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Concorrenza sleale: come difendersi

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Concorrenza sleale: come difendersi

written by Carlos Arija Garcia | 14/06/2017

La legge punisce chi cerca l’affare attraverso contraffazione, abuso di posizione o pubblicità ingannevole. I modi di concorrenza sleale e a chi rivolgersi.

Si diceva una volta che la propria libertà finisce dove comincia quella dell’altro. Lo stesso succede nel mondo imprenditoriale: va bene crescere ed allargarsi, ma senza invadere il territorio avversario in modo scorretto. Altrimenti si cade nella concorrenza sleale, punita dal Codice civile [1]. Con amare conseguenze per chi ha tentato di fare l’impresario senza scrupoli: ciò che è riuscito a raggiungere in modo illecito verrà annullato e se con questo comportamento ha causato un dolo ad un concorrente, dovrà risarcire il danno.

Senza mettere in dubbio la correttezza della stragrande maggioranza degli imprenditori, si sa che l’avvoltoio è sempre in agguato. Soprattutto quando ci si

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trova in una situazione di crisi che, spesso, invita chi non si fa tanti problemi a giocare sporco. A questo punto, come difendersi dalla concorrenza sleale prima che possa rovinare la nostra attività? Cominciamo a capire di che cosa stiamo parlando.

Che cos’è la concorrenza sleale

Ci sono molti modi per fare concorrenza sleale ad un avversario sul mercato.

Pensiamo, ad esempio, a chi riesce a bloccare economicamente un concorrente creando una sorta di «cartello» di clienti fedeli o screditandolo presso le banche affinché non ottenga dei finanziamenti. C’è anche chi ricorre ai metodi usati nel calcio: se un giocatore è bravo, è meglio averlo nella propria squadra, anche in panchina, piuttosto che trovarselo di fronte. Lo stesso vale per un bravo lavoratore: è meglio averlo nel proprio organico anziché in quello della concorrenza. Che cosa si fa? Lo si strappa via senza molti scrupoli alla squadra avversaria (magari pagandogli anche il preavviso per fargli abbandonare l’azienda dall’oggi al domani). Oppure gli si propone un accordo economico per farsi raccontare ogni tanto qualche segreto dell’azienda.

Ma ci sono altri modi di ricorrere alla concorrenza sleale per ottenere un profitto. Ad esempio, quello di piazzarsi sul mercato con dei prodotti venduti ad un prezzo molto inferiore alla media. E’ il cosiddetto dumping.

Possono mancare i parassiti? Certo che no: imprenditori che vivono sulle spalle di altri imprenditori che hanno una brillante idea pronta per essere copiata e lanciata sul mercato con un altro nome, possibilmente molto simile per ingannare i consumatori. Si chiama, appunto, concorrenza parassitaria. Ad esempio, se io vendo un prodotto con il marchio Carlos per proteggere i mobili in legno, qualche concorrente sleale metterà domani sul mercato un prodotto simile con il marchio Tarlos. Io, che l’ho inventato, ho usato il mio nome di battesimo. Lui, che l’ha copiato, è stato più sottile nella scelta del marchio. E’ probabile che mi soffi l’affare.

Quest’ultimo esempio (si chiama anche contraffazione e viene punito dal Codice civile) rappresenta il tipico caso di concorrenza sleale quando si vuole richiamare il prodotto di un altro (con un logo simile, con i colori dell’etichetta

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presso che identici) per trarre profitto. Si sa, nella fretta è facile confondersi tra gli scaffali del supermercato.

Le minacce, quindi, sono all’ordine del giorno. Di fronte ad un caso di concorrenza sleale, come difendersi?

Quando si può parlare di concorrenza sleale?

Per poter parlare di concorrenza sleale e, quindi, prendere i dovuti provvedimenti, è necessario che:

il soggetto danneggiato sia un imprenditore;

il soggetto danneggiato sia in concorrenza economica con quello che ha commesso la scorrettezza, anche si non si trovano nello stesso settore.

Concorrenza sleale: cosa ne dice la normativa europea

L’Unione europea (già sul Trattato di istituzione della Comunità), per permettere gli imprenditori di difendersi dalla concorrenza sleale, vieta le pratiche concordate che possano pregiudicare il libero scambio di merci, in questo caso tra i vari Stati dell’Ue. Condotte come queste:

fissare direttamente o indirettamente dei prezzi di acquisto oppure altre condizioni di transazione di un prodotto. Creare, insomma, il famoso

«cartello» dei prezzi;

limitare o controllare la produzione, le vie di uscita, lo sviluppo o gli investimenti di una determinata azienda;

dividersi i mercati o le fonti di approvvigionamento;

mettere in atto nei rapporti commerciali condizioni diverse per prestazioni equivalenti in modo da creare uno svantaggio nella concorrenza;

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vincolare la conclusione di un contratto a prestazioni che non abbiano nulla a che fare con la prestazione del servizio o la vendita della merce oggetti del contratto. In parole facilmente intuibili: «Io ti faccio questa fornitura se tu…». Se la frase non finisce con «se tu…mi paghi la fornitura»

ma in modi meno ortodossi, si cade nella concorrenza sleale.

L’abuso di posizione dominante

Nella normativa europea sulla concorrenza sleale c’è anche il divieto di abuso di posizione dominante sul mercato. Si abusa di questa posizione quando:

si impone in qualsiasi modo un prezzo d’acquisto, di vendita o di altri tipi di transazione non equi. Della serie: «Se ti piace così, va bene. Altrimenti ciao»;

si limita la produzione o lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori.

Della serie: «Se a loro va bene così, non mi impegno a dare un prodotto migliore»;

si applicano nei rapporti commerciali condizioni diverse per prestazioni equivalenti, svantaggiando la concorrenza. Della serie: «Tutti vendono questo prodotto a 100, io lo vendo a 70 e ti regalo un telefonino» (così, per dire);

si vincola la conclusione di un contratto a prestazioni che non abbiano nulla a che fare con la prestazione del servizio o la vendita della merce oggetti del contratto. Quello che si diceva prima, insomma.

Gli aiuti di Stato

In un contesto di libera concorrenza e di libero mercato, gli aiuti di Stato sono vietati dall’Unione europea quando favoriscono un’azienda piuttosto che un’altra in violazione delle regole previste. Sarebbe, secondo l’Ue, concorrenza sleale [2].

Il tipico caso che è finito più volte nel mirino di Bruxelles è quello del mercato delle compagnie aeree. Se in Italia esiste la libera concorrenza, perché salvare con i soldi di Stato una compagnia a discapito di altre che devono sopravvivere con le

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proprie risorse (o anche fare successo, perché il mercato è pure questo)?

Concorrenza sleale: cosa ne dice la normativa italiana

Per sapere come difendersi dalla concorrenza sleale è necessario conoscere anche ciò che dice la legge italiana, che ha recepito le indicazioni europee appena viste. Nel nostro Paese è stata istituita la figura dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (conosciuta anche come Antitrust) [3]. I suoi compiti sono quelli di vigilare sugli accordi restrittivi della concorrenza, sugli abusi di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione in un settore che possano, di fatto, annullare la concorrenza.

Deve, inoltre, vigilare sulla pubblicità ingannevole e comparativa illecita [4].

La pubblicità ingannevole e comparativa illecita

Come appena accennato, tra i compiti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato c’è quello di vigilare sulla pubblicità ingannevole e comparativa illecita. Il concetto di fondo è quello di garantire che ogni divulgazione di notizie tra il pubblico a scopo promozionale sia palese, veritiera, corretta e riconoscibile come tale. Questo principio è contenuto nel Codice del consumo, che tutela sia la concorrenza tra gli imprenditori sia i diritti dei consumatori.

Si ritiene ingannevole una pubblicità quando induce in errore i consumatori sul prodotto o il servizio che promuove. Ad esempio, quando viene pubblicizzato un divano apparentemente uguale a quelli proposti dalla concorrenza ma ad un prezzo molto più basso, per poi scoprire a casa che è stato fabbricato con materiali scadenti.

La pubblicità comparativa illecita, invece, è quella che nasce da un confronto tra un bene o un servizio con quelli della concorrenza (entro certi termini si può

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fare) ma che non riguarda prodotti concorrenti, provocando confusione tra i consumatori e screditando le altre aziende. Ad esempio, quando viene pubblicizzata una crema antirughe «fino a 4 volte più efficace di quella fabbricata da Tizio» ma, in realtà, diversa nella sua composizione dalla crema prodotta da Tizio. Insomma, due prodotti simili ma non uguali.

Come difendersi da questo modo di concorrenza sleale? Rivolgendosi all’Autorità garante, che ha il potere di eliminare la pubblicità ingannevole o comparativa illecita e gli effetti che hanno, eventualmente, prodotto. Ma bussando anche alle porte di un giudice, chiamato ad applicare il Codice civile [5] che riconosce il diritto al risarcimento di chi è stato vittima di concorrenza sleale mediante atti compiuti con dolo o con colpa. E non solo attraverso la pubblicità scorretta.

Riferimenti

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