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Sabato 24 Ottobre :44 - Ultimo aggiornamento Lunedì 26 Ottobre :34

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Academic year: 2022

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(1)

di Ferdinando Aricò

1. Il caso concreto

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, affronta il problema della autonomia della domanda di addebito rispetto alla domanda di separazione giudiziale dei coniugi con particolare attenzione per la questione della possibilità del passaggio in giudicato di quest’ultima

limitatamente alle statuizioni sullo status qualora sia stata proposta impugnazione

esclusivamente sui capi della sentenza aventi ad oggetto l’addebitabilità della separazione.

Il caso concreto esaminato dal Supremo Collegio concerne l’assoggettabilità al regime di comunione legale di un complesso immobiliare acquistato da uno dei coniugi anche a seguito della intervenuta sentenza di separazione e nonostante l’impugnazione di quest’ultima proposta limitatamente al profilo della addebitabilità della separazione.

Nel 1993, infatti, G.L. acquistava un complesso immobiliare che, l’anno successivo veniva rivenduto a terzi. La moglie D.C., conveniva di fronte al Tribunale di Lecce il proprio marito, chiedendo che lo stesso venisse condannato a corrisponderle il 50% della somma percepita a titolo di prezzo per il predetto complesso immobiliare. La donna, infatti, deduceva che il bene era caduto in comunione legale e lamentava che l’alienazione era avvenuta senza il suo consenso con violazione della disciplina dettata dagli artt. 177 e ss. del c.c.. La stessa

precisava inoltre che tra lei ed il marito pendeva un giudizio di separazione personale definito in primo grado con sentenza dal Tribunale di Brindisi, resa in data 10.06.1989, sentenza tuttavia impugnata innanzi la Corte d’Appello di Lecce.

A seguito del rigetto della domanda attorea da parte del Tribunale di Brindisi, la signora D.C.

procedeva all’impugnazione di fronte la Corte d’Appello di Lecce la quale rilevava che: il giudizio di separazione era ancora pendente in grado d’appello (veniva definito solamente nel 1997) nel periodo in cui il G.L. effettuava l’acquisto del complesso immobiliare e la successiva alienazione (datate rispettivamente 1993 e 1994); il regime di comunione legale

conseguentemente era vigente anche in detto periodo; la moglie non aveva comunque prestato il prescritto consenso alle operazioni compiute dal marito né convalidato l’atto di vendita. Alla luce di ciò accoglieva la domanda della D.C. e disponeva che il marito G.L. le corrispondesse metà di quanto percepito a titolo di prezzo dell’immobile.

Il G.L. proponeva ricorso per Cassazione deducendo in particolare che al momento della compravendita immobiliare e la successiva alienazione si era già formato il giudicato sul punto della separazione personale, essendo il giudizio ancora pendente in sede d’appello solo per quanto atteneva il profilo dell’addebito. La motivazione addotta veniva sostanzialmente accolta dalla Corte di Cassazione, per la quale la sentenza di separazione impugnata esclusivamente sotto il profilo dell’addebito doveva comunque considerarsi passata in giudicato con

conseguente scioglimento della comunione.

(2)

2. Il principio di scindibilità della pronuncia della separazione.

La Cassazione accoglie quell’orientamento ormai pacificamente espresso dalla stessa Corte che riconosce la natura autonoma della domanda di addebito rispetto alla domanda di

separazione (1), nonostante l’accessorietà della prima rispetto a quest’ultima.

La teoria della autonomia della domanda d’addebito (alla quale viene riconosciuto un proprio petitum ed una propria causa petendi) viene compiutamente espressa nella sentenza delle S.U.

del 3 dicembre 2001. Con tale pronuncia si precisa che la domanda d’addebito, pur essendo logicamente dipendente dalla domanda di separazione, ha natura autonoma rispetto a

quest’ultima. La sua proposizione, infatti, non va a sollecitare modifiche o varianti nelle modalità di accertamento demandate al giudice con la domanda di separazione né costituisce semplice specificazione o qualificazione della medesima, ma amplia il tema d’indagine a fatti ulteriori ed indipendenti rispetto a quelli propri della separazione producendo effetti che non si riflettono sulla sentenza principale ma hanno propri contenuti anche di natura patrimoniale.

Il dato giurisprudenziale è stato inoltre recepito nell’intervento del legislatore il quale ha previsto, con il nuovo art. 709 bis c.p.c., la possibilità per il giudice di pronunciare una sentenza parziale sulla separazione nell’ipotesi in cui il processo debba continuare sulle domande accessorie.

Tale norma risponde all’interesse delle parti (o almeno di una di esse) a che si giunga celermente ad una sentenza che definisca lo status sulla quale si formi celermente anche il giudicato (essendo ammissibile sulla sentenza in questione il solo appello immediato). Il giudicato, infatti, non manca di produrre effetti su altre questioni rilevanti come la proponibilità della azione di divorzio (2) o, come nel caso di specie, lo scioglimento della comunione legale

dei beni (3).

La norma in questione si fonda proprio sulla natura autonoma della pronuncia sulla separazione rispetto alle pronunce accessorie, ivi compresa quella sull’addebito.

3. Teorie sulla natura della domanda di addebito.

La tesi accolta dalla Sezioni Unite supera l’orientamento dominante della Prima Sezione, la quale aveva invece affermato il principio della necessaria contestualità delle pronunce sulla separazione e sull’addebito (4). Sulla base di detto principio si era affermata sia

l’inammissibilità della domanda di divorzio in pendenza dell’impugnazione sul solo capo relativo all’addebito che l’inammissibilità di una sentenza parziale non definitiva sulla sola separazione nell’ipotesi in cui fosse stato richiesto al giudice anche l’addebito

. (5)

Il principio di necessaria contestualità delle pronunce sull’addebito e sulla separazione

discendeva per la Corte di Cassazione dalla formulazione letterale dell’art. 151, 2° comma del c.c., nel quale, non vi erano delineate due forme di separazione, l’una con addebito e l’altra senza, ma una soltanto, ai fini della quale è demandato al giudice l’accertamento della intollerabilità della convivenza ed alla quale si aggiungono, sull’eventuale richiesta di parte, ulteriori accertamenti riguardanti i comportamenti dei coniugi che abbiano causato detta

intollerabilità: l’addebito viene quindi considerato quale elemento accessorio ed eventuale della sentenza di separazione, “ed è la connessione degli accertamenti da compiere, in relazione all’unico fatto oggettivo dell’intollerabilità della convivenza, che impedisce non solo di

frazionare, ma prima ancora di ravvisare una duplicità di pronunzie, attraverso un arbitrario

(3)

sdoppiamento dell’unica, pur composita, statuizione del giudice della separazione

” (6)

. Tale impostazione viene da subito criticata in dottrina

per la sua dogmaticità e per la poca forza persuasiva delle argomentazioni della Corte.(7) Le Sezioni Unite (8) precisano (e tale impostazione viene ripresa dalla sentenza in commento) che la domanda di addebito assume il contenuto proprio di una domanda autonoma, rispetto alle quali presenta numerose affinità, pur essendo proponibile nel solo giudizio di separazione.

In effetti, la domanda di addebito soggiace, quanto a modalità di introduzione nel giudizio, alla medesima disciplina relativa alle altre domande. Essa necessita di un’apposita istanza di parte, e rimane preclusa, secondo le norme generali, se proposta successivamente all’atto introduttivo

(9); allo stesso modo, se proposta dal convenuto, la dottrina ritiene che deve qualificarsi come domanda riconvenzionale e come tale soggetta alla relativa disciplina preclusiva (10). La Suprema Corte, nelle sentenze citate, ha inoltre avuto modo di evidenziare che la richiesta di addebito è caratterizzata da un proprio petitum e da una propria causa petendi.

Il primo elemento consisterebbe nell’accertamento dei fatti e comportamenti integranti la responsabilità della separazione e mira ad una pronuncia dichiarativa dalla quale derivano effetti sostanziali differenti – soprattutto di carattere patrimoniale, cioè la perdita del diritto al mantenimento da parte del coniuge che si è visto addebitata la separazione –rispetto a quelli a cui mira la domanda di separazione: quest’ultima ha infatti come obiettivo l’ottenimento di una sentenza di natura costitutiva relativamente allo status.

Per quanto riguarda invece la causa petendi, la richiesta d’addebito si fonda sull’esistenza di comportamenti contrari ai doveri matrimoniali che abbiano causato l’ intollerabilità della convivenza. Diversamente, la domanda di separazione poggia sul dato oggettivo della insorgenza della intollerabilità della convivenza, eventualmente manifestato da fatti diversi o comunque prescindendo dalla loro riferibilità soggettiva al singolo coniuge.

4. Il valore del giudicato pronunce giurisdizionali di carattare processuale

La sentenza in commento è caratterizzata da un’ulteriore precisazione della Suprema Corte in ordine alla efficacia del giudicato relativo ad una pronuncia a carattere processuale resa in altro processo. La controricorrente infatti, tra i motivi di ricorso, sosteneva che il giudicato sulla

sentenza di separazione non avrebbe potuto formarsi anche in ragione della sentenza di improponibilità della domanda di divorzio resa tra le stesse parti, non impugnata, e motivata in ragione della pendenza in grado d’appello del giudizio di separazione.

In pratica, uno dei coniugi (11) aveva proposto domanda di divorzio respinta dal Tribunale ( per l’improponibilità della domanda dovuta alla pendenza in grado d’appello del giudizio di12) separazione tra le parti. La Corte di merito, in sostanza aderiva, in questo caso, all’orientamento minoritario

e negava l’autonomia della domanda di addebito rispetto a quella di separazione respingendo(13) quindi il ricorso per il divorzio.

(4)

La Corte di Cassazione respinge tale tesi, richiamando gli orientamenti pregressi (14), ed aggiungendo, quale ulteriore argomentazione, che la pronuncia giurisdizionale che abbia ad oggetto una questione processuale ha un efficacia di giudicato limitata al solo giudizio nel quale la sentenza è resa senza spiegare efficacia esterna in relazione ad altri processi, anche aventi ad oggetto il medesimo rapporto sostanziale.

La Corte richiama l’orientamento per il quale la sentenza ha forza di giudicato sostanziale, avente valore esterno anche per i processi ulteriori rispetto a quello in cui è stata resa, esclusivamente se la medesima attiene a statuizioni di carattere sostanziale, che si pronunciano cioè su posizioni di carattere soggettivo tutelate e dedotte in giudizio.

Diversamente la statuizione a carattere processuale, una volta passata in giudicato, acquista valore di giudicato interno, vale a dire ha efficacia limitatamente al processo in cui è stata resa e non impedisce la riproposizione della medesima questione in successivo giudizio.

5. Conclusioni

Alla luce di quanto affermato nella sentenza in esame e degli orientamenti pregressi pare potersi affermare serenamente l’autonomia della domanda d’addebito rispetto a quella di

separazione, dato che trova conforto, come già accennato, anche nella disciplina legislativa del nuovo art. 709 bis c.p.c.. Il legislatore ha colto i vantaggi, soprattutto in termini di economia processuale, che derivano dalla possibilità di scindere la pronuncia d’addebito da quella di separazione ed ha introdotto la possibilità per il giudice (già prevista a livello generale dall’art.

277 c.p.c. e, in materia di divorzio, dall’art. della l. 898 del 1970) di pronunciare, anche d’ufficio, una sentenza parziale di separazione, immediatamente impugnabile in appello, e che lasci ad una successiva pronuncia la definizione delle questione ulteriori (richiesta di addebito,

l'affidamento dei figli o le questioni economiche). In tal modo al cittadino-utente del sistema giustizia è data la possibilità di non dovere attendere, per ottenere una pronuncia che ne definisca lo status, l’effettuazione di tutti gli accertamenti necessari (spesso laboriosi e defatiganti) per la risoluzione delle questioni ulteriori e soprattutto di non dovere attendere eventuali ulteriori gradi di giudizio.

La sentenza in commento, Cassazione 31 maggio 2008, n. 14639.

(1) Cass., sez. un., 03 dicembre 2001, n. 15248: “Nel giudizio di separazione personale dei coniugi la richiesta di declaratoria di addebitabilità della separazione ha natura di domanda autonoma, pure se logicamente subordinata alla pronuncia di separazione, priva di riflessi su questa e dotata di propri effetti di natura patrimoniale. Pertanto, che il giudice del merito (in applicazione dell'art. 277 comma 2 c.p.c.) può limitare la decisione alla domanda di

separazione, se ciò risponda a un apprezzabile interesse della parte e se non sussista per la domanda stessa la necessità di ulteriore istruzione, con conseguente formazione del giudicato sulla pronunzia parziale di separazione non impugnata e proponibilità, in tale ipotesi, della

(5)

domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonostante il protrarsi della contesa sull'addebito” in Giust. Civ., 2001, I, 2905.

(2) Cass., sez. un., 04 dicembre 2001 , n. 15279, in Giust. civ. Mass. 2001, 2078 e in Familia 2002, 1136 con nota di DOGLIOTTI e di NERI: “Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell'ambito del giudizio di

separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la stessa presuppone l'iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, ha una "causa petendi" (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un "petitum"

(statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita del diritto al

mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art. 329, comma 2, c.p.c., l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l'azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione”. Cass., sez. I,

26-08-2004, n. 16996, “In tema di separazione personale dei coniugi il giudice di merito, in applicazione dell’art. 277, 2º comma, c.p.c., può limitare la decisione alla domanda di

separazione, se ciò corrisponda a un apprezzabile interesse della parte e se non sussista per la domanda stessa la necessità di ulteriore istruzione, con l’effetto della formazione del giudicato sulla pronuncia parziale di separazione, non impugnata, e della proponibilità, in tali ipotesi, della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonostante il

protrarsi della contesa sull’addebito”.

(3) Cass., 1 agosto 2007, n. 16985 in Famiglia e Diritto, 12, 2007, 1085 con nota di C.

Onniboni, Brevi note sull’autonomia della domanda di addebito. La Corte di Cassazione afferma che: “La pronuncia sulla separazione è scindibile rispetto a quella dell’addebito e può formare oggetto di una sentenza parziale non definitiva.” Da evidenziare che la Cassazione non ha fatto riferimento nella motivazione alla nuova norma dell’art. 709 bis ma ha invece sancito

l’autonomia della domanda d’addebito (e nella specie la proponibilità della domanda di divorzio a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di separazione parziale) argomentando sulla scorta dei principi affermati dalle S.U. con la sentenza 3 dicembre 2001 n. 15248, cit..  

(4) Cassazione civile , sez. I, 06 ottobre 2005 , n. 19447: “Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi si verifica "ex nunc" soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, non spiegando effetti - al riguardo - il precedente provvedimento presidenziale (provvisorio e funzionalmente limitato) con cui i coniugi siano stati autorizzati ad interrompere la convivenza, nè, a maggior ragione, il semplice fatto in sè della separazione dei coniugi, sicché risulta improponibile la eventuale domanda di scioglimento della comunione proposta prima della formazione del giudicato sulla separazione”, in Giust. civ. Mass. 2005, 10;

Cass., 15 settembre 2004, n. 18564, in Giust. Civ. Mass.

, 2004, 9: “In tema di comunione legale fra coniugi, i rimborsi e le restituzioni delle somme spettanti in dipendenza dell'amministrazione dei beni comuni, nei limiti delle somme prelevate da ciascuno dei coniugi dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle

obbligazioni cui sono destinati per legge i beni in regime di comunione legale, si effettuano solo al momento dello scioglimento della comunione in funzione della divisione dei beni comuni, momento che, in caso di separazione tra i coniugi, coincide con il passaggio in giudicato della

(6)

relativa pronuncia.”

(5) Cass., 7 dicembre 1994, n. 10512, in Foro it., 1995, I, 1202, con nota di Salmè.

(6) Cass., 13 dicembre 1995, n. 13312, in Giur. It., 1996 I, 1, 1066 con nota di Gaglioti; Cass.

10 aprile 1998, n. 3718 in Foro it. , 1998, I,

2142, con nota di F. Cipriani, Impugnazione per il solo addebito e domanda di divorzio ed in Giur.it

. con nota di Barbiera, Una non convincente conferma dell’unità del giudicato su intollerabilità della prosecuzione della convivenza e addebito; Cass. 13 Agosto 1998, n 7945, in

Foro it

., 1998, con nota di F. Cipriani, Ancora sul simultaneus processus sulla separazione e sull’addebito; Cass. 14 giugno 2000, n. 8106, in

Famiglia e Diritto

, con nota di Figone, L’impugnazione sull’addebito esclude il passaggio in giudicato della sentenza.

(7) Cass., 10 aprile 1998, n. 3718, cit.

(8) F. Cipriani, Impugnazione per il solo addebito e domanda di divorzio, cit. e Ib., Ancora sul simultaneus processus sulla separazione e sull’addebito, cit., Barbiera, Una non convincente conferma dell’unità del giudicato su intollerabilità della prosecuzione della convivenza e addebito, cit..

(9) Cass., sez. un., 03 dicembre 2001, n. 15248; Cass., sez. un., 04 dicembre 2001 , n. 15279.

(10) Cass. 16 maggio 2007, n. 11305; Cass., 31 maggio 2007 n. 12674

(11) F. Tommaseo, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005, in Famiglia e Diritto, 2006, n. 7.

(12)  Dal testo della sentenza non si riesce a desumere quale dei due, la Corte fa fugace riferimento a tale sentenza, assente nella ricostruzione iniziale del fatto.

(13)  Anche il dato sulla Corte di Merito che ha reso tale sentenza cui ci si riferisce è incompleto.

(14)  Anche se, per dovere di cronaca, la sentenza è datata 3.12.1998 ed è quindi precedente al revirement segnato dalle sentenze del dicembre 2001 della SS.UU.

(15) Cass., sez. I, 24 novembre 2004 , n. 22212 in Giust. civ. Mass. 2005, 4: “Poiché le decisioni su questioni processuali sono suscettibili di formazione del giudicato soltanto nell'ambito dello stesso processo (cosiddetto giudicato interno), e non impediscono la proposizione delle medesime questioni in un successivo giudizio, l'inammissibilità della

domanda di determinazione del conguaglio sull'indennità di esproprio, a suo tempo dichiarata dalla Corte d'appello sul presupposto dell'assenza di una stima amministrativa definitiva, in base ad un orientamento giurisprudenziale poi superato, non è idonea al passaggio in giudicato sull'infondatezza della domanda nel merito, per il semplice fatto che il giudice abbia

ulteriormente affermato al condizionale ("domanda che risulterebbe altresì infondata", per la mancanza del decreto di esproprio), tuttavia dichiarando nel dispositivo l'inammissibilità della domanda”.; Cass., sez. II, 07 maggio 1987, n. 4230 in

Giust. civ. Mass

. 1987, fasc. 5: “L'autorità del giudicato, oltre ad investire ciò che forma l'oggetto e la causa giuridica del giudizio, si estende a tutte le statuizioni, anche implicite, che della decisione finale costituiscono dei punti obbligati di passaggio, rappresentandone il presupposto logico

indispensabile. In tale ambito tuttavia mentre le decisioni su questioni di merito, anche di carattere preliminare, spiegano i loro effetti anche al di fuori del processo e sono vincolanti in

(7)

tutti i giudizi futuri, le decisioni su questioni processuali, invece, sono suscettibili di formazione del giudicato soltanto nell'ambito dello stesso processo (cosiddetto giudicato interno), e non impediscono la proposizione delle medesime questioni in un successivo giudizio. (Nella specie, dei coeredi, dopo aver proposto domanda di divisione ereditaria, in sede di precisazione delle conclusioni, avevano chiesto la riduzione delle disposizioni testamentarie, dichiarata

inammissibile con sentenza non definitiva. Gli stessi coeredi, quindi, avevano promosso autonoma azione di riduzione e il relativo procedimento era stato riunito a quello ancora in corso per la decisione sulla divisione. La Suprema Corte, alla stregua del surriportato principio, ha ritenuto corretta la decisione del merito che aveva respinto l'eccezione di inammissibilità di detta azione)”; Cass., sez. I, 11 aprile 1983, n. 2550, in

Giust. civ. Mass

. 1983, fasc. 4: “La forza del giudicato sostanziale assiste soltanto le pronunzie giurisdizionali a contenuto decisorio di merito, vale a dire quelle che statuiscono in ordine all'esistenza delle posizioni soggettive tutelate e dedotte in giudizio, e non anche le statuizioni di carattere processuale, attinenti cioè alla costituzione del giudice o alla determinazione dei suoi poteri ovvero allo svolgimento del processo, che producono effetti limitati al rapporto processuale nel quale sono emanate. Pertanto, la decisione circa la natura ed i limiti, se di stretto diritto ovvero secondo equità, della potestas iudicandi attribuita agli arbitri, appartenendo alla seconda categoria, non spiega alcuna efficacia esterna con riguardo ad un successivo processo, anche vertente tra le stesse parti e concernente il medesimo rapporto sostanziale”.

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