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Il culto della romanità nel periodo fascista La rivista Roma e l istituto di studi romani

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Il culto della romanità nel periodo fascista La rivista “Roma” e l’istituto di studi romani

Antonio La Penna

Il culto della romanità viene illustratto attraverso la rivista “Roma”, che, pur essendo stata progettata pri­

ma, iniziò le pubblicazioni nel 1923 e aderì rapida­

mente al fascismo. Animatore dell’impresa fu, più dei suoi direttori, il cultore di storia dell’arte italiana Car­

lo Calassi Paluzzi. Dal 1925, “Roma” fu organo uf­

ficioso dell’istituto di studi romani, che svolse una notevole attività di organizzazione intellettuale e fu luogo d’incontro fra la cultura cattolica più tradizio­

nalista, quella nazionalista e quella fascista.

Tematica della rivista non fu solo la Roma antica, ma anche la Roma medievale e moderna. Il culto della romanità professato dalla rivista propugna, con sem­

plificazioni deformanti, la continuità tra la Roma im­

periale e la Roma fascista. Il richiamo alle conquiste romane è talvolta al servizio di pretese nazionalisti­

che e in seguito incoraggia e giustifica le conquiste coloniali: in questa ottica, la conquista dell’Etiopia è vista come il ritorno dell’impero romano e il duce è glorificato come un nuovo Cesare o un nuovo Augu­

sto. Notevole fu l’impegno della rivista nel sostene­

re l’originalità della letteratura latina; tuttavia gli stu­

di più interessanti furono quelli volti a dimostrare l’o- riginalità della Roma antica nelle arti figurative. Que- st’ultima viene celebrata come realizzazione di va­

lori perenni di cui si afferma l’attualità: obbedienza all’autorità, disciplina, dedizione alla patria, amore della famiglia, equilibrio delle facoltà dell’uomo, rea­

lismo, ecc. Si creano artificiali analogie fra le corpo- razioni fasciste e le corporazioni romane antiche.

La rivista diede anche un sollecito sostegno alla di­

fesa della cultura classica nella scuola e all’incre­

mento nello studio del latino in Italia e all’estero.

Molti i collaboratori, fra i quali Bottai, alcuni con­

tributi del quale sono molto utili per conoscerne la cultura e gli orientamenti negli ultimi anni del fasci­

smo.

The cult ofRomanity is here illustrateci through thè pages of “Roma ”, a joumal which, although con- ceived earlier, started publication in 1923 to fall in soon with Fascism. Rather than thè editors, thè soul of thè enterprise was Carlo Calassi Paluzzi, a hi- storian ofltalian fine arts. Since 1925 “Roma” ac- ted as an unofficial organ of thè Institute of Roman Studies, which carried out a remarkable activity of intellectual organization, providing a common ground to nationalism, traditional Catholicism and Fascism. The focal topic of thè joumal was not just ancient Rome, but medieval and modem Rome as well. The cult ofRomanity it professed actually as- serted a grossly cut continuity between imperiai and Fascisi Rome, thè reference to Roman conquests ser- ving at times as a support to nationalist claims and later as a prop and justification far colonial an- nexations: in this tight, thè seizure ofEthiopia was regarded as a resurrection ofthe Roman Empire with thè Duce proclaimed new Caesar and new Augustus.

Noteworthy was thè effort mode by “Roma ” to as­

serì thè originality of Latin literature, but thè most interesting studies were thè ones dealing with thè ori­

ginality of ancient Rome in thè fine arts, an accom- plishment traced back to allegedly perennial values recently revived in Italian life: obedience to authority, disciline, patriotism, respect toward family, well ba- lanced care of human faculties, realism and thè likes, included somefanciful analogies between thè Fascisi corporazioni and thè Roman ones. The joumal grea- tly encouraged thè defence ofclassical studies in thè school System, while promoting thè study of Latin at home and abroad. Numerous thè contributors and among them Bottai, whose articles appear often of valuable help in illuminating certain aspects ofhis late intellectual evolution.

“Italia contemporanea”,dicembre 1999, n.217

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Introduzione

L’Istituto di studi romani, con sede sull’Aventi­

no, che ancora oggi svolge una sua intensa atti­

vità, fu fondato nell’era fascista: nacque, infatti, il 21 marzo 19251. In tre quarti di secolo il tipo di attività, la tematica hanno mantenuto una cer­

ta costanza: le opere pubblicate, di ampiezza mol­

to varia, da agili opuscoli a grossi volumi, ri­

guardano la civiltà romana antica nelle sue varie manifestazioni (politiche, letterarie, artistiche), la civiltà e la vita romana dal Medioevo a oggi.

Campo vastissimo, il primo; vi sono aree in cui la produzione si è poco sviluppata o è rimasta di­

spersiva, ma almeno uno dei programmi più am­

biziosi è stato realizzato pienamente, a un livel­

lo molto rispettabile: la Storia di Roma in 31 vo­

lumi, a cui hanno collaborato studiosi di buone, e talvolta alte, qualità, come Roberto Paribeni, Biondo Biondi, Giacomo Devoto, Augusto Ro- stagni, Pericle Ducati2. Si capisce che, dopo l’an­

tichità, l’orizzonte si restringe alla città di Roma o, tutt’al più, allo Stato Pontificio; ma, in que­

st’orizzonte limitato, la produzione è ricca, va­

ria, vivace: illustrazioni di monumenti, fra cui 28 monografie su singole chiese romane; 13 volu­

metti su famiglie romane; studi su letteratura ro­

manesca e su scrittori che soggiornarono a Ro­

ma, ecc. In complesso, una produzione feconda, sia pure di vario livello, in gran parte utile. Inol­

tre l’istituto organizza ogni anno corsi, confe­

renze, convegni che rispondono agli stessi inte­

ressi culturali, promuove in vari modi l’uso del latino, organizza un certame annuale di prosa la­

tina, conferisce un premio a studiosi della civiltà latina o di Roma medievale e moderna.

Dal 1953, l’istituto pubblica la rivista “Studi romani”, che coltiva gli stessi temi e informa sul­

l’attività dell’istituto stesso; ma prima, sotto il regime fascista, lo stesso compito fu assolto dal­

la rivista “Roma”, di cui gli “Studi romani” con­

servano anche l’impostazione generale. Va ri­

cordato, però, che la rivista “Roma” era nata pri­

ma dell’istituto stesso, nel 1923, cioè nel primo anno dell’ era fascista: organizzata prima, non può essere considerata una creazione del fascismo:

abbiamo uno dei non pochi casi di convergenza spontanea tra il fascismo e orientamenti cultura­

li anteriori, specialmente di matrice nazionalisti­

ca o cattolica. Nata subito dopo la marcia su Ro­

ma, la rivista finì insieme con la presenza del fa­

scismo nella città, cioè nel 1944. Illustrare tutta l’attività dell’istituto nel ventennio sarebbe fati­

ca immane: in questa occasione io mi sono limi­

tato a spulciare la rivista “Roma” che, anche se solo parecchi anni dopo, divenne l’organo uffi­

ciale dell’istituto, ne fu, dalla fondazione in poi, organo ufficioso, ne rifletté con fedeltà gli orien­

tamenti ideologici e culturali, ne registrò con esat­

tezza la molteplice attività.

Il primo direttore della rivista fu Federico Her- manin, uno storico dell’arte di scarsa rinomanza;

ma l’ideatore e il vero organizzatore e animato­

re era il redattore capo, Carlo Galassi Paluzzi, un giovane studioso romano (anche se nato a Napo­

li) di storia dell’arte medievale e rinascimenta­

le3. Ciò che qui si dice per la rivista “Roma”, va­

le anche per l’istituto di studi romani: dal 1925 al 1933 presidenti ne furono intellettuali di pre­

stigio, Pietro Fedele, Luigi Federzoni, Vittorio Scialoia; ma erano nomi di parata: il vero orga­

nizzatore era il segretario, Galassi Paluzzi, che divenne segretario a vita nel novembre del 1933.

Come studioso di storia dell’arte, come intellet­

tuale, Galassi Paluzzi non emerse nel ventennio, e oggi pochissimi lo conoscono; a questo propo­

ni redazione abbreviata, questo studio sarà pubblicato anche negli atti del convegno su “Antike und Altertumswissenschaft in der Zeit von Faschistnus und Nationalsozialismus”, svoltosi presso l’Historisches Seminar dell’università di Zurigo dal 14 al 17 ottobre 1998. La redazione abbreviata costituisce la comunicazione da me tenuta nel corso di quel convegno. Ringrazio Forganizzatore del convegno, il professor Beat Naf, dell’università di Zurigo, che mi ha concesso di pubblicare in sede di­

versa dagli atti la redazione completa.

1 Una buona informazione sulla storia, l’attività, i compiti dell’istituto è stata data da Paolo Brezzi, L’Istituto Nazionale di Stu­

di Romani, in Paolo Vian (a cura di), Speculum mundi, Roma, Presidenza del ConsigUo dei ministri, 1993, pp. 707-728; per il periodo fascista Carlo Galassi Paluzzi, L’Istituto di Studi Romani, Roma, Istituto di studi romani, 1941 [5a ed.]; Id., I Corsi su­

periori di Studi Romani, Roma, Istituto di studi romani, 1943.

2 Si veda il Catalogo delle pubblicazioni dell’istituto, pubblicato nel 1996.

3 Su questo personaggio cfr. Pietro Romanelli, Ottorino Morra, Carlo Galassi Paluzzi, “Studi romani”, 1972, n. 20, pp. 465-476.

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sito va ricordato che, nel campo della cultura, un regime non si instaura solo grazie al favore e al­

la collaborazione di grandi intellettuali, ma an­

che, e forse di più, attraverso il lavoro di intel­

lettuali modesti o insignificanti, che abbiano ca­

pacità di organizzazione e di propaganda (senza contare quanti operano, a vario livello, nella scuo­

la e nell’editoria). Calassi Paluzzi non era pove­

ro di cultura né intellttualmente rozzo; soprattut­

to, però, aveva capacità molto notevoli di orga­

nizzatore, fertilità di iniziative. I filoni di attività dell’istituto, a cui ho accennato, vanno ricondot­

ti tutti a lui; egli inoltre organizzò, dal 1928 al 1938, ben cinque congressi, i cui atti andarono crescendo di mole (due volumi per il primo, tre per il secondo, cinque per ciascuno degù altri tre) ; vanno aggiunte l’organizzazione di mostre e al­

tre iniziative minori. Tutto ciò presuppone im­

pegno animoso e non comune laboriosità: doti che vanno riconosciute a questo personaggio og­

gi quasi ignoto.

Per la rivista, come per altre opere pubblica­

te su iniziative dell’istituto, ottenne la collabo- razione di intellettuali e studiosi che già gode­

vano di un certo prestigio o erano destinati a con­

quistarlo: ne ricorderò alcuni. Fra gli ideologi del regime troviamo Enrico Corradini, Emilio Bo- drero, più tardi, almeno dal 1937, cioè negli an­

ni in cui fu ministro dell’Educazione nazionale, Giuseppe Bottai, a cui Calassi Paluzzi sembra fosse particolarmente legato. Tra i più decisi ani­

matori della rivista ci fu lo storico di Roma an­

tica Paribeni, che aveva anche una buona com­

petenza di archeologia; notevole fu l’apporto di studiosi illustri di questa disciplina, come Giulio Quirino Giglioli, Giuseppe Lugli, negli ultimi an­

ni l’etruscologo Massimo Pallottino; fra gli stu­

diosi più illustri di diritto romano troviamo Pie­

tro De Francisci; altro animatore dell’ attività del­

l’istituto e collaboratore della rivista fu, tra i la­

tinisti, Vincenzo Ussani, a cui si unì più tardi il suo discepolo Francesco Arnaldi; aderì volentie­

ri anche un latinista più illustre, Gino Funaioli;

valido fu, almeno all’inizio, il sostegno di due

solidi studiosi del Medioevo, Pietro Fedele e Fi­

lippo Ermini. Non disdegnarono di comparire nella rivista neppure studiosi di prestigio che non rientravano nell’area del regime, come lo stori­

co dell’arte Adolfo Venturi, lo storico di Roma antica Gaetano De Sanctis, il filologo classico Luigi Castiglioni; una volta incontriamo anche il nome di Arnaldo Momigliano. Nonostante la pre­

senza, del resto generalmente sporadica, di stu­

diosi di questo livello, la rivista volle essere, e fu, di buona divulgazione, non di ricerca; vi si possono trovare, tuttavia, anche novità degne di attenzione, specialmente grazie all’apporto'di studiosi meno illustri, amanti di curiosità roma­

ne che riguardavano costumi popolari, folklore, letteratura romanesca, famiglie nobili, arti figu­

rative.

L’adesione al regime fu rapida e si dovette, co­

me ho già accennato, a una spontanea conver­

genza. Qui, come in seguito, non intendo offrire uno studio sistematico delle numerose testimo­

nianze, ma limitarmi a poche prove significati­

ve, scaglionate nel tempo. Nel secondo fascico­

lo della rivista, in occasione del Natale di Roma del 1923, fu pubblicata in fotografia una lettera di Mussolini, che è utile trascrivere:

Il Natale di Roma è il natale di una città la cui storia, più che italiana, è universale. Culla e centro di un grande im­

pero politico; sede, poi, e capitale di un grande impero universale, Roma è la città fascinatrice per tutti i grandi intelletti di ogni gente. Col Fascismo il Natale di Roma cessa di essere una cerimonia d’ordine municipale, per assurgere a manifestazione d’ordine nazionale. Roma è ancora e sempre il cuore vivo ardente immortale4.

4 La lettera di Mussolini è ricordata da Carlo Calassi Paluzzi anche in un discorso tenuto il 18 novembre 1926 sui Corsi su­

periori di studi romani: cfr. “Roma”, 1926, n. 4, p. 520.

5 “Roma”, 1925, n. 3, p. 431.

Sul concetto della continuità storica di Roma tor­

nerò fra poco. Nel 1925, quando Mussolini scampò a un attentato, il gruppo della rivista si felicitò con lui mandando un telegramma, che poi pubblicò in lettere capitali:

A S. E. Benito Mussolini, figlio tra i più grandi d’Italia e tra i più devoti di Roma, giungano, fra gl’innumerevoli altri di tutti gli italiani degni di un tale nome, i sensi di giubilo della nostra Rivista per lo scampato pericolo5.

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Gli stessi sensi di gioia, in analoga occasione, fu­

rono espressi “al Duce invitto e protetto da Dio”

l’anno seguente6.

6 “Roma”, 1926, n. 4, p. 384; cfr. anche p. 497.

7 “Roma”, 1926, n. 4, p. 179.

8 “Roma”, 1932, n. 10, p. 339.

9 “Roma”, 1935, n. 13, p. 145.

10 Cfr. “Roma”, in apertura dell’annata 14 (1936), (la fotografia è firmata da Mussolini in data 12 febbraio XIII e dedicata

“Alla rivista Roma con augurio romano”); “Roma”, 1939, n. 17, p. 48; nella stessa annata in apertura del fascicolo 7; “Ro­

ma”, 1940, n. 18, in apertura del fascicolo 6 (il duce sul balcone di piazza Venezia il 10 giugno 1940, in occasione della di­

chiarazione di guerra).

11 Cfr. “Roma”, 1936, n. 14, in apertura dell’annata e in apertura del fascicolo 12; “Roma”, 1939, n. 17, p. 1.

12 “Roma”, 1938, n. 16, pp. 397 sg.

13 “Roma”, 1943, n. 21, p. 178.

14 “Roma”, 1943, n. 21, pp. 246 sg.

15 “Roma”, 1940, n. 18, pp. 4-10.

16 “Roma”, 1941, n. 19, p. 213.

Il carisma del duce, in meno di un quinquen­

nio, è solidamente stabilito. In questo anno, la prima consonanza del programma dell’istituto con gli orientamenti del regime è dichiarata da Calassi Paluzzi nel preannunciare i corsi supe­

riori di studi romani: i suoi fondatori — egli pro­

clama — sono stati “sorretti dallo spirito roma­

no del Duce e dei reggitori della Pubblica Cosa, romani in senso lato nell’intimo deH’animo”7.

Una tale proclamazione è accompagnata dalla raccomandazione a evitare la bolsa e dannosa re­

torica. Quando si arriva al decennale della mar­

cia su Roma, il ruolo del duce è divenuto, ormai, un ruolo mondiale: in una relazione sull’attività dell’istituto, Calassi Paluzzi propone che l’isti­

tuto stesso “esprima l’omaggio suo devoto e la profonda riconoscenza al Duce di questa nuova Italia, che da Roma e nel nome di Roma sta di­

cendo al Mondo la nuova, l’attesa, la necessaria parola di umana civiltà”8. In un fascicolo del 1935 viene pubblicato un carme in esametri di un cer­

to P. Luigi Zambarelli, intitolato Dux: ecco il ri­

tratto del capo carismatico:

Sembiante rude e fiero, da’ muscoli forti e tenaci...

genio di nostra stirpe, del mondo il più esperto e il più saggio, onde a grandezza nova assurge l’Italia ed ancora vince dà luce impera e a’ popoli detta la pace9.

Una delle infinite espressioni farsesche del cul­

to della personalità; superfluo, però, aggiungere che, ciò che appare oggi farsesco a noi, era mol­

to serio per le folle deliranti. Il culto dell’imma­

gine si manifesta anche in questa rivista di studi, che ogni tanto apre un fascicolo con una foto­

grafia dell’uomo straordinario10. Calassi Paluz­

zi negli ultimi anni, a partire dal 1936, amava pre­

sentare la rivista come nata e cresciuta insieme col regime11. Al regime e al suo capo si manten­

ne fedelissimo fino alla caduta, nel 1943 (non co­

nosco le vicende del personaggio successive a quest'anno). Nel 1938, in occasione del Conve­

gno augusteo tenutosi dal 23 al 27 novembre, pro­

nunziò davanti all’Ara Pacis un’allocuzione al duce, in cui Mussolini e Ottaviano venivano mes­

si l’uno accanto all’altro come salvatori della pa­

tria dal caos delle fazioni12. Anche nei mesi del 1943 che precedettero la caduta del regime, ci tenne a proclamare la sua fedeltà al fascismo, al­

la chiesa cattolica, alla monarchia13; elogiò an­

che il famoso discorso di Gentile in Campidoglio e, poiché il filosofo vi si era proclamato cattoli­

co, auspicò che egli rientrasse pienamente nel grembo della Chiesa14. Negli ultimi anni di regi­

me, l’espressione di devozione e fedeltà al re vie­

ne ribadita da Calassi Paluzzi: commozione e gioia egli esprime in apertura dell’ annata 1940 in occasione di uno scambio di visite fra il re e il nuovo papa, Pio XII; in questo stesso anno il re imperatore presenzia all’inaugurazione del XIV anno di Corsi superiori dell’istituto15; il re è pre­

sente anche all’inaugurazione, l’anno seguente, della nuova sede dell’istituto sull’Aventino, nel­

l’antico convento di Sant’Alessio: in quest’oc­

casione Calassi Paluzzi presenta la sua opera in­

defessa come una milizia “al servizio del Re, agli ordini del Duce, per concorrere ad una rinascita vittoriosa dell’idea di Roma”16; ancora presenza

(5)

del re all’inaugurazione dei corsi del XVI e del XVII anno17. Credo che in questi anni Galassi Paluzzi si preoccupasse di rinsaldare i vincoli fra regime e monarchia. Alla particolare devozione per Pio XII accennerò in seguito.

17 Cfr. “Roma”, 1942, n. 20, p. 3; 1943, n. 21, p. 1.

18 “Roma”, 1938, n. 16, p. 105.

19 “Roma”, 1937, n. 15, pp. 37-54.

201 passi citati provengono dalle pp. 63 e seguenti dell’articolo citato. Le sottolineature sono nel testo.

21 Nella rivista si può vedere un articolo del generale Francesco Saverio Grazioli, Il genio militare di Cesare, “Roma”, 1937, n. 15, pp. 119-122, in particolare p. 122.

22 Per qualche notizia in più rimando al mio studio Gli studi classici dalla fondazione dell’istituto di Studi Superiori, in Sto­

ria dell’Ateneo fiorentino. Contributi di studio, Firenze, Edizioni F. e F. Parretti Grafiche,1986, pp. 256 sg.

È ovvio che, se Galassi Paluzzi appare nella rivista il più assiduo e insistente nel culto della personalità, non è affatto isolato. Mi limito a due esempi rilevanti fra i molti che si potrebbero rac­

cogliere. Giacomo Acerbo, un uomo politico che aveva dato un buon contributo all’ascesa del fa­

scismo, tenendo, nel corso delle celebrazioni au- gustee, una conferenza su L’agricoltura italica al tempo di Augusto, sciolse un inno al capo ca­

rismatico (ogni occasione era buona):

un Uomo, che nel Suo genio e nella possente Sua volontà riassume tutta la grandezza e lo spirito delle stirpi itali­

che, si accinge [...] a ripristinare la potenza dell’impero e la gloria del Rinascimento18.

Il bimillenario di Augusto, celebrato con molto impegno nel 1938, ma in preparazione già da al­

cuni anni, segnò un balzo in avanti nel culto del­

la personalità: il duce fu esaltato più volte come il nuovo Augusto. È appena necessario ricordare che il bimillenario si celebrò due anni dopo la conquista dell’Etiopia e la fondazione dell’im­

pero, mentre il fascismo stava vincendo in Spa­

gna. Mi limiterò a citare uno degli svolgimenti meno triviali di questo tema: si trova in un arti­

colo di Giuseppe Bottai19. Questo personaggio politico di non facile decifrazione fu anche uno degli intellettuali più colti e più originali del re­

gime. L’interpretazione dell’opera politica di Au­

gusto dimostra non solo qualche competenza, ma anche una certa lucidità di storico; Bottai mette in rilievo il rispetto, sia pure formale, delle for­

me repubblicane, la solidità dell’illimitato pote­

re militare, il ripristino dell’autorità legale del- Senato, la giusta emarginazione del potere elet­

torale del popolo, l’unificazione dell’Italia, il mi­

glioramento dell’amministrazione delle province dell’impero, la restaurazione edilizia di Roma, la restaurazione religiosa e morale. In questo qua­

dro, in cui non mi sembra di riscontrare defor­

mazioni notevoli, troviamo il modello dell’ope­

ra di Mussolini. Pur dichiarando di voler evitare

“forzati raffronti propagandistici”, Bottai mira an- ch’egli al parallelismo fra Augusto e Mussolini:

i “due grandi Capi” si trovarono ad affrontare

“molti problemi uguali o simili o tra loro assimi­

labili”, e diedero soluzioni appropriate al loro tem­

po. L’articolo è un notevole documento storico, perché ci offre l’interpretazione che Bottai dava, in quegli anni, della rivoluzione fascista:

Rivoluzione dal di dentro, senza scosse, senza rovine; Ri­

voluzione non dottrinaria, opera dalle cose, col ritmo del­

l’esperienza, accelerata solo di quel tanto che è utile.

Anche Mussolini ha operato una “rinnovazione sostanziale delle strutture e funzioni” nel rispet­

to delle forme politiche preesistenti20. Il paralle­

lo è permeato da uno spirito moderato e prag­

matico; molto più comuni furono, ripeto, le assi­

milazioni entusiastiche e ridicole, non solo ad Au­

gusto, ma anche a Cesare21; in prima fila fu uno storico di Roma antica, che pure prima aveva scritto, e avrebbe scritto anche dopo la seconda guerra mondiale, opere di buon livello: mi rife­

risco a Luigi Pareti, che nel 1938 pubblicò a Ca­

tania un’opera dal titolo Idue imperi di Roma per dimostrare la superiorità del duce sia su Cesare sia su Augusto. Il Pareti aderì poi alla Repubbli­

ca sociale di Salò e s’impegnò decisamente nel­

l’attività propagandistica di quegli anni, in cui si possono trovare manifestazioni di delirio22.

Non vorrei, però, che questi elementi da me fomiti, isolati dal resto, dessero della rivista un’i­

dea deformata: lo schieramento, l’impegno poli­

tico e ideologico della rivista sono chiari; ma non

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bisogna credere che essi dominassero e schiac­

ciassero la rivista: dagli articoli pubblicati è as­

sente ogni punta ostile al regime, ma dalla mag­

gior parte è assente anche la propaganda: quin­

di, nonostante tutto, la rivista è ricca di studi e note di seria informazione e riflessione e la let­

tura è per lo più utile, e anche gradevole: ancora oggi è ben degna di attenzione, e non solo per co­

noscere la cultura del ventennio fascista.

Il culto fascista di Roma e della romanità:

orientamenti ideologici

Veniamo ora al compito proprio del convegno per cui questo studio è stato preparato: cerchiamo, cioè, di delineare gli orientamenti ideologici che si sviluppano entro il culto fascista di Roma e del­

la romanità.

Un concetto dominante è quello della forte con­

tinuità della storia di Roma dalle origini, e spe­

cialmente da quando affermò il suo dominio nel Mediterraneo, fino all’era fascista; l’immagine del filone ininterrotto può essere sostituita, tufi’ al più, dall’immagine della vita che s’interrompe e poi risorge, senza conoscere mai la morte definitiva.

L’utilizzazione del culto di Roma e della ro­

manità immortale era già un’idea di Mussolini che si preparava a marciare sulla capitale: in un discorso pronunciato a Udine nel settembre del 1922, aveva detto:

a Roma, tra quei sette colli carichi di storia, s’è operato uno dei più grandi prodigi spirituali che la storia ricordi, cioè si è tramutata una religione universale che ha ripre­

so sotto altra forma quell’impero che le legioni consola­

ri di Roma avevano spinto fino all’estremo confine della terra. E noi pensiamo di fare di Roma la città del nostro spirito, una città che, depurata, disinfettata di tutti gli ele­

menti che la corrompono e la infangano, pensiamo di fa­

re di Roma il cuore pulsante, lo spirito alacre dell’Italia imperiale che noi sogniamo23.

23 Brano citato da Giuseppe Bottai in un discorso su Roma nella mostra della rivoluzione fascista: cfr. “Roma”, 1934, n. 12, p. 8. La sintassi dell’ultimo periodo, malsicura, può risalire al discorso quale fu pronunciato.

24 “Roma”, 1923, n. 1, p. 2.

25 “Roma”, 1939, n. 17, pp. 4-14.

26 “Roma”, 1939, n. 17, p. 4.

La rivista “Roma”, alla sua nascita, fu aperta da un articolo di Corradini, uno dei più noti in­

tellettuali nazionalisti, che esaltava, con scintil­

lante retorica, la vicenda eterna della città impe­

riale e cristiana: cito uno dei passi in cui l’orato­

re vola più alto:

L’eterna vicenda di Roma, la sua vita millenaria, dai re pastori che ai piedi del Campidoglio selvoso numerava­

no il bestiame lanuto, ai Cesari purpurei sul Palatino scin­

tillante d’oro e di marmi, dalla croce nascosta nelle tene­

bre cimiteriali ai fastigi meravigliosi delle basiliche, trion­

fi e rovine, gloria e miseria, millenni di vita e di opero­

sità nel nome sempre risorgente di Roma24.

A questo inno alato la rivista fa seguire una tra­

duzione poetica della preghiera a Roma di Ruti- lio Namaziano. È ovvio che sarebbe facile rac­

cogliere, nelle opere di politici, di giornalisti, di accademici, più o meno illustri, del ventennio, un florilegio di ricami su questo concetto banale; fra gli svolgimenti meno triviali del tema posso in­

dicare un articolo di Bottai quale ministro del- l’Educazione nazionale su Roma nella scuola ita­

liana25. Il ministro scrive due o tre anni dopo la fondazione dell’impero fascista e Mussolini ap­

pare come “la figura di un genio, degno di stare alla pari delle maggiori di ogni tempo”. Il culto di Roma, tutt’altro che nuovo, prende in questi anni una coloritura misticheggiante. La continuità di Roma si configura come quella di “una forza occulta d’una grandezza lontana, dinanzi a cui si piegano i barbari, e con la quale si conciliano i Padri della Chiesa [...] forza ignota, starei per di­

re mistica”26. Dunque continuità di Roma antica nella Chiesa. La medesima forza “poi, sgorga nel­

la nuova lingua nazionale, risplende nel Rinasci­

mento, converte le ideologie in realtà nazionale.

E, oggi, ci ridesta dall’assopimento della deca­

denza: sangue del nostro sangue, giovinezza pul­

lulata dal sentimento del passato, viva, operante, nell’attualità dello spirito consapevole di sé”. La

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continuità presuppone l’identità: infatti “il popo­

lo è sempre il medesimo, nelle sue qualità intui­

tive, nella sua personalità artistica, nella sua ca­

pacità di equilibrio”27. Qui Bottai pensa al po­

polo italiano; ma egli non vuole restringere, ro­

manticamente, la continuità dell’orizzonte na­

zionale, perché “Roma s’identifica con l’Euro­

pa”28. Tuttavia è l’Italia fascista che riprende i valori e le virtù della romanità. Il rapporto con quella forza perenne non consiste in un’imita­

zione di modelli, ma in una ricreazione origina­

le e modernissima:

27 “Roma”, 1939, n. 17, p. 5.

28 “Roma”, 1939, n. 17, p. 6.

29 “Roma”, 1939, n. 17, p. 6, sottolineature nel testo. Uno svolgimento diverso degli stessi concetti si trova in altri scritti di Bottai: rimando in particolare a una prolusione che egli tenne, nel 1940, ai corsi dell’istituto, pubblicata in “Roma”, 1940, n.

18, pp. 389-404.

30 Per esempio Emilio Bodrero: cft. “Roma”, 1930, n. 8, p. 363.

31 Per esempio Enrica Malcovati in uno studio su Giovenale: cft. “Roma”, 1935, n. 13, p. 113.

32 Cfr. il già citato articolo di E. Bodrero, “Roma”, 1930, n. 8, p. 363; inoltre, per esempio, C. Calassi Paluzzi, L’idea latina e la latinità di Virgilio, “Roma”, 1930, n. 8, p. 481 (siamo nell’anno del bimillenario virgiliano).

33 “Roma”, 1942, n. 20, p. 261.

34 “Roma”, 1942, n. 20, pp. 353-367.

35 “Roma”, 1942, n. 20, p. 357.

36 “Roma”, 1942, n. 20, p. 359.

Noi non vogliamo tanto informarci su Roma, quanto for­

marci da Roma: formarci per un’ applicazione attuale, mo­

dernissima, della sua energia unificatrice, coordinatrice, disciplinatrice29.

Come si vede, sia Mussolini sia Bottai valoriz­

zavano la continuità fra la Roma imperiale e la Roma cristiana; questo concetto banale è alla ba­

se di un orientamento di fondo della rivista “Ro­

ma” e dell’istituto di studi romani. Viene riat­

tualizzato, specialmente da parte di Calassi Pa- luzzi, il concetto notissimo, elaborato e dibattu­

to nel cristianesimo della tarda antichità, secon­

do cui l’impero romano fu voluto dalla divina provvidenza per facilitare la diffusione del ver­

bo di Cristo; naturalmente l’eredità dell’impero da parte del cristianesimo consisteva innanzitut­

to neU’ecumenicità del potere e nella centralità di Roma. Oltre a intellettuali del regime30 ne so­

no convinti anche provetti latinisti31. Si risco­

prono persino i presagi del cristianesimo in Vir­

gilio32. La continuità fra la Roma dei Cesari e la Roma cristiana non era universalmente accetta­

ta neppure nel ventesimo secolo: perciò Calassi

Paluzzi sentì il bisogno di polemizzare contro chi opponeva le due Rome e rivendicava la Roma pa­

gana, e avvertì che bisognava distinguere netta­

mente fra impero e paganesimo33. Calassi Paluzzi era il più adatto a saldare l’alleanza fra la cultu­

ra fascista (e nazionalista) e la cultura cattolica, compito che fu il più importante per la rivista e per l’istituto.

Nella rivista, l’intervento più originale e me­

no triviale sull’eredità romana nel cristianesimo si deve, ancora una volta, a Bottai. Nel 1942 egli vi pubblicò un piccolo saggio su L’ideale roma­

no e cristiano del lavoro in San Benedetto34. Nel­

la comunità monastica di San Benedetto, in cui il monacheSimo non era fuga ed evasione, e nel pen­

siero del santo egli vedeva una felice fusione di cristianesimo e di romanità. E questo già nello stile della Regola “così nudo, serrato, proceden­

te per imperativi, [che] assomiglia al linguaggio giuridico e a quello delle allocuzioni militari de­

gli antichi signori del mondo”35. Nel testo egli ammira specialmente la discrezione, che attenua la rigidità della norma in modo da lasciare libertà all’iniziativa dell’educatore e alle diverse nature e tendenze dei discepoli: ne esce così una figura di maestro, che unisce la gravità dell’antico pa­

ter familias romano e lo zelo della carità cristia­

na36. Traspare un ideale pedagogico di Bottai, che forse ha anche dei riflessi politici: sintesi di amo­

re e di autorità, senza tirannia; legge senza ca­

priccio; fusione di contemplazione e azione, di preghiera, studio e lavoro manuale (si ricorderà che egli introdusse anche il lavoro manuale nel­

la scuola). Viene felicemente valorizzata anche la coralità della vita monastica. Ma ciò che qui im­

porta valorizzare di più, è che, secondo Bottai,

(8)

Antonio La Penna

“Dio e Roma sono gl’ispiratori della Regola”37;

alla fine una netta distinzione fra comunità e co­

muniSmo, quest’ultimo cruento e infecondo.

37 “Roma”, 1942, n. 20, p. 366.

38 “Roma”, 1943, n. 21, pp. 132-134.

39 “Roma”, 1930, n. 8, p. 488.

40 “Roma”, 1939, n. 17, pp. 482-492.

41 “Roma”, 1941, n. 19, pp. 97 sg.

42 “Roma”, 1943, n. 21, pp. 142-149.

43 “Roma”, 1943, n. 21, p. 142.

44 “Roma”, 1943, n. 21, p. 144.

45 “Roma”, 1943, n. 21, pp. 300-305.

Negli ultimi anni del fascismo, la valorizza­

zione dell’eredità cristiana venne rafforzandosi, io credo, nella rivista. Nel 1943 si nota una bre­

ve, ma rilevante polemica che Calassi Paluzzi condusse contro il noto giornalista Missiroli.

Questi, in un articolo pubblicato su “Il Piccolo”

di Trieste, aveva affermato che senza l’impero romano il cristianesimo sarebbe rimasto una set­

ta giudaica; Calassi Paluzzi obietta energica­

mente che il cristianesimo aveva già in sé le for­

ze per un’espansione ecumenica, che portava su di sé “il sigillo eterno della universalità”: l’im­

pero fu un mezzo che la provvidenza divina usò per il trionfo del cristianesimo, “un ausilio in­

comparabile e necessario”, ma “la bellezza su­

prema e l’altezza morale” furono tesori propri della dottrina cristiana; e poco sarebbe rimasto dell’universalità politica romana senza il cristia­

nesimo38. La conciliazione fra Stato e Chiesa cat­

tolica, conclusa con i Patti Lateranensi del 1929, non ebbe eco immediata nella rivista, e questo mi ha un po’ sorpreso; tuttavia, in un articolo del­

l’anno seguente troviamo una reazione entusia­

stica di Calassi Paluzzi. Partendo da Virgilio, egli arriva a Manzoni, presentato come l’ultimo figlio del grande poeta latino; Manzoni viene esaltato perché operò nel suo pensiero la sintesi di Chie­

sa e Nazione cattolica; nel 1930 la sintesi si è pie­

namente realizzata:

Ringraziamo la Divina Provvidenza che ci ha permesso di vedere in questi tempi realizzato l’auspicio dell’ultimo grande figlio italiano di Virgilio per mezzo della fede e del genio del Pontefice che regge le sorti della Chiesa e del meraviglioso Uomo latino e italico che regge oggi le sorti della nostra patria39.

Una storia provvidenziale, i cui eroi sono perso­

naggi miracolosi.

Il decennale dei Patti fu celebrato nella rivista con la pubblicazione di una conferenza di Ro­

berto Forges Davanzati, uno dei vecchi intellet­

tuali del regime, anche se la conferenza era stata tenuta nel gennaio del 193540. Pio XI, “il grande Papa che diede all’Italia la Conciliazione”, fu ce­

lebrato, quando fu completato il suo sepolcro nel­

le Grotte Vaticane, con un articolo di Guido Gui­

da41. Vi furono rilevanti segni di particolare de­

vozione per il nuovo papa, Pio XII: per esempio, il settimo fascicolo dell’annata 1939 era prece­

duto da una fotografia di papa Pacelli che impar­

tiva l’apostolica benedizione. Nell’annata 1943 compare un elogio di Pio XII, Un papa due vol­

te romano, scritto dal cardinale Ermenegildo Pel- legrinetti42. Il nuovo papa è romano due volte, perché capo della Chiesa di Roma e perché ram­

pollo di una famiglia nobile della Roma papale.

Il cardinale ribadisce il concetto che l’impero ro­

mano fu voluto dalla divina provvidenza43, ma ri­

corda pure che i pontefici romani respingono l’i­

dea di dovere il loro primato all’essere stata Ro­

ma capitale dell’impero (la stessa polemica svol­

ta da Calassi Paluzzi44). Anche se la fedeltà al re­

gime pericolante viene ribadita, il gruppo dell’i­

stituto cerca il più solido sostegno della Chiesa.

Viene poi pubblicata la lettera inviata da Pio XII al cardinale vicario di Roma dopo il bombarda­

mento della città e, in quest’occasione, si espri­

me la speranza che l’Europa venga unificata nel­

la fede cristiana sotto un solo pastore45.

La presenza della Roma fascista nel cammino eterno della città, o nella serie delle resurrezioni, è ancora più frequente: talvolta la Roma fascista si accompagna con quella cristiana, talvolta il pas­

saggio dalla Roma antica alla Roma fascista è di­

(9)

Il culto della romanità nel periodo fascista

retto. Lo schema ideologico delle tre Rome pro­

viene, come ben si sa, dal nostro Risorgimento;

ma il fascismo vi apportò, tacitamente, due mo­

difiche rilevanti. Il culto dei mazziniani era ri­

volto alla Roma repubblicana, alla Roma dei Gracchi e di Catone l’Uticense, anteriore al di­

spotismo dei Cesari; neppure i neoguelfi ebbero simpatia per la Roma conquistatrice e per la Ro­

ma dei Cesari; ma è proprio questa che il fasci­

smo valorizza; motivi imperialistici affiorano nel fascismo fin dall’inizio, ma trionfano, natural­

mente, con la fondazione dell’impero dopo la conquista dell’Etiopia: non c’è bisogno di ricor­

dare che la fondazione dell’impero è il ritorno dell’impero antico. Questa elaborazione ideolo­

gica ben si accorda con l’avversione del fascismo per il liberalismo. Il secondo mutamento consi­

ste nella sostituzione della Roma fascista alla Ro­

ma risorgimentale; ben inteso, l’eredità risorgi­

mentale, in quanto eredità nazionale e non in quanto liberale, non viene mai rinnegata, ma, poi­

ché la trinità va conservata, la terza Roma viene a identificarsi con la Roma del fascismo. Nel­

l’annata 1935 comparve un articolo di Antonio Bruers su Roma nel pensiero del Gioberti^. Da­

ta la posizione della rivista, non è per caso che vi si parla di Gioberti, non di Mazzini; il mito gio- bertiano della terza Roma è presente, ma il me­

rito principale attribuito a Gioberti è di essere sta­

to il precursore della conciliazione col Vatica­

no46 47:

46 “Roma”, 1935, n. 13, pp. 435-444.

47 “Roma”, 1935, n. 13, p. 439.

48 “Roma”, 1934, n. 12, p. 137.

49 “Roma”, 1935, n. 13, p. 411.

50 “Roma”, 1939, n. 17, p. 12.

51 “Roma”, 1934, n. 12, p. 6 (da un discorso su Roma nella mostra della rivoluzione fascista).

52 “Roma”, 1937, n. 15, p. 25.

53 “Roma”, 1937, n. 15, p. 204 (dalla prefazione alla collana “Res Romanae”).

Lo schema ideologico delle tre Rome fu ri­

preso, come abbiamo già visto, da Mussolini ed ebbe larga circolazione: non è il caso di accu­

mulare citazioni: basterà spulciare qualche esem­

pio dalla rivista. Nell’annata 1934 la triade della Roma dei Cesari, della Roma dei papi e della Ro­

ma fascista viene riaffermata in base all’autorità del duce (vi si cita un discorso da lui tenuto nel­

la seconda assemblea quinquennale del regi­

me48); la ribadisce enfaticamente il solito Calas­

si Paluzzi in un discorso pronunciato in occasio­

ne di una mostra su Roma nell’ottocento49; la ri­

troviamo in un articolo, che ho già avuto occa­

sione di citare, di Bottai: dalla Roma imperiale si passa ai Padri della Chiesa e, attraverso Dan­

te e Petrarca, in cui la romanità diventa italianità, si arriva al ritorno di Roma imperiale grazie al­

l’Italia fascista; qui anche il livello di Bottai sca­

de nella trivialità pacchiana del tempo: infatti an­

che Garibaldi e i legionari di Spagna diventano

“la più alta espressione della romanità”50. Come ho detto, l’assimilazione della Roma fascista al­

la Roma imperiale antica si realizza senza inter­

mediari. Si può citare di nuovo Bottai:

Lo spirito del Fascismo s’immedesima con l’idea roma­

na che è idea di sintesi, d’associazione, d’incorporazione e contrasta, durante tutto il corso della storia, all’idea mu­

nicipale, analitica, dissociativa, disintegrante51.

Anche Galassi Paluzzi fa qualche volta a meno di passare attraverso la Roma dei papi: per esem­

pio, nell'annunziare la storia di Roma a cura del­

l’istituto, in un momento di delirante esaltazio­

ne dopo la vittoria dell’Italia fascista contro una coalizione di cinquanta stati (si riferisce alle san­

zioni economiche) e la fondazione dell’impero52.

Purtroppo la ridicola esaltazione di Galassi Pa­

luzzi è quasi superata da quella di un noto latini­

sta del tempo, Vincenzo Ussani, professore pres­

so l’Università di Roma:

Roma oggi toma con i suoi fasci, con le sue legioni, con gli animi e la saggezza e l’ardire [...] l’impero che Cesa­

re e Augusto fondarono, che Livio celebrò, che sembra­

va morto da secoli, rinasce più vivo di prima in virtù di un prodigio di uomini di nostra gente, compiutosi nel gi­

ro di pochi mesi, quasi di poche settimane, tra lo stupore di altre genti e quasi anche il nostro; e rinasce, non per noi, ma, qual è il nostro fato, per il bene del mondo53.

(10)

Se la continuità fra la Roma imperiale e la Roma cristiana veniva gonfiata e deformata, ma a par­

tire da appigli storici reali, l’assimilazione della Roma fascista alla Roma imperiale era tutta un discorso politico e ideologico, non privo di pun­

te comiche (come, del resto, spesso l’apparato ro­

mano-antico del fascismo). La deformazione è anche più grossolana di quanto non sembri a pri­

ma vista, anche perché ciò che si diceva di Ro­

ma veniva esteso, sia pure confusamente, all’I­

talia. Fra i contributi più profondi e più duraturi di Croce alla storia d’Italia si pone il concetto se­

condo cui la storia unitaria d’Italia incomincia solo con la fondazione del regno, dopo la secon­

da guerra di indipendenza: per i secoli preceden­

ti si può parlare solo di storie di singole parti, co­

me il regno di Napoli, lo Stato Pontificio, la re­

pubblica di Venezia, la Lombardia, il Piemonte;

forse nella concezione di Croce v’ è una certa sot­

tovalutazione della coscienza unitaria che si ma­

nifesta nella letteratura, ma il quadro è fonda­

mentalmente giusto. Tuttavia, nella rivista non appare, su questo problema importante, una po­

lemica esplicita contro Croce54; del resto mi pa­

re che gli attacchi espliciti contro intellettuali an­

tifascisti siano rari. Ci fu un’eccezione per Gu­

glielmo Ferrerò: quando egli, durante la guerra, morì in esilio, Calassi Paluzzi lo ricordò per di­

chiararlo incapace di comprendere la grandezza della Roma dei Cesari, la grandezza della Roma di Cristo e la rinascita dell’impero grazie al fa­

scismo55. Un curioso episodio di opposizione cul­

turale al fascismo si verificò durante la guerra e suscitò una reazione indignata nell’istituto: un certo Pietro Novelli in prefazioni e commenti ai libri XXXI e XLIV di Livio parlò dei romani co­

me di conquistatori e devastatori, distruttori del­

la civiltà campana ed etnisca, sanguinari macel­

lai e dell’oligarchia senatoria come di una clas­

54 In una polemica, non priva di interesse, contro Croce si impegnò Calassi Paluzzi a proposito del carattere e del ruolo del­

la Controriforma: cfr. Controriforma e storiografia, “Roma”, 1925, n. 3, pp. 258-268.

55 “Roma”, 1942, n. 20, p. 298.

56 “Roma”, 1942, n. 20, pp. 342-345.

57 “Roma”, 1924, n. 2, pp. 59-67.

58 “Roma”, 1928, n. 6, pp. 149-159.

59 “Roma”, 1924, n. 2, pp. 101-114.

60 “Roma”, 1941, n. 19, pp. 167-176.

61 “Roma”, 1941, n. 19, pp. 399-413; “Roma”, 1942, n. 20, pp. 340 sg.

se di oppressori. I testi furono denunciati alla ri­

vista e Calassi Paluzzi invocò giuste punizioni56 57. Non so come la faccenda andò a finire.

Prima di lasciare il tema della continuità del destino di Roma è giusto notare che essa, anche nell’ambito della rivista, non ispirò solo tratta­

zioni deformanti: vanno ricordate anche sintesi e ricerche che hanno un buon fondamento storico.

Un contributo utile su un problema non trascu­

rabile è, per esempio, quello di Pietro Fedele Sul­

la persistenza del Senato romano nel Medioevo51.

Una rapida sintesi, non priva, a tratti, di enfasi, ma che affronta, non senza originalità, ampi pro­

blemi storici, è quella di Pietro De Francisci sul diritto romano nel pensiero europeo58. L’enfasi nazionalistica nuoce allo studio di Ussani su Con­

cezioni e immagini di Roma antica, che si esten­

de al Medioevo e al Risorgimento italiano59, ma non lo rende inutile. Fondato su buona compe­

tenza e utile è un breve studio del gesuita Anto­

nio Pernia su Simboli pagani nelle catacombe cristiane, che fa rilevare la presenza di simboli pagani dell’immortalità, come Orfeo e il pavone pitagorico, nel primo cristianesimo romano60. La rivista accolse anche una polemica di Amedeo Maiuri che, fondandosi sulla sua interpretazione di raffigurazioni nella stanza della Croce della Casa del Bicentenario a Ercolano, ritrovava trac­

ce di cristianesimo in quella città prima dell’eru­

zione del Vesuvio61.

L’originalità della cultura latina

Nella prima metà del nostro secolo si combattè, in Italia e in Germania, una lunga battaglia (o, piuttosto, una guerra) per rivendicare l’origina­

lità della letteratura e, più in generale, della cul­

tura latina rispetto a quella greca. Com’è ben no­

(11)

Il culto della romanità nel periodo fascista

to, la letteratura latina fu svalutata, come imita­

zione servile o come rielaborazione poco vigo­

rosa e poco originale, a partire dal Settecento, do­

po che il culto di Omero si sostituì a quello di Virgilio; la svalutazione fu accentuata (ma non dappertutto) dal romanticismo e poi dalla filolo­

gia classica tedesca dell’ottocento. Nella secon­

da metà del Novecento, la guerra si poteva con­

siderare conclusa, e felicemente vinta dai riven­

dicatori dell’originalità latina; oggi nessuno più parla della letteratura latina come di una brutta copia di quella greca. La causa, dunque, era giu­

stissima; ma non sempre fu sostenuta con argo­

mentazioni giuste: senza negare la profonda in­

fluenza greca si poteva ben dimostrare, ed è sta­

to dimostrato, che, proprio nutrendosi continua- mente di cultura greca, la cultura latina ha ela­

borato una propria identità e una, talvolta profon­

da, originalità; invece per lo più in Italia, qual­

che volta anche in Francia, si tendeva a limitare l’influenza greca, a far risalire il più possibile contenuti e forme al ceppo latino, a rivendicare un genio romano o latino che, conservando una propria identità di fondo nei mutamenti storici, avrebbe resistito alle contaminazioni: la lettera­

tura latina veniva rivalutata in base a concetti ro­

mantici simili a quelli che erano serviti per sva­

lutarla; solo che, nel Novecento, il romanticismo era passato da un pezzo62 63. La via più giusta fu percorsa in Germania, ma anche in Italia, ed è quella oggi generalmente battuta.

62 Sulla questione ho espresso il mio punto di vista in Orazio e l’ideologia del principato, Torino, Einaudi, 1974 [3a ed.], pp.

15 sg., e più volte altrove.

63 “Roma”, 1929, n. 7, pp. 241-250.

64 “Roma”, 1929, n. 7, p. 248.

65 “Roma”, 1929, n. 7, p. 242.

66 “Roma”, 1940, n. 18, pp. 329-332.

67 “Roma”, 1940, n. 18, p. 330.

“Roma”, 1940, n. 18, p. 332.

“Roma”, 1930, n. 8, p. 233.

Nella cultura fascista, l’originalità della cul­

tura latina fu rivendicata energicamente, ma qua­

si sempre per la via errata, che ben si conciliava col netto orientamento nazionalistico. Un’occa­

sione molto propizia fu offerta dal bimillenario virgiliano del 1930. Già l’anno precedente, nei preludi della celebrazione, larivista “Roma” pub­

blicò un breve saggio di Emilio Bodrero su Virgi­

lio e le correnti religiose e filosofiche del tempoa, che incomincia con una polemica contro la sva­

lutazione del latino nell’ottocento. Virgilio ve­

niva esaltato da Bodrero come “il più grande Poe­

ta nazionale fino allora vissuto”, che “ci ha dato il grande Poema nazionale romano”64; a parte l’enfasi un po’ ridicola, l’affermazione si può an­

che digerire; ma nello stesso tempo Bodrero pre­

sentava Virgilio come il poeta che “volle libera­

re dalla servitù intellettuale alla Grecia quel­

l’impero che aveva finalmente trovato in lui il suo aedo”, come un intellettuale “tenacemente avverso a quanto sappia di greco e tenacemente deciso a voler che Roma pensi da sé”. Più elle­

nizzante è Orazio; invece “Virgilio vuole anche spiritualmente 1 ’ indipendenza, l’autoctonia, l’au­

tonomia di Roma”65. Bodrero, professore presso l’Università di Padova, aveva cominciato, da gio­

vane, come studioso di filosofia greca, interpre­

tando i presocratici; come storico della filosofia non brillò, ma molto peggiore divenne come ideo­

logo del nazionalismo e del fascismo: sebbene non rozzo intellettualmente, non arretrava davanti a nessuna semplificazione e deformazione della storia. Uno studio della sua opera sarebbe utile per capire la cultura fascista. Concetti simili ri­

troviamo, una decina di anni dopo, in un breve articolo di Galassi Paluzzi su Grecia e Roma66:

“L’Eliade ha dato a Roma degli elementi, ma non lo spirito”; la cultura greca “non ha trasformato l’ultima essenza dell’arte dei romani”67. L’arti­

colo risale al tempo della guerra con la Grecia:

quindi Galassi Paluzzi aggiunge che la Grecia, dopo essere stata beneficata da Roma nell’anti­

chità, “potrà trame di nuovo utili frutti”68. In oc­

casione del bimillenario virgiliano erano stati te­

nuti, presso l’istituto, corsi su ellenismo e roma­

nità, naturalmente per dimostrare l’originalità ro­

mana69.

$£

(12)

Ancora più che di letteratura, la rivista si oc­

cupava di arti figurative. Anche su questo terre­

no si mirava a scoprire e valorizzare l’originalità romana, e il compito era meno facile che sul ter­

reno della letteratura: l’uso di copie di opere d’ar­

te greche era comune, gli artisti (architetti, scul­

tori, pittori) erano generalmente greci; ciò nono­

stante, gli studi sull’arte romana (mi riferisco sempre a quelli pubblicati dalla rivista) furono di miglior livello e più fruttuosi. Già nella prima an­

nata della rivista comparve un’aspra polemica di Roberto Paribeni contro due colleghi stranieri (uno belga e uno olandese, per ora a me ignoti) che, in un manuale di Storia dell 'arte antica, ave­

vano dato poco rilievo e poco valore all’arte ro­

mana, di cui trattavano nel capitolo sull’arte gre­

ca (dunque senza neppure fame oggetto di una trattazione a sé)70: Paribeni valorizzava soprat­

tutto l’originalità dell’arte romana nei ritratti e nei rilievi di argomento storico. L’orientamento era giusto, ma si vede anche come sulla via giu­

sta si perdesse la giusta misura e si sconfinasse in effusioni ideologiche: egli concludeva, infat­

ti, caratterizzando così l’arte romana:

70 “Roma”, 1923, n. 1, fase. 2, pp. 8-9.

71 “Roma”, 1923, n. 1, fase. 2, p. 9.

72 “Roma”, 1924, n. 2, pp. 232-234.

73 “Roma”, 1926, n. 4, pp. 406-411.

74 “Roma”, 1930, n. 8, p. 133.

75 “Roma”, 1934, n. 12, pp. 82-84.

76 “Roma”, 1938, n. 16, pp. 398 sg.

un’arte che è tutta pervasa da un nuovo spirito, che si estende uniforme dovunque giungano le aquile e i fasci, e che in nessun luogo del mondo civile ha, durante il pe­

riodo imperiale, splendore maggiore che a Roma71.

La polemica avviata da Paribeni fu proseguita dall’archeologo Goffredo Bendinelli nell’annata successiva72; egli si appoggiò a opere straniere di notevole valore, che avevano una buona dif­

fusione anche in Italia. Segnalò l’opera di Franz Wickhoff, uno storico dell’ arte austriaco, che ave­

va dato un’interpretazione originale dell’arte ro­

mana tardo-antica e aveva segnato una svolta in questo campo di studi (in Italia ne tenne molto conto anche Bianchi Bandinelli); l’orientamento di Wickhoff fu sostenuto efficacemente da Alois

Riegl. Bendinelli elogiò, inoltre, l’opera Roman Sculpture di una nota archeologa inglese, Euge­

nia Strong, il cui primo volume era stato già tra­

dotto in italiano dal giovane storico di Roma an­

tica Giulio Giannelli. Strong fu poi, nel corso del ventennio, un punto di riferimento per la rivista:

sulla stessa opera tornò l’archeologo Giuseppe Lugli due anni dopo73. Nel 1930 un collaborato­

re minore, Gilbert Bagnani, si rifa anche lui a Strong, e ritiene che ormai l’originalità deH’arte romana sia stata pienamente rivendicata; e qui vediamo come l’ubriacatura ideologica porti a di­

struggere l’argine critico, la misura, e sbocchi in un rovesciamento assurdo dell’interpretazione che si vuole combattere:

Di tutte le arti quella romana è forse la più personale, espressione perfetta del genio di Roma, che ha saputo infondere nelle forme d’arte della Grecia e dell’oriente uno spirito del tutto nuovo, uno spirito eterno come la stessa città, ma allo stesso tempo uno spirito dinamico che si è andato trasformando ed evolvendo in tutto il corso della storia74 75.

In questa evoluzione rientra anche la continuità fra l’arte romana e l’arte cristiana. Di Strong verrà poi recensita, da un certo Salvatore Rosati, la Sto­

ria dell’arte repubblicana in Roma, traduzione del capitolo che l’archeologa aveva pubblicato nel IX volume della Cambridge Ancient History15.

Purtroppo anche l’archeologa inglese fu conqui­

stata dall’ammirazione per Mussolini, vedendo nel duce un capo ispirato da Dio76: era l’anno del bimillenario augusteo, che portò molte menti al delirio.

I contributi più nuovi e più apprezzabili (sem­

pre nell’area degli studi sull’arte antica) riguar­

dano, io credo, l’arte della tarda antichità roma­

na. L’intento di rivendicare l’originalità romana pesò come un pregiudizio, ma, ciò nonostante, fu dibattuto con serietà e competenza un problema

(13)

storico importante. Pietro D’Achiardi, prenden­

do l’avvio da un’opera di un archeologo polac­

co, Josef Strzygowsky, pubblicata da oltre una ventina d’anni (Rom und Orient, 1901), pole­

mizzando contro di lui e contro altri che si erano spinti anche più in là nella stessa direzione, cercò di limitare drasticamente l’influenza orientale sull’arte cristiana:

Nella latinità dunque ebbe il suo fondamento l’arte nuo­

va, e Roma impresse un nuovo carattere di unità a tutti i rami delle arti figurative, dal ceramico al cammeo. Sol­

tanto la coscienza romana, il Romanesimo, dette il nuovo carattere di universalità all’arte cristiana77.

77 Pietro D’Achiardi, Roma e Oriente, “Roma”, 1926, n. 4, p. 10, sottolineature nel testo.

78 P. D’Achiardi, Roma e Oriente, cit., p. 10.

79 P. D’Achiardi, Roma e Oriente, cit., pp. 11 sg.

80 “Roma”, 1926, n. 4, pp. 481-501. Il passo citato è alla fine dell’articolo.

81 “Roma”, 1936, n. 14, pp. 335-344.

82 “Roma”, 1936, n. 14, pp. 253-268; su Bramante a p. 266.

83 “Roma”, 1935, n. 13, pp. 454 sg.; “Roma”, 1936, n. 14, pp. 304.

84 S.L. Cesano, Di alcune peculiarità individue della moneta romana nei confronti con la moneta greca, “Roma”, 1934, n.

12, pp. 511-518; citazione da p. 515; sul ritratto pp. 516-518.

D’Achiardi ammette che “la cultura dell’Orien- te aveva avuto una grandissima influenza sulla civiltà della Roma imperiale”, ma quell’influen- za aveva segnato l’inizio della decadenza, “per il lusso e la mollezza che ben presto contaminaro­

no la forza rude e schietta del popolo romano”78, ma l’arte cristiana si era risollevata, tornando al­

lo spirito e all’idea di Roma. L’influenza orien­

tale si limitò a dettagli ornamentali di stoffe, ce­

ramiche e vetri. Analogamente andava limitata l’influenza barbarica nell’arte romana tardo-an­

tica79 80. Sullo sbocco ideologico di questo studio mi soffermerò brevemente in seguito.

Andava nello stesso senso, cioè miravaia esal­

tare il vigore della romanità che non si lascia soffocare da influenze orientali, e anzi esprime anche in Oriente la sua originalità, uno studio ag­

guerrito di Giulio Quirico Giglioli su Costanti­

nopoli, la nuova Roma d’Oriente (neiprimi due secoli della sua storia), che mostrava e valoriz­

zava quanto di romano c’era, e rimane, nella nuo­

va capitale, che non è “né Bisanzio né Costanti­

nopoli, né Stambul; una Roma nuova”*0. Più tar­

di, Guglielmo De Angelis D’Ossa volle dimo­

strare le origini romane della cupola bizantina81 e Luigi Crema cercò di limitare l’influenza bi­

zantina nell’architettura del Rinascimento: egli vide in Bramante una nuova rivelazione dell’u­

niversalità e della perennità dell’idea romana82.

Non per caso questi ultimi due studi furono pub­

blicati nell’annata 1936: nel 1935, dal 19 al 26 ottobre, si era svolto il IV Congresso organizza­

to dall’istituto di studi romani, che aveva per te­

ma, appunto, i rapporti tra Roma e Oriente; i cin­

que volumi degli atti relativi furono pubblicati nel 1938. Per avere un’idea adeguata dell’orien- tamento dell’istituto su questo vasto problema (o viluppo di problemi) bisognerebbe studiarsi quei cinque volumi; ma ciò non era nei miei proposi­

ti. Fu preoccupazione di Galassi Paluzzi quella di non mettere in antitesi i due termini, di insi­

stere sui rapporti e i reciproci scambi e arricchi­

menti culturali: Roma e Oriente, non Oriente o Roma83. Ma nella cultura fascista, come vedre­

mo tra poco, vi erano anche altri orientamenti.

Fra i contributi più notevoli sull’originalità dell’arte romana metterei uno studio di Cesano su alcune caratteristiche della moneta: il succo è questo:

Sulla moneta romana [... ] si riflette la vita della città, del­

lo Stato, potremmo dire, quasi nel suo giornaliero svilup­

po; ma, notisi bene, con un carattere certamente apologe­

tico e di esaltazione della razza veramente impressionan­

te, come se una consapevolezza orgogliosa, quasi pre­

veggente, fosse insita nella coscienza collettiva ed ispi­

rasse e si traducesse nella figurazione che l’artista incide­

va sul conio.

Anche Cesano valorizza, nelle monete, l’arte ro­

mana del ritratto e ritiene che la sensibilità per il ritratto decada con l’avvento dell’elemento non romano negli imperatori e nei soldati. Purtroppo, anche qui si avverte chiaramente l’insidia di un culto nazionalista, e quasi razzista, della roma­

nità; e probabilmente il contrasto con l’arte gre­

ca della monetazione è eccessivo84.

(14)

618

La rivendicazione dell’originalità della cultu­

ra romana induceva naturalmente, come abbiamo visto, a limitare l’influenza greca e, in qualche ca­

so, a svalutare la cultura greca. Fra i collaborato­

ri importanti della rivista e dell’istituto, Paribeni nutriva un’accentuata antipatia verso l’Ellade e l’aveva manifestata, in particolare, tessendo l’e­

logio della famiglia romana; nella rivista inter­

venne, sullo stesso tema, Calassi Paluzzi per espri­

mere delle riserve, ma parziali e caute85; anche lui metteva volentieri Roma al di sopra della Grecia.

Abbiamo visto come Bodrero facesse di Virgilio il vindice deU’autonomia culturale romana ri­

spetto alla Grecia, ma ammettesse una maggiore presenza della cultura greca in Orazio; invece, nel 1937, un paio di anni dopo il bimillenario orazia­

no, intervenne Galassi Paluzzi con un articolo su La Romanità di Orazio per polemizzare contro chi esaltava la grecità di Orazio: no, il poeta di Venosa era pienamente italiano, anzi italiano del­

la Magna Grecia, e romano86. Altri spunti si po­

trebbero raccogliere, ma non ci sono prove con­

sistenti per parlare di un antiellenismo in Italia du­

rante il periodo fascista; l’insegnamento del gre­

co restò nel ginnasio-liceo e gli studi di greco con­

tinuarono senza nessun ostacolo.

85 “Roma”, 1929, n. 7, pp. 82-84.

86 “Roma”, 1937, n. 15, pp. 189-200.

87 “Roma”, 1924, n. 2, pp. 233 s.

88 “Roma”, 1927, n. 5, pp. 434 s.

89 “Roma”, 1927, n. 5, pp. 435 s.

90 “Roma”, 1923, n. 1, p. 300.

In Italia, la rivendicazione dell’originalità ro­

mana si accompagnò in molti casi, ma non sem­

pre, a una polemica serrata, e talvolta astiosa, con­

tro la filologia classica tedesca, considerata in blocco un’arretrata e ottusa scienza positivistica;

non ci si accorse neppure che la rivendicazione dell’originalità latina era stata avviata anche in Germania, e per una via più giusta di quella se­

guita per lo più in Italia. E evidente come la rivi­

sta e l’istituto intendessero continuare con pieno consenso la lotta antitedesca di Fraccaroli e Ro­

magnoli: una lotta che non mancava di qualche ragione valida, che da Romagnoli fu condotta con una vivacità satirica apprezzabile, ma che fu, in complesso, una lunga ondata di stoltezza, fazio­

sità e cecità; già dopo l’ultima guerra mondiale

non ne restava quasi più nessuna traccia nella cul­

tura italiana. La piena adesione dell ’ ambiente del- l’Istituto all’orientamento di Romagnoli si può ri­

tenere certa, sebbene Romagnoli, del resto stu­

dioso di letteratura greca (anche se tradusse qual­

che volta poesia latina), non abbia collaborato al­

la rivista. Bendinelli fece risalire fino a Virgilio e Orazio la responsabilità del pregiudizio della scar­

sa originalità latina nell’arte; ma la responsabilità più grave toccava ai tedeschi87. Paribeni, recen­

sendo la Storia di Roma di Ettore Pais, rivendicò l’attendibilità di Livio contro la critica tedesca;

sferrò l’ennesimo attacco contro Mommsen, ac­

cusato di “irragionevole e burbanzosa mali­

gnità”88; in questa occasione, Paribeni mise sot­

to accusa anche l’idolatria di Annibaie89. Su que­

sto punto non vale la pena di insistere; ma nella rivista viene bene alla luce anche una profonda radice cattolica nell’avversione contro la cultura tedesca, cioè l’avversione radicale al protestante­

simo e alla filosofia tedesca da Kant in poi. Su questa polemica dirò qualcosa in seguito.

Agli sfoghi contro la cultura germanica si ac­

compagnò l’esortazione, rivolta agli studiosi ita­

liani dell’antichità, a far da sé e a non dipendere troppo dagli stranieri. In un articolo di Enrico Corredini, che ho avuto già occasione di citare, l’eccessiva dipendenza dagli stranieri viene bia­

simata; non manca uno strale contro Mommsen, visto come una specie di invasore del Nord che ha distrutto Roma: il discorso si basa sulla con­

vinzione che solo in noi italiani si conserva l’es­

senza di Roma e che solo noi siamo capaci di ca­

pirla. Paribeni, nel presentare l’istituto italiano di archeologia e di storia dell’arte, fondato da po­

chi anni, trovò umiliante che fossero gli stranie­

ri a dover insegnarci la nostra storia90. Si può os­

servare che, fra tante sciocchezze, l’esortazione conteneva anche una spinta positiva: non si de­

ve negare al regime fascista ogni merito nel fat­

to di aver incoraggiato gli studi classici; analo­

gamente non si può negare che dal colonialismo,

(15)

condannabile per tante ragioni, vennero impulsi positivi a incrementare, in Francia e in Italia, la ricerca archeologica nell’Africa del nord. Natu­

ralmente, indignate condanne del perdurante as­

servimento degli studi classici italiani alla cultu­

ra straniera vennero anche da Galassi Paluzzi91.

Non credo che valga la pena di continuare. In realtà gli studi classici italiani, verso la fine dei- fi Ottocento e nei primi decenni del Novecento, avevano fatto passi avanti decisivi per acquista­

re autonomia e dignità, ma li avevano fatti assi­

milando criticamente metodi e risultati degli stu­

di classici stranieri, specialmente tedeschi.

91 “Roma”, 1926, n. 4, pp. 5 sg. e p. 179.

92 “Roma”, 1924, n. 2, pp. 4-22.

93 “Roma”, 1924, n. 2, p. 5.

94 “Roma”, 1937, n. 15, pp. 123-134.

95 “Roma”, 1926, n. 4, pp. 12 sg.

96 “Roma”, 1940, n. 18, pp. 165-167.

97 Cfr. A. Pasquinelli, Francia antilatina, “Roma”, 1928, n. 6, pp. 513-516.

98 Cfr. Leonora Bracco, Roma simbolo di civiltà in Renania, “Roma”, 1929, n. 7, pp. 251-256.

Impero romano e impero fascista

Negli orientamenti di cui ho parlato da ultimo, è evidente l’ispirazione nazionalistica; a questa so­

no riconducibili anche alcuni studi in cui si pos­

sono avvertire riferimenti, impliciti o espliciti, a problemi di politica estera e di politica colonia­

le. Dopo il Risorgimento, dopo la prima guerra mondiale, perdura l’odio verso i popoli del Nord, cioè verso i popoli germanici. Nell’annata 1924 sulla rivista “Roma” trovò posto un articolo di un certo Ugo Antinielli, frutto di due conferenze te­

nute nell’anno precedente, dal titolo “In Alpe lu- lia Il limes romano e il nostro confine92. Secon­

do l’ampia visione storica di questo autore, attra­

verso il Mediterraneo arrivarono all’Italia dal- l’Oriente popoli navigatori e arditi colonizzato- ri, che portarono una ricca e benefica civiltà; in­

vece dal Nord, attraverso le Alpi, si precipitaro­

no sull’Italia popoli conquistatori avidi e rabbio­

si; in conclusione:

Dal mare aperto, quindi, il Bene e la Salute; dalle Alpi mal chiuse il Male e la Ruina. Ecco l’alterno Destino, ec­

co la vicenda dal Fato serbata alla Patria nostra93.

Queste stupefacenti semplificazioni storiche non furono proprie solo della cultura fascista, anzi erano parecchio diffuse nei primi decenni del no­

stro secolo; ma nella cultura fascista e nazista tro­

varono un terreno particolarmente fertile. L’arti­

colo imbocca poi una via più delimitata e tratta del confine orientale fissato all’Italia da Augu­

sto, per passare, infine, a rivendicazioni attuali.

Parecchi anni dopo, sulla rivista, tornerà a occu­

parsi con più competenza del limes orientale lo studioso iugoslavo Nicola Vulic94. Dopo la pri­

ma guerra mondiale 1 ’ orgoglio per la vittoria con­

tro i popoli germanici fu fiaccato in parte, com’è ben noto, dal rancore per le ingiustizie subite nel trattato di pace: anche questo sentimento trova­

va un’eco nella rivista: per esempio D’Achiardi, nel suo saggio su Roma e Oriente, che ho avuto già occasione di citare, lamenta che “nel grande banchetto nel quale le nazioni europee si erano divise il bottino del dopo guerra, all’Italia, tutti lo sanno, è stata fatta una parte ben misera”: egli rivendica, quindi, una maggior presenza dell’I­

talia in Oriente95. È noto che la rivendicazione dei giusti confini fu agitata anche per incitare al­

l’intervento nella seconda guerra mondiale: nel­

la rivista la usò Galassi Paluzzi, resuscitando l’an­

tico slogan romano dello iustum bellum: la guer­

ra era “pia, giusta, necessaria” per conquistare

“le frontiere segnate da Dio”96.

E ovvio che una notevole attenzione è dedica­

ta alle tracce del dominio antico nel mondo; la ri­

vista fornisce anche un’utile informazione sulle relative ricerche archeologiche. Si esprime preoc­

cupazione per qualche risveglio dell’amore per l’eredità celtica in Francia e si ricordano i bene­

fici duraturi della romanizzazione e poi della cri­

stianizzazione della Gallia97; viene segnalato con compiacimento un libro dello storico francese Jean Colin sulle testimonianze della civiltà ro­

mana nella Renania98. Un aggancio con la poli­

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