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Servizio di documentazione tributaria

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Servizio di documentazione tributaria

Sezione V

SENTENZA CIVILE

Sentenza del 11/06/2004 n. 11175 - parte 2

Intitolazione:

TRIBUTI LOCALI (COMUNALI, PROVINCIALI, REGIONALI) - TASSA DI OCCUPAZIONE SPAZI ED AREE PUBBLICHE - Area del demanio comunale - Occupazione eseguita da societa' appaltatrice del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti - Esenzione prevista dall'art.49 lettera a) del D.Lgs. n. 507/1993 - Esclusione - Fondamento - Esenzione prevista dall'art. 49 lettera e) del D.Lgs. n. 507/1993 - Applicabilita' - Condizioni.

Massima:

La societa' appaltatrice di un comune per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti non ha diritto all'esenzione dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche prevista dall'art. 49 lettera a) del D.Lgs. n. 507 del 1993. Da un canto, infatti, trattandosi non di appalto d'opera, in cui l'occupazione del suolo pubblico e' temporanea e indotta dalle esigenze tecnico - operative connesse all'esecuzione dei lavori, ma dello svolgimento di un servizio pubblico per conto del comune, in cui il suolo demaniale non costituisce l'oggetto dell'intervento appaltato, ma viene occupato in via continuativa con strutture e macchinari, non puo' sostenersi che l'occupazione sia direttamente riconducibile all'ente locale;

d'altro canto, poiche', almeno sotto la vigenza dell'ordinamento delle autonomie locali di cui alla legge n. 142/1990, l'attivita' di raccolta e smaltimento dei rifiuti e' svolta nell'ambito di un rapporto di concessione di servizio pubblico formalizzato in un contratto di appalto, l'occupazione effettuata dalla societa' appaltatrice con gli "impianti adibiti al servizio" in questione - il cui concetto e' integrato dal complesso di attrezzature e macchine necessarie all'impresa concessionaria per lo svolgimento dell'attivita' - rientra nella ipotesi esonerativa particolare contemplata alla lettera e) dell'art. 49, che tuttavia subordina l'esenzione dalla tassa al caso in cui sia prevista la devoluzione gratuita di detti impianti al comune al termine del rapporto concessorio.

*Massima tratta dal CED della Cassazione.

Testo:

Fatto Con contratto di appalto il comune di Cogoleto affido' alla R.V. s.r.l.

il servizio di raccolta differenziata dei rifiuti e relativo trasporto per la durata di un anno - dal 4 ottobre 1995 - prorogata con successivi provvedimenti. Nel 1998 la S.C. s.r.l., concessionaria dei servizi di accertamento e di riscossione del plateatico per conto di quel comune, notifico' alla impresa appaltatrice avvisi di accertamento della tassa per l'occupazione di suolo pubblico relativamente agli anni 1995-1997, maggiorata di interessi e sanzioni, per un complessivo importo di lire 9.820.000. La R.V. s.r.l. impugno' detti avvisi, contestando la debenza del chiesto tributo in quanto l'occupazione di suolo pubblico era la necessaria conseguenza dell'esecuzione di lavori commissionati in appalto dalla stessa Amministrazione comunale.

L'adita Commissione provinciale di Genova accolse il ricorso ma, su appello della soccombente, la decisione fu ribaltata dalla Commissione tributaria regionale della Liguria. Secondo la decisione di merito oggetto della presente impugnazione gli avvisi erano stati redatti in modo chiaro e analitico, mettendo la contribuente in condizione di adeguatamente contrastare la pretesa fiscale. Il tributo era stato richiesto legittimamente, da un lato, perche' ai sensi dell'art. 38, comma 1, del D.Lgs. n. 507/1993, vi sono soggette le occupazioni di qualsiasi natura

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effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province; dall'altro, in quanto, a tenore del successivo art.

49, lettera e), l'esenzione viene consentita per le occupazioni con impianti adibiti ai servizi pubblici nei casi in cui ne sia prevista, all'atto della concessione o successivamente, la devoluzione gratuita al comune o alla provincia al termine della concessione medesima, laddove siffatta clausola non era stata inserita nel contratto intercorso tra la R.V. s.r.l. e il comune di Cogoleto. Manifestamente infondata era, infine, l'eccezione di incostituzionalita' sollevata dalla ricorrente in quanto una cosa e' l'esenzione di cui gode l'ente pubblico nell'espletamento diretto di un servizio svolto senza scopo di lucro, altra cosa e' l'attivita' del privato che e' svolta a fini di lucro.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione la R.V. s.r.l. sulla base di tre motivi.

Resiste la S.C. s.r.l. con controricorso.

Diritto In via pregiudiziale va esaminata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso in quanto proposto oltre il termine di cui all'art. 325 del codice di procedura civile.

L'eccezione e' infondata.

Dall'esame degli atti, direttamente visionabili da questa Corte Suprema ai fini della delibazione della questione considerata, e' dato evincere che la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, resa pubblica in data 26 ottobre 1999, e' stata notificata il successivo 25 novembre a cura della S.C. s.r.l. presso la sede legale della R.V. s.r.l. a mani dell'impiegato addetto alla ricezione degli atti e che nel pregresso stadio di merito la R.V. s.r.l. era elettivamente domiciliata presso il proprio difensore. Ne segue che la notifica e' nulla e inidonea a far decorrere il termine "breve" per proporre ricorso per cassazione. Ne', in contrario, puo' invocarsi la disposizione di cui all'art. 17 del D.Lgs.

n.546/1992 che, facendo sempre salva la consegna dell'atto notificando a mani proprie, sancisce la tendenziale prevalenza, su ogni altra, di siffatta forma di notifica. Per vero, l'atto e' stato notificato presso la sede legale della societa' e non in mani proprie del suo legale rappresentante.

La notificazione della sentenza in un luogo diverso da quello prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario (sede legale della societa', anziche' domicilio eletto, ai sensi dell'art.

17 del D.Lgs. 546 del 1992), determina la nullita' della notifica e impone alla parte che ha interesse a far decorrere il termine breve per l'impugnazione la sua rinnovazione presso il domicilio eletto del destinatario, in assenza della quale la tempestivita' o meno del gravame si misura col parametro temporale di cui all'art. 327, comma 1, la sentenza della Commissione tributaria regionale, notificato alla S.C. s.r.l. in data 26 agosto 2000, vale a dire entro il termine previsto dall'art. 327, comma 1, del codice di procedura civile, e', quindi, tempestivo e ammissibile.

Puo' pertanto passarsi allo scrutinio dei motivi del ricorso.

Con il primo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt.

38 e 49 D.Lgs. n. 507/1993 nonche' contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, la R.V. s.r.l. addebita alla Commissione tributaria regionale di non avere considerato che, come recepito dalla sentenza di primo grado, nella fattispecie ricorreva l'ipotesi di esenzione del tributo prevista dalla lettera a) dell'art. 49 del citato decreto legislativo in quanto l'apprensione temporanea del suolo pubblico con i contenitori per la raccolta dei rifiuti si era resa indispensabile e necessaria proprio per l'esecuzione del servizio svolto su incarico del comune, cui e' attribuito dalla legge (art. 58, medesimo decreto) in regime di privativa. In tale situazione l'appaltatore del servizio agisce quale alter ego del comune, vale a dire fa un uso diretto del bene demaniale. La Commissione ha ritenuto insussistente l'esenzione dalla tassa basandosi esclusivamente sull'art. 49, lett. e), ma tale valutazione - sottolinea la ricorrente - e' errata e lacunosa dacche' la norma regola la diversa fattispecie della concessione ed ha diversi presupposti, fra i quali, in particolare, la devoluzione al comune che riguarda solo impianti fissi o

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condutture.

La censura non e' fondata.

Nel caso in esame, e' pacifico in fatto che si tratta dell'occupazione di strade e piazze comunali con un certo numero di cassonetti per la raccolta differenziata di rifiuti. E' altresi' incontroverso che nella convenzione stipulata tra le parti, e qualificata come appalto, non e' prevista la devoluzione gratuita dei materiali utilizzati dall'appaltatore al comune al termine del servizio.

Orbene, il D.Lgs. n. 507/1993 assoggetta alla tassa qualsiasi occupazione di suolo pubblico, da chiunque effettuata, con un sistema di esenzioni che deve ritenersi tassativo in base al tenore della norma di cui all'art. 38. Le occupazioni di qualsiasi natura effettuate, anche senza titolo, sui beni del demanio e del patrimonio indisponibile del comune scontano la tassa.

L'art. 49 del citato decreto legislativo prevede le esenzioni, ponendosi come norma eccezionale rispetto alla regola generale della sottoposizione a tassazione. Riflettendo per l'appunto disposizioni eccezionali, la norma in parola deve essere interpretata in maniera particolarmente attenta e rigorosa.

La lettera a) dell'articolo in questione esenta dalla Tosap le occupazioni effettuate "dallo Stato, dalle regioni, province, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l'esercizio di culti ammessi nello Stato, da enti pubblici di cui all'art. 87, comma 1, lett. c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, per finalita' specifiche di assistenza, previdenza, sanita', educazione, cultura e ricerca scientifica".

Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che l'esenzione dalla Tosap opera: a) per le occupazioni effettuate dallo Stato - e, piu' precisamente dagli organi e dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo - senza limitazione alcuna, qualunque ne sia la specifica finalita'; b) per le occupazioni effettuate da regioni, province, comuni e loro consorzi, limitatamente a quelle necessarie, o, comunque, oggettivamente connesse allo svolgimento di attivita' comprese nella sfera delle loro rispettive attribuzioni e competenze, quali definite dalla legge, costituzionale o ordinaria, o da fonti subordinate conformi; c) per le occupazioni effettuate da enti religiosi, limitatamente a quelle necessarie o, comunque, oggettivamente connesse all'esercizio di culti ammessi nello Stato (cfr. artt. 8 e 19 della Costituzione); d) per le occupazioni effettuate da enti pubblici, diversi dalle societa', residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivita' commerciali (art. 87, comma 1, lett. c) del D.P.R.

n. 917 del 1986), limitatamente a quelle necessarie o, comunque, oggettivamente connesse allo svolgimento di attivita' specificamente volte a scopi di assistenza, previdenza, sanita', educazione, cultura e ricerca scientifica.

A siffatto risultato conducono diverse, ma concorrenti, ragioni. In primo luogo, il tenore letterale della disposizione che scandisce inequivocabilmente le distinte ipotesi di esenzione dalla tassa nonche' le condizioni soggettive e oggettive cui sono rispettivamente subordinate ("esercizio di culti ammessi nello Stato" per gli enti religiosi; "finalita' specifiche di' assistenza..." etc. per gli enti pubblici non commerciali).

In secondo luogo, i limiti di esenzione, dianzi individuati, relativamente alle occupazioni effettuate da regioni, province, comuni e loro consorzi (riferibili ad ipotesi marginali, se non meramente teoriche) corrispondono ai limiti materiali e territoriali insiti nelle attribuzioni e nelle competenze di tali enti. In terzo luogo, i limiti di oggetto all'esenzione dalla Tosap per le occupazioni effettuate dai predetti enti pubblici non commerciali esprimono una scelta discrezionale del legislatore delegato non irragionevole, tenuto conto sia della natura degli enti stessi sia della valorizzazione degli specifici scopi perseguiti con l'occupazione. In quarto luogo, appare sufficientemente chiaro il limite di oggetto per le occupazioni effettuate da enti religiosi, teso, com'e', a favorire, anche sul piano tributario, la liberta' di esercitare il culto della propria fede religiosa, costituzionalmente garantita (artt. 19 e 20). Infine, relativamente alle occupazioni effettuate dallo Stato e dagli altri pubblici territoriali (regioni, province, comuni e loro consorzi), la pretesa

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limitazione dell'esenzione a quelle realizzate "per finalita' specifiche di assistenza, previdenza, sanita', educazione, cultura e ricerca scientifica"

- "letteralmente" riferibili, invece, soltanto a quelle operate dai predetti enti pubblici non commerciali - e', comunque, impedita dal decisivo rilievo secondo cui la prospettata interpretazione precluderebbe, senza alcuna plausibile giustificazione, l'esenzione medesima in ipotesi di occupazione parimenti volte alla realizzazione di indefettibili fini istituzionali loro propri (si pensi, ad esempio, all'occupazione del demanio comunale da parte dello Stato per fini di ordine pubblico o da parte del Comune per fini di igiene o viabilita').

Una volta chiarito, attraverso l'interpretazione complessiva dell'art.

49, lett. a), del D.Lgs. n. 507/1993, che le ipotesi di esenzione dalla Tosap ivi previste - nel bilanciamento tra l'interesse al prelievo fiscale per la sottrazione di un bene pubblico al godimento della comunita' (comunale o provinciale), e quello alla realizzazione degli scopi istituzionali dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di fini' sociali ritenuti meritevoli di particolare tutela - danno la prevalenza al secondo; e che, in particolare, le occupazioni effettuate (direttamente) dallo Stato e dagli altri enti pubblici territoriali sono totalmente esenti dalla tassa, residua il problema, dibattuto nella presente sede, dell'eventuale esenzione riguardo all'occupazione effettuata dall'impresa appaltatrice del servizio pubblico di raccolta e smaltimento rifiuti.

La risposta, in proposito, non puo' che essere negativa.

In relazione alla disciplina antecedente l'entrata in vigore del D.Lgs.

n. 507/1993 - e cioe' agli artt. 192 e segg. del testo unico per la finanza locale (R.D. 14 settembre 1931, n. 1175), cosi' come novellati dalla legge 18 aprile 1962 n. 208 - questa Corte (vedi sentt. nn. 12432/1993, 11665/1995) nego' l'applicabilita' del tributo per difetto di presupposto in caso di occupazione di suolo pubblico, da parte di un'impresa appaltatrice di lavori per conto del comune, limitata al tempo ed allo spazio strettamente necessari per il compimento dei lavori medesimi, poiche' in tale ipotesi l'occupazione del suolo pubblico costituisce soltanto la conseguenza degli obblighi contrattuali, rispettivamente, dell'appaltatore di eseguire l'appalto e della Amministrazione comunale di consegnargli l'intera area occorrente per l'esecuzione dell'opera appaltata.

Ed infatti, presupposto per l'applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e' che la sottrazione dello spazio dell'area all'uso pubblico possa farsi risalire alla richiesta o comunque alla volonta' implicita o esplicita del contribuente. Nell'ipotesi di lavori eseguiti in attuazione di un contratto d'appalto con l'amministrazione comunale, deve escludersi la richiesta del contribuente e, di conseguenza, l'applicazione del tributo.

La soluzione e' condivisibile e praticabile anche alla luce dell'art.

49, lett. a), della nuova disciplina normativa introdotta dal D.Lgs. n.

507/1993 ove si rifletta che in caso di appalto di opera pubblica la sottrazione all'uso pubblico si compie proprio per la realizzazione dell'opera commissionata dal Comune, titolare di quegli spazi pubblici che deve mettere a disposizione della controparte per il tempo strettamente necessario alla realizzazione dei lavori appaltati. Non si tratterebbe di una interpretazione estensiva o analogica della disposizione agevolativa che, per essere eccezionale, si sottrae a un tale procedimento euristico, ma del venir meno dello stesso presupposto impositivo, poiche' l'appaltatore e' costretto ad occupare l'area pubblica proprio per dare esecuzione all'obbligazione contrattuale assunta nei confronti della committente amministrazione, la quale avrebbe dovuto mettere a disposizione il suolo per i lavori conferiti in appalto.

Del resto, con specifico riferimento alla nuova disciplina di cui al decreto legislativo sopra richiamato, questa Corte (vedi sent. n. 7197/2000) si e' spinta ad equiparare all'utilizzazione diretta del suolo pubblico ad opera dello Stato, una fattispecie in cui l'appaltatore doveva eseguire lavori di restauro di un edificio pubblico. Ha affermato che in una tale ipotesi l'opera doveva considerarsi pur sempre "effettuata dallo Stato" e la consegna dei lavori presupponeva l'occupazione previamente effettuata da detto ente.

La presente fattispecie e' certamente diversa da quelle analizzate dai

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richiamati precedenti giurisprudenziali: non si tratta di un rapporto di appalto di opera in cui l'occupazione del suolo pubblico e' temporanea e indotta dalle esigenze tecnico-operative connesse all'esecuzione dei lavori;

e' invece in discussione l'esecuzione di un servizio pubblico per conto del comune, nelle forme dell'appalto, in cui il suolo demaniale non costituisce l'oggetto dell'intervento appaltato, ma viene occupato in via continuativa con strutture e impianti. Non puo', quindi, sostenersi in un tale contesto che si e' di fronte a un'occupazione effettuata direttamente dal Comune.

In conclusione, le occupazioni realizzate dalle societa' appaltatrici di un pubblico servizio, come quello della raccolta dei rifiuti solidi, sono soggette alla tassa in discussione, non rientrando nell'ipotesi esonerativa di cui all'art. 49, lett. a), del D.Lgs. n. 507/1993 riferibile alle occupazioni direttamente effettuate dai soggetti espressamente individuati dalla medesima norma.

Ne e' speculare e tranciante riprova la previsione particolare, alla lettera e) dell'art. 49, quale ulteriore ipotesi esonerativa, dei rapporti di concessione di pubblici servizi. La situazione revocata in controversia risulta, infatti, riducibile nel paradigma del "rapporto di concessione (di servizio pubblico) formalizzato in un contratto di appalto", che e' situazione ben diversa da quella conseguente all'appalto di opera o di servizio tout court (vedi Cass., SS.UU., nn. 5244/1994 e 1239/2000).

Di vero, le attivita' inerenti allo smaltimento dei rifiuti urbani - definite di pubblico interesse dall'allora vigente art. 1, D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, alle cui disposizioni erano sottoposte - competono obbligatoriamente ai comuni, che le esercitano con diritto di privativa (artt. 3 del D.P.R. n. 915/1982 e 58 del D.Lgs. n. 507/1993) nelle forme di cui all'art. 8, D.P.R. n. 915/1982 ossia direttamente o mediante aziende municipalizzate ovvero mediante concessioni a enti o imprese specializzate (che, ai sensi dell'art. 6, lett. d), del D.P.R. n. 915/1982, dovevano essere autorizzate dalla Regione).

La necessita' della concessione nei casi in cui il servizio pubblico non sia reso direttamente o a mezzo di azienda municipalizzata si desume anche dall'art. 26, R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 (Testo Unico delle leggi sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province), che contempla il "contratto di concessione" per affidare all'industria privata qualcuno dei servizi indicati nell'art. 1 (tra cui quello della nettezza pubblica).

L'art. 22 della L. 8 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali), applicabile ratione temporis, nello stabilire le forme in cui i comuni e le province possono gestire i servizi pubblici, contempla - oltre alla gestione dei servizi in economia, a mezzo di azienda speciale, a mezzo di istituzione e a mezzo di societa' per azioni a prevalente capitale pubblico locale - la concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunita' sociale. Sicche', ove il servizio di smaltimento non sia reso direttamente o a mezzo di azienda municipalizzata o consortile e sia attribuito a soggetti privati, esso e' oggetto di concessione. Il contratto attuativo, benche' venga nella prassi qualificato come appalto, accede a una concessione amministrativa e ne costituisce parte integrante. Nel settore di raccolta e trasporto dei rifiuti, appunto come concessione va considerato il rapporto de quo, non gia' come appalto (di servizio).

Eppero' nella specie, non risulta applicabile neanche l'esenzione a sensi dell'art. 49, lett. e) del piu' volte citato D.Lgs. n. 507/1993 che fa riferimento alle concessioni di pubblici servizi.

La norma prevede l'esenzione per le occupazioni con impianti adibiti a servizi pubblici. E' a dubitarsi che un cassonetto per il vetro sia un impianto, implicando il concetto una fissazione al suolo di una serie di attrezzature tra loro connesse. D'altro canto, come anche dedotto dalla ricorrente, potrebbe rivelarsi inesigibile la previsione della devoluzione al comune dei cassonetti al termine del servizio, trattandosi di beni amovibili e soggetti a considerevole degrado. Comunque, anche a voler affermare, con interpretazione sostanzialmente corretta, che il concetto di' impianto presente nella norma e' integrato da tutto quel complesso di attrezzature e macchine necessarie all'impresa concessionaria per lo svolgimento dell'attivita', manca nella specie il requisito della devoluzione gratuita dell'impianto al comune di Cogoleto nei tempi e con le

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modalita' previsti dalla disposizione agevolativa.

Col secondo motivo del ricorso, la R.V. s.r.l. prospetta questione di legittimita' costituzionale degli artt. 38 e 49 del D.Lgs. n. 507/1993, per contrasto con gli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, ove interpretati in senso a se' sfavorevole. Secondo la ricorrente e' evidente la "distonia ed irrazionalita' di tale previsione rispetto alla ratio della imposizione del tributo"; se, infatti, "il presupposto dell'imposizione e' l'uso eccezionale del bene demaniale nel proprio esclusivo interesse da parte dell'occupante ... non parrebbe dubbio che la mancata previsione della esenzione in una fattispecie in cui l'occupazione non e' in alcun modo riconducibile ad un uso eccezionale nel proprio interesse del bene, ma si risolve in sostanza in una occupazione ai fini e nei limiti resi obbligatori dal servizio pubblico.... apparirebbe evidentemente distonica rispetto alla ratio di applicazione del tributo".

La questione di illegittimita' costituzionale e' manifestamente inammissibile in quanto la ricorrente non illustra i termini e i motivi che dovrebbero indurre a dubitare della costituzionalita' delle norme denunciate. In particolare, non vengono spiegate le ragioni specifiche in base alle quali verrebbero concretamente a realizzarsi i lamentati vulnera ai parametri costituzionali indicati. Essa e' anche manifestamente infondata con riferimento all'art. 53 Cost., l'unico precetto la cui asserita violazione risulta in qualche modo argomentata in seno al motivo in esame.

Invero, la ricorrente muove dal presupposto che sia irragionevole, discriminatorio e "distonico", rispetto al concetto di capacita' contributiva, sottoporre alla Tosap l'occupazione di aree pubbliche per il servizio differenziato di raccolta rifiuti, qualificato come servizio pubblico obbligatorio, e contrappone a tale concetto l'utilizzo "eccezionale nel proprio interesse", che nella specie non ricorrerebbe. L'affermazione e' da disattendere per due ragioni. Anzitutto, l'eccezionalita' dell'utilizzo non costituisce affatto presupposto per l'imposizione. D'altra parte, non appare seriamente sostenibile che la societa' appaltatrice del servizio rifiuti agisca esclusivamente per l'interesse pubblico, vale a dire non abbia un interesse economico concreto alla stipulazione e all'esecuzione del contratto di appalto.

Con il terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 51 del D.Lgs. n. 507/1993, 3 e 7 della L. n.

241/1990, nonche' difetto di motivazione. La legge n. 241/1990 - rileva - ha introdotto nell'ordinamento principi fondamentali di trasparenza e partecipazione nel procedimento amministrativo. Gli avvisi di accertamento appaiono privi di garanzie procedimentali e di idonea motivazione.

Il motivo e', all'evidenza, inammissibile.

In esso la societa' ricorrente reitera l'eccezione di nullita' degli avvisi di accertamento in quanto "privi di idonea motivazione, tanto piu' necessaria ove si consideri che la societa' ricorrente ha provveduto a posizionare gli impianti in questione nella qualita' di concessionario del comune e nello svolgimento di un servizio di pertinenza comunale". Tale censura, preceduta da una esposizione dei principi informatori della L. n.

241/1990, si appalesa lacunosa e sostanzialmente sprovvista di specifiche (e valide) argomentazioni, risolvendosi nella apodittica affermazione che gli avvisi di accertamento sono "privi di idonea motivazione". Non viene, infatti, minimamente spiegato perche' sarebbe errato quanto, sul punto, affermato dalla Commissione tributaria regionale, essere, cioe', i contestati avvisi "redatti in modo assai chiaro ed analitico, mettendo cosi' in grado la contribuente di porre in atto ogni azione in opposizione".

Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

Nella natura delle questioni trattate puo' ravvisarsi la presenza di giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese.

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