner e ad un particolare contesto (Aureli e Shaffner, 2002). Nel nostro caso il contesto particolare è dato dalle variazioni stagionali che modulano il comportamento sociale della specie presa in esame.

E’ infatti un ambiente sottoposto a cambiamenti piuttosto estremi quello in cui vive e si riproduce Propithecus verreauxi, che ha adattato la molteplicità dei suoi comportamenti sociali, olfattivi e aggressivi proprio a queste variazioni.

1.5.1

Ipotesi 1 – Comportamenti sociali

Abbiamo esaminato i principali comportamenti sociali messi in atto da questa specie: il grooming, sia a livello di gruppo che a livello diadico, le distanze

(33)

33 inter-individuali (misurate con parametri come prossimità e contact sitting) che caratterizzano le diverse stagioni.

1a) Il grooming come “merce di scambio”?

Il grooming, secondo la teoria dei mercati biologici, rappresenta una delle più ambite monete di scambio tra i Primati non-umani per accedere alle femmine sessualmente recettive (Noë e Hammerstein, 1994, 1995; Noë et al., 2001). Anche per le Proscimmie recentemente è stata suggerita la presenza di un mercato del grooming (Barrett e Henzi, 2001; Gumert, 2007; Norscia et al., 2009). La maggiore attività sociale all’interno del gruppo dovrebbe presentarsi quindi durante la stagione riproduttiva, periodo nel quale l’accesso alle femmine da parte dei maschi per l’accoppiamento diventa fondamentale per l’incremento della fitness.

Abbiamo inoltre esaminato i livelli diadici di grooming, contact sitting e prossimità all’interno delle due stagioni per poi confrontarle tra loro, ipotizzando che i livelli maggiori di socialità si sarebbero dovuti avere nelle diadi maschio-femmina nella stagione riproduttiva, in funzione dell’ottenimento degli accoppiamenti.

(34)

34

1b) Grooming e bimorfismo

Per quanto concerne il grooming siamo inoltre andati ad esaminare il rapporto che intercorre tra rango sociale dei maschi e grooming effettuato da questi verso le femmine. L’ipotesi verte sull’idea che si possa considerare il grooming un comportamento sociale che può essere utilizzato dai maschi come “merce di scambio” per accedere alle femmine.

In P.verreauxi è stata stabilita la presenza di bimorfismo cromatico, ossia della presenza di due varianti morfologiche maschili: maschi con petto scuro e petto chiaro. La presenza di questa diversa colorazione riflette molto probabilmente una differenza nel rango sociale di appartenenza di questi individui (Brockman et al., 1998, 2001; Kraus et al., 1999; Lewis, 2009; Lewis e van Schaik, 2007). La variante petto scuro è il risultato di una più intensa attività di marcatura effettuata con la ghiandola sternale (posizionata sotto la gola), tale colorazione deriva dalla mescolanza dei secreti e di sporco presente sul substrato sul quale vengono deposte le marcature. Al contrario i maschi petto chiaro sono meno attivi nel marcare e rimangono quindi più “puliti” in quella stessa zona.

Come in molte altre specie di primati, nei sifaka più intensa è l’attività di marcatura, maggiore è la posizione di rango occupata dall’animale. Studi recenti hanno dimostrato anche la relazione tra un maggiore livello di testosterone nei maschi dal petto scuro rispetto ai maschi petto chiaro, a riprova della relazione tra “marking badge” (segnale visivo) e dominanza (Lewis, 2009). Dato che una delle funzioni del grooming è quella di “merce di scambio” per ottenere i favori sessuali femminili, ci aspettiamo che siano i maschi subordinati a dover mettere in atto questa strategia mentre i maschi dominanti, date le loro caratteristiche intrinseche che ne determinano il rango

(35)

35 sociale, non avranno necessità di ricorrere allo scambio di “favori”.

1.5.2

Ipotesi 2 - Comportamenti olfattivi

L’utilizzo della marcatura olfattiva è, in questa specie, un comportamento particolarmente evidente e multifunzionale. La marcatura olfattiva dei maschi del genere Propithecus sembra infatti ricoprire tre ruoli fondamentali, quali la difesa territoriale, l’attrazione di femmine verso il proprio gruppo, la soppressione fisiologica nei confronti di altri maschi (Pochron et al., 2005). Per questo ci aspettiamo che la maggiore attività di marcatura olfattiva venga messa in atto durante la stagione riproduttiva quando cioè la competizione con gli altri maschi (sia interni che esterni al gruppo) e la necessità di attrarre le femmine si fanno più intense. Anche per le femmine l’attività di marcatura dovrebbe subire un aumento durante la stagione riproduttiva, data l’esigenza di ricercare accoppiamenti anche fuori dal proprio gruppo di appartenenza e quindi la necessità di “pubblicizzare” il proprio stato fisiologico.

Abbiamo esaminato anche altri comportamenti olfattivi, come lo sniffing (indagine delle marcature già presenti sul substrato) e l’overmarking/countermarking (la deposizione della propria marcatura sopra o accanto a quella già presente sul substrato) ipotizzando che, come per le marcature, si sarebbe osservato un aumento di queste attività nella stagione riproduttiva. Inoltre abbiamo esaminato l’attività di sniffing e di overmarking dei maschi sulle marcature femminili (vertical urine marking e genital

marking), ipotizzando che potrebbero esserci livelli di attività differenti in

relazione al tipo di marcatura. Alcuni studi suggeriscono che l’urina possa rappresentare un “veicolo” di informazioni sullo stato riproduttivo delle

(36)

36 femmine (Ewer, 1968; Fraser, 1968; Tembock, 1968; Crowell-Davis e Houpt, 1985; Ma e Klemm, 1997).

1.5.3

Ipotesi 3 - Comportamenti agonistici

Abbiamo esaminato i livelli di interazioni agonistiche dei sifaka ipotizzando che questi dovrebbero aumentare significativamente nella stagione riproduttiva, periodo nel quale avvengono gli accoppiamenti. Infatti è fondamentale per i maschi riuscire a difendere la propria risorsa (in questo caso “riproduttiva”) dall’accoppiamento con altri maschi, sia subordinati che outgroup (Cavigelli e Pereira, 2000; Gould e Zigler, 2007; Jolly, 1966; Ostner et al., 2002). Per le femmine, al contrario, è importante poter effettuare liberamente la scelta del maschio col quale accoppiarsi e dato che in questa specie le femmine rappresentano il sesso dominante saranno frequenti le interazioni agonistiche all’interno del gruppo proprio nella fase in cui il conflitto di interessi tra maschi e femmine si fa più aspro.

Figura

Fig. 1.4 Sessione di grooming effettuata con il “pettine dentario”.

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