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Prospettive economiche globali per il 2021

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Academic year: 2022

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Prospettive economiche globali per il 2021

Questo documento è riservato ai Clienti Professionali e ai Soggetti Collocatori in Italia, e non ai clienti finali. È vietata la distribuzione.

Panoramica

Il 2020 è stato dominato dalla pandemia di Covid-19, che ha inizialmente colpito la Cina a gennaio e febbraio durante le festività per il Capodanno cinese, in occasione del quale fabbriche e uffici di tutto il Paese sono di norma chiusi anche per due settimane. Grazie a questa coincidenza, il danno economico è stato inferiore a quello che la Cina avrebbe altrimenti subito. Ciò nonostante, il lockdown nella città di Wuhan è proseguito sino ad aprile. Alla fine di febbraio, Nord America ed Europa sono stati investiti anch’essi dall’epidemia che, dopo aver causato lockdown in Europa, si è gradualmente diffusa in gran parte dei Paesi sviluppati ed emergenti. La prima pandemia su scala mondiale da molti decenni ha così richiamato alla memoria l’influenza spagnola del 1918-1919.

Sul piano delle prospettive economiche, tre sono i fattori importanti: (1) l’impatto e la durata dei continui lockdown e del conseguente danno alle economie; (2) la scala e la struttura delle politiche di stimolo economico attuate durante la crisi sanitaria e (3) la rapidità e l’efficacia dello sviluppo e della distribuzione in tutto il mondo di un vaccino efficace per combattere l’epidemia.

1. L’impatto dell’epidemia e dei lockdown si è fatto principalmente sentire nella popolazione anziana e nel settore dei servizi, in particolare sulle attività che richiedono la presenza in persona come intrattenimento dal vivo, ristoranti, hotel, viaggi e servizi personali come i saloni di bellezza. In generale, sono state pertanto maggiormente penalizzate le economie con popolazioni in età più avanzata e le economie più dipendenti dai servizi che dalla produzione manifatturiera. Alcune di queste economie subiranno danni permanenti – i cosiddetti “scarring effect” – a causa dei quali dopo la pandemia una parte dei posti di lavoro o delle capacità necessarie in epoca pre-pandemica non incontrerà più lo stesso grado di domanda.

2. La scala e la velocità di implementazione delle misure monetarie e fiscali concepite per gestire le regressioni economiche causate dall’epidemia sono state senza precedenti. Secondo l’IMF Fiscal Monitor di ottobre 2020, “Le misure governative miranti ad attutire il colpo assestato dalla pandemia hanno raggiunto l’iperbolica cifra di 12 trilioni di dollari USA in tutto il mondo.”

John Greenwood Chief Economist Adam Burton Senior Economist

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Tabella 1 (%) Consenso e previsioni di Invesco per il 2020 e il 2021

Stima 2020 Previsione di consenso 2021

(Previsione Invesco)

Consensus Economics PIL reale Inflazione CPI PIL reale Inflazione CPI

USA -4,0 1,2 3,7 (3,8) 2,0 (2,2)

Zona euro -7,5 0,3 5,3 (4,5) 0,9 (1,0)

Regno Unito -10,1 0,9 5,7 (6,0) 1,5 (1,2)

Giappone -5,7 0,0 0,6 (2,5) 0,7 (0,2)

Canada -5,8 0,7 4,9 (5,0) 1,7 (2,0)

Cina 2,3 2,8 7,9 (7,5) 2,0 (2,0)

India -9,7 5,5 10,9 (10,8) 4,4 (3,5)

Fonte: Consensus Economics. Data del sondaggio: 12 ottobre 2020.

3. Vi sono numerosi vaccini in varie fasi di sviluppo e test. Sembra molto probabile che nel primo semestre del 2021 sarà disponibili su ampia scala un vaccino efficace, anche se per mantenere l’immunità saranno necessarie più dosi. In prospettiva, la ripresa del settore dei servizi in tutto il mondo dipenderà essenzialmente dallo sviluppo di un vaccino efficace che infonda nella gente fiducia a viaggiare e a stare nuovamente insieme agli altri.

Al momento nelle principali economie europee come Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito sono in corso nuovi lockdown nazionali (non locali), mentre negli Stati Uniti si registrano nuovi picchi di contagi giornalieri e pertanto non vi è alcun segnale di immediata ripresa.

Ciò significa che nel quarto trimestre del 2020 il PIL reale potrebbe subire cali, per poi seguire una traiettoria incerta nel 2021. Il prossimo anno potrebbe iniziare con un primo trimestre debole nell’emisfero settentrionale dovuto alla persistenza dell’epidemia, seguito da rimbalzi relativamente forti nel secondo e terzo trimestre, soprattutto in caso di disponibilità di un vaccino. Le riprese nel 2021 saranno sostenute dalle politiche di stimoli monetari e fiscali su ampia scala attuate da banche centrali e governi di tutto il mondo sviluppato.

Per questa ragione, la ripresa nelle economie sviluppate, una volta controllata l’epidemia, sarà molto più forte della ripresa anemica, inferiore alla media, registrata dopo la crisi finanziaria globale (GFC). Dieci anni fa, banche e famiglie dovettero risanare i bilanci raccogliendo capitali e/o riducendo i debiti e pertanto non poterono sfruttare i bassi tassi d’interesse per ampliare l’indebitamento e la spesa. Questa volta non esiste tale problema. Anzi, grazie all’incoraggiamento delle autorità monetarie e regolatorie, l’aggregato monetario ampio e il credito hanno in linea di massima registrato una crescita robusta nelle economie primarie. Ciò spiega la notevole esuberanza dei mercati azionari e immobiliari. Tale quadro si traduce quasi invariabilmente in una forte crescita della spesa, che però avverrà solo una volta ampiamente superati incertezze e distanziamento sociale.

Per contro, in Cina e in altre regioni dell’Asia orientale, la maggior parte delle economie è sulla via di una ripresa costante, seppure non spettacolare, favorita da modeste riduzioni dei tassi d’interesse e dalle diminuzioni dei coefficienti di riserva obbligatoria.

Tuttavia, poche di esse hanno ritenuto necessario ricorrere a misure straordinarie come il quantitative easing (QE) e alcune, come la Cina, sono state frenate dal desiderio delle autorità di continuare a ridurre l’indebitamento nell’economia.

L’Asia ha indubbiamente contenuto meglio l’epidemia, ma ora e nel 2021 avrà probabilmente ancora difficoltà a far virare in positivo l’economia in un quadro in cui la domanda di esportazioni asiatiche è meno esuberante che in una tipica ripresa trascinata dalle esportazioni. Le economie come Cina e Giappone dovrebbero riportare una buona crescita della domanda interna, ma le esportazioni – loro tradizionale punto di forza – registreranno una ripresa più lenta.

(3)

Stati Uniti

Le prospettive per gli Stati Uniti saranno determinate dall’equilibrio tra due forze opposte. Da una parte, la scala dei supporti monetari e fiscali combinati forniti dalla Federal Reserve (Fed) e dal governo federale è a nostro giudizio più ampia delle politiche equivalenti attuate da qualunque altra economia primaria. L’entità degli stimoli monetari è meglio spiegata dall’aumento di una misura dell’aggregato monetario ampio come l’M2, che dalla fine di febbraio è salito di 3,2 trilioni di dollari USA (20,7%). Gli stimoli fiscali federali per l’economia – in misure di supporto immediato, differimenti di imposte e altre garanzie o forme di liquidità – dall’inizio della crisi ammontano nel complesso a 3,061 trilioni di dollari USA (ossia il 14,3% del PIL 2019). Abbiamo già osservato l’impatto fenomenale sui mercati degli asset: per esempio, lo S&P500 è salito di oltre il 55% dal minimo del 23 marzo, mentre i prezzi delle abitazioni, quali lo S&P Case-Shiller 20-City Index, sono aumentati del 5,2% nel corso dell’anno.

Le indicazioni prospettiche della Fed implicano a loro volta che il tasso dei Fed Fund sarà tenuto all’attuale livello dello 0,1% almeno fino al 2023. Poiché le stesse forze che dettano i prezzi degli asset influenzano anche le spese in beni e servizi, nel momento e nella misura in cui le autorità sanitarie USA iniziano a superare l’epidemia, l’impatto ritardato sulla spesa delle consistenti iniezioni di moneta e credito potrebbe essere enorme.

D’altra parte, a causa della mancata elaborazione di una risposta nazionale omogenea alla pandemia da parte dell’amministrazione Trump uscente, gli Stati Uniti registrano ancora tassi di

contagio molto elevati e profonde turbative in settori chiave come compagnie aeree, hotel e ospitalità, nonché un’ampia gamma di servizi personali. Di conseguenza, è emerso un grado elevato di incertezza tra consumatori e imprese circa l’opportunità di spendere o risparmiare, nell’eventualità di un ulteriore peggioramento della situazione. Dati statistici dettagliati dimostrano che le fasce a reddito superiore hanno drasticamente tagliato le spese, mentre quelle a reddito inferiore – avendo minori spazi di manovra – hanno evidenziato una notevole dipendenza dai piani di supporto governativi. Al contempo una percentuale ragguardevole di questi lavoratori, che operano in servizi con basse retribuzioni, è stata messa in cassa integrazione o licenziata.

L’impatto estremamente diversificato dell’epidemia sulla spesa è chiaramente dimostrato dal radicale cambiamento della composizione delle spese in consumi personali USA (in termini reali ed estratti dal PIL).

Benché le spese in consumi totali siano diminuite da 13,354 trilioni di dollari USA a 12,917 trilioni tra il quarto trimestre del 2019 e il terzo trimestre del 2020, nello stesso periodo le spese in servizi sono scese dal livello annuo di 8,584 trilioni di dollari USA a soli 7,925 trilioni. Le spese in beni durevoli e non durevoli si sono mosse in netta controtendenza, salendo rispettivamente da 1,811 a 2,026 trilioni di dollari USA e da 3,070 a 3,140 trilioni di dollari USA.

È estremamente difficile formulare previsioni subito dopo le elezioni statunitensi, ma sembra certo che – a prescindere dall’indirizzo politico – il Congresso attuerà ulteriori misure di supporto fiscale entro la fine dell’anno o a gennaio. Nel frattempo la politica monetaria della Fed rimarrà estremamente accomodante su tre fronti: mantenendo il tasso dei Fed Fund allo 0,1%; continuando a iniettare liquidità nell’economia mediante il QE e altre linee di credito all’attuale ritmo di 120 miliardi di dollari USA al mese; fornendo indicazioni prospettiche di mantenimento di bassi tassi d’interesse a breve termine fino a quando il mercato del lavoro abbia raggiunto la “massima occupazione” e l’inflazione sia pari o superiore all’obiettivo del 2%.1 A nostro avviso le iniezioni di liquidità nei mesi marzo-luglio sono state così abbondanti che, pure in assenza di ulteriori interventi della Fed, l’economia potrà contare su un ampio potere di spesa almeno fino alla metà del 2021.

Grazie agli interventi della Fed, del governo federale e del sistema bancario, la quantità di moneta in mano pubblica, o M2, è aumentata all’incredibile ritmo annuo del 33,2% tra marzo e settembre e del 24,1% su base annua alla fine di settembre. Anche qualora la crescita M2 ritornasse ad appena il 6% annuo nel periodo in chiusura a marzo 2021, secondo le nostre stime la crescita M2 su base annua rimarrebbe comunque elevata, pari al 14%.

Dopo l’aumento del 33% del PIL reale nel trimestre luglio-settembre, ci aspettiamo un rallentamento – o addirittura un calo – nel trimestre ottobre-dicembre del 2020, associato alla seconda ondata pandemica, a un debole inizio del 2021, seguito da una forza decisamente maggiore nel secondo, terzo e quarto trimestre. Nel complesso, per il 2021 ci aspettiamo una crescita del PIL reale USA del 3,8%. Al contempo, l’inflazione rimarrà probabilmente contenuta al 2,2% nel 2021 sulla scia dei precedenti cali dei prezzi del petrolio e delle continue battute d’arresto della spesa in servizi, ma potrebbe iniziare ad aumentare nel 2022.

Figura 1

Spesa per consumi personali USA: calo della spesa in servizi in parte compensato dalla spesa in beni

Fonte: Refinitiv al 12 novembre 2020. (Miliardi di USD, a prezzi concatenati 2012). (Q1 2016 = 100).

2018 2019

2017 2020

2016

125 120 115 110 105 100

90 95 PCE totale

Servizi

Beni (durevoli e non durevoli)

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Zona euro

Dopo il calo del 3,8% e 11,8% nel primo e secondo trimestre del 2020, il PIL reale dell’area euro ha registrato un forte rimbalzo del 12,7% nel trimestre luglio-settembre, recuperando circa la metà della contrazione del primo semestre dell’anno. Tuttavia, in estate e all’inizio dell’autunno i tassi di contagio da coronavirus sono aumentati, richiedendo un’intensificazione delle misure di contenimento come il distanziamento sociale. In ottobre e novembre sono stati imposti lockdown regionali o nazionali in gran parte dell’area euro. A conferma della recrudescenza dell’epidemia, recenti hard data, risultati di sondaggi e indicatori ad alta frequenza prefigurano tutti un calo dell’attività economica nel trimestre ottobre-dicembre.

Gli sviluppi economici nei vari settori continuano inoltre a evidenziare disomogeneità. L’attività nei settori dei servizi è di nuovo in via di rallentamento poiché questo è il settore più colpito dalle nuove restrizioni alla mobilità e alle attività sociali. In prospettiva, l’incertezza legata all’evoluzione della pandemia è destinata ad attutire la forza della ripresa del mercato del lavoro, dei consumi e degli investimenti. Come tendono a dichiarare i funzionari della Banca Centrale Europea (BCE), i rischi per le prospettive di crescita dell’area euro per il 2021 sono chiaramente orientati al ribasso.

Si pone il seguente interrogativo: le misure monetarie e fiscali quanto devono dimostrarsi d’aiuto ed espansionistiche per volgere le prospettive da una prevalenza di rischi al ribasso a un quadro di forza, una volta controllata l’epidemia?

Sul fronte monetario la BCE ha già portato il tasso di

rifinanziamento principale allo 0% e il tasso sui depositi a -0,5%, limitando la propria capacità d’azione in quest’area. Tuttavia, a marzo è stata annunciata l’attuazione del Programma di acquisto per l’emergenza pandemica (PEPP), rivolto ai titoli del settore pubblico e privato (inclusi titoli di Stato greci). A giugno 2020 il piano originario da 750 miliardi di euro è stato ampliato di 600 miliardi e portato a un totale di 1.350 miliardi di euro. Il 30 ottobre, il PEPP della BCE ammontava a 627,6 miliardi di euro. Gli acquisti si basano sullo “schema di sottoscrizione del capitale” (o quota di capitale della BCE sottoscritta dalle banche centrali nazionali) e continueranno fino a quando il Consiglio Direttivo ritenga che la fase di crisi Covid-19 sia stata superata e, in ogni caso, almeno fino alla fine di giugno 2021, reinvestendo i pagamenti di capitale dai titoli in scadenza come minimo sino alla fine del 2022.

Il terzo strumento utilizzato dalla BCE consiste nelle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO), nel cui quadro la BCE concede finanziamenti alle banche a tassi

agevolati se le banche li destinano a imprese o famiglie (ma non a mutui ipotecari). Il 30 ottobre l’importo TLTRO totale in essere era pari a 1.753 miliardi di euro.

Benché questi strumenti abbiano nel complesso ampliato il bilancio della BCE di poco più di 2 trilioni di euro (da 4,704 a 6,776 trilioni di euro) da metà marzo, il dato deludente è che l’aggregato monetario ampio nell’area euro M3 ha registrato un aumento inferiore a 1 trilione di euro (passando cioè da 13,476 a 14,180 trilioni di euro), ovvero salendo dal 5% annuo pre-Covid al 10,4% su base annua in settembre 2020 (Figura 2).

Il principale limite del PEPP riguarda le controparti degli acquisti BCE. Ancora una volta, come nel caso dei precedenti programmi di acquisto, la BCE continua ad acquistare gran parte dei titoli del PEPP dalle banche anziché da enti non bancari; ciò significa che queste operazioni non creano direttamente nuovi depositi né iniettano denaro nel sistema bancario. Si affida alle banche per concedere prestiti e pertanto la crescita monetaria risulta notevolmente inferiore a quella che si sarebbe registrata qualora la BCE avesse acquistato titoli da investitori istituzionali non bancari.

Ciò nonostante, malgrado questo limite, l’economia dell’area euro dovrebbe continuare a essere supportata da condizioni monetarie favorevoli (nel senso di crescita M3) e dall’atteggiamento pro- crescita della BCE e delle autorità di vigilanza. Queste forze continueranno a contare di più di qualsiasi proposta fiscale o programma di emissione obbligazionaria a livello UE.

A settembre l’inflazione headline annuale nell’area euro è scesa a -0,3% da -0,2% di agosto, a fronte dell’evoluzione dei prezzi dell’energia, dei beni e servizi industriali al di fuori dell’energia.

In considerazione delle dinamiche dei prezzi del petrolio e della temporanea riduzione dell’IVA tedesca, l’inflazione headline è destinata a rimanere negativa fino all’inizio del 2021. Le pressioni sui prezzi rimarranno a loro volta contenute nel breve termine a causa della debolezza della domanda, soprattutto nei settori del turismo e legati ai viaggi, nonché delle minori pressioni salariali e dell’apprezzamento dell’euro. Una volta attenuatosi l’impatto della pandemia, la ripresa della domanda – supportata da politiche monetarie e fiscali accomodanti – eserciterà pressioni rialziste sull’inflazione a medio termine. Gli indicatori basati sul mercato e i parametri fondati sui sondaggi riguardo alle aspettative d’inflazione a lungo termine rimangono pressoché invariati a bassi livelli.

Per il 2021 ci aspettiamo una crescita del PIL reale del 4,5% con un’inflazione di appena l’1%.

Figura 2

Il bilancio della BCE ha registrato un’espansione maggiore rispetto a M3

Fonte: Refinitiv al 12 novembre 2020.

2017

2016 2018 2019 2020

15

10 2

11 3

12 4

13 5

14 6

7 2015

Attività totali della BCE (trilioni di euro, sx) Aggregato monetario M3 (milioni di euro, dx)

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Nel contesto globale della pandemia di Covid-19 il Regno Unito ha registrato performance relativamente mediocri in rapporto ad altre economie. In base ai decessi totali, il Regno Unito si colloca al quinto posto nel mondo, ma scende al quindicesimo in termini di morti totali pro capite. Dopo un lockdown dell’economia iniziato a marzo 2020 e durato vari mesi, la crescita dei contagi e i decessi sono notevolmente diminuiti all’inizio dell’estate. La strategia è a quel punto passata da lockdown nazionali (con il corrispondente danno all’attività economica) a un sistema di

“test, tracciamento e isolamento” per combattere l’epidemia a livello locale. Questa strategia è purtroppo fallita e in settembre è stato introdotto un sistema locale di vari livelli di restrizioni sociali; il 5 novembre 2020 l’Inghilterra ha iniziato un secondo lockdown nazionale della durata di 27 giorni, che avrà un impatto significativo sul PIL reale del 4° trimestre del 2020 e potrebbe essere prolungato nel 2021.

Le autorità fiscali e monetarie britanniche hanno risposto in modo estremamente rapido alla recessione scatenata dalla pandemia di Covid-19 con una serie di pacchetti volti a supportare l’economia reale durante la regressione. I primi contagi (in tale fase) sono stati rilevati alla fine di febbraio 2020 e a fine marzo 2020 sono state ampliate le politiche sia monetarie che fiscali. Sul fronte monetario, le linee di credito utilizzate nel sistema bancario commerciale dal settore privato non finanziario hanno raggiunto un totale di circa 60 miliardi di sterline; la Bank of England (BoE) ha deciso di acquistare altri Gilt (200 miliardi di sterline) a marzo 2020 e ulteriori tranche a giugno (100 miliardi di sterline) e novembre (150 miliardi di sterline). Sul versante fiscale, sono stati concessi finanziamenti a fondo perduto e prestiti alle imprese colpite dai lockdown in combinazione con l’istituzione di un piano di cassa integrazione per i disoccupati, che a novembre 2020 copriva quasi 10 milioni di cassintegrati.

Tutto il periodo dell’emergenza pandemica di Covid-19 è stato gravato dallo spettro della Brexit e le trattative commerciali tra il Regno Unito e l’UE sono ancora in corso. L’esito più probabile continua a essere un accordo commerciale “leggero” che dovrà essere perfezionato a fronte della prosecuzione delle trattative nei prossimi anni.

Come abbiamo evidenziato nelle precedenti prospettive economiche, l’incertezza associata a tali trattative commerciali ha avuto un impatto significativo sulle spese in investimenti nel Regno Unito, come attestato dal calo dei tassi di crescita reale di tali spese dopo il referendum Brexit. Fino a quando sia raggiunto un accordo commerciale completo e dettagliato con l’UE, le imprese continueranno a risentire dell’incertezza e la crescita del PIL reale rimarrà al di sotto dei livelli tendenziali.

Come già ricordato, all’inizio della pandemia di Covid-19 a marzo 2020, si è registrata una corsa alla liquidità che ha visto gli investitori abbandonare gli asset più rischiosi a favore di strumenti più sicuri e liquidi (cash e Gilt). Il sistema bancario ha risposto in modo appropriato: la BoE e le banche commerciali hanno infatti attuato una notevole espansione dei rispettivi bilanci. Questo processo ha determinato una significativa accelerazione del tasso di crescita dell’aggregato monetario ampio. Il tasso di crescita della misura ufficiale (M4) dell’aggregato monetario ampio è salito dal 4,3% su base annua a febbraio 2020 all’11,9% di settembre 2020 e anche la nostra misura di crescita dell’aggregato monetario è aumentata in modo analogo. A novembre il comitato di politica monetaria della BoE ha deciso di incrementare di nuovo gli acquisti di asset per supportare ulteriormente la crescita della moneta e del credito nel 2021.

Per riguarda il 2021, il percorso della crescita economica è incerto, essenzialmente a causa dell’imprevedibilità del coronavirus. La politica monetaria rimarrà estremamente accomodante e la spesa nominale comincerà a rafforzarsi nel momento e nella misura in cui sarà prodotto e distribuito un vaccino.

Per il Regno Unito, ci aspettiamo una crescita del PIL reale del 6% e un’inflazione dell’1,2%, seppure con un margine di errore elevato.

Regno Unito

Figura 3

La crescita della moneta e del credito nel Regno Unito si è rafforzata durante la pandemia (% su base annua)

Fonte: Macrobond al 12 novembre 2020.

-1 6 5 4 3 2 1 0 2017

2016

2011 2012 2013 2014 2015 2018 2019 2020

14 12 10 8 6 4 2 0

-6 -4 -2

2010

Proxy dell’aggregato monetario ampio (sx) M4 (sx)

CPI (dx)

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Giappone

In Giappone gli eventi chiave del 2020 sono stati due: l’impatto della pandemia a partire da marzo e le dimissioni del Primo Ministro Abe per motivi di salute il 16 settembre, sostituito dal Segretario Capo di Gabinetto Yoshihide Suga. Non appena insediato, Suga ha prontamente rilevato la continuità delle sue politiche economiche con quelle di Abe.

In un discorso alla Dieta tenuto il 26 ottobre, ha sottolineato l’importanza del contenimento del Covid-19, in combinazione con misure intese a promuovere la crescita economica. Pur non riproponendo esplicitamente le “tre frecce” di Abe, Suga ha ribadito il desiderio di rinvigorire l’economia giapponese con riforme strutturali – la terza freccia – quali il miglioramento della mobilità del lavoro e la digitalizzazione (inclusa la creazione di un Nuovo Ministero della Digitalizzazione). Compiendo una svolta significativa rispetto alla precedente amministrazione Abe, ha inoltre proposto misure per rendere l’economia giapponese più verde, annunciando per esempio l’obiettivo di conseguire la neutralità carbonica entro il 2050. Il suo discorso, anziché presentare un progetto altisonante di trasformazione dell’economia giapponese, è stato caratterizzato da concreti programmi di breve termine per l’implementazione di ogni elemento del suo piano.

Sui fronti più tradizionali della politica monetaria e fiscale, ha lasciato Kuroda a capo della politica monetaria della Bank of Japan (BoJ) e continuato la serie di manovre di bilancio supplementari iniziata dal suo predecessore per gestire la crisi Covid-19.

La politica monetaria sotto la guida di Haruhiko Kuroda, Governatore della BoJ nominato da Abe, è stata contraddistinta da un’enorme espansione del bilancio della BoJ a oltre il 120% del PIL nel quadro dell’ambizioso programma di “Quantitative and Qualitative Easing” (QQE). Tuttavia, malgrado la politica attuata l’inflazione è rimasta costantemente al di sotto dell’obiettivo del 2% stabilito per l’inflazione dei prezzi al consumo core (ossia esclusi i prezzi degli alimentari freschi). A nostro avviso, il motivo fondamentale di tale fallimento è che durante i primi sette anni del mandato di Kuroda (marzo 2013 – marzo 2020) la crescita media dell’aggregato monetario (M2) è stata solo del 3,3% annuo rispetto al 6% annuo richiesto per un’inflazione del 2%, secondo i nostri calcoli.

La causa di tale divario è la seguente: la BoJ ha acquistato gran parte dei titoli nel quadro del programma QQE da banche, anziché da enti non bancari, proprio come la BCE.

Tuttavia, a partire da marzo, si sono registrati due cambiamenti significativi – a livello di BoJ e di banche – che hanno creato la prospettiva di una repentina virata. Primo: la BoJ ha raddoppiato i prestiti diretti alle banche da 49 trilioni di yen di febbraio a 108 trilioni di yen a ottobre. Secondo: le imprese hanno fatto ampio utilizzo delle linee di credito concesse dalle banche commerciali in marzo, aprile e maggio e gli asset totali delle banche giapponesi hanno registrato un balzo di 20-30 trilioni di yen al mese (190-285 miliardi di dollari USA). Il risultato di tali cambiamenti è che al momento la crescita M2 è salita dal 3,3% su base annua di marzo al 9% di ottobre.

Ritornando alla politica fiscale, il 10 novembre il Ministro dell’Economia Nishimura ha annunciato una nuova manovra di bilancio supplementare, da presentare alla Dieta prima della fine dell’anno e focalizzata sulla transizione verso una società

“verde”. L’entità non è stata definita, ma i decisori del partito politico al governo hanno prospettato nuove spese comprese tra 10 e 30 trilioni di yen (95-286 miliardi di dollari USA). Tali cifre vanno ad aggiungersi ai 2,2 trilioni di dollari USA già stanziati in due pacchetti di stimoli all’inizio dell’anno. In combinazione con le precedenti misure in materia di spese fiscali, differimenti di pagamenti di imposte e tasse previdenziali, oltre ad altre garanzie e linee di credito, il supporto fiscale giapponese all’economia creerà un deficit pubblico complessivo che secondo i calcoli del FMI raggiungerà il 14,2% del PIL nel 2020.

Alla luce del temporaneo aumento della crescita monetaria e degli aiuti fiscali all’economia, ci aspettiamo una crescita del PIL reale del 2,5% nel 2021, con un’inflazione ancora al di sotto della media, allo 0,2%.

Figura 4

La crescita M2 del Giappone è stata troppo bassa per raggiungere l’obiettivo di inflazione (% su base annua)

Fonte: Refinitiv al 12 novembre 2020.

Aggregato monetario M2 CPI: headline, tutte le voci Obiettivo del 2,0%

-2 10 8 6 4 2 0 2017

2016

2013 2014 2015 2018 2019 2020

Aumento delle imposte

sui consumi Aumento

delle imposte sui consumi

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Mercati emergenti

Le economie dei mercati emergenti (ME) hanno subito un calo minore durante il picco della pandemia di Covid-19, rispetto alle economie avanzate; secondo l’indice della crescita ME dell’Institute for International Finance (IIF), la crescita è scesa al 2,4% annuo a maggio 2020. La ripresa nei ME è stata relativamente robusta; a luglio 2020 la regione ha infatti ripreso a crescere registrando un tasso di oltre il 5% annuo ad agosto 2020 (ultimo dato disponibile). Le maggiori contrazioni dell’attività economica sono state registrate nella regione EMEA, mentre l’Asia (trainata dalla Cina) ha registrato il calo più basso del tasso di crescita dell’attività economica.

I flussi di capitali da non residenti (sia azionari che di debito) hanno evidenziato una ripesa dopo il pesante sell-off a marzo 2020. Alla fine di marzo, i non residenti ritiravano azioni dai ME al ritmo di circa 2 miliardi di dollari USA al giorno e titoli di debito a un ritmo intorno a 800 milioni di dollari al giorno. Il sentiment degli investitori è significativamente mutato dopo che le banche centrali hanno iniziato a soddisfare la domanda di titoli più sicuri e più liquidi, aprendo così la strada a una ripresa dei flussi da non residenti verso i ME. In linea di massima, i Paesi che hanno avuto maggiore successo nel controllare il Covid-19 hanno beneficiato di riprese più robuste e più rapide dei flussi da non residenti. I flussi verso la Cina e la Corea del Sud sono stati consistenti.

Per quanto riguarda la Cina (la cui ripresa è in pratica in anticipo di un trimestre rispetto agli Stati Uniti), la crescita ha cominciato a riportarsi ai livelli tendenziali attorno al 5-6% annuo. Il nostro indice dell’attività economica cinese ha evidenziato una crescita dell’1,2%

su base annua a settembre 2020 e prospetta una traiettoria chiaramente rialzista verso livelli di crescita tendenziali.

La crescita monetaria e del credito (sostenuta dai finanziamenti delle banche commerciali) ha registrato solo un modesto incremento nel 2020, passando da circa l’8,5% annuo al 10,5%

annuo a settembre 2020. Di conseguenza, la Cina non registrerà un boom ciclico alimentato dal credito simile a quello del 2016- 2017, ma un ritorno piuttosto lento a una crescita tendenziale, con ogni probabilità nel 2° semestre del 2021.

Nel corso del 2020 le valute dei ME si sono indebolite in misura diversa e il deprezzamento medio rispetto al dollaro USA si è aggirato intorno al 10%. Si tratta di un altro caso di corsa alla liquidità dovuto al fatto che gli investitori hanno venduto asset rischiosi dei ME a favore di strumenti liquidi più sicuri. La Fed ha reagito in modo appropriato immettendo dollari USA sul mercato, incrementando l’aggregato monetario ampio USA di oltre 3 trilioni di dollari da marzo 2020 e fornendo swap in USD a 14 banche centrali. A fronte dell’indebolimento del dollaro USA, le valute dei ME tenderanno a rafforzarsi nel medio termine (salvo poche eccezioni come la lira turca e il peso argentino, valute di due Paesi in cui la crescita della moneta e del credito è ancora eccessivamente elevata).

Le prospettive per le economie dei ME nel 2021 sono pertanto relativamente ottimistiche, alla luce dell’indebolimento del dollaro USA e dei progressi sulla via di un vaccino contro il Covid-19.

Figura 5

Le economie dei mercati emergenti hanno registrato una forte ripresa

Fonte: calcoli Macrobond e Invesco al 12 novembre 2020.

-9 -6 -3 0 3 12 9 6 2016

2008 2010 2012 2014 2018 2020

2006

Indice della crescita dei ME (%

variazione a 3 mesi, a un tasso annualizzato destagionalizzato)

(8)

Materie prime

La crescita dell’aggregato monetario ampio e del credito è esplosa in molte economie del mondo, incluse le quattro maggiori economie da noi analizzate e la Cina. Ciò è in netta contrapposizione con i tassi di crescita della moneta e del credito osservati nell’ultimo ciclo economico (tra il 2009 e il 2019), nel corso del quale i tassi di crescita sono di norma rimasti tra lo 0% e il 5% su base annua.

La mancata crescita monetaria ha provocato tassi di aumento anemici dei prezzi delle materie prime in senso lato nella fase di ripresa successiva alla crisi finanziaria globale, un quadro destinato a capovolgersi nel medio termine nella ripresa attuale.

Poiché gli stimoli monetari storicamente consistenti hanno incrementato i saldi di cassa, i prezzi degli asset hanno in linea di massima registrato una forte ripresa e i prezzi delle materie prime hanno fruito di questo rally. Dal minimo toccato il 24 aprile 2020, l’Indice S&P GSCI Commodity Total Return è aumentato poco più del 40% a mano a mano che i saldi di cassa eccedenti sono confluiti negli asset rischiosi e il desiderio di detenere strumenti liquidi sicuri è diminuito. Alcune materie prime, in particolare il legname, hanno registrato enormi aumenti dei prezzi nel 2020: i prezzi del legname sono infatti più che raddoppiati rispetto ai minimi del 2 aprile 2020.

Il 2020 è stato un anno turbolento per il mercato petrolifero.

I prezzi del petrolio hanno iniziato il 2020 in calo, principalmente gravati da timori di recessione, preoccupazioni per il commercio ed eccesso di offerta derivante dalla produzione di GNL negli Stati Uniti. La pandemia di Covid-19 si fa soprattutto sentire sulla spesa al consumo e sulla domanda aggregata, cui il mercato petrolifero è estremamente sensibile e i prezzi del petrolio sono pertanto crollati nel momento in cui la diffusione globale della pandemia è diventata evidente.

Il 20 aprile 2020 i contratti futures sul petrolio hanno incredibilmente virato in negativo a causa delle limitazioni logistiche allo stoccaggio della consistente offerta e della pesante contrazione della domanda, scendendo a -38 dollari USA al barile nel corso della giornata (Figura 6).

Le prospettive per l’oro (che segue il meccanismo di trasmissione e il ciclo economico) dovrebbero articolarsi in due fasi: nella prima i tassi d’interesse nominali a lungo termine dovrebbero cominciare a salire in modo costante, con un conseguente aumento dei rendimenti reali a mano a mano che l’economia supera l’attuale contesto deflazionistico. In questa prima fase, l’oro dovrebbe registrare sottoperformance relative, senza però necessariamente subire cali di prezzo in termini assoluti. Nella seconda fase, le aspettative di inflazione si rafforzeranno a un ritmo più rapido rispetto ai rendimenti obbligazionari nominali a causa dello straordinario aumento del tasso di crescita dell’aggregato monetario ampio e del credito. Questo fenomeno inflazionistico inizierà probabilmente nel 2022 (in funzione di una soluzione della pandemia di Covid-19) a mano a mano che gli investitori riportano la liquidità verso livelli più normali. In questa seconda fase, l’oro potrebbe registrare sovraperformance significative.

Figura 6

Le risposte globali alla pandemia hanno impatti diversi sui prezzi del petrolio e dell’oro

Fonte: Macrobond al 12 novembre 2020.

1000 1200 1400 1600 1800 2200 2000 2017

2016 2018 2019 2020

100 80 60 40 20 0

-60 -40 -20

2015

Petrolio (USD per bbl, sx) Oro (USD per oncia Troy, dx)

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Conclusione

Se il 2020 è stato dominato dalla pandemia, dai lockdown e dai consistenti programmi di governi e banche centrali volti a superare gli effetti delle regressioni economiche, il 2021 sarà probabilmente caratterizzato (1) dalla velocità di distribuzione di vaccini efficaci e (2) dagli effetti di trasmissione delle enormi misure di stimolo.

Nel 2020 gli unici strumenti cui i governi hanno potuto ricorrere per reprimere l’epidemia sono consistiti in varie forme di distanziamento sociale, lockdown od ordinanze di smart working, oltre a notevoli restrizioni a molte attività economiche, in particolare servizi come viaggi, ospitalità e attività che creano assembramenti come per esempio teatri, concerti dal vivo ed eventi sportivi in stadi. Non sorprende che le conseguenze economiche siano state pesantissime causando le maggiori flessioni mai registrate. Nel 2021 prevediamo che l’attenzione si sposterà sullo sviluppo e sulla distribuzione di vaccini efficaci allo scopo di rilanciare i settori depressi. La distribuzione di quantitativi adeguati di dosi di vaccino richiederà probabilmente gran parte del primo semestre del 2021, il che significa che possiamo aspettarci un ritorno a una sorta di normalità solo nel secondo semestre dell’anno.

Tuttavia, una volta che vi sia una percezione diffusa di ritorno alla normalità e consumatori e imprese di servizi abbiano riacquistato fiducia, ci aspettiamo una significativa trasformazione del contesto economico, in netto contrasto con il lungo periodo di crescita anemica e inferiore alla media seguito alla crisi finanziaria globale.

L’entità di stimoli messi in atto sotto forma di espansione monetaria e della spesa fiscale ha toccato livelli record ma finora l’unico effetto osservato è stato l’enorme – e per molti – sorprendente risalita dei mercati azionari globali. Nel secondo semestre del 2021 ci aspettiamo la fase successiva del processo di trasmissione, in cui famiglie e imprese cominceranno a spendere i risparmi accumulati nel 2020. Ciò significa che consumi, investimenti e occupazione sono destinati a recuperare a un ritmo decisamente più rapido rispetto a quello di una tipica fase post-recessione, generando così un rimbalzo sorprendentemente robusto.

In teoria, dovrebbe esservi una terza fase del processo di trasmissione: l’impatto sull’inflazione dei prezzi al consumo.

Tuttavia, non ce lo aspettiamo prima del 2022. Questo effetto potrebbe inoltre essere ritardato sia perché consumatori e imprese si mantengono prudenti e preferiscono conservare maggiori disponibilità di denaro a titolo precauzionale nel timore di nuove fasi pandemiche, sia perché le banche centrali e i decisori politici operano in modo tale da limitare o neutralizzare l’impatto degli stimoli del 2020. Per il momento preferiamo pertanto non essere troppo dogmatici in merito al possibile esito dell’inflazione ma ci limitiamo a osservare che, in assenza di qualche freno, permangono rischi di inflazione che dovrebbero essere monitorati.

John Greenwood Chief Economist Adam Burton Senior Economist novembre 2020

1 “Il Comitato ha deciso di mantenere il target range del tasso dei Fed Fund allo 0 – 0,25 per cento e ritiene che sia opportuno mantenerlo fino a quando le condizioni del mercato del lavoro abbiano raggiunto livelli compatibili con quella che il Comitato considera la massima occupazione e l’inflazione sia salita al 2 per cento e in grado di superare moderatamente il 2 per cento per qualche tempo.” Dichiarazione del FOMC, 5 novembre 2020.

(10)

Rischi associati all’investimento

Il valore degli investimenti e il reddito da essi derivante possono oscillare (in parte a causa di fluttuazioni dei tassi di cambio) e gli investitori potrebbero non ottenere l’intero importo inizialmente investito.

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EMEA9669/2020

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