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La Meditazione Vipassana: una terapia per il terapeuta *

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Academic year: 2022

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La Meditazione

Vipassana: una terapia per il terapeuta *

di Paul Fleischman

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Un aiuto per il terapeuta - Un aiuto per il terapeuta - Vipassana è una via - Come si impara - La connessione tra mente e corpo - La causa della sofferenza - L’identificazione con le sensazioni

- Consapevolezza ed equanimità - Un lungo viaggio - La differenza tra Vipassana e la psicoterapia - L’assunzione di

responsabilità - Le qualità del terapeuta

Il primo saggio tratta del ruolo terapeutico che la meditazione può avere, della base scientifica di quest’ultima, e della sua importanza per i professio- nisti delle attività terapeutiche.

* Tratto dal libro Karma e Caos, pubblicato da Ubaldini.

** Paul R. Fleischman, M.D., pratica la psichiatria da piu di trent’anni. Nel l993 ha ricevuto l’Oscar Pfister dall’American Psychiatric Association per “i suoi importanti contributi all’aspetto umanistico e spirituale dei problemi psichiatrici”

forniti nel libro The Healing Spirit (Paragon House, New York, l989). La sua opera piu recente e Cultivating Inner Peace (Tarcher/Putnam, New York, l997). Ha fatto il suo primo corso di Vipassana, con sua moglie Susan, nel l974, in India, sotto la guida di S.N. Goenka. Nel l987 i Fleischman furono nominati Assistenti nell’insegnamento di Vipassana, e nel l998 S.N. Goenka li ha nominati Maestri. Altri suoi testi in www.

pariyatti.org.

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Il secondo offre una spiegazione di Vipassana at- traverso la psicologia occidentale, ed indica la ragio- ne per cui il meditatore passa dal narcisismo ad un amore maturo ed universale.

Un aiuto per il terapeuta

Vipassana è un’antica tecnica di meditazione che viene tuttora praticata, e può essere un eccellente aiuto per coloro che si dedicano a guarire gli altri.

Nella mia qualità di psichiatra praticante e docen- te, ho trovato nella pratica di Vipassana un aiuto ad approfondire la mia autonomia e la conoscenza di me stesso; nello stesso tempo, è aumentata la mia capacità professionale di rappresentare un punto di riferimento per gli altri. Ho scritto altrove quale sia la mia esperienza e la mia comprensione della meditazione. Qui desidero concentrarmi sulla gua- rigione del terapeuta stesso: spiegare la ragione per cui dietologi, chiropratici, istruttori di yoga, medici di famiglia, psicologi e psichiatri di mia conoscenza abbiano avuto modo di crescere nella loro vita per- sonale e professionale grazie alla pratica di Vipassa- na.Vipassana affonda le sue radici nel terreno delle arti terapeutiche. Professionisti di diverse discipline la trovano efficace ed attuale perché è libera da as- sunti dogmatici, fondata sull'esperienza ed incentra- ta sul problema della sofferenza umana e sul modo di alleviarla. Contiene infatti lo specifico terapeu- tico su cui si basano le varie branche della nostra professione.

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Come guarire se stessi per guarire gli altri?

Come dovremmo essere e cosa dovremmo fare, in definitiva, per guarire noi stessi ed avere abbastanza energia per guarire gli altri? Penso che per i tera- peuti di qualsiasi orientamento la risposta a questa domanda sia tanto ovvia quanto unanime. Occorre guardare nel profondo di noi stessi, scrutare le no- stre paure e i nostri pregiudizi, le nostre convenzioni e le nostre opinioni, in modo da fissarci pondera- tamente e lucidamente sulla realtà. Dobbiamo es- sere in grado di distinguere tra quelli che sono gli accidenti della nostra nascita, della nostra cultura e dei nostri condizionamenti particolari, e le verità universali senza tempo. Dobbiamo vivere una vita piena ed equilibrata che raccolga, espandendolo ed approfondendolo, tutto ciò che è potenziale nell'es- sere umano. E, nello stesso tempo, dobbiamo con- centrarci con disciplina, determinazione, pazienza e costanza su ciò che è centrale, essenziale, decisivo.

Dobbiamo amare: ma non soltanto coloro che ca- sualmente o per scelta entrano nella nostra vita, ma amare la capacità di risveglio che potenzialmente esiste in ogni forma di vita in modo da cogliere, nel tumulto che ci circonda, ogni possibilità di trascen- denza. Dobbiamo accettare, ed inchinarci, al fatto che la morte ci porterà via tutti, terapeuti e pazienti, ma dobbiamo sprizzare fiducia e speranza per il mo- mento che verrà in tutti quelli che sono sofferenti, sconfitti, cinici, avvizziti. Dobbiamo tenere a bada i nostri sensi, i nostri impulsi, le nostre necessità; ma

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dobbiamo alimentarci, perché il nostro autocontrol- lo non diventi aridità, ma permetta alla nostra fonte interiore di sgorgare nella sua pienezza. Dobbiamo percorrere il sentiero che porta dall’ignoranza alla conoscenza, dal dubbio alla chiarezza, dalla convin- zione alla scoperta. Dobbiamo ricominciare ogni giorno, senza irrigidirci in incrostazioni dottrinali e conclusioni, come uccellini appena usciti dal nido della primavera della conoscenza.

Vipassana è una via

La scoprì venticinque secoli fa Gotama il Buddha.

Nella lingua che egli parlava, Vipassana significa visione profonda, il vedere le cose come realmente sono. Sebbene Vipassana contenga il nucleo di ciò che più tardi fu chiamato buddihsmo, non è una religione, non richiede una conversione ed è aperta ai praticanti di qualunque fede, nazionalità, colore, cultura. Nella sua forma pura, ancora oggi viva e praticata, rappresenta un’arte di vivere in armonia con le leggi della natura, priva di ogni settarismo. E' un cammino etico e sociale che nasce dall’esplora- zione della propria natura all’interno della struttura psicofisica. Gli obiettivi di Vipassana sono la libe- razione dalla sofferenza e la trascendenza spiritua- le. Conduce alla pace interiore, che si impara poi a condividere con gli altri. Guarire, non nel senso di curare le malattie, ma di curare la sofferenza umana alla sua radice ecco lo scopo di Vipassana.

Col passare dei secoli Vipassana fu dimenticata nella maggior parte delle terre in cui si era origina-

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riamente diffusa, ma si mantenne viva in alcuni pa- esi. In certi luoghi, la pratica originale del Buddha, nella sua rigorosa semplicità e nella sua forma pura, venne tramandata da un maestro all’altro per mi- gliaia di anni. Ostacoli linguistici e culturali la resero per secoli sconosciuta ed impraticabile in occidente.

Soltanto in tempi recenti, man mano che i maestri orientali di Vipassana imparavano le lingue dell’oc- cidente e ne penetravano la mentalità, la pratica ha iniziato a diffondersi in tutto il mondo.

Grandissimo merito va al laico birmano, ora de- funto, Sayagyi U Ba Khin, che fu maestro di Vipas- sana, pur impegnato in una brillante carriera am- ministrativa che lo portò, all’alba dell'indipendenza della Birmania, alla carica di Ragioniere Generale dello Stato. U Ba Khin aveva familiarità con la cul- tura e la lingua inglese e non aveva pregiudizi di razza o di nazionalità. Accolse come suo discepolo S.N. Goenka (1924-2013), un indiano di religione induista nato in Birmania, che, nella tradizione del suo maestro e del Buddha, ha scelto di trascendere le barriere religiose e sciovinistiche ed altre affiliazioni di parte. Negli ultimi dieci anni, grazie suo al lavoro di e dei suoi Assistenti, Vipassana si è diffusa in tutto il mondo.

Come si impara

La tecnica di Vipassana viene insegnata in corsi di dieci giorni, durante i quali gli studenti sono te- nuti a meditare a tempo pieno, ed in silenzio. Non sono permesse attività che possano distrarre: oltre

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alla conversazione, il divieto riguarda leggere, scri- vere, ascoltare la radio, telefonare od altro. All’inizio del corso, gli studenti si impegnano ad aderire, per dieci giorni, ad un codice di valori morali: in parti- colare, a rispettare la vita di tutti gli esseri viventi, ad astenersi dagli intossicanti e dall’attività sessuale, oltre che dalla menzogna e dal rubare. Per i primi tre giorni e mezzo, gli studenti si applicano ad una me- ditazione preliminare basata sul respiro, per favorire la concentrazione. Da qui si procede a Vipassana vera e propria, e cioè a penetrare la natura dell’inte- ro fenomeno psicofisico. L’atmosfera disciplinata e raccolta e l’ambiente che favorisce la concentrazione fanno dei sei giorni e mezzo di pratica di Vipassana, trascorsi in "nobile" silenzio, un’esperienza intensa e profonda che molto spesso trasforma la vita del meditatore.

La connessione tra mente e corpo

Vipassana, quale è stata trasmessa dal Buddha at- traverso una catena di maestri, fino a U Ba Khin e Goenka, possiede una caratteristica unica tra i si- stemi di meditazione, che la rende particolarmente interessante per coloro che si dedicano a guarire sia il corpo sia la psiche. È incentrata sulla totale con- nessione che esiste tra corpo e mente; si fonda infatti sulle sottili sensazioni che formano la vita del corpo e che incessantemente condizionano la mente: sen- sazioni che, sottoposte ad un'attenzione disciplinata, possono essere sperimentate direttamente. Questo viaggio esplorativo, basato sull'osservazione e che

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porta alle radici comuni di mente e corpo, distrugge il dualismo e crea nel meditatore una comprensione assolutamente nuova delle origini inconsce del sè.

Durante un corso di meditazione di dieci gior- ni, l'atmosfera indisturbata di strenua applicazione e l'ambiente favorevole fanno sì che la mente dello studente venga in contatto, per la prima volta con- sapevolmente, con un flusso di contenuti mentali soggettivi. La pratica di Vipassana permette di per- cepire contemporaneamente il libero scorrere di questo flusso che mentale e l'impetuoso torrente di sensazioni fisiche lo accompagnano. L'intersecarsi di queste due correnti del divenire, quella mentale e quella fisica, è alla base della conoscenza di noi stessi. Possiamo infatti vedere, con assoluta chiarez- za, quale sia l'impatto di ogni nostro pensiero, di ogni nostro gesto sullo sviluppo della nostra vita fi- sica. Per cogliere questa interdipendenza tra mente e corpo occorre una un’ininterrotta concentrazione su noi stessi. Una volta stabilita questa consapevolezza meditativa, riusciamo ad osservare direttamente il modo in cui i nostri pensieri si incarnano.

La causa della sofferenza

La sofferenza deriva dall’ignoranza della nostra vera natura. La comprensione profonda della verità - una comprensione che nasce dall’esperienza - ci libera dalla sofferenza. Diventa allora semplice, sem- plice come fare un nodo, o scioglierlo, prendere la strada giusta nella vita; e non semplicemente la stra- da di una particolare forma di spiritualità, ma quella

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della guarigione - che comprende la guarigione di sè e degli altri - che porta a scoprire l’origine della sofferenza e il modo di eliminarla.

Con Vipassana, possiamo renderci conto che sia- mo noi a creare la realtà in cui viviamo e che il solo modo di uscire dalla sofferenza è dentro di noi. Ciò che l’individuo chiama ‘sè’, è una struttura psicofi- sica, un flusso impersonale di eventi fugaci, ognuno dei quali trae origine da quello precedente. Come ogni altro fenomeno naturale, siamo una massa di particelle, un fascio di energie, regolato dalle leggi scientifiche che governano l’universo. Queste leggi non operano solo su elettroni, protoni e neutroni, ma anche su pensieri, sentimenti, giudizi e sensa- zioni. Il punto più profondo in cui mente e corpo si uniscono è quello in cui il continuo trasformarsi della materia all’interno del nostro corpo entra in contatto con la mente. Gli avvenimenti ed i pen- sieri che si scontrano con i nostri sensi producono dei cambiamenti nelle nostre sensazioni fisiche. La nostra valutazione di questo sostrato sensoriale e la nostra reazione ad esso formano i complessi psicofi- sici che noi identifichiamo con noi stessi. L’ininter- rotta reazione mentale al dolore ed al piacere fisico condiziona l’inconscia definizione che noi diamo di noi stessi.

L’identificazione con le sensazioni

È impossibile valutare pienamente la profondità e la potenza della nostra identificazione con le nostre sensazioni corporee. Ricordo di aver ascoltato un

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gruppo di psicanalisti che discutevano dell'embar- go sul petrolio deciso dagli arabi negli anni '70.In quel periodo c’erano lunghe code ai distributori, era quali impossibile usare l’automobile nei fine setti- mana e non era certo che ci sarebbe stato abbastanza gasolio per il riscaldamento. Il sistema di vita ameri- cano non era minacciato, non erano in pericolo né l’indipendenza della magistratura, né il potere legi- slativo, né la libertà di pensiero, di espressione o di stampa. Eppure, nella reazione degli americani, era- no manifesti terrore e rabbia. Gli psicanalisti radu- nati nella sala della scuola di medicina progettavano rumorosamente come accrescere l’assegnazione di combustibile per le loro macchine, come assicurarsi che non ci fossero sospensioni di riscaldamento o attentati al loro benessere. Sotto la loro presuntuosa sicurezza mi parve di cogliere una nota di terrore.

Riflettei sul fatto che questi terapeuti americani dal- la lunga esperienza si erano probabilmente liberati, grazie ad una analisi approfondita, dei loro comples- si di Edipo, ma che rimanevano preda di una ango- sciosa dipendenza dall’opulenza materiale della so- cietà americana. Qualche tempo dopo, il Presidente degli Stati Uniti propugnò la dottrina del Golfo, che implicava che l’America era pronta a rischiare l’olocausto nucleare della terra nel caso in cui le sue forniture di grezzo fossero state minacciate. Una fu- ria irrazionale ed omicida contraddistingue il com- portamento sia di terapeuti di fama che di eminenti statisti. Ognuno di noi - se è sincero con sé stesso - ne troverà traccia dentro di sè.

Tuttavia, questo si riferisce solo ai comportamenti più vistosi, collegati a sensazioni intense come fred-

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do o fame. Vipassana ci fa scendere gradatamente a profondità sempre maggiori, dove migliaia di sen- sazioni lanciano continui segnali in tutto il corpo.

Al livello in cui il pensiero inconscio determina il comportamento siamo continuamente costretti a reagire come se questi agglomerati biochimici di molecole che si producono nei nostri corpi fossimo noi stessi. La meditazione Vipassana ci permette di sperimentare le vibrazioni profonde che stanno sot- to alle nostre reazioni mentali inconsce di desiderio od avversione nei confronti di ciò che avviene nel nostro corpo, e fa affiorare queste reazioni nella par- te cosciente della mente. Attraverso questo processo, il meditatore può trasformare delle identificazioni somatiche primitive che avrebbero potuto provoca- re sofferenza, in consapevolezza e capacità di libera scelta.

Consapevolezza ed equanimità

Vipassana apre due nostri occhi: quello della con- sapevolezza dell’origine del senso dell’io, che risiede nelle sensazioni corporee, e quello dell’equanimità, che è la capacità di osservare miriadi di sensazioni sottili, e le loro equivalenti mentali, senza formula- re giudizi od innescare reazioni, perché ci si rende conto che si tratta di fenomeni effimeri, transitori, che non sono il ‘sé’. Questo nuovo modo di vedere, frutto della pratica di consapevolezza ed equanimi- tà, permette un progressivo distaccarsi dalla prece- dente identificazione, inconscia ed oppressiva, con il piacere ed il dolore fisico. Vipassana è la via che

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porta a trascendere il principio del piacere.

Un corso intensivo di Vipassana di dieci giorni è soltanto l’inizio di un lungo viaggio. Ogni in- dividuo consiste in un’aggregazione di migliaia e migliaia di reazioni emotive e comportamentali condizionate. Alcune di queste sono occasionali ed insignificanti. Altre invece danno luogo a comples- si importanti: atteggiamenti, convinzioni e compor- tamenti rigidi e stereotipati, condizionati da eventi e reazioni passate, che continuano ad esplodere in schemi fissi, storicamente determinati, mentre la vita richiede risposte specifiche, equilibrate, flessi- bili. Le psicoterapie occidentali moderne si basano sulla valutazione, sull’analisi e sull’eliminazione di questi complessi. Alcuni dei loro metodi ed obiettivi sono molto simili a quelli di Vipassana. Entrambe le tecniche richiedono, come via alla guarigione, la consapevolezza sistematica, la conoscenza di sé e la libertà dai condizionamenti passati. Meditazione e psicoterapia rappresentano, in una certa misura, la convergenza presente in tutta l’evoluzione organica:

quella di problemi comuni che richiedono soluzioni comuni.

La differenza tra Vipassana e la psico terapia

La meditazione Vipassana differisce dalle psicote- rapie per la sua base di specifici valori etici, per il fatto che si fonda in particolare sulla consapevolezza delle sensazioni, e perché propone un percorso che dura tutta la vita e che porta al trascendente. Il fine

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terapeutico è solo uno degli aspetti di Vipassana, che rappresenta un approccio più ampio alla vita stessa.

Vipassana, infatti, non è semplicemente un eserci- zio che si pratica nello speciale contesto di un ritiro di meditazione. Al termine di un corso di dieci gior- ni, il meditatore si porta a casa lo strumento di lavo- ro. Il cammino di Vipassana è una ricerca continua e disciplinata della conoscenza attraverso l’esperienza, che dura tutta la vita.

Noi crediamo che le nostre reazioni siano deter- minate da persone e avvenimenti; in realtà reagiamo a flussi nascosti delle trasformazioni biochimiche che gli oggetti esterni suscitano dentro di noi. Vi- passana agisce attraverso l’impegno etico, il lavoro di trasformazione disciplinato portato avanti per tutto il corso dell’esistenza, la conoscenza di sé e la responsabilità personale. Gli avvenimenti, tutt’al più, dipendono solo in parte da noi. Le nostre rea- zioni, invece, accadono all’interno della nostra vita fisica e della nostra identificazione e sono, in defini- tiva, sotto il nostro diretto controllo. Le circostanze esterne della vita possono esserci imposte, ma il no- stro destino psicologico è una questione di presa di coscienza e di decisione.

Il cammino di Vipassana si basa sulla capacità umana e sulla scelta personale, e tende ad una sere- na saggezza che trascende l’automaticità dell’esisten- za puramente animale. Lungi dal ridurre l'esistenza umana ad una macchina psicofisica, questa medita- zione mette in luce la reattività inconscia nascosta in noi, e sblocca la spirito di saggezza e di bontà, insieme alla capacità d’illuminazione. Il meditato- re diventa libero di vivere per i valori più alti e le

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mete più remunerative: amore di benevolenza, gioia altruistica, compassione e pace. Paura ed avidità ce- dono il posto alla determinazione, al fervore ed alla fiducia nelle potenzialità umane.

L’assunzione di responsabilità

Con questa pratica meditativa, si abbraccia la vita intera: nessuna parte di essa viene considerata troppo insignificante da esplorare. Non si progre- disce attraverso la fede cieca o la dipendenza pas- siva dall’intervento divino: la pratica consiste nella ricerca attiva e minuziosa della propria saggezza. È una pratica che rende responsabili perché, attraverso l’introspezione, ci rivela che noi diventiamo le no- stre reazioni, diventiamo ciò a cui attribuiamo va- lore. Il metodo consiste nel fare di ogni nostro pen- siero, in ogni momento, un seme di equanimità che darà frutti di amore e di pace.

Gli psicologi riconosceranno in questo aspetto della pratica il fondamento dell’assunzione di re- sponsabilità nella formazione del sintomo e dell’in- versione del sintomo. Adotteranno una visione universale, allo stesso tempo naturale e scientifica, libera da dogmatismi ed autoritarismi. Potranno avere accesso ad una via che è l’autentica trasmis- sione dell’antica, genuina saggezza orientale, che ha superato la prova del tempo, convalidata attraverso i secoli dalla pratica e dall’esperienza concreta di mi- lioni di esistenze. E tuttavia Vipassana è svincolata da guru, comportamenti strani, elementi rituali ed etnocentrici. Invece di favorire una dipendenza cieca

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dal maestro, Vipassana suscita rispetto e gratitudine per la tecnica. Occorre aggiungere che l’insegna- mento viene impartito gratuitamente. Il fatto che U Ba Khin, e dopo di lui S.N. Goenka e tutti i suoi assistenti, non ricevano alcuna retribuzione per l’in- segnamento, che viene trasmesso da persona a per- sona secondo criteri spirituali di gratuità è, per gli studenti, un’ulteriore garanzia di autenticità. Tutti gli insegnanti si guadagnano la vita indipendente- mente, ed i corsi ed i centri dove Vipassana viene insegnata si reggono esclusivamente su donazioni.

Le qualità del terapeuta

Le lunghe ore passate in meditazione durante un corso di Vipassana fanno emergere i contenuti mentali che in precedenza erano nascosti e repressi.

Come risultato, vengono in preciso rilievo la propria storia personale e la propria vita intima. Il terapeuta ne ricaverà un’approfondita conoscenza di se stesso ed una maggiore capacità di immedesimarsi con le sofferenze altrui. Non conosco fattore più umaniz- zante del trovarsi davanti la storia della propria vita!

Inoltre, il terapeuta acquista una maggiore consi- derazione per tutti gli altri numerosi sistemi di cura.

Non avrà più bisogno di difendere la propria disci- plina nei confronti delle altre - la psichiatria è giu- sta, l’agopuntura sbagliata; la chiropratica è giusta, lo yoga è sbagliato - ma si renderà conto che la cau- sa universale della sofferenza ed il mezzo universale per uscirne risiedono nel nostro pensiero, nel nostro sentimento, nel nostro giudizio, nella nostra scelta

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e nella nostra azione. Le pareti del nostro mondo sono costruite dal nostro modo di pensare, di agire, di dare. I metodi terapeutici differiscono a secon- da di dove si interviene, e sono efficaci nella misu- ra in cui agiscono su queste variabili fondamentali ed universali. Falliscono, invece, nella misura in cui oscurano una o più di queste variabili.

Diventa quindi facile distinguere tra il mangiare per avere abbastanza energie da dedicare a sé ed agli altri ed il mangiare per il piacere del cibo. L’eserci- zio fisico che produce consapevolezza e vitalità vie- ne nettamente differenziato dalla vanità del body- building e dalla cieca aggressività competitiva. Si fa una netta distinzione tra i metodi terapeutici che aumentano il senso di responsabilità nei confronti di sé stessi e quelli che promuovono la dipendenza.

Con Vipassana è possibile trascendere mente e cor- po, e persino il dualismo oriente/occidente; si giun- ge ad una perfetta armonia con i principi morali, con un’affilata presenza mentale, con la saggezza in tutte le sue forme stabili. Empatia, solidarietà, buon esempio, tolleranza, apertura mentale ed un impul- so di valori più alti diventano l’attrezzatura di ogni terapeuta degno di questo nome.

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II

Nella mia qualità di assistente di studenti di psi- chiatria e di psichiatra che cura altri psichiatri, me- dici, psicologi ed operatori sociali e sanitari, mi sono familiarizzato con una sindrome che si potrebbe chiamare del "terapeuta ferito". Il "terapeuta feri- to" ha un'alta professionalità. Egli ha generalmente un'ottima formazione, è diligente, impegnato nello sforzo di migliorare, ed è affidabile, competente e gentile con i pazienti.

Ma dentro di sè - ed è un segreto ben custodito ed accuratamente nascosto agli altri - il "terapeuta ferito" si sente solo, spaventato, ansioso, depresso.

Le sue realizzazioni professionali rappresentano ec- cellenti compensazioni a vuoti affettivi che hanno segnato la sua vita. Egli è in genere una persona schiva, dignitosa, solitaria, che dà generosamente nella sua professione per avere il contatto umano di cui si sentirebbe altrimenti privato. E' probabile che nasconda le sue emozioni più dolorose perfino al co- niuge. Questo individuo sofferente accetterà a fatica di diventare egli stesso un paziente, ed a volte ci vor- ranno decenni prima che trovi il terapeuta adatto a lui, perché la sua scelta sarà molto ponderata. I suoi progressi saranno lenti perché, invece di concentrar- si su singoli problemi, egli cerca l'attenzione intensa e tonificante che solo la terapia può dare. Più che di una cura, ha bisogno di una presenza, di un rappor- to, di un genitore adottivo che medichi le sue ferite e che gli dia il calore umano che i suoi genitori, per i motivi più vari, non gli hanno dato.

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Quando, per la prima volta, un paio di psichiatri affermati mi scelsero come loro psichiatra, fui lusin- gato dalla loro stima, ma considerai i loro problemi in una luce puramente individuale. Col passare de- gli anni, ora che la cura del professionista "ferito"

è diventata la mia principale attività, sono arriva- to alla conclusione che il problema non è soltanto individuale. Sono convinto che il "terapeuta ferito"

rappresenti qualcosa di essenziale nel cuore stesso dell'arte del guarire. Freud e Jung hanno insistito sulla necessità che gli analisti siano analizzati. Tut- ti hanno bisogno di essere curati, ma in particolare coloro che curano gli altri. Il "terapeuta ferito" avrà la sua particolare costellazione di problemi perso- nali ma, in più, prova la sofferenza della sofferenza.

Proprio la vulnerabilità e la compassione che spin- gono il terapeuta ad una scelta professionale che lo accompagnerà tutta la vita, insieme alla costante esposizione al dolore umano, necessitano di un trat- tamento particolare. Mi sono reso conto a poco a poco che se il "terapeuta ferito" è così cauto, attento e circospetto nel scegliere chi dovrà curarlo, questo non è dovuto semplicemente ad orgoglio, pudore, scrupoli professionali o criteri particolarmente esi- genti, ma al fatto che egli è alla ricerca di un tipo di cura personale che rispetti la verità preesistente della sua personale sofferenza. Il poeta e ceramista argen- tino Antonio Porchia ha detto: "Chi ha visto svuo- tarsi ogni cosa è vicino a conoscere ciò che riempie ogni cosa." La sofferenza del "terapeuta ferito" non è solo qualcosa da curare, ma una sorgente preziosa di empatia e di comprensione profonda. E' la cala- mita che lo attira verso il suo cammino di guaritore.

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Il "terapeuta ferito" non espone a colui che dovrà curarlo una sofferenza cieca, ma l'essenza della "no- bile sofferenza".

Sofferenza nobile è l'infelicità umana che va alle proprie radici e suscita una decisione, quella di li- berarsi. E' la coscienza che la sofferenza è il modo di essere caratteristico di ogni esistenza. Ed è la nota caratteristica che distingue la vera arte di guarire da pannicoli caldi ed elisir miracolosi.

Il "terapeuta ferito" è colui che, segnato da una profonda sofferenza personale, riesce a cogliere in questa sua sofferenza l'elemento universale comune a tutto il dolore ed all'infelicità umana. Da qui nasce la vocazione a guarire gli altri che lo animerà per tutta la vita.

Dal momento in cui mi sono visto come uno dei tanti "terapeuti feriti", ho apprezzato Vipassana molto più profondamente. La sua antica tradizione di benevolenza e di solidarietà tocca la nota più fon- damentale della scala dei valori umani. Oggigiorno, mi pare, molte psicoterapie e molti metodi di cura sembrano essere ciecamente imperniati sul successo, sul benessere, su realizzazioni borghesi: due macchi- ne, due figli, due case, due mogli. In Vipassana ho trovato una cura che fa sì che la mia vita non dipen- da dall'opulenza delle mie vacanze, dagli applausi e dagli onori che ricevo. E' invece un metodo basato sulla premessa che la sofferenza può avere una fun- zione nobile ed illuminante.

Con Vipassana, la mia nascita e la mia morte sulla riva del misterioso oceano dell'esistenza diventano un punto in comune con tutti gli esseri. Vipassana, io ritengo, è la terapia ideale per i terapeuti, perché

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dimostra che la vita acquista un senso quando ci si confronta lucidamente con l'angoscia che accompa- gna nascita e morte. Vipassana non si propone di alleviare il dolore, né di consolare. Il suo scopo non è la salute fisica: ognuno di noi è soggetto alla ma- lattia e alla morte. L'obiettivo di Vipassana è di far comprendere che l'io è una prigione ingannevole, che reca con sé nascita, morte, sofferenza. Il senso dell'io è un'illusione prodotta dal condizionamento che le sensazioni fisiche esercitano sulla mente. Vi- passana mette in luce il legame esistenziale che c'è tra le sensazioni, il concetto di sé e la sofferenza, e rende possibile un risveglio al mondo al di là di sé stessi. Opera alla radice comune dove l'angoscia in- dividuale ed isolata fluisce nella corrente dell'amore indiviso e disinteressato. Il meditatore viene perciò introdotto in ciò che esiste al di là delle effimere de- marcazioni di corpo e mente.

Tutto ciò significa forse che io indirizzo tutti i miei pazienti a Vipassana? Come posso allora apprezzare e praticare la psichiatria e perché? Il fatto è che i corsi di meditazione Vipassana sono aperti a tutti, ma non tutti li seguono. Il carattere tollerante e non violento di questo cammino esclude che vi possano essere conversioni, sollecitazioni od imposizioni. Un corso significa dieci giorni di duro lavoro. Praticare questa tecnica per tutta la vita costituisce un'impre- sa ancora più ardua, e più rara. Non richiede intel- ligenza eccezionale né doti atletiche, e neppure una particolare formazione, ma sicuramente occorrono forza di carattere, ed una chiamata.

I meditatori di Vipassana che percorrono questa via per tutta la loro vita provengono dagli ambienti

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più diversi, e, naturalmente, per la più gran parte non sono terapeuti. Alcuni sono illetterati, altri po- veri, o vecchi, o disabili, o malati. Contadini india- ni, sociologi tedeschi, falegnami australiani e psico- terapeuti francesi praticano questo metodo di vita.

Tutti sono rappresentati, come l'Arca di Noè. Sono tuttavia necessari dei requisiti, anche se è difficile definirli. Occorre, in ogni caso, "possedere il seme".

Come ogni seme vivo, quello della meditazione sfugge al microscopio delle parole. Potrebbe essere una fondamentale buonafede; o una forte determi- nazione; o un "troppo pieno" di sofferenze e perdite a cui occorre per forza sopravvivere; od un'immensa curiosità riguardo alla propria vera natura; oppure un'intuizione dei valori che trascendono l'immedia- to; od uno struggente desiderio di pace; o, semplice- mente, la coscienza della limitatezza dei meccanismi di questo mondo. Il Buddha ha insegnato che nel cuore di questo sentiero c'è "ahimsa", la nonviolen- za. E' forse un pizzico dell'infinito valore curativo di questa virtù così preziosa e così rara, che assom- ma tutte le virtù, che costituisce "il seme"? In ogni caso, una vita di meditazione è il sentiero riservato a coloro che percepiscono la chiamata, la vanno die- tro e "si siedono" per osservare. Ci sono, viceversa, quelli che non si preoccupano di raccogliere quella chiamata, o che semplicemente non le danno alcun peso; quelli che non la sopportano, o che dinanzi a loro hanno altri sentieri validi.

Lo psicanalista francese Jacques Lacan ha scritto:

"La psicanalisi può accompagnare il paziente al li- mite estatico del "tu sei quello", là dove egli scorge il messaggio cifrato del suo destino mortale, ma non

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rientra tra le nostre possibilità professionali quello di portarlo al punto in cui inizia il vero viaggio." La meditazione Vipassana si basa su questa unica pre- messa: "Questa è la sofferenza; e questa è la via per uscire dalla sofferenza." E' la via da cui ha inizio il vero viaggio. La guarigione avviene con l'osservazio- ne e l'osservanza delle leggi della natura. Anche le stelle nascono e muoiono, ma al di là della transi- torietà del mondo esiste qualcosa di eterno che cia- scuno di noi può percepire. Vipassana cura facendo convergere sul dolore di ciascuno la gamma invisibi- le dell'universale.

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