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Lettera contro mobbing

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Lettera contro mobbing

written by Redazione | 10/08/2019

Nonostante si stia cercando di sensibilizzare le persone su questo problema, il mobbing continua ad essere molto diffuso nelle aziende e, spesso, il lavoratore non è del tutto consapevole di cosa può fare in questi casi.

Quando un lavoratore ed un’azienda sottoscrivono un contratto di lavoro assumono una serie di obblighi reciproci. Uno dei principali obblighi che la legge pone a carico del datore di lavoro è proteggere la salute e la sicurezza del lavoratore. Lavorare, infatti, deve servire a guadagnarsi da vivere e ad esprimere la propria personalità ma non dovrebbe essere mai fonte di malattie del corpo o della mente.

In alcuni casi, non solo il datore di lavoro non provvede adeguatamente alla tutela della salute del dipendente, ma è egli stesso a porre in essere dei comportamenti assolutamente contrari a questo dovere. In sostanza, è lui a provocare un danno alla salute del dipendente con il suo comportamento. Un caso esemplare, in tal senso, è il mobbing. Non sempre il lavoratore ne è consapevole, ma in questi casi egli può scrivere una lettera contro mobbing, chiedendo anche il risarcimento

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dei danni che questo comportamento scorretto gli ha procurato.

Di certo, prima di poter scrivere una lettera per contestare il mobbing, occorre capire che cos’è il mobbing e se nel caso concreto i comportamenti posti in essere dal datore di lavoro o dai colleghi possano essere considerati realmente mobbing.

Cosa si intende con la parola mobbing?

La parola mobbing deriva dal verbo inglese to mob che significa «assalire, molestare». Si capisce subito che il mobbing è dunque un comportamento molesto, una serie di angherie.

Nel settore della psicologia ed anche nel senso comune, con questo termine, si indica una serie di comportamenti aggressivi di natura psichica, fisica e verbale, che vengono esercitati su un singolo dipendente che viene preso di mira o dal titolare dell’azienda, o da uno o più superiori gerarchici o anche da semplici colleghi. Anche la giurisprudenza ha aiutato a dare una definizione del fenomeno [1].

Spesso questa parola viene usata in modo inappropriato e, nel parlare comune, spesso si parla di mobbing anche per indicare un singolo episodio ingiusto subito in ambito lavorativo. Come vedremo, in realtà, non si può parlare di mobbing per ogni torto o sopruso che viene subito ma occorre che vi sia uno schema più ampio, ripetuto nel tempo e finalizzato ad un obiettivo specifico.

Il mobbing, in realtà, sussiste quando nell’ambito lavorativo vengono poste in essere una serie di condotte offensive e umilianti a danno di un lavoratore che si inquadrano in un’azione posta in essere non in modo sporadico ma sistematico, per un determinato periodo di tempo di almeno sei mesi e con un obiettivo finale ben preciso: isolare il dipendente, distruggere la sua autostima umana e professionale ed indurlo così a dimettersi dal posto di lavoro sgombrando il campo.

Nel gergo comune, viene invece definito bossing quella particolare forma di mobbing in cui è il capo a porre in essere o ad organizzare l’azione umiliante sistematica nei confronti del lavoratore vittima di mobbing.

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Come riconoscere il mobbing?

La prima arma per poter tutelare efficacemente i propri diritti è conoscere il mobbing. Se non si sa quali sono le caratteristiche del mobbing, infatti, è difficile farsi valere. Chiariamo subito una cosa: i singoli comportamenti che, considerati nel loro insieme, costituiscono mobbing possono anche essere, presi da soli, legittimi. Il mobbing infatti è l’insieme dei comportamenti e non la sommatoria delle singole condotte.

Come abbiamo già accennato, il mobbing è una strategia fatta di tanti tasselli e protratta nel tempo, con il fine di sfinire il dipendente e costringerlo alla resa, cioè a lasciare l’azienda.

Occorre, dunque, prestare attenzione a tanti piccoli o grandi fatti che da soli potrebbero anche avere poco rilievo ma se visti insieme fanno capire che c’è un filo rosso che li collega e che sono tutti pezzi di un unico puzzle.

Ad esempio, possono essere condotte che tutte insieme formano il mobbing:

ricevere costanti battute denigratorie dai colleghi;

subire forme di demansionamento e di umiliazione professionale;

vedersi spesso messo in discussione il proprio ruolo in azienda;

vedere affidati ad altri colleghi alcuni compiti che di solito venivano affidati a sé stessi;

essere esclusi da riunioni, catene di mail, pranzi o cene di lavoro, etc.

Non esiste una lista esaustiva: ciò che conta è il minimo comune denominatore di tutti questi atti che consiste nello svilire la dignità umana e professionale del dipendente, isolandolo e marginalizzandolo.

Per poter parlare di mobbing devono coesistere i seguenti indici rilevatori:

presenza di un’azione sistematica e non sporadica di umiliazione, svuotamento professionale e denigrazione;

protrarsi nel tempo di questa azione per almeno sei mesi continuativi;

capacità delle azioni poste in essere di ledere la dignità umana e professionale del dipendente;

collegamento di tutti questi atti ad un unico fine: spingere il dipendente ad andarsene.

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Non ci sono leggi che definiscono il mobbing. Dunque, per classificare questo fenomeno, occorre fare riferimento a quello che hanno detto i giudici nelle sentenze e gli esperti di dottrina giuridica. Queste fonti fanno emergere l’individuazione di diverse tipologie di mobbing:

mobbing verticale (che alcuni chiamano bossing): è la forma più comune di mobbing e viene esercitata da chi sta in un livello superiore dal punto di vista della gerarchia aziendale verso chi sta in un gradino inferiore in tale gerarchia. Ad attuare o a organizzare le condotte lesive è dunque direttamente il datore di lavoro oppure i superiori gerarchici della vittima;

mobbing orizzontale: in questo caso, molto più raro, sono i colleghi di pari grado della vittima a porre in essere le condotte che costituiscono mobbing;

mobbing dal basso o ascendente: si tratta di una ipotesi ancora più rara.

E’ il capo ad essere mobbizzato da suoi sottoposti che si organizzano per sminuire sistematicamente la figura del superiore, svuotandone il potere gerarchico e il ruolo professionale.

Il demansionamento è mobbing?

Un altro errore che viene spesso commesso è pensare che se un dipendente viene demansionato si è automaticamente di fronte ad una ipotesi di mobbing. In realtà, il demansionamento può essere una delle condotte che formano il mobbing, ma non l’unica.

Demansionare un dipendente significa chiedergli di fare delle attività, dette mansioni, che appartengono ad un livello professionale più basso di quelle per cui il lavoratore è stato assunto [2]. Ad esempio, se un dipendente viene assunto come barista e gli viene chiesto di svolgere attività di pulizia dei locali si è di fronte ad un demansionamento perché le mansioni dell’addetto alle pulizie sono inferiori, dal punto di vista del livello di inquadramento contrattuale e della qualità professionale, rispetto alle mansioni dei barman.

Non c’è dubbio che anche il demansionamento rappresenta un oltraggio alla dignità professionale del dipendente. Per questo, spesso demansionare il dipendente è uno dei tanti tasselli che formano il mobbing. Ma demansionare, da solo, non basta per poter ritenere sussistente il mobbing.

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Infatti, come abbiamo detto, il mobbing si compone di un insieme di condotte vessatorie e non di una sola. Inoltre, nel demansionamento semplice, non è assolutamente scontato che il fine voluto dal datore di lavoro è spingere il dipendente a dimettersi.

Lettera contro mobbing

Quando un dipendente ritiene che nei suoi confronti sia in atto il mobbing appare sicuramente consigliabile rivolgersi al proprio sindacato di riferimento oppure ad un avvocato esperto di diritto del lavoro. Il mobbing, infatti, è un’attività illegittima posta in essere dal datore di lavoro che determina la nullità degli atti posti in essere in esecuzione del disegno di umiliazione sistematica e il risarcimento del danno.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è evidente che se si dimostra che una serie di provvedimenti adottati nei confronti del dipendente sono stati emanati per fini di mobbing gli stessi sono nulli. Si pensi, ad esempio, a provvedimenti disciplinari intimati al dipendente in modo pretestuoso solo per umiliarlo e piegarlo, oppure a provvedimenti di trasferimento di sede o di modifica peggiorativa delle mansioni, resi solo per attuare il processo sistematico di mobbing. Essendo mossi da un fine illecito, questi atti sono nulli.

Inoltre, come vedremo, il mobbing crea un danno al dipendente che può essere risarcito.

Per fare tutto ciò il sindacato o il legale partono da una lettera contro mobbing indirizzata al datore di lavoro. In questa comunicazione si spiega in cosa consistono le condotte mobbizzanti e perché le stesse sono illegittime chiedendo dunque al datore di lavoro di far cessare tali azioni e risarcire il danno da mobbing subito dal dipendente.

Se il datore di lavoro mostra un’apertura, la vertenza si può anche definire in modo bonario. Altrimenti, se viene eretto un muro dall’impresa, al dipendente non resta che la via giudiziaria, ossia, la proposizione di un ricorso al giudice del lavoro con cui venga chiesto l’accertamento del fatto che le condotte poste in essere dal datore di lavoro costituiscono mobbing, l’annullamento dei provvedimenti emanati in attuazione del mobbing e il risarcimento dei danni subiti a causa di questa illegittima condotta datoriale.

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Il risarcimento del danno da mobbing

Uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento è che il contratto stipulato è legge tra le parti e se una delle parti non lo rispetta si espone al risarcimento del danno a favore dell’altra parte. Come abbiamo già visto, uno dei principali obblighi che grava sul datore di lavoro in relazione al contratto di lavoro è il cosiddetto obbligo di sicurezza [3] nei confronti del dipendente.

L’obbligo di sicurezza impone al datore di lavoro di:

adottare tutte le misure di prevenzione e di sicurezza che servano a ridurre al minimo o azzerare i rischi per la sicurezza e la salute dei dipendenti derivanti dal lavoro;

verificare che queste misure di sicurezza siano effettivamente seguite e rispettate;

astenersi dal porre in essere qualsiasi comportamento che possa ledere la salute e la sicurezza del lavoratore;

verificare che in azienda tutti si adeguino a tali obiettivi e che vi sia, dunque, un ambiente di lavoro sano e privo di stress per i dipendenti.

Quando si parla di tutela della salute del dipendente si intende sia la salute fisica che quella psichica.

Ne deriva che, in caso di mobbing, si è di fronte ad un inadempimento del contratto di lavoro da parte del datore di lavoro.

L’inadempimento è diretto se è lo stesso datore di lavoro a mobbizzare il dipendente. In questo caso, egli è la causa diretta del danno alla salute del dipendente.

Ma anche quando solo altri colleghi o superiori gerarchici del dipendente a fare mobbing la responsabilità del datore di lavoro può sussistere perché a lui spetta anche il dovere di vigilare affinché l’ambiente di lavoro non sia fonte di danni per la salute.

Il mobbing è fonte di danno poiché può provocare varie malattie sia psichiche che fisiche come:

ansia, stato depressivo;

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mancanza di autostima e sociopatia;

problematiche all’apparato cardio-vascolare, come l’ipertensione arteriosa;

problemi gastro-intestinali;

problemi cutanei;

malattie autoimmuni.

Il danno alla salute del dipendente provocato dal mobbing può essere risarcito dimostrando il danno alla salute subito (cosiddetto danno biologico) con documentazione medico-legale ed il danno patrimoniale determinato dai soldi spesi a causa del mobbing, ad esempio per effettuare visite mediche, acquistare farmaci, etc.

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