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Isola di Man: in vigore l accordo sullo scambio di informazioni fiscali

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3 Marzo 2015

Fiscalità internazionale

Isola di Man: in vigore l’accordo sullo scambio di informazioni fiscali

E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di ratifica dell’accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale tra Italia e Isola di Man.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 2 marzo 2015 è stata pubblicata legge di ratifica ed esecuzione dell’accordo tra Italia ed Isola di Man, finalizzato allo scambio di informazioni in materia fiscale, fatto a Londra il 16 settembre 2013.

L’accordo prevede la reciproca assistenza tra le autorità competenti per lo scambio di informazioni rilevanti per l’amministrazione e l’applicazione delle leggi interne delle parti contraenti. Dette informazioni includono quelle rilevanti per la determinazione, l’accertamento, la riscossione delle imposte, le indagini su questioni fiscali o i procedimenti per reati tributari.

In particolare, i diritti e le misure di salvaguardia assicurati alle persone dalle leggi o dalla prassi amministrativa dello Stato interpellato restano applicabili nella misura in cui essi non impediscano o posticipino, in maniera indebita, l’effettivo scambio di informazioni.

L’accordo entra in vigore dal 3 marzo 2015.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Legge 10/02/2015, n. 12 (G.U. 02/03/2015, n. 50)

Istituito il codice tributo

Personale altamente qualificato, credito d’imposta: compensazione con F24

Operativo il credito d’imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato e ricercatori. L’Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo da utilizzare per la compensazione del credito a mezzo F24, disciplinandone le modalità e il relativo controllo di spettanza. Il modello F24 deve essere presentato esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate.

di Debhorah Di Rosa - Consulente del lavoro e pubblicista

L’Agenzia delle Entrate ha aggiunto l’ultimo tassello al percorso volto alla operatività del credito d’imposta per le assunzioni di personale altamente qualificato (art. 24 del D. L. n. 83 del 22 giugno 2012, convertito nella L n. 134 del 2012): il provvedimento emesso lo scorso 16 febbraio definisce infatti le modalità e i termini di fruizione del credito, mentre, con la risoluzione n. 18/E, è stato istituito il codice tributo 6847, necessario alla materiale compensazione dello stesso.

La assunzioni incentivate

In favore di tutti i titolari di reddito d’impresa ex art. 55 del TUIR, a prescindere dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali e dal settore economico in cui operano, è previsto un contributo, sotto forma di credito di imposta, per l’assunzioni a tempo indeterminato di personale:

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· in possesso di un dottorato di ricerca universitario;

· che abbia conseguito una laurea magistrale e sia impiegato esclusivamente in attività di Ricerca e Sviluppo;

In particolare, si intendono attività di ricerca e sviluppo quelle rientranti nei seguenti campi di applicazione:

· lavori sperimentali o teorici, aventi quale principale finalità l'acquisizione di nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili, senza che siano previste applicazioni o utilizzazioni pratiche dirette;

· ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti ovvero la creazione di componenti di sistemi complessi, necessaria per la ricerca industriale;

· acquisizione, combinazione, strutturazione e utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica e commerciale allo scopo di produrre piani, progetti o disegni per prodotti, processi o servizi nuovi, modificati o migliorati. Sono altresì incluse le ulteriori attività destinate alla definizione concettuale, alla pianificazione e alla documentazione concernenti nuovi prodotti, processi e servizi, ivi inclusi l'elaborazione di progetti, disegni, piani e altra documentazione, purché non siano destinati ad uso commerciale; la realizzazione di prototipi utilizzabili per scopi commerciali e di progetti pilota destinati ad esperimenti tecnologici o commerciali, quando il prototipo è necessariamente il prodotto commerciale finale e il suo costo di fabbricazione è troppo elevato per poterlo usare soltanto a fini di

dimostrazione e di convalida. L'eventuale, ulteriore sfruttamento di progetti di dimostrazione o di progetti pilota a scopo commerciale comporta la deduzione dei redditi così generati dai costi ammissibili.

Il credito spetta anche in caso di trasformazione di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato.

La misura del beneficio

Il contributo, spettante per dodici mesi ed erogato sotto forma di credito d'imposta, è pari al 35%, entro un limite massimo pari a 200 mila euro annui per ciascuna impresa, dell’effettivo costo del lavoro sostenuto per l’ assunzione a tempo indeterminato relativamente a:

- la retribuzione lorda, prima delle imposte;

- i contributi previdenziali obbligatori;

- i contributi assistenziali per figli e familiari;

- le spese sostenute per l’attività di certificazione contabile, entro un limite massimo di 5.000 euro, per le imprese non soggette a revisione contabile del bilancio e prive di collegio sindacale.

Le imprese aventi diritto sono tenute alla presentazione di un’istanza, attraverso l’apposita procedura telematica disponibile sul sito www.cipaq.mise.gov.it, secondo il seguente calendario:

· assunzioni effettuate dal 26 giugno al 31 dicembre 2012: dal 15 settembre al 31 dicembre 2014 (termine già scaduto);

· assunzioni effettuate nell’anno 2013: dal 10 gennaio 2015;

· assunzioni effettuate nell’anno 2014: dal 10 gennaio 2016.

La compensazione del credito

Il modello F24 deve essere presentato esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate.

In sede di compilazione del modello di pagamento F24, il codice tributo 6847 è esposto nella sezione “Erario” in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”; Il campo “anno di riferimento” è valorizzato con l’anno di assunzione del personale altamente qualificato, nel formato “AAAA”.

Il Ministero dello sviluppo economico trasmette telematicamente all’Agenzia delle entrate i dati identificativi di ciascun beneficiario e l’importo del credito concesso, nonché le eventuali variazioni.

In caso di variazioni dei dati delle imprese ammesse e/o dell’importo dell’agevolazione spettante, il modello F24 può essere presentato telematicamente all’Agenzia delle entrate a partire dal terzo giorno lavorativo successivo a quello di

comunicazione delle variazioni.

L’Agenzia delle entrate effettua dei controlli automatizzati su ciascuna delega di pagamento in compensazione: nel caso in cui l’importo del credito d’imposta utilizzato risulti superiore all’ammontare del beneficio residuo, ovvero nel caso in cui

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l’impresa non rientri nell’elenco dei soggetti ammessi al beneficio, il relativo modello F24 è scartato.

Il credito d’imposta nel Modello Unico

Il credito d'imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d'imposta nei quali lo stesso è utilizzato. Lo stesso inoltre:

· non è soggetto al limite annuale complessivo di utilizzo dei crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, pari a 250.000 euro;

· non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP);

· non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 (deducibilità degli interessi passivi dei soggetti IRPEF) e 109 comma 5 (rapporto di deducibilità di alcune spese ed altri componenti negativi) del TUIR.

La Commissione europea ha riconosciuto che il credito di imposta "non rientra nell'ambito di applicazione della disciplina degli aiuti di Stato" in quanto misura generale accessibile a tutte le imprese a prescindere dalla dimensione, dal settore e dalla localizzazione: esso non è dunque s oggetto alla disciplina del cd. “de minimis”.

Decadenza del diritto al credito d’imposta Il diritto a fruire del contributo decade:

· se il numero complessivo dei dipendenti a tempo indeterminato, al netto dei pensionamenti, è inferiore o pari a quello indicato nel bilancio presentato nel periodo d'imposta precedente l’assunzione;

· se i posti di lavoro creati non sono conservati per un periodo minimo di 3 anni, ovvero di 2 anni nel caso di PMI;

· nei casi in cui l’impresa delocalizzi l’attività in un paese non appartenente all’Unione europea, con la riduzione delle attività produttive in Italia nei 3 anni successivi al periodo di imposta in cui ha fruito del contributo, ovvero 2, nel caso di PMI;

· nei casi in cui vengano definitivamente accertate violazioni non formali, sia alla normativa fiscale che a quella

contributiva in materia di lavoro dipendente per le quali sono state irrogate sanzioni di importo non inferiore a euro 5.000, oppure violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dalle vigenti disposizioni;

· nei casi in cui siano emanati provvedimenti definitivi della magistratura contro il datore di lavoro per condotta antisindacale.

Qualora sia verificata la fruizione indebita, anche parziale, del contributo il Ministero dello Sviluppo economico dichiara la decadenza del diritto a fruire del credito di imposta e procede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni secondo legge.

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La nota del MEF

Con il bonus 80 euro pressione fiscale scesa al 43,1% del PIL nel 2014

Nel 2014 la pressione fiscale effettiva, calcolata tenendo conto degli effetti prodotti dal bonus IRPEF di 80 euro, è stata del 43,1% del PIL, in calo rispetto al 43,1% del 2013 e al 43,5% del 2012. Lo ha reso noto ieri il MEF.

Nel 2014 la pressione fiscale effettiva è stata al 43,1% del PIL, in calo rispetto al 43,4% del 2013 e al 43,5% del 2012.

Sono queste le cifre diffuse ieri dal Ministero dell’Economia, determinate partendo dai dati diffusi dall’ISTAT, corretti per tenere conto degli effetti prodotti dal bonus IRPEF di 80 euro (i cui effetti, diversamente, sono da ricomprendersi nel capitolo della spesa sociale).-

L’ISTAT – si legge in una nota del MEF – ha pubblicato le stime definitive su alcune grandezze della finanza pubblica per l’anno 2014 secondo i principi e i metodi di Contabilità nazionale a livello europeo. Tra queste, la pressione fiscale, stimata al 43,5%, lo stesso livello del 2012, mentre nel 2013 era stata leggermente inferiore (43,4%).

A tal proposito, il MEF ricorda che con il decreto legge 66/2014 il Governo ha deciso, a decorrere dal mese di maggio 2014, di alleggerire la pressione fiscale, in particolare riducendo il cosiddetto “cuneo fiscale”, cioè la differenza tra il

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costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta percepita dal lavoratore. L’intervento del Governo è stato formulato in modo “semplice e chiaro”, uguale per tutti i lavoratori con retribuzione non superiore a una soglia predeterminata: un bonus di 80 euro che riduce il peso dell’Irpef e aumenta la retribuzione netta in busta paga.

Tuttavia – si legge nella nota – proprio in virtù di questa formulazione non progressiva, le misure statistiche non

classificano l’intervento come riduzione del peso fiscale ma come spesa sociale. Leggendo la misura in termini di effetto concreto, conclude il MEF, la pressione fiscale potrebbe essere calcolata per il 2014 nel 43,1% del PIL.

A cura della Redazione

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Dal 1° aprile 2015

SISTRI: omesso pagamento del contributo, il Milleproroghe proroga le sanzioni

Con la legge di conversione del Milleproroghe 2015, in vigore dal 1° marzo 2015, sono state prorogate alcune scadenze in materia di SISTRI e di gestione dei rifiuti. Le sanzioni per l’omessa iscrizione e l’omesso pagamento del contributo sono prorogate di due mesi: dal 1° febbraio 2015 al 1° aprile 2015. All'accertamento dell’omissione del pagamento consegue anche l'obbligatoria sospensione immediata dal servizio fornito dal sistema di controllo nei confronti del trasgressore. Fino al 31 dicembre 2015 rimarrà in vigore il “doppio binario”.

di Andrea Quaranta - Environmental risk and crisis manager

Proroga per le sanzioni

La legge di conversione del disegno di legge Milleproroghe (D.L. n. 192/2014), le 27 febbraio 2015, n. 11, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2015, ha previsto la proroga di due mesi (dal primo febbraio 2015 al 1°

aprile 2015) del termine iniziale dal quale applicare le sanzioni previste per l’omessa iscrizione al SISTRI e il mancato pagamento del contributo.

Soltanto a partire dal 1° di aprile 2015, dunque, i soggetti obbligati che omettono:

- l’iscrizione al SISTRI nei termini previsti;

- il pagamento, nei termini previsti, del contributo per l’iscrizione al sistema,

saranno puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.600 a 15.500 € (sanzione aumentata da 15.500 a 93.000 euro nel caso di rifiuti pericolosi).

Ulteriore conseguenza

All’accertamento dell’omissione del pagamento consegue obbligatoriamente la sospensione immediata dal servizio fornito dal sistema di controllo nei confronti del trasgressore.

In ogni caso, in sede di rideterminazione del contributo annuale di iscrizione al sistema occorre tenere conto dei casi di mancato pagamento.

Altre proroghe in materia di SISTRI

Proroga di un anno (31 dicembre 2015) del periodo in cui continuano ad applicarsi gli adempimenti e gli obblighi relativi:

- alla responsabilità della gestione dei rifiuti;

- al catasto dei rifiuti;

- ai registri di carico e scarico;

- al trasporto dei rifiuti

antecedenti alla disciplina relativa al SISTRI.

Scopo: consentire la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti trasportati e l’applicazione delle altre semplificazioni.

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Le altre sanzioni SISTRI

Mancata compilazione del registro cronologico/scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE, secondo i tempi, le procedure e le modalità stabilite

Sanzione amministrativa pecuniaria da 2.600 a 15.500 € Nel caso di imprese che occupano un numero di unità lavorative < 15 dipendenti, la sanzione va dai 1.040 ai 6.2000 €

Se la sanzione riguarda rifiuti pericolosi la sanzione va dai 15.500 ai 93.000 euro + sospensione da un mese a un anno dalla carica rivestita dal soggetto al quale l’infrazione è imputabile

Informazioni incomplete o inesatte

Alterazione fraudolenta di uno qualunque dei dispositivi tecnologici accessori al Sistema

Comportamenti volti a impedire in qualsiasi modo il corretto funzionamento del Sistema

I soggetti che si rendono inadempienti agli ulteriori obblighi su di loro incombenti

Sanzione amministrativa pecuniaria da 2.600 a 15.500 euro per ciascuna delle violazioni (da 15.500 a 93.000 in caso di rifiuti pericolosi)

False indicazioni sulla natura, composizione e caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti

Falsa certificazione dei dati ai fini della tracciabilità dei rifiuti

483 c.p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico: reclusione fino a due anni

Trasportatore che omette di accompagnare il trasporto dei rifiuti con la copia cartacea della scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti

Sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 euro a 9.300 euro.

483 c.p. nel caso di rifiuti pericolosi

Trasportatore che accompag1na il trasporto di rifiuti con una copia cartacea della scheda SISTRI - AREA Movimentazione fraudolentemente alterata

Reclusione da tre mesi a sei anni

La pena é aumentata fino ad un terzo nel caso di rifiuti pericolosi.

Esenzione

Non risponde delle violazioni amministrative sopra elencate colui che, entro trenta giorni dalla commissione del fatto, adempie agli obblighi previsti dalla normativa relativa al SISTRI.

Nel termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o dalla notificazione della violazione, il trasgressore può definire la controversia, previo adempimento degli obblighi di cui sopra, con il pagamento di un quarto della sanzione prevista.

La definizione agevolata impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie.

Altre proroghe delle proroghe previste dalla legge di conversione

Discariche

Prorogato fino al 31 dicembre 2015 il termine di entrata in vigore del divieto di smaltimento in discarica dei rifiuti (urbani e speciali) con potere calorifico inferiore (PCI) superiore a 13.000 kJ/Kg.

Messa in sicurezza del territorio

E’ stato prorogato fino al 30 giugno 2015 (il testo originario del DL “milleproroghe” indicava come data ultima quella del 28 febbraio 2015) il termine entro cui deve intervenire la pubblicazione del bando di gara o l’affidamento dei lavori di messa in sicurezza del territorio, pena la revoca del finanziamento statale concesso a norma della legge finanziaria per il 2014.

Potere sostitutivo del Governo

Il termine per l’eventuale attivazione della procedura di esercizio del potere sostitutivo del Governo, anche con la nomina di appositi commissari straordinari, al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione, oggetto di procedura di infrazione, è stato prorogato al 30 settembre 2015.

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Novità in sede di conversione

Stoccaggio radioattivo

La Camera dei deputati ha approvato un emendamento con il quale si aumenta da 60 a 120 giorni termine entro cui la Sogin S.p.A. dovrà promuove un Seminario nazionale, in cui saranno approfonditi tutti gli aspetti tecnici relativi al Parco Tecnologico, nell’ambito delle attività di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi.

Tale termine decorre dalla pubblicazione della proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco Tecnologico, nonché del progetto preliminare e della relativa documentazione.

Gestioni comunali relative ai rifiuti in Campania

Nelle more della riorganizzazione del ciclo dei rifiuti in Campania viene differito al 31 dicembre 2015 il termine di scadenza della fase transitoria durante la quale, nel territorio della Regione Campania, le sole attività di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti e di smaltimento o recupero inerenti alla raccolta differenziata continuano ad essere gestite dai comuni, in luogo del subentro in tali funzioni da parte delle province.

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Sanzioni amministrative formali

Adempimenti amministrativi: tempestivi se effettuati entro il giorno lavorativo successivo al sabato

Qualora la scadenza del termine di trenta giorni previsto per gli adempimenti di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 12 T.U.

approvato con D.P.R. n. 1124/1965, scada il sabato, l’adempimento è considerato tempestivo se effettuato il primo giorno lavorativo successivo. E’ quanto chiarisce l’INAIL con nota n. 1150 del 2 marzo 2015.

I datori di lavoro devono denunciare all’INAIL entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento le seguenti variazioni:

- eventuali modificazioni di estensione e di natura del rischio già coperto dall’assicurazione;

- la cessazione della lavorazione;

- variazioni riguardanti l’individuazione del titolare dell’azienda, il domicilio e la residenza di esso, nonché la sede dell’azienda.

Generalmente per gli adempimenti che presuppongono un termine di scadenza, in applicazione del principio posto dall’art. 1187 del codice civile, ove detto termine scada in un giorno festivo nulla osta a che la scadenza venga

prorogata al primo giorno feriale successivo. Tale proroga non è così scontata per gli adempimenti amministrativi, per cui manca una norma di carattere generale sul computo dei termini.

L’INAIL con nota n. 1550 del 2 marzo 2015 ritiene che possano essere applicate, in via analogica, le disposizioni dettate dal Legislatore in ambito processuale, sia civile che amministrativo che, in caso di adempimenti che scadono nella giornata di sabato, prevedono la proroga al primo giorno lavorativo successivo.

A rafforzare tale pensiero, interviene anche l’entrata in vigore del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), che ha reso obbligatorio l’utilizzo del mezzo telematico per gli adempimenti amministrativi, presentazione di istanze,

dichiarazioni dati etc., tra i quali rientrano le denunce di cui in oggetto. In esso è espressamente stabilito che, per i versamenti e gli adempimenti, pur se solo telematici, verso l’Amministrazione economico-finanziaria scadenti nella giornata di sabato o in un giorno festivo, siano rinviati al primo giorno lavorativo successivo.

Nella nota si invitano dunque le Sedi a prestare attenzione alla data di presentazione delle denunce e provvedere all’annullamento della sanzione automaticamente elaborata dalla procedura GRAWeb qualora detto termine cada di sabato o in giorno festivo e l’adempimento sia posto in essere il primo giorno lavorativo successivo, al fine di evitare richieste di sanzioni amministrative non dovute sulla base delle presenti disposizioni.

A cura della Redazione

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Copyright © - Riproduzione riservata INAIL, nota 02/03/2015, n. 1550

Cassazione

Licenziamento di lavoratore disabile: annullabilità e quota di riserva

Al licenziamento per superamento del comporto non si applicano le disposizioni sul licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo. Con una interessante sentenza, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha affermato un importante principio in tema di licenziamento per superamento del comporto, in particolare precisando che la norma che prevede l'annullabilità del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente «qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva» riguarda soltanto il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo e non anche gli altri tipi di recesso datoriale.

Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato da un lavoratore e la società in accomandita semplice che lo aveva licenziato.

La Corte d'appello ha confermato la sentenza del Tribunale con la quale era stata rigettata la domanda di M.G., collocato obbligatoriamente presso l'A.A.C.G. S.a.s. di A.G. & C., volta ad accertare l'illegittimità del licenziamento comminatogli il 4/1/2006 per superamento del periodo di comporto.

La Corte d'appello ha rilevato che il lavoratore lamentava la violazione della norma secondo cui era annullabile il licenziamento di lavoratore occupato obbligatoriamente per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo quando al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente fosse inferiore alla quota di riserva. Secondo la Corte d’appello il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituiva un'ipotesi speciale di licenziamento che trovava una sua specifica disciplina prevalente sia sulla disciplina della risoluzione per impossibilità parziale sopravvenuta, sia su quella limitativa dei licenziamenti di cui allo Statuto dei

lavoratori, con la conseguenza che il superamento del termine, determinato dalla disciplina collettiva o dagli usi o in difetto dal giudice, costituiva condizione sufficiente di legittimità del recesso. La Corte ha poi sottolineato che il licenziamento per superamento del comporto era distinto dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo; che la norma evocata era di stretta interpretazione e che, pertanto, non era applicabile alla fattispecie in esame. Infine la Corte ha escluso che la malattia del ricorrente fosse riconducibile all'attività svolta non avendo mai esercitato mansioni incompatibili.

Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione M.G., in particolare sostenendo che il licenziamento per superamento del comporto è licenziamento per giustificato motivo oggettivo seppure speciale e che la Corte d’appello non si era pronunciata sulla natura del recesso citando soltanto sentenze che sottolineavano la specialità del recesso.

La Cassazione ha respinto il ricorso del lavoratore, affermando un principio di diritto presente nella giurisprudenza della Corte ma che, per la sua importanza, dev’essere in questa sede ribadito.

Sul punto, va preliminarmente ricordato che la materia è regolata dalla Legge n. 68 del 12.3.1999 "Norme per il diritto al lavoro dei disabili" (e relativo regolamento di attuazione D.P.R. 10.10.2000 n. 333) che si prefigge lo scopo di

promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso un collocamento mirato. La legge permette ai datori di lavoro privati e pubblici con più di 15 dipendenti, che devono

rispettare l’obbligo di assunzione di una quota di lavoratori disabili, di accedere ad agevolazioni economiche e supporti tecnici e consulenziali. Il Ministero del Lavoro ha precisato che i benefici contributivi possono cumularsi, ma non potrà in ogni caso eccedere il 100% della contribuzione a carico del datore di lavoro. L’Inps ha regolato la materia delle

agevolazioni con la circolare n. 203 del 19.11.2001 e con i messaggi n. 320 del 16.7.2002, n. 337 del 27.09.2002, n. 151 del 17.12.2003 e n. 33491 del 19.10.2004. Al lavoratore assunto con la legge n.68/99, si applica il trattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi, come tutti gli altri lavoratori. Il datore di lavoro non può chiedere al

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disabile una prestazione non compatibile con le sue disabilità. Il licenziamento per riduzione del personale o per giustificato motivo oggettivo , esercitato nei confronti di un lavoratore occupato obbligatoriamente, è annullabile se il numero dei lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva.

Tanto premesso, nel caso in esame, i giudici della Suprema Corte hanno rilevato che le previsioni della legge n. 68 del 1999 sono tassative e non possono estendersi al licenziamento per superamento del comporto o al licenziamento disciplinare. La Corte d'appello, dunque, facendo corretta applicazione di tali principi, ha escluso che al licenziamento per superamento del comporto fosse applicabile la legge n. 68 citata. Contrariamente a quanto affermato dal lavoratore, nel rilevare la specialità della figura di detto licenziamento, richiamando anche la giurisprudenza della Cassazione sul punto, la Corte di appello ha inteso proprio sottolineare che il licenziamento per superamento del comporto non è riconducibile alle altre ipotesi previste dalla legge n. 68 del 1999, atteso che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al quale si riferisce tale disposizione, non può che essere quello per soppressione del posto (ossia il cd.

licenziamento economico) in simmetria con il licenziamento collettivo per riduzione di personale.

Da qui, dunque, il rigetto del ricorso.

Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza.

Ed invero, secondo l’interpretazione offerta dalla Cassazione, la norma che prevede l'annullabilità del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente «qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva»

(ossia, l’art. 10 della legge n. 68 del 1999) riguarda soltanto il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo e non anche gli altri tipi di recesso datoriale.

Precedenti giurisprudenziali e riferimenti normativi

Precedenti giurisprudenziali: Cass. Civ., Sez. L, sentenza n. 15873 del 20 settembre 2012 Riferimenti normativi: L. 12/03/1999, n. 68, art. 10, co. 4

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Cassazione, Sez. L, sentenza 26/2/2015, n. 3931

Addio al segreto bancario

Scambio di informazioni, accordo con il Principato di Monaco

Siglato un accordo in materia di scambio di informazioni fiscali tra Italia e Principato di Monaco che, analogamente a quanto già avvenuto con la Svizzera ed il Liechtenstein, pone fine al segreto bancario nel principato monegasco.

A pochi giorni di distanza dalla sottoscrizione degli accordi con la Svizzera e il Liechtenstein, è giunta ieri la firma di un accordo sullo scambio di informazioni tra Italia e il Principato di Monaco che, in analogia con le suddette intese pone fine al segreto bancario con Montecarlo.

L’Accordo è basato sul modello OCSE di Tax Information Exchange Agreement (TIEA) e consentirà lo scambio di informazioni su richiesta. Lo Stato a cui sono richieste le informazioni non potrà rifiutarsi di collaborare per mancanza di interesse ai propri fini fiscali.

L’intesa consentirà a Montecarlo di uscire dalla black-list fiscale-finanziaria, permettendo ai contribuenti italiani che intendono avvalersi della procedura di collaborazione volontaria per il rientro dei capitali (voluntary disclosure) di beneficiare di condizioni maggiormente vantaggiose ai fini della regolarizzazione.

Ai soli fini della procedura di collaborazione volontaria, infatti, i Paesi “black list” che abbiano sottoscritto entro il 2 marzo 2015 un accordo con l’Italia per lo scambio di informazioni, sono di fatto equiparati agli effetti sanzionatori ai Paesi white list. Ciò significa che non troveranno applicazione né il raddoppio dei termini di accertamento, né l’impianto sanzionatorio previsto per le violazioni relative ai Paesi black list.

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I due ministri hanno firmato anche un Protocollo aggiuntivo in materia di richieste di gruppo, in virtù del quale sarà possibile presentare richieste su categorie di comportamenti che lascino presumere l’intenzione dei contribuenti di nascondere al fisco italiano patrimoni/attività detenute irregolarmente nel principato.

In occasione dell’incontro è stato firmato anche un Protocollo in materia di richieste di gruppo, grazie al quale sarà possibile presentare richieste su categorie di comportamenti che lascino presumere l’intenzione dei contribuenti di nascondere al fisco italiano patrimoni/attività detenute irregolarmente nel Principato.

L’applicazione dell’accordo sullo scambio di informazioni e del Protocollo aggiuntivo è subordinato alla ratifica da parte dei rispettivi Parlamenti, a decorrere dalla data della firma. Di conseguenza lo scambio di informazioni potrà riguardare elementi in essere alla data del 2 marzo 2015.

Insieme all'Accordo e al Protocollo è stata firmata anche una dichiarazione congiunta di carattere politico con la quale i due Paesi confermano il reciproco impegno ad applicare lo scambio automatico di informazioni sulla base dello standard globale OCSE, nel rispetto della tempistica concordata a livello internazionale.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata

Proventi da evasione fiscale

Voluntary disclosure, autoriciclaggio, confisca: tre tessere di un puzzle molto complicato

L’imminente attuazione della voluntary disclosure e l’introduzione del delitto di autoriciclaggio rendono di estrema importanza una riflessione sul regime dei proventi da evasione fiscale. I quesiti che sorgono in proposito, di immediata e intuitiva rilevanza pratica, sono i seguenti: il risparmio fiscale ottenuto dall’evasore comporta l’acquisizione, in termini penalistici, di un profitto illecito? Tale profitto è suscettibile di sequestro e confisca, nel quadro degli strumenti punitivi, di sicurezza e prevenzione previsti dalle norme penali? E ancora: il profitto può essere oggetto della condotta del delitto di autoriciclaggio? Infine, come interferiscono con i profili penali le ipotesi di successivo pagamento della imposta, in misura integrale, ovvero “ridotta” per effetto di misure di condono o di definizione agevolata della pretesa tributaria, tra cui la disclosure?

di Alberto Marcheselli - Professore di Diritto Finanziario nella Università di Genova - Avvocato

Si tratta di temi nuovi ed estremamente complessi, dei quali in questa sede si potrà solo dare conto in misura rigorosamente sintetica.

Il risparmio fiscale ottenuto dall’evasore comporta l’acquisizione, in termini penalistici, di un profitto illecito?

Quanto al primo quesito, non vi è dubbio che, in termini sistematici, risparmiare una spesa possa costituire un profitto.

Risparmiare illecitamente può costituire un vantaggio illecito. Rovesciando i termini tradizionali della definizione del danno ingiusto (il danno emergente o il lucro cessante) si può dire che il profitto illecito può essere sia un… lucro emergente che un… danno cessante. Può solo osservarsi, per quanto può rilevare, che il risparmio di spesa non si traduce in utilità o beni immediatamente frutto del reato. Se rubo una collana, il prodotto del reato è la collana, se evito di pagare non si può individuare quali beni, quali banconote, quale quota dei miei crediti verso la banca originino

dall’evasione.

Tale profitto è suscettibile di sequestro e confisca, nel quadro degli strumenti punitivi, di sicurezza e prevenzione previsti dalle norme penali?

Ne consegue, sempre in termini sistematici, che non vi sono ostacoli al sequestro o confisca di tale profitto, quando sia consentito il sequestro anche senza la individuazione dello specifico bene che sia frutto del reato. Così, in tutti i casi in cui sia ammessa la confisca di valore (o per equivalente) non si può dubitare della confiscabilità del profitto da evasione fiscale.

Si impone però una precisazione assolutamente fondamentale.

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Non può confondersi, sotto il profilo della struttura dell’illecito, l’evasione fiscale con reati quali, ad esempio, il furto, la rapina, la corruzione. Per quanto si dica spesso che l’evasore è un ladro e l’evasione sia spesso avvicinata, come piaga sociale, alla corruzione, si tratta di reati con una struttura diversa.

Se io rubo 100 in una cassaforte o rapino 100 in una banca, io “rubo” 100. Se guadagno lecitamente 100 e non verso le imposte per 40, io “rubo” 40. Allo stesso modo, se io prendo una tangente di 100, il mio arricchimento 100 è tutto illecito, perché senza corruzione nulla avrei guadagnato, ma se guadagno 100 e ometto di versare l’imposta di 40, il profitto resta 40, perché l’evasione fiscale produce il vantaggio 40, non è che, perché io “dopo” aver guadagnato ometto di pagare le imposte, divento un delinquente anche quando… lavoravo a monte.

L’evasore delinque non pagando sui frutti del suo lavoro, non lavorando, mentre il ladro delinque… lavorando.

Ne consegue che ciò che è confiscabile non è il frutto non dichiarato dell’attività dell’evasore (il nero) ma l’imposta su tale frutto (l’imposta sul nero). Certo, può risultare difficile distinguere il frutto lecito e quello illecito, per l’evasore fiscale, quando esso reinvesta il risparmio illecito nella impresa. In tali casi, taluno ha parlato efficacemente di “anatocismo dell’illecito”.

Non è semplice stabilire cosa sia guadagno lecito e illecito in tali ipotesi.

Le SS. UU. della Corte di Cassazione hanno stabilito che tale difficoltà giustificherebbe la confisca integrale, ma tale soluzione desta perplessità giuridica. Equivarrebbe a quelle soluzioni che si praticavano a volte a scuola: se il professore trova una frase ingiuriosa scritta sulla lavagna e non esce fuori il colpevole, si punisce tutta la classe. Ciò non sembra corretto se fatto da un professore (che potrebbe avere la giustificazione, che il giudice non ha, di punire la connivenza), figuriamoci da un giudice: va confiscato il profitto del reato e confiscare tutto il guadagno dell’impresa dell’evasore implica, con certezza, confiscare anche guadagni leciti e indipendenti dall’evasione: meglio ricorrere a percentuali presuntive tratte da valutazioni di economia aziendale se si vogliono evitare soluzioni contrarie al principio di proporzionalità.

Tale profitto può essere oggetto della condotta del delitto di autoriciclaggio?

Venendo al terzo quesito, se il risparmio è illecito e costituisce un profitto, è ipotizzabile che esso venga nascosto e quindi integri il delitto di riciclaggio o autoriciclaggio.

C’è solo da superare un ostacolo, correlato alla difficoltà di individuare l’”oggetto da nascondere”. Visto che si tratta di aver evitato illecitamente di sostenere una spesa, quali sono i beni il cui occultamento integra il delitto. Nascondere, impiegare, trasformare la collana rubata integra intuitivamente la condotta punibile, così come trasformare le valigie di denaro ottenute dalla rapina o dalla corruzione.

Ma con il risparmio di spesa come si fa? E come si va, in particolare nel caso dell’autoriciclaggio, dove occorre aver

“concretamente” ostacolato l’accertamento?

Il punto è da esplorare, ma è interessante domandarsi se possa concorrere a configurare il delitto il fatto che fosse individuato il “nero” (ad esempio su un conto corrente estero), poi disperso. Si può ritenere che l’imposta risparmiata illecitamente fosse una quota della provvista nera?

Come interferiscono con i profili penali le ipotesi di successivo pagamento della imposta, in misura integrale, ovvero “ridotta” per effetto di misure di condono o di definizione agevolata della pretesa tributaria, tra cui la disclosure?

Quanto al quarto profilo, in questa sede c’è spazio per affrontare solo una parte del quesito. Ricordato che la giurisprudenza, anche a SS.UU. ritiene irrilevanti condoni, definizioni agevolate e assume che l’entità del profitto andrebbe autonomamente valutata dal giudice penale, sta comunque il fatto, che sembra decisivo, che sembra difficilmente smontabile il sillogismo seguente:

(premessa maggiore) si confisca il profitto illecito;

(premessa minore) è l’imposta evasa il profitto illecito;

(conclusione) se l’imposta evasa è stata pagata non vi è più nulla da confiscare.

Ciò si traduce in una importantissima indicazione in materia di voluntary disclosure: solo nel caso in cui possa ritenersi che per effetto di essa sia stata pagata tutta l’imposta dovuta si potrà ritenere il collaborante al riparo di sequestri e confische penali.

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In vigore dal 31 marzo 2015

Fatturazione elettronica verso la PA locale: prevista una fase transitoria?

Con riferimento alla nuova scadenza del 31 marzo 2015 per le fatture emesse nei confronti della PA locale, è possibile che un Comune riceva dopo il 31 marzo una fattura in formato cartaceo emessa in precedenza. Il buon senso dovrebbe portare a ritenere applicabile, anche con riferimento alla nuova scadenza, la fase transitoria di tre mesi prevista dal D.M. n. 55/2013, per cui la PA locale dovrebbe continuare ad accettare le fatture cartacee emesse prima del 31 marzo per altri tre mesi, per poi procedere al pagamento delle stesse. Tuttavia, la fase transitoria di tre mesi decorre dal 6 giugno 2014 e quindi ha oggi ampiamente esaurito i suoi effetti.

di Nicola Forte - Dottore commercialista in Roma

Il 31 marzo prossimo entrerà in vigore l’obbligo di fatturazione elettronica anche per le prestazioni rese nei confronti della Pubblica Amministrazione locale. I documenti emessi nei confronti dei Comuni, Province, Regioni, etc. dovranno essere gestiti esclusivamente in formato elettronico XML.

La nuova scadenza segue quella precedente del 6 giugno 2014. A partire da tale data la fatturazione elettronica è stata resa obbligatoria anche per le prestazioni poste in essere nei confronti di Ministeri, Agenzie fiscali e Enti nazionali (INPS, INAIL, etc.).

Una disposizione di particolare importanza è rappresentata dall’art. 6, comma 5, D.M. 3 aprile 2013, n. 55 in base alla quale, trascorsi tre mesi dalla data di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica, le pubbliche amministrazioni non possono procedere ad alcun pagamento, nemmeno parziale, sino all’invio delle fatture in formato elettronico.

Si è già posto il problema se il divieto di pagamento dovesse riguardare anche le fatture emesse in formato cartaceo anteriormente alla prima scadenza datata 6 giugno 2014.

Ad esempio una fattura avrebbe potuto essere emessa in formato cartaceo il 28 maggio 2014 ed essere ricevuta dopo il 6 giugno.

È sorto così il dubbio se il pagamento potesse o meno essere effettuato anche dopo il 6 settembre, laddove la gestione del documento in formato cartaceo avesse allungato oltre misura i tempi di pagamento.

Il problema è stato affrontato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la circolare n. 1/DF del 31 marzo 2014. Il documento di prassi ha risolto il problema facendo riferimento all’art. 1, comma 210 della legge n. 244/2007 la cui concreta attuazione è avvenuta ad opera dell’art. 6 del decreto ministeriale citato.

Secondo la circolare, “la disposizione in sostanza prevede che l’obbligo di emissione in forma elettronica preceda di tre mesi la corrispondente decorrenza del divieto di accettazione e pagamento di fatture in formato cartaceo. Si tratta di un periodo di transizione, durante il quale le pubbliche amministrazioni possono ancora accettare e pagare fatture emesse entro il termine di decorrenza dell’obbligo di cui al citato comma 209 in forma cartacea, mentre i fornitori, a partire dal suddetto termine di decorrenza dell’obbligo, non possono più emettere in forma cartacea”.

La circolare interpretativa del MEF, sul punto, definiva questi tre mesi come "un periodo di transizione, durante il quale le pubbliche amministrazioni possono ancora accettare e pagare fatture emesse - entro il termine di decorrenza dell'obbligo (il 6 giugno, ndr) - in forma cartacea, mentre i fornitori, a partire dal suddetto termine di decorrenza dell'obbligo, non possono più emettere fatture in forma cartacea".

In sostanza, la norma è servita ad assorbire il ritardo fisiologico che accompagna lo stacco della fattura dal suo recapito all'amministrazione, generato semplicemente dalla consegna a mezzo posta. Motivo per cui è stata data facoltà alle amministrazioni di continuare a lavorare quelle fatture, fino ad arrivare al pagamento; ciò vale anche per le forniture il cui conto è stato staccato prima del 6 giugno e recapitato entro il 6 settembre, ma che non sono ancora state pagate.

Non è necessario, in questo caso, emettere una fattura in formato elettronico, ma si procede con il pagamento.

La circolare del MEF è andata anche oltre precisando che se la fattura, emessa prima del 6 giugno scorso, è pervenuta entro il termine di tre mesi dall’entrata in vigore del regolamento (entro il 6 settembre) il debito deve

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essere pagato anche se il procedimento di lavorazione del documento determina il superamento della scadenza di tre mesi.

La medesima soluzione dovrebbe valere con riferimento alla nuova scadenza del 31 marzo prossimo per le fatture emesse nei confronti della PA locale. È possibile, ad esempio, che un Comune riceva una fattura in formato cartaceo dopo il 31 marzo, ma emessa in precedenza.

Il buon senso dovrebbe portare a ritenere applicabile, anche con riferimento alla nuova scadenza la fase transitoria di tre mesi. La Pubblica Amministrazione locale dovrebbe continuare ad accettare le fatture cartacee emesse in precedenza alla data del 31 marzo per altri tre mesi per poi procedere al pagamento delle stesse. Tuttavia, la fase transitoria di tre mesi decorre dall’entrata in vigore del D.M. n. 55 del 2013, quindi dal 6 giugno.

In altre parole sono state ritenute valide le fatture emesse prima del 6 giugno 2014 e ricevute entro il 6 settembre. L’art.

1, comma 210 della legge n. 244/2007 fa decorrere tale fase, come ricordato, dal 6 giugno 2014. Oggi, quindi, tale fase ha ampiamente esaurito i suoi effetti e, in base ad un’interpretazione letterale della norma non sembra essere prevista la possibilità di accettare anche in questo caso, le fatture emesse correttamente anteriormente al 31 marzo prossimo. Tale interpretazione risulterebbe però incomprensibile. È pertanto auspicabile che il MEF si esprima positivamente con un pronto chiarimento.

Diversamente i soggetti obbligati all’emissione della fattura elettronica dal 31 marzo (nei confronti della PA locale) risulterebbero penalizzati laddove le fatture emesse in formato cartaceo anteriormente a tale data pervenissero alla Pubblica amministrazione successivamente. Infatti, ove si ritenesse mancante la fase transitoria, gli enti destinatari dei documenti sarebbero costretti a non effettuare il pagamento richiedendo al prestatore/cedente l’emissione di un nuovo documento in formato elettronico.

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Aziende che occupano fino a 15 dipendenti

Licenziamenti: tutele crescenti se si supera la soglia dimensionale

Il decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti prevede l’applicazione di nuove disposizioni in materia di licenziamenti individuali e collettivi ai neoassunti. Costituiscono eccezione a tale regola alcune fattispecie particolari: tra queste, l’ipotesi in cui, a seguito dell’assunzione di nuovi lavoratori con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, il datore di lavoro che non sarebbe stato soggetto al regime della tutela reale vi ricada per superamento dei limiti dimensionali. In tal caso a tutti i lavoratori, compresi quelli già in forza prima dell’entrata in vigore del decreto, sono applicabili le nuove regole sul contratto a tutele crescenti.

di Alfredo Casotti,, Maria Rosa Gheido - Consulenti del lavoro

Per regola generale, il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti si applica alle sole assunzioni effettuate a far data dall’entrata in vigore del decreto legislativo che attua la delega conferita al Governo dalla legge n.

183/2014.

Le nuove disposizioni in materia di licenziamenti individuali e collettivi non vanno, pertanto, ad incidere sul regime delle tutele di cui fruiscono i lavoratori già in forza a tale data. Costituiscono eccezione a tale regola alcune fattispecie particolari:

· il nuovo regime si applica in caso di trasformazione a tempo indeterminato del contratto a termine, anche se stipulato antecedentemente l’entrata in vigore della nuova disciplina

· in caso di conferma a tempo indeterminato del contratto di apprendistato già in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame, al lavoratore si applicano le nuove regole

· se, a seguito dell’assunzione di nuovi lavoratori con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, il datore di lavoro che non sarebbe stato soggetto al regime della tutela reale vi ricade, tutti i lavoratori compresi quelli già in forza prima dell’entrata in vigore del decreto, sono assoggettati alle nuove regole introdotte da quest’ultimo.

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Quest’ultima ipotesi è particolarmente interessante e va a favore dei datori di lavoro che avrebbero potuto cercare soluzioni diverse da quelle dell’assunzione al solo fine di evitare di superare il limite numerico dei quindici dipendenti nell’unità produttiva.

Pertanto, nel definire il campo di applicazione della nuova disciplina, il comma 3 dell’articolo 1 del decreto recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, dispone che, qualora il datore di lavoro , in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto stesso, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del citato decreto.

Il richiamato articolo 18 al comma 8 dispone l’applicabilità delle norme sui licenziamenti individuali e sulla tutela reale assicurata ai lavoratori impiegati presso datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupano più' di quindici

lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.

I datori di lavoro che non raggiungono i limiti dimensionali di cui sopra sono, invece, soggetti alla disciplina della legge 604/1966 che prevede un indennizzo economico (da 2,5 a 6 mensilità) a favore dei dipendenti licenziati

illegittimamente.

I datori di lavoro che, prima delle nuove assunzioni erano esclusi dall’ambito della tutela reale che a seguito dell’assunzione di nuovi dipendenti (o della trasformazione di contratti a termine o della conferma degli apprendisti) secondo la nuova disciplina vi sono, invece, ricondotti, applicheranno le nuove regole in materia di licenziamenti sia individuali che collettivi a tutti i dipendenti, anche se già in forza alla data di entrata in vigore del decreto in commento.

Peraltro, l’articolo 9 del decreto legislativo delegato introduce una disciplina specifica per i datori di lavoro che non raggiungono i limiti dimensionali previsti dall’articolo 18 della legge n. 300, dimezzando l'ammontare delle indennità e dell’importo previsti dall'articolo 3, comma 1, dall’articolo 4, comma 1 e dall’articolo 6, comma 1, dello stesso decreto in caso di licenziamenti operati senza giustificato motivo e giusta causa, con vizi formali o procedurali o in caso di offerta conciliativa.

Secondo la previsione normativa in commento, nel caso in cui “ il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente decreto”.

Resta ovviamente ferma la reintegra del lavoratore nei cui confronti il giudice abbia dichiarato la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio o riconducibile ad uno dei casi di nullità previsti dalla legge.

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Finanziamenti agevolati

Piccole e medie imprese: consulenti del lavoro protagonisti del microcredito

La campagna informativa denominata: “Il microcredito dai Consulenti del Lavoro” dei Consulenti del Lavoro partirà a breve. Il 5 marzo 2015 si aprirà infatti, ufficialmente il bando del Mise che mette a disposizione circa 40 milioni di euro per il Microcredito (decreto 176/2014) a favore di soggetti che non hanno tutte le garanzie per ottenere un prestito bancario.

Con un comunicato stampa del 2 marzo 2015 i consulenti del lavoro annunciano che il 5 marzo 2015 si aprirà

ufficialmente il bando del Mise che mette a disposizione circa 40 milioni di euro per il Microcredito (decreto 176/2014) a

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favore di soggetti che non hanno tutte le garanzie per ottenere un prestito bancario.

I potenziali beneficiari di questi fondi è molto ampia ed è rappresentata dai soggetti che non posseggono alcuna garanzia reale, che potranno chiedere prestiti fino ad un massimo di 35 mila euro e restituirli in 7/10 anni grazie all’intervento dello Stato.

I beneficiari, una volta ottenuti i finanziamenti richiesti, avranno bisogno dell’apporto professionale dei Consulenti del Lavoro nella gestione di tutti gli adempimenti.

Il Consiglio Nazionale si è dunque, proposto quale promotore della campagna informativa denominata: “Il microcredito dai Consulenti del Lavoro”, e dopo la conferenza stampa che si terrà il 4 marzo 2015, alla quale parteciperanno Luigi Di Maio, Vicepresidente della Camera dei deputati, e Marina Calderone, Presidente del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, invierà a tutti gli iscritti la documentazione necessaria per far sì che gli interessati trovino presso gli studi dei Consulenti tutte le istruzioni operative ed un aiuto concreto per compilare l’apposita domanda.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Consulenti del Lavoro, comunicato stampa 02/03/2015

Iva

Split payment: i chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate

L'Agenzia delle Entrate, nelle Circolari 1/E e 6/E del febbraio 2015, ha fornito alcuni chiarimenti con riguardo all'ambito di applicazione dello “split payment” e ai suoi rapporti con i regimi IVA speciali e le operazioni soggette a ritenuta fiscale.

di Mirco Gazzera

Premessa: lo “split payment”

La “Legge di stabilità 2015” (Legge 23 dicembre 2014 n. 190 art. 1 c. 629, lettera b) ha introdotto un nuovo meccanismo, denominato “scissione dei pagamenti” (c.d. “split payment”), in base al quale l'IVA indicata in fattura dai cedenti/prestatori di certe Pubbliche Amministrazioni è versata all'Erario direttamente da queste ultime. La finalità del nuovo istituto è quella di tutelare l'interesse erariale all'effettivo incasso del tributo.

La Circolare n. 1/E del 09.02.2015 Ambito di applicazione soggettivo

Lo schema dello “split payment” trova applicazione per le operazioni fatturate, poste in essere a partire dal 1° gennaio 2015, nei confronti delle P.A. sostanzialmente già indicate nell'art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 (Stato e suoi organi, Enti pubblici territoriali, CCIAA, istituti universitari, aziende sanitarie locali, enti ospedalieri, enti pubblici di di ricovero o beneficenza ed enti pubblici di previdenza). Il documento di prassi dell'Agenzia delle Entrate, al fine di agevolare l'individuazione delle P.A. interessate, invita i contribuenti a verificare sul sito internet www.indicepa.gov.it la categoria IPA di appartenenza. Per la risoluzione dei casi concreti dubbi si rinvia, pertanto, alla lettura dell'elenco contenuto nella Circolare a pagina 8 e 9.

Sanzioni

L'Agenzia delle Entrate, richiamando i principi dello “Statuto del contribuente”, nella Circolare in commento ha disposto la non applicazione delle sanzioni nei confronti delle P.A. che abbiano pagato l'IVA al fornitore, anziché versarla

direttamente all'Erario. Questo a condizione il cessionario/prestatore abbia regolarmente computato l'IVA a debito nella propria liquidazione periodica IVA. Nell'ipotesi contraria nella quale il fornitore abbia erroneamente indicato la dicitura

“split payment”, con riguardo a un'operazione non soggetta al citato meccanismo, la fattura dovrà essere rettifica e l'imposta versata con le modalità ordinarie.

Gli ultimi chiarimenti contenuti nella Circolare n. 6/E del 19.02.2015

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Split payment e regimi speciali IVA

Il meccanismo dello “split payment” non trova applicazione quando l'operazione oggetto di fatturazione rientra in un regime speciale IVA (es. regime del margine, regime delle agenzie di viaggio, etc.) in base al quale l'imposta è versata secondo regole specifiche.

Split payment e regolarizzazioni

Nel caso in cui una fattura soggetta a “split payment” indichi un importo a titolo di IVA, inferiore al dovuto, la Pubblica Amministrazione dovrà provvedere a versare direttamente all'Erario l'imposta indicata in fattura. Sulla P.A. interessata ricadranno, inoltre, gli ulteriori obblighi di regolarizzazione previsti dall'art. 6, c. 8 del D. Lgs. n. 471/1997. L'Ente, una volta decorso il termine previsto dall'effettuazione dell'operazione, dovrà emettere in duplice esemplare un documento integrativo. Un esemplare dello stesso dovrà essere consegnato all'Agenzia delle Entrate competente, previo

versamento della maggiore IVA dovuta.

Split payment e ritenute d'acconto

L'Agenzia delle Entrate ha adottato infine un'interpretazione, favorevole ai contribuenti ma certamente “forzata” del dato letterale, sostenendo che l'esclusione dello “split payment” relativa “ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta sul reddito”, riguardi anche le operazioni soggette a ritenuta a titolo d'acconto (si pensi, per esempio, alle prestazioni dei professionisti).

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Documenti correlati:Ambito applicativo dello split paymentNovità fiscali 2015: pronta la circolare con le risposte ai quesiti della stampa specializzata

Lavoro

Licenziamento in tronco per il lavoratore che adisce le vie di fatto

La sanzione espulsiva è proporzionata alla gravità dell'addebito, anche se il lavoratore addiviene alle vie di fatto una sola volta.

di Valerio Giuliani

Questo è quanto ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1246 depositata il 23 gennaio 2015, chiamata a giudicare in merito ad un caso di licenziamento disciplinare avvenuto in una città abruzzese.

Un lavoratore del settore del vetro era stato licenziato, con sentenza del tribunale, in violazione dell’art. 72 CCNL, per

“grave infrazione alla disciplina ed alla diligenza del lavoro” e per essere addivenuto alle vie di fatto verso un suo diretto superiore.

Avverso la decisione del giudice il dipendente aveva presentato ricorso, adducendo a propria difesa che in quindici anni di servizio non aveva mai ricevuto alcun richiamo, evidenziando, pertanto, la sproporzione tra il fatto commesso ed il licenziamento.

Inoltre il lavoratore aveva evidenziato di essere affetto da sindrome depressiva e da una situazione di disagio personale e che la condotta tenuta non aveva arrecato pregiudizio alla società per cui prestava servizio.

La Corte di appello, con sentenza, aveva rigettato le pretese del lavoratore confermando la pronuncia di prime cure, compensando le spere tra le parti.

Avverso il diniego della Corte di appello, il lavoratore era ricorso in Cassazione adducendo tra le motivazioni che il comportamento da lui tenuto fosse da inquadrarsi nella fattispecie della sola insubordinazione.

Infatti, dalla ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice ordinario, secondo la tesi difensiva, si sarebbe ravvisata

l’esclusione delle vie di fatto e delle percosse, limitandosi, la condotta tenuta dal lavoratore, alle sole ingiurie e minacce; il che non avrebbe potuto far configurare la causa di scioglimento del rapporto di lavoro ex art. 72 del CCNL e che,

pertanto, il licenziamento doveva essere considerato illegittimo.

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Ulteriore punto delle motivazioni del ricorso per Cassazione fu che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il diverbio litigioso e la discussione sulle mansioni fossero state qualificate impropriamente come insubordinazione, tale da ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario intercorso tra l’azienda e il proprio dipendente.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1246 depositata del 23 gennaio 2015, esaminando preliminarmente la questione in merito alla proponibilità del ricorso, avvenuto, questo, prima della riforma dell’art. 360 c.p.c., ha chiarito che il Collegio opera un controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza impugnata tenendo conto della sufficienza e della non contraddittorietà della motivazione della pronuncia del giudice di merito e che le eventuali censure proposte dal ricorrente debbono essere proposte solo per evidenziare detta contraddittorietà e che non è ammessa la ricostruzione, anche se plausibile, della fattispecie già accertata dai giudici di rango inferiore da contrapporre alla sentenza impugnata.

Dunque, continua la Corte, è ammesso il ricorso per Cassazione per il vizio di insufficiente motivazione di una sentenza se mostri nel suo insieme una obiettiva mancanza del criterio logico che ha condotto il giudice di merito alla formazione del proprio convincimento; mentre per il vizio di contraddittoria motivazione si presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino essere sostanzialmente contrastanti in modo da annullarsi a vicenda e tali da non consentire l'individuazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione adottata dal giudice di merito.

L’uno e l’altro vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare nel merito la fattispecie sottoposta a giudizio.

Dunque, nel caso di specie, il Collegio ha accolto la ricostruzione effettuata dalla Corte d’appello, ritenendo le motivazioni addotte nella sentenza ampiamente sufficienti e per nulla contraddittorie.

Infatti, il lavoratore si era rifiutato di ottemperare alle disposizioni impartite dal suo diretto superiore, contestando

vivacemente gli ordini in modo così animato fino a costringere all’intervento da parte del responsabile dello stabilimento.

E’ a questo punto che il superiore, alla presenza del responsabile dello stabilimento, fu poi aggredito dal ricorrente, sia verbalmente, con epiteti scurrili, che fisicamente facendo seguire le vie di fatto.

Pertanto, il comportamento tenuto durante l’orario di lavoro, secondo la Corte di appello, avrebbe comportato il verificarsi di quanto normato astrattamente dall’art. 72 del CCNL del settore del vetro, che prevede, per tali comportamenti, il licenziamento senza preavviso.

Tali comportamenti, si legge nell’articolo del contratto collettivo vetro, comportano grave nocumento morale o materiale nei confronti dell’azienda, il che giustificherebbe il licenziamento in tronco del dipendente.

In particolare la Corte d’appello, aveva correttamente verificato che quanto disposto dall’art. 72 CCNL Vetro ricalcasse quanto accaduto nell’azienda: il comportamento oltraggioso tenuto dal dipendente, nei confronti dei suoi diretti superiori, era stato, dunque, caratterizzato come oltraggioso, intimidatorio e violento.

Infine, per quanto concerne la proporzionalità tra la sanzione espulsiva e il comportamento tenuto dal dipendente, essendo stato congruamente motivato nella sentenza della Corte di appello, la Corte di Cassazione accoglie quanto stabilito in seconde cure che, tra l’altro, avevano accolto in toto quanto deciso dai giudici di merito di prime cure, secondo i quali la sanzione è stata del tutto proporzionata alla gravità del comportamento addebitato al lavoratore, anche se quanto accertato è accaduto in un unico episodio di insubordinazione.

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, sentenza 23/01/2015, n. 1246

Atti della riscossione

Onere dell'agente della riscossione provare il contenuto del plico spedito

Con la sentenza n. 2625 dell'11 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha nuovamente sottolineato come la spedizione di atti della riscossione mediante plico postale non garantisce alcunché sul piano del contenuto, sicché, a fronte di contestazioni giudiziali del contribuente destinatario, è onere dell'agente della riscossione dare prova circa quel che la busta contenga.

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di Camillo Beccalli

La Suprema Corte, preseguendo un orientamento già espresso in passato (cfr. ord. n. 18252/2013 e sent. n.

24031/2006), ha sancito che, in una dimensione paritaria delle parti del processo tributario, sussiste un onere probatorio in capo all'agente della riscossione, chiamato a confutare le eccezioni del privato con la forza dell'evidenza documentale.

Il caso all'esame della Cassazione è quello della necessità, per detto agente, di dare prova circa il contenuto del plico postale giunto al contribuente, allorquando questi sostenga che nella busta non vi sia alcunché (ipotesi della busta vuota) o che l'atto della riscossione (quali cartella, avviso, comunicazione di iscrizione ipotecaria o di fermo di beni) – costituente il provvedimento recettizio oggetto di notifica – sia incompleto (ipotesi delle pagine mancanti).

E' compito dell'ente, secondo i normali principi in tema di distribuzione dell'onus probandi, fornire elementi idonei a consentire al giudice di avere certezza circa la sussistenza, nella busta recapitata al contribuente, dell'atto integrale. Un principio che, come asserito dalla Corte, non può essere derogato per il solo fatto che il mittente sia pubblico. Questa natura, anzi, induce a ritenere ancor più rafforzato l'onere usuale, considerando i principi di collaborazione e buona fede che occorre mantenere sempre relazionandosi con il contribuente.

Il problema, com'è comprensibile, sorge in quanto la spedizione postale non consente alcuna sicurezza circa cosa e quanto sia stato notificato al destinatario. Ovviamente, l'agente della riscossione dispone della documentazione utile per allegare le opportune prove, stante l'obbligo di conservazione stabilito ai sensi dell'art. 26, comma 4, del D.P.R. n.

602/1973.

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, Sez. Tributaria Civile, Sent. 11/02/2015, n. 2625

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