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Mancato pagamento imposte: sanzioni penali

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Mancato pagamento imposte:

sanzioni penali

Autore: Paolo Remer | 26/06/2020

Tutti i casi in cui per l’evasione fiscale è previsto il carcere ed è possibile svolgere le intercettazioni telefoniche o ambientali.

Quando si tratta di tasse lo Stato fa sul serio e non tollera il mancato pagamento delle imposte, come ben sa chi ha ricevuto qualche avviso di accertamento,

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cartella esattoriale o è arrivato alle intimazioni, fermi amministrativi dell’auto e pignoramenti dello stipendio, della pensione o dei beni immobili.

Così le sanzioni sono salate e scattano già quando non si rispettano i termini previsti per i versamenti: solitamente, partono dal 30% del dovuto ma in certi casi possono arrivare anche al 200% dell’imposta considerata evasa. A queste somme si aggiungono gli interessi di mora ed anche gli aggi, cioè i compensi che spettano all’Agente di riscossione per la sua attività di recupero e sono fissati in quota percentuale sul tributo.

Ma fin qui rimaniamo nell’ambito delle pur pesanti sanzioni amministrative; ben diverso è, invece, il discorso delle sanzioni penali, che si applicano quando la condotta evasiva è considerata reato. Qui la reclusione e la multa nei confronti del soggetto riconosciuto responsabile all’esito del processo si aggiungono alle pene di carattere amministrativo e si tratta spesso di parecchi anni di carcere.

In questo articolo, ci occuperemo proprio delle sanzioni penali previste nei vari casi di mancato pagamento delle imposte; come vedremo, solo alcuni precisi casi integrano il reato ed è bene conoscerli per evitare brutte sorprese, ad esempio nel caso in cui si ometta di presentare la dichiarazione dei redditi o dell’Iva oppure nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate contesta che quella presentata è solo formalmente corretta ma in realtà contiene dati incompleti e non veritieri.

I reati tributari

La storia dei reati tributari inizia quasi 40 anni fa, quando lo Stato italiano introdusse per la prima volta una legge [1] subito ribattezzata «manette agli evasori» perché aveva l’obiettivo di sconfiggere l’evasione fiscale (che già all’epoca era ingente) con il carcere. Non ha mai funzionato a dovere: il risultato è stato quello di ingolfare Procure e Tribunali di tutta Italia con una serie di processi molto spesso per illeciti solo formali o comunque di scarso rilievo e valore economico. La maggior parte dei casi è caduta in prescrizione, altre volte sono stati condannati piccoli contribuenti, quasi mai i grandi evasori che quelle norme intendevano colpire.

Così il legislatore ha aggiustato il tiro e dopo circa 20 anni ha emanato una nuova legge [2] stavolta concentrandosi sui soli illeciti dolosi, anziché colposi, ed in grado di produrre un danno «rilevante» all’Erario, soprattutto attraverso gli

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indebiti rimborsi, le dichiarazioni fraudolente con l’uso di fatture o altri documenti relativi ad operazioni in realtà inesistenti, l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili ma anche le dichiarazioni omesse o infedeli, in questi casi solo quando gli importi evasi superavano determinate soglie.

Questo impianto normativo è stato poi oggetto di successivi interventi ma sostanzialmente ha retto quasi fino ad oggi, precisamente fino a dicembre dello scorso anno, quando è stato emanato il nuovo Decreto fiscale [3] collegato alla legge di Bilancio 2020. Con questa nuova norma le cose cambiano parecchio, soprattutto perché sono state innalzate le pene edittali previste e questo consente l’applicazione di misure coercitive e di strumenti di indagine come le intercettazioni telefoniche ed ambientali.

Adesso, esamineremo questi casi nel dettaglio e constaterai che sotto certi aspetti le «manette agli evasori» non sono tramontate anche se la strategia del Governo per colpirli è diventata molto più mirata e raffinata, con l’auspicio di trovare quelli veri e non più soltanto quelli apparenti.

I reati previsti nel Decreto fiscale

Il Decreto fiscale ha aumentato le possibilità di mandare in carcere per chi non paga le tasse. La tecnica per raggiungere questo obiettivo è duplice: sono state inasprite le pene e si sono abbassate le soglie di punibilità, in modo da raggiungere un maggior numero di condotte illecite. Ad esempio, nel caso di dichiarazione infedele l’importo per far scattare la norma penale è sceso da 150mila a 100mila euro per ogni imposta o annualità. Per l’omessa dichiarazione bastano invece 50mila euro.

Per chiudere il sistema, è stata introdotta anche la confisca dei beni di cui il condannato ha la disponibilità per un valore che risulta sproporzionato al suo reddito. A sua volta, la confisca è preceduta dal sequestro preventivo, che può essere adottato sin dalla fase delle indagini preliminari, cioè quando l’Agenzia delle Entrate o delle Dogane oppure la Guardia di Finanza o anche Enti previdenziali come l’Inps o l’Inail segnalano alla Procura della Repubblica la notizia di reato di evasione fiscale o contributiva riscontrata durante accertamenti e controlli.

Ora, ti esponiamo, per ciascuna condotta costituente reato, quali sono le pene previste e se c’è o meno la possibilità di fare ricorso alle misure cautelari

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coercitive e alle intercettazioni delle comunicazioni.

La dichiarazione fraudolenta

Chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in dichiarazione costi fittizi avvalendosi di fatture false, cioè relative ad operazioni non realmente effettuate, anche solo in parte (come ad esempio le fatture

“gonfiate”), o di altri documenti per operazioni inesistenti rischia la reclusione da 4 ad 8 anni di carcere (in precedenza era da 1 anno e 6 mesi a 6 anni).In questi casi è prevista anche la custodia cautelare in carcere e per accertare il reato sono ammesse le intercettazioni.

Le stesse pene sono previste per chi le fatture non le utilizza, bensì le emette, evidentemente per favorire l’evasione del soggetto al quale questi documenti fiscali sono destinati. Qui bisogna precisare che emettere più fatture per operazioni inesistenti nella stessa annualità d’imposta è considerato come un solo reato, anziché tanti quanti sono le fatture fittizie.

Se invece la dichiarazione fraudolenta viene compiuta con «altri artifici», come nel caso di operazioni simulate o di mezzi fraudolenti «idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria», la pena prevista va da 3 ad 8 anni, ma per integrare il reato occorrono tre precise condizioni: l’imposta evasa (o l’ammontare dei crediti e delle ritenute fittizie) deve essere superiore a 30mila euro, l’ammontare degli elementi attivi di reddito sottratti all’imposizione (o dei crediti e delle ritenute) deve superare il 5% del loro totale esposto in dichiarazione oppure il valore deve superare la soglia di 1 milione e 500mila euro.

Nota che non si considerano «mezzi fraudolenti» la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di registrazione nelle scritture contabili: per la frode occorre qualcosa di più della semplice omissione, una condotta attiva che si realizzi nella produzione di un documento falso o nella realizzazione di un’operazione fittizia, creata allo scopo di evadere le imposte. Anche in questo caso sono consentite le misure cautelari coercitive fino alla custodia in carcere e sono possibili le intercettazioni.

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La dichiarazione omessa

Si tratta di chi non presenta una delle dichiarazioni alle quali è obbligato, nell’ambito sia delle imposte sui redditi, come l’Irpef, sia di quelle sui consumi, come l’Iva. In questi casi, il reato sussiste quando l’imposta evasa supera la soglia di 50mila euro, per ciascuna imposta e per ogni annualità. Il medesimo delitto può essere commesso anche dai sostituti d’imposta se omettono le dichiarazioni previste a loro carico e omettono di versare le ritenute, anche in questo caso per importi superiori a 50mila euro annui.

La dichiarazione si considera omessa quando viene presentata con un ritardo di oltre 90 giorni rispetto alla scadenza prescritta dalla legge: per approfondire questo aspetto leggi l’articolo cosa rischio se non faccio la dichiarazione dei redditi.

Chi omette di presentare la dichiarazione è passibile di reclusione da 2 a 5 anni (per le dichiarazioni che andavano presentate fino al 24 dicembre 2019, invece, rimane la precedente pena con un minimo di 1 anno e 6 mesi ed un massimo di 4 anni). Siccome la pena non supera i limiti di ammissibilità [4] le intercettazioni non sono consentite. È invece possibile applicare le misure cautelari, compresa la custodia in carcere.

La dichiarazione infedele

La dichiarazione infedele ai fini penali è quella in cui vengono indicati elementi attivi o passivi di reddito per un ammontare diverso rispetto al reale (ovviamente, inferiore nel caso dei ricavi conseguiti e superiore nel caso dei costi sostenuti) in modo da realizzare un’evasione d’imposta superiore a 100mila euro (fino al 24 dicembre scorso la soglia era di 150mila euro). Ma per integrare il reato occorre anche che l’ammontare complessivo degli elementi sottratti all’imposizione superi il 10% del valore totale degli elementi attivi riportati in dichiarazione oppure superi la soglia di 2 milioni di euro.

In questi casi però la problematica applicativa diventa talvolta scivolosa, perché per determinare questi ammontari non si tiene conto delle classificazioni e valutazioni operate in bilancio quando i criteri di determinazione sono stati comunque debitamente esposti nel bilancio stesso o nella nota integrativa, in modo da consentire di verificare che non c’è stata la volontà di evadere. Anche per questo reato, infatti, è richiesto l’elemento soggettivo, dato dall’intento di

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conseguire un’evasione delle imposte sui redditi o di quelle sul valore aggiunto.

La sanzione va da un minimo di 2 anni ad un massimo di 4 anni e 6 mesi di reclusione (in precedenza era da 1 a 3 anni). I limiti di pena non consentono l’applicazione della custodia in carcere (rimangono però possibili le misure cautelari non custodiali, come l’obbligo di firma o il divieto di dimora) e non sono neppure attivabili le intercettazioni telefoniche o ambientali.

Occultamento o distruzione delle scritture contabili

Falsi incendi, allagamenti, furti di autovetture o nei locali aziendali ove la documentazione era custodita sono gli eventi più frequenti; più in generale il fenomeno riguarda tutti i casi in cui si nasconde o distrugge e si dichiara falsamente smarrita o rubata la documentazione contabile la cui tenuta e conservazione è obbligatoria, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari. Non deve esserci un impedimento assoluto, è sufficiente anche solo una «impossibilità relativa» che consente ai funzionari accertatori di arrivare altrimenti alla ricostruzione.

Qui, la reclusione va da 3 a 7 anni (fino al 24 dicembre 2019 era da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) e le elevate pene consentono di applicare sia la custodia cautelare in carcere sia l’intercettazione delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche o ambientali. Attenzione, quindi, a denunciare avvenuti uno smarrimento o una distruzione in realtà falsi.

Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Ci sono molti modi per evitare di pagare le tasse, alcuni perfettamente leciti, sfruttando i meccanismi e le possibilità offerti dalla legge, altri invece illegali e vietati. Qui, però, rilevano solo quelli fraudolenti, compiuti attraverso alienazioni simulate dei propri beni o qualsiasi altro atto che cerchi di rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, ad esempio intestando i propri immobili a un intestatario fittizio o a un prestanome prima che arrivi un pignoramento atteso per debiti tributari non pagati.

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Si tratta di un reato «di pericolo», quindi, per rendere perfetta la condotta illecita non occorre che le attività di riscossione coattiva siano state effettivamente intraprese e comunicate al contribuente.

C’è però una soglia al di sotto della quale queste condotte non costituiscono reato:

l’importo di 50mila euro, che comprende sia le imposte sia gli interessi e le sanzioni amministrative applicate per il mancato pagamento del dovuto entro i termini. Compiendo queste condotte e superando tale soglia, è prevista la reclusione da 6 mesi a 4 anni, ma il carcere potrà arrivare fino a 6 anni se l’ammontare di imposte, sanzioni e interessi supera i 200mila euro. Solo in tali ultimi casi sono consentite le intercettazioni ed è possibile applicare la custodia cautelare in carcere.

Note

[1] Legge n.516 del 7 agosto 1982, intitolata "Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto". [2] D.Lgs.

n.74 del 10 marzo 2000, intitolato "Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto". [3] D.L. n.124 del 26 ottobre 2019, convertito in

Legge 19 dicembre 2019, n. 157 "Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili". [4] Art. 266 Cod. proc. pen.

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