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Telecamere sul posto di lavoro

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Telecamere sul posto di lavoro

written by Redazione | 08/12/2019

Filmanti di videosorveglianza: possono essere usati per licenziare un dipendente?

Si può licenziare un dipendente scoperto dal filmato di una telecamera piazzata a sua insaputa vicino alla sua scrivania? Se la registrazione viene portata in processo e il giudice la vede, la prova acquisita in violazione della privacy può essere usata?

Alcune di queste domande sono tipiche negli ambienti di lavoro. Questo perché buona parte degli illeciti commessi in azienda viene ormai scoperta e documentata attraverso strumenti elettronici (email, accessi a internet, social media, localizzazioni, telecamere, sistemi gestionali e di comunicazione interna). Diventa dunque cruciale, per il loro utilizzo in causa, il rigoroso rispetto delle procedure e dei requisiti previsti dal nuovo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori sui controlli a distanza. Ecco che allora chiedersi se le telecamere di videosorveglianza possono essere usate per licenziare un dipendente equivale anche a domandarsi entro che limiti il datore di lavoro può usare tali sistemi. In altri termini, sono legali le telecamere sul posto di lavoro?

Di tanto ci occuperemo qui di seguito; ricorderemo quali sono i limiti relativi

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all’utilizzo dei filmati di videosorveglianza, gli obblighi di concertazione con i sindacati, l’informazione preventiva ai dipendenti, le responsabilità penali in cui incorre il datore di lavoro che non rispetta tali limiti. Ma procediamo con ordine.

Telecamere sul posto di lavoro: quando sono legittime

In base allo Statuto dei lavoratori [1], il datore di lavoro può installare le telecamere sul posto di lavoro. Non può farlo se agisce con lo scopo di verificare la prestazione lavorativa dei dipendenti ossia per controllare se questi lavorano e come lo fanno. Egli deve essere mosso unicamente dall’intento di tutelare l’azienda da possibili pericoli o malintenzionati oppure per esigenze organizzative e produttive (cosiddetto controlli difensivi).

Ad esempio sarebbe illegittimo l’impiego di sistemi di videosorveglianza piazzati vicino alla macchina del caffè per verificare quanto tempo i lavoratori vi sostano o in corrispondenza delle porte di uscita per accertarsi di eventuali fughe durante l’orario di lavoro o della durata della pausa sigaretta. Invece è legittima la telecamera in un ufficio postale, in un supermercato o in una banca per dissuadere i ladri, così come è legittima in una stanza ove è presente un macchinario pericoloso da tenere sotto costante controllo.

A quali condizioni si può installare una telecamera sul posto di lavoro?

Abbiamo appena detto che l’installazione della videosorveglianza sul posto di lavoro è ammessa solo se impiegata per:

esigenze organizzative e produttive: si pensi alla necessità di riprendere un macchinario per verificare che questo funzioni correttamente e finisca un ciclo di produzione per iniziarne un altro; oppure a una telecamera posta sull’uscio del negozio per vedere se entrano clienti e riceverli;

tutela della sicurezza del lavoro: si pensi a una telecamera in un ufficio postale o in una banca per dissuadere i ladri dalla tentazione di fare una rapina;

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tutela del patrimonio aziendale: si pensi a una telecamera posta nei vari reparti del supermercato per evitare che qualche cliente – o qualche dipendente stesso – prelevi della merce senza pagarla.

Tuttavia, prima che ciò possa avvenire è necessario:

la comunicazione preventiva alle RSU o alle RSA; con queste il datore di lavoro deve trovare un accordo sui luoghi e modalità di installazione di tali impianti. Se ciò non dovesse essere possibile, l’imprenditore dovrà ottenere l’autorizzazione della Direzione Territoriale del lavoro. Per ottenere l’autorizzazione, le aziende devono presentare apposita istanza u t i l i z z a n d o l a m o d u l i s t i c a d i s p o n i b i l e s u l s i t o d e l l ’ I N L (www.ispettorato.gov.it, sezione modulistica). Se gli impianti sono istallati per motivi di “sicurezza sul lavoro” l’istanza deve essere corredata dagli estratti del DVR dai quali risulta che l’istallazione degli strumenti di controllo a distanza è misura necessaria ed adeguata per ridurre i rischi di salute e sicurezza cui sono esposti i lavoratori;

la preventiva informazione ai lavoratori con un cartello ben esposto sui luoghi di lavoro. Infatti, anche se autorizzata dai sindacati, è illegittima la videosorveglianza installata all’insaputa dei dipendenti [2].

Nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni, l’accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Non è finita qua. Il datore di lavoro deve inoltre:

nominare un incaricato della gestione dei dati registrati dall’impianto di videosorveglianza in modo da tutelare la privacy di coloro che vengono ripresi;

conservare le immagini raccolte solo per un massimo di 24 ore dalla rilevazione (salvo speciali esigenze). A riguardo però il Garane della Privacy ha detto che le immagini registrate non possono essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per le quali sono acquisite.

In base al principio di responsabilizzazione, spetta al titolare del trattamento individuare i tempi di conservazione delle immagini, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Ciò salvo che specifiche norme di

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legge non prevedano espressamente determinati tempi di conservazione dei dati.

Il fatto che il datore di lavoro abbia fatto firmare ai dipendenti un foglio in cui questi, prendendo atto della presenza delle telecamere, ne autorizzano l’impiego non lo esonera dal chiedere le autorizzazioni ai sindacati o alla direzione del lavoro.

Diversamente i filmati non possono essere utilizzati.

La violazione della legge sulla privacy si verifica anche quando:

le telecamere sul lavoro sono solo installate ma non ancora funzionanti;

è stato dato preavviso ai lavoratori ma non è stato ancora acquisito il consenso dei sindacati;

il controllo è discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente.

La violazione si configura anche nel caso di telecamere finte montate a scopo esclusivamente dissuasivo.

La valutazione di impatto privacy

Il elemento di novità introdotto dal Gdpr è un altro adempimento che viene affidato alle aziende: si chiama valutazione di impatto privacy (Vip). È un documento che bisogna stendere se il trattamento presenta rischi elevati: si tratta, tra gli altri, dei casi per cui prima del Gdpr si chiedeva la verifica preliminare al Garante. C’è però una grossa differenza: la Vip la scrive l’azienda e non deve chiedere niente al Garante, però è responsabile e potrebbe scoprire solo a posteriori, in sede di controlli e sanzioni, se ha fatto le cose per bene; la verifica preliminare si concludeva con un atto del Garante, per cui l’azienda era tranquilla, perché le bastava rispettare le prescrizioni, che però potevano essere di per sé onerose.

Insomma il Gdpr porta alle imprese più libertà ma più responsabilità. In materia di Vip, il regolamento e il Garante hanno individuato macrocategorie di ipotesi che obbligano alla Vip: l’azienda deve valutare quando ricade in queste situazioni. Si tratta, tra gli altri, dei seguenti casi: 1) sistemi integrati, sia pubblici che privati, che collegano telecamere tra soggetti diversi; 2) sistemi intelligenti, capaci di analizzare le immagini ed elaborarle, ad esempio al fine di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli, ed eventualmente registrarli; 3) sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al

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pubblico; 4) sistema di videosorveglianza per trattare categorie particolari di dati (come dati sanitari).

Il cartello

Il ulteriore elemento di novità è il cartello, che riporta molte più informazioni rispetto ai cartelli in uso nel regime anteriore al Gdpr. In particolare i cartelli devono riportare: a) i contatti del responsabile della protezione dei dati (o dpo, se nominato); b) il periodo di conservazione delle immagini; c) modalità per avere informativa estesa; d) l’ufficio cui rivolgersi per chiedere copia riprese o esercitare gli altri diritti dell’interessato.

Che succede se le telecamere sono installate senza rispetto delle procedure?

Dalla violazione delle regole sull’uso delle telecamere sul posto di lavoro derivano due importanti conseguenze.

Filmati inutilizzabili

I filmati registrati dal datore di lavoro senza il rispetto delle condizioni e delle procedure appena descritte non sono prove: quindi sono inutilizzabili contro il lavoratore in un eventuale processo. Ad esempio, non hanno valore di prova i fotogrammi ottenuti con una telecamera a circuito chiuso – installata in violazione della disciplina sui controlli a distanza – che ritrae un lavoratore mentre sottrae denaro dalla cassa.

La conseguenza è che se il datore fonda il licenziamento del dipendente infedele sulle registrazioni di una telecamera installata in modo irregolare, il licenziamento è illegittimo in quanto non supportato da prove e il dipendente ha diritto alla reintegra sul posto.

Reato per violazione della privacy

Non solo. Il datore di lavoro che installa delle telecamere senza il rispetto delle regole appena elencate commette anche reato [3] di violazione del divieto di controlli a distanza sui lavoratori. Ciò in quanto la tutela penale è diretta a

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salvaguardare interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono per legge portatrici, in luogo dei lavoratori che, a causa della posizione di svantaggio nella quale versano rispetto al datore di lavoro, potrebbero rendere un consenso viziato.

Tale comportamento, inoltre, integra la fattispecie della condotta antisindacale Leggi Spiare con telecamera i dipendenti è reato.

Secondo la Cassazione, può essere denunciato dai propri dipendenti, per violazione della privacy, l’imprenditore che nasconde una telecamera in un ufficio per spiare ciò che fa il lavoratore, anche se lo fa per evitare che questi rubi.

È vero infatti che l’uso della videosorveglianza è possibile nel caso di «controlli difensivi» (e, quindi, per evitare che un dipendente possa commettere reati all’interno dell’azienda), ma solo se l’uso dell’impianto non lede la dignità del lavoratore (tale sarebbe, ad esempio, una telecamera montata nel bagno o puntata solo su un unico dipendente, allo scopo di controllarne ogni minimo spostamento 8 ore al giorno). Dall’altro lato non si può installare la telecamera-spia con l’intento difensivo se non ci sono validi sospetti del reato del dipendente. La telecamera-spia in funzione “preventiva”, ossia volta a saggiare la fedeltà del dipendente, è illegale.

Inoltre il filmato della telecamera-spia deve essere usato solo per rilevare l’eventuale reato e non per contestare altre condotte, come ad esempio una pausa sigaretta troppo lunga.

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