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Uso razionale delle risorse

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Uso razionale delle risorse

classe di esigenze: URR

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Figura 4.1: Quadro generale della classe di esigenza URR.

Utilizzo razionale dei materiali da costruzione

•Utilizzo di materiali, elementi e componenti riciclati

•Utilizzo di materiali, elementi e componenti ad elevato potenziale di riciclabilità

•Utilizzo di tecniche costruttive che facilitino il disassemblaggio a fine vita

•Utilizzo di materiali, elementi e componenti caratterizzati da un'elevata durabilità

Utilizzo razionale delle risorse da scarti e rifiuti

•Raccolta differenziata RSU

Utilizzo razionale delle risorse idriche

•Riduzione del consumo di acqua potabile

•Recupero, per usi compatibili, delle acque meteoriche

Utilizzo razionale delle risorse climatiche ed energetiche

•Utilizzo passivo di FER per il riscaldamento

•Utilizzo passivo di FER per il raffrescamento e la ventilazione

•Utilizzo passivo di FER per l'illuminazione

•Isolamento termico

•Inerzia termica per la climatizzazione

•Riduzione del fabbisogno d'energia primaria e sostituzione di fonti energetiche da idrocarburi con fonti rinnovabili o assimilate

: Quadro generale della classe di esigenza URR.

Utilizzo razionale dei materiali da costruzione Utilizzo di materiali, elementi e componenti riciclati

Utilizzo di materiali, elementi e componenti ad elevato potenziale di Utilizzo di tecniche costruttive che facilitino il disassemblaggio a fine vita Utilizzo di materiali, elementi e componenti caratterizzati da un'elevata

Utilizzo razionale delle risorse da scarti e rifiuti

Utilizzo razionale delle risorse idriche Riduzione del consumo di acqua potabile

Recupero, per usi compatibili, delle acque meteoriche

Utilizzo razionale delle risorse climatiche ed energetiche Utilizzo passivo di FER per il riscaldamento

Utilizzo passivo di FER per il raffrescamento e la ventilazione Utilizzo passivo di FER per l'illuminazione

Inerzia termica per la climatizzazione

Riduzione del fabbisogno d'energia primaria e sostituzione di fonti energetiche da idrocarburi con fonti rinnovabili o assimilate

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4.1. U

TILIZZO RAZIONALE DEI MATERIALI DA

E

SIGENZA

: URR.1.

L'esigenza URR.1. considera la problematica del contenimento del consumo di risorse per l'approvvigionamento e l'impiego dei mate- riali da costruzione. Composta di quattro re- quisiti, l'esigenza esamina la sostenibilità dell'uso dei materiali da costruzione nelle fasi di produzione fuori opera, produzione in opera e gestione dell'organismo edilizio.

L'evoluzione delle filiere di produzione e del- le tecnologie di realizzazione prende le mos- se dall'impattante e ormai difficoltoso pre-

Figura 4.2: Sequenza organizzata del processo edilizio estesa alle procedure di recupero e riciclo dei materiali da costruzione.

L'utilizzo continuo, incentivato, delle risorse naturali verificatosi negli anni Cinquanta e Sessanta con la fiducia nella disponibilità e nella durata delle riserve di materie prime e la scarsa considerazione delle problematicità

Committenza

Progettazione

Costruzione

Gestione Demolizione e

produzione rifiuti Produzione componenti

I MATERIALI DA COSTRUZIONE

considera la problematica del contenimento del consumo di risorse per

, l'esigenza esamina la sostenibilità dell'uso dei materiali da costruzione nelle uzione fuori opera, produzione in

lievo di materiale vergine, quindi immesso per la prima volta in commercio e non deri- vante da azioni di riuso e da processi di rici- clo. Inoltre si è affermata una regolamenta- zione più restrittiva nella gestione delle di- scariche dei rifiuti: il controllo dello smalti- mento nelle operazioni di recupero di quali- tà dei rifiuti da costruzione e demolizione (rifiuti C&D) è attualmente uno degli obietti- vi sensibili inerenti il processo edilizio sia in ambito nazionale che in quello comunitario.

: Sequenza organizzata del processo edilizio estesa alle procedure di recupero e riciclo

L'utilizzo continuo, incentivato, delle risorse nquanta e con la fiducia nella disponibilità e e la scarsa considerazione delle problematicità

di smaltimento non sono oggi più persegui- bili, in considerazione dei seguenti fatti:

- impatti sul territorio causati dalla do- manda di inerti, soggetta ad un'attività estrattiva di difficile pianificazione;

Demolizione e produzione rifiuti

Produzione componenti Materiali

vergini

Altri settori

Rifiuti da altri settori

Discarica Impianti di trattamento

Termo- valorizzazione

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- notevoli quantità di rifiuti provenienti dal settore edile e conseguente incre- mento della domanda di smaltimento;

- filosofia di impiego della discarica, da considerarsi dunque come extrema ratio che deve essere preceduta da o-

gni azione possibile di recupero e rici- clo.

La valorizzazione dei rifiuti da C&D e la ridu- zione dei volumi conferiti in discarica passa necessariamente attraverso la scelta di op- portune tecniche di demolizione.

4.1.1. Utilizzo di materiali, elementi e componenti riciclati Requisito: URR.1.1.

Il requisito richiede che nell'organismo edili- zio sia "previsto un elevato utilizzo di mate- riali, elementi e componenti riciclati per di- minuire i rifiuti prodotti"1.

Le problematiche connesse alle modalità d'impiego dei materiali da costruzione sono riconducibili:

- allo sfruttamento delle risorse naturali, in alcuni casi superiore alla capacità di rinnovamento delle risorse stesse;

- all'energia consumata nelle diverse fasi di trattamento e impiego dei materiali;

- alla produzione dei rifiuti da costruzio- ne e demolizione, che costituiscono ad esempio la grande maggioranza dei ri- fiuti inerti2.

Uno studio condotto dall’ANPAR (Associa- zione Nazionale Produttori di Aggregati Rici- clati), mette in evidenza che l’Italia, relati- vamente alle percentuali di recupero, si col- loca in una posizione piuttosto arretrata ri- spetto agli altri Paesi europei, in particolare nel settore dei rifiuti da C&D e dei rifiuti i- nerti in genere3: nel 2006 i rifiuti inerti con- feriti agli impianti di riciclaggio che aderiva- no allo studio sono stati il 10% di quelli pro- dotti; se gli inerti riutilizzati sono presenti in percentuali maggiori, la loro qualità può ri- sultare inadeguata o non conforme alle norme. Oltre agli inerti, nei processi di co- struzione e demolizione si produce una plu- ralità di rifiuti, che per caratteristiche di ete- rogeneità e tecniche impiegate (che di rado consentono la separazione per frazioni omo- genee) influiscono sulla qualità e sul costo dei materiali riciclati4.

Un notevole opportunità di sviluppo in tal senso è stata resa possibile con l'emanazio- ne del D.M. 203/2003 diretto al soddisfaci- mento del 30% del fabbisogno annuale di beni e manufatti con prodotti derivanti dalla filiera del riciclo, obbligo previsto inizialmen- te dalla Legge Finanziaria per il 2002 [5].

Nell'ambito del recepimento della direttiva 89/106/CE [6], dal giugno 2004 sono entrate in vigore le norme armonizzate inerenti di- verse categorie di aggregati, sia naturali che artificiali, dalle quali emerge l'obbligo per produttori di applicare la marcatura CE. I re- quisiti essenziali stabiliti da norme UNI sono riferiti alla resistenza meccanica, alla stabili- tà, alla durabilità, all'assenza di effetti nocivi sulla salute umana e di impatti sull'ambien- te.

4.1.1.1. Materiali recuperati e riciclati Gli obiettivi di contenimento dei consumi di risorse e di riduzione dei rifiuti da C&D va perseguito sia riutilizzando componenti e materiali dismessi da altre costruzioni, pre- vedendo tecniche di demolizione che per- mettano di separare i diversi materiali e in- dividuando quali possono essere recuperati e riutilizzati per lo stesso uso.

Prevalentemente nel caso di interventi sul patrimonio esistente, ma anche per le nuove realizzazioni, è auspicabile ricorrere al recu- pero di materiali e componenti ricavati da precedenti demolizioni, in particolar modo se selettive o mirate: alcuni di questi posso-

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no essere riutilizzati per lo stesso scopo (ad titolo di esempio i davanzali in pietra); altri invece, con la modifica delle caratteristiche precedentemente possedute, possono esse- re impiegati per nuove funzioni (ad esempio inerti da demolizione usati come strato di livellamento). Sono molteplici i materiali re- cuperati che possono essere riutilizzati:

- inerti da demolizione;

- strutture metalliche o lignee;

- manti di copertura;

- pietre da taglio per pavimentazioni e rivestimenti;

- infissi (da verificare inoltre la conformi- tà alla normativa energetica);

- laterizi di diverse tipologie e dimensio- ni;

- componenti impiantistici in genere.

La presenza sul mercato di prodotti edili co- stituiti in tutto o in parte da materiale rici- clato è sempre più rilevante e sono svariati i consorzi, le associazioni e le imprese che dif- fondono informazioni e notizie a riguardo, anche attraverso banche dati, marchi e siti appositamente dedicati ai componenti otte- nuti da riciclo.

E’ fondamentale analizzare quali sono gli impieghi in edilizia dei materiali riciclati e, conseguentemente, quali sono i più diffusi prodotti edili ottenuti da recupero o riciclo.

4.1.1.1.1. Inerti e calcestruzzo

Il materiale inerte riciclato pre-consumo (de- rivante dalle lavorazioni dell'industria estrat- tiva e della ceramica) viene usualmente reimpiegato a ciclo chiuso nello stesso setto- re di provenienza e, sottoforma di materia prima seconda, reimmesso nel normale ciclo di produzione.

Al contrario, i rifiuti inerti riciclati nel post- consumo hanno origini diverse e presentano una composizione e delle caratteristiche molto variabili, dipendenti anche dalle tecni- che costruttive, dalle materie prime e dai materiali da costruzione legati alla zona di provenienza. Di norma, questa tipologia di rifiuti viene sottoposta solo a triturazione meccanica, per raggiungere granulometrie

adatte agli impieghi richiesti (soprattutto aggregati per applicazioni non strutturali).

Ci sono infine altri materiali inerti che pro- vengono dalle demolizioni o ristrutturazioni che possono essere riutilizzati tali e quali. Si tratta per esempio di coppi e laterizi fatti a mano, che vengono puliti e rivenduti per es- sere impiegati in nuove costruzioni in stile rustico.

Le principali applicazione degli inerti riciclati sono:

- aggregati per la realizzazione di strade, massicciate ferroviarie, riempimenti e colmate;

- sabbia, pietrisco e ghiaia;

- materia prima secondaria per l'indu- stria ceramica.

Gli aggregati riciclati rappresentano in molti casi una risorsa complementare ed alterna- tiva alle materie prime naturali, vantaggiosa dal punto di vista ambientale e di salvaguar- dia del territorio, a cominciare dalla riduzio- ne dell’attività estrattiva7.

Con il D.M. 5 febbraio 1998, n. 22, vengono fissati per la prima volta i criteri per il riutiliz- zo del calcestruzzo; la principale applicazio- ne indicata è la realizzazione di rilevati e sot- tofondi stradali, ferroviari e aeroportuali e di piazzali industriali. Le ricerche di carattere sperimentale effettuate negli ultimi anni sul tema hanno permesso di dimostrare che la resistenza dei calcestruzzi ottenuti da riciclo è tale da poter essere impiegato anche per usi strutturali. In particolare, risulta possibile ottenere calcestruzzi con buona resistenza a compressione sia utilizzando inerti riciclati in sostituzione di quelli naturali, sia aggiungen- do all’impasto additivi fluidificanti con ceneri volanti o di fumo di silice; in quest’ultimo caso, la resistenza a compressione del con- glomerato risulta essere addirittura superio- re a quella ottenibile con inerti naturali non riciclati. Per bassi rapporti acqua/cemento, tale differenza è più spiccata; è così possibile compensare la riduzione di resistenza mec- canica a compressione dovuta all’impiego di inerti più deboli con un incremento delle ca- ratteristiche meccaniche della pasta cemen- tizia.

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Sulla base di questi studi, è stato successi- vamente predisposto un sistema di classifi- cazione8 per i conglomerati cementizi pro- venienti da riciclo che prevede due livelli9: - il livello 4, il quale consiste in una Di-

chiarazione di Conformità del produt- tore, concernente inerti destinati ad un uso soggetto a un basso rischio;

- il livello 2+, maggiormente restrittivo, per il quale è necessaria una certifica- zione rilasciata da un organismo ester- no riconosciuto, in quanto l’utilizzo fi-

nale prevede un rischio maggiore. In questa categoria rientrano i calcestruz- zi per opere strutturali10.

Il D.M. 14 gennaio 2008 [11] reputa conformi all’uso strutturale anche gli aggregati prove- nienti da processi di riciclo, purché di livello 2+ conforme alle Norme UNI EN 12620:2008 e UNI EN 13055:2003 parte 1. L’uso di ag- gregati provenienti da riciclo richiede speci- fiche documentazioni derivanti da idonee prove di laboratorio, e ne vengono inoltre fissati dei limiti percentuali di impiego12.

Origine del materiale da riciclo Classe del calcestruzzo Percentuale d'impiego

demolizione di edifici (macerie) C8/10 fino al 100%

demolizioni di solo calcestruzzo e c.a.

≤ C30/37 fino al 30%

≤ C20/25 fino al 60%

da calcestruzzi > C45/55

≤ C45/55 fino al 15%

stessa classe del calcestruzzo originale fino al 5%

Tabella 4.1: Classi di calcestruzzo riciclato per usi strutturali e relativi limiti percentuali di impie- go (fonte D.M. 14 gennaio 2008, par. 11.2.9.2).

4.1.1.1.2. Acciaio

La materia prima secondaria recuperata co- stituisce una frazione superiore al 30% del totale avviato al consumo; tale quota è co- stituita per la maggior parte da cascami resi- dui delle lavorazioni industriali e d'officina;

un ulteriore 30% è recuperato dalla rotta- mazione di autoveicoli ed elettrodomestici.

Le acciaierie e fonderie ritirano direttamen- te, per avviarli a rifusione, solo i rottami con- formi a determinate specifiche nazionali e internazionali, che definiscono le caratteri- stiche, qualitative e dimensionali, per cui un rottame possa essere considerato materia prima secondaria per l’industria siderurgica.

La materia prima secondaria deve essere e- sente da:

- metalli non ferrosi;

- elementi nocivi;

- materiali esplosivi ed infiammabili;

- inerti, plastiche, corpi estranei non me- tallici presenti in misura superiore all’1%.

I rottami ferrosi da raccolta, per la natura stessa del tipo di intercettazione di cui sono oggetto, contengono una concentrazione di frazioni estranee ben superiore all’1% con- sentito, per cui rappresentano rifiuti che ne- cessitano di ulteriori lavorazioni per poter essere avviati a riciclo, ma una volta separa- to da eventuali materiali estranei, l’acciaio risulta integralmente recuperabile, non subi- sce degradazione delle proprietà e non dà origine a scarti o frazioni non utilizzabili.

Le principali applicazione dell’acciaio ricicla- to sono:

- mezzi di trasporto (autoveicoli, moto- veicoli, treni, navi);

- gabbiette, tondini e travi per il settore edile;

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- sedie e panchine per arredamento d’interni o arredo urbano;

- articoli casalinghi;

- attrezzi vari (pale, rastrelli, picconi).

Recuperando e riciclando acciaio si ottiene un risparmio di risorse pari a circa il 97%. In- fatti, per realizzare 1 kg di acciaio vergine, occorrono 6,5 kg di risorse primarie, mentre con il riciclo di 1 kg di acciaio vergine si ot- tiene in media 0,7 kg di acciaio riciclato.

4.1.1.1.3. Alluminio e rame

Le caratteristiche dell’alluminio riciclato so- no del tutto simili a quelle del materiale primario: depurato da corpi estranei e rifuso in lingotti, è riutilizzato in tutti i processi di lavorazione a cui è sottoposta anche la ma- teria prima vergine e normalmente reimpie- gato per la realizzazione di beni durevoli in- dirizzati verso gli stessi comparti industriali da cui provengono i rottami.

L’alluminio riciclato può essere usato per la produzione di:

- componenti per auto;

- infissi e serramenti;

- strutture per elettrodomestici;

- componenti per l’industria meccanica ed elettrotecnica;

- contenitori alimentari;

- articoli casalinghi.

L’impiego dell’alluminio riciclato comporta un ingente risparmio di risorse e una consi- stente riduzione delle attività estrattive.

I processi legati al recupero dei rottami per la creazione di MPS sono inoltre caratteriz- zati da un notevole risparmio energetico e una forte riduzione dei gas serra: la produ- zione di un kg di alluminio secondario richie- de un fabbisogno energetico equivalente al 5% di quello necessario per ricavare un kg di metallo vergine a partire dal minerale; nello stesso tempo, grazie al riciclo, vengono eli- minati processi ad alto grado di emissioni inquinanti (come l’elettrolisi) e viene di con- seguentemente abbattuto circa il 95% delle emissioni climalteranti legate all’estrazione e alla lavorazione del materiale vergine.

Il rame riciclato mantiene le stesse caratteri- stiche chimico-fisiche e tecnologiche di quel-

lo primario, quindi non subisce limitazioni nell’impiego o una diminuzione di valore in qualità di materia prima seconda.

Le principali applicazioni del rame riciclato sono:

- rubinetteria sanitaria e valvolame;

- infissi, serramenti e relativi componenti quali maniglie, pomelli, cilindri per ser- rature;

- componenti per scambiatori di calore domestici e industriali;

- cavi e fili per il settore dei trasporti e quello elettrico ed elettronico;

- tubi per impiantistica idrotermosanita- ria (trasporto di gas ed acqua, anche potabile);

- Rivestimenti, coperture, ed elementi decorativi architettonici.

Il rame non emette sostanze nocive per l’ambiente e ed è riciclabile al 100%.

4.1.1.1.4. Legno

Il legno da riciclo ha quale applicazione prin- cipale la realizzazione di pannelli truciolari, pannelli di fibra a media densità, cellulosa per l’isolamento e blocchi in legno-cemento.

La percentuale di materia prima seconda impiegata nella fabbricazione dei pannelli può variare notevolmente da caso a caso, da un minimo del 10% fino al raggiungimento del 100%. Si stima comunque che l’impiego medio sia nell’ordine del 70%, sotto forma di chip addizionati a resine sintetiche adesive e termoindurenti.

4.1.1.1.5. Vetro

Il vetro riciclato mantiene sostanzialmente le stesse caratteristiche della materia prima da cui deriva e può essere perciò impiegato per le stesse applicazioni, attraverso i medesimi processi di lavorazione.

Una volta depurato, il rottame di vetro viene normalmente reintrodotto nel ciclo di pro- duzione, con una percentuale che va da 10%

del peso a quasi la totale sostituzione delle componenti primarie. Attualmente in Italia un contenitore su due viene fabbricato a partire da rottame di vetro proveniente dalla

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raccolta differenziata nazionale. In particola- re, nella fabbricazione di contenitori di colo- re verde più dell’80% della miscela vetrifica- bile è sostituita dal rottame di vetro.

Le principali applicazioni del legno riciclato sono:

- contenitori per alimenti, bevande, far- maci e cosmetici;

- complementi d’arredo;

- rivestimenti e pavimentazioni;

- isolanti per l’edilizia.

Il vetro piano recuperato dai serramenti co- stituisce una quota assolutamente non tra- scurabile di quello riciclato, ma in Italia non viene praticamente impiegato nella produ- zione di componenti edili.

4.1.1.1.6. Materie plastiche e gomma Il successo del processo di riciclo di materie plastiche e la conseguente qualità dei pro- dotti ottenuti dipende in larga parte dalla selezione operata in fase di recupero sul ma- teriale raccolto. Prima di essere avviate al riciclo le plastiche devono essere sia separa- te da sostanze contaminanti (metalli, carta o altri materiali che costituivano il prodotto giunto a fine vita), sia divise per famiglie, a seconda della composizione chimica e delle proprietà tecniche.

Dopo la fase di riciclaggio, dalla plastica re- cuperata si ottiene un granulare dalle diver- se matrici polimeriche che, spesso miscelato a materia prima vergine, può essere impie- gato con prestazioni leggermente inferiori (ma talvolta) a quelle delle materie prime vergini.

Le principali applicazione della plastica rici- clata sono:

- teli, tubi e imballaggi per il settore agri- colo;

- casseri a perdere, tubature, pavimen- tazioni, isolanti per l’edilizia;

- scocche per prodotti elettrici ed elet- tronici;

- articoli casalinghi (vasi, accessori, cesti- ni);

- arredi per interni ed esterni (tavoli, se- die, panchine).

La composizione della gomma riciclata è molto simile a quella del materiale vergine di provenienza e, sotto forma di granulato o polverino, può entrare a far parte delle me- scole utilizzate dall’industria per numerose applicazioni.

I granuli di gomma riciclata vengono preva- lentemente miscelati a vari leganti per otte- nere conglomerati resino-gommosi realizzati per stampaggio a freddo. In questi casi, la percentuale di materia prima secondaria si aggira in media intorno al 60%÷70%.

Diverso è il caso del polverino che, miscelato all’elastomero vergine o ad altri materiali, può essere sottoposto a pressofusione o al- tri tipi di stampaggio, anche se in percentuali molto ridotte (20% circa).

Le principali applicazione della gomma rici- clata sono:

- superfici drenanti per campi di erba sintetica, condotte idriche, asfalti;

- superfici antitrauma per aree gioco o pavimentazioni sportive;

- pavimentazioni antisdrucciolo;

- isolanti termici ed acustici;

- accessori per arredo urbano e stradale (dossi di rallentamento, cordoli, palet- ti);

- componenti per infrastrutture viarie, tranviarie e portuali (antivibranti per rotaie; paracolpi per banchine).

4.1.1.2. Riuso di materiali derivanti da demolizione sul luogo di pro- duzione degli stessi

In determinate condizioni è possibile il riuso dei materiali inerti prodotti da demolizione sul medesimo sito per opere di riempimento o preparazione di sottofondi.

Dall'emanazione del D. Lgs. 152/2006 le pos- sibilità di riuso diretto si sono ridotte poiché le operazioni di recupero comprendono la cernita e la selezione13. Se i materiali deri- vanti da demolizione necessitano di tali trat- tamenti per l'utilizzo in situ, assumono la na- tura di rifiuto. È necessaria quindi la certezza che i materiali siano perfettamente riusabili,

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quindi privi di impurità (carta, plastica o so- stanze pericolose).

La procedura di gestione per il riutilizzo degli stessi in cantiere dovrebbe prevedere:

- l'esclusione di materiali provenienti da altri cantieri;

- l'implementazione dell'opzione di riuso dei materiali da demolizione nell'elabo- rato di progetto inerente la demolizio- ne dell'organismo esistente;

- il controllo dell'omogeneità degli scarti nella loro composizione merceologica;

- il controllo da parte del Direttore dei Lavori delle modalità di riuso e della si- curezza delle operazioni correlate;

- la redazione, da parte della stessa figu- ra, di un attestato di corretta esecuzio- ne delle operazioni e di rispondenza dei materiali utilizzati, eventualmente de- rivante da prove di carico.

4.1.1.3. Impiego di materie prime se- condarie in uscita da impianti di recupero

L’utilizzo di materie prime secondarie pro- dotte dal riciclaggio di rifiuti inerti è ormai un punto fermo per le imprese di costruzio- ne a livello nazionale e locale.

Nonostante notevoli differenze sul piano na- zionale rispetto alle tariffe di vendita dei prodotti di riciclo, inversamente proporzio- nale alla disponibilità di materie prime di ca- va sul territorio, il reimpiego di materie pri- me secondarie ha ormai un suo mercato af-

fermato e certificato sia dal punto di vista tecnico che di compatibilità ambientale14. La Circolare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio 15 luglio 2005, n.

5205 ha reso operativo per il settore edile e stradale il D.M. 203/2003.

In seguito all’emanazione di tale Circolare le aziende che producono materie prime se- condarie da inerti di post-consumo e con- glomerati bituminosi da scarifica del manto stradale possono iscrivere i propri prodotti nel Repertorio del Riciclaggio.

In merito alle caratteristiche dei prodotti ot- tenuti, è previsto che le materie prime se- condarie per l’edilizia debbano avere carat- teristiche conformi all’Allegato C della Circo- lare stessa. Tale normativa riguarda stretta- mente gli impianti di recupero che si sono avvalsi delle “procedure semplificate” previ- ste dal D.Lgs. n. 152/2006, artt. 214÷216.

Le tipologie di prodotti inerti di riciclo elen- cati dalla Circolare iscrivibili al Repertorio del riciclaggio sono utilizzabili:

- nella realizzazione del corpo dei rilevati di opere in terra dell’ingegneria civile;

- nella realizzazione di sottofondi strada- li, ferroviari, aeroportuali e di piazzali, civili e industriali;

- nella realizzazione di strati di fondazio- ne delle infrastrutture di trasporto;

- nella realizzazione di recuperi ambien- tali, riempimenti e colmate;

- nella realizzazione di strati accessori (aventi funzione anticapillare, antigelo, drenante, etc.);

- nel confezionamento di calcestruzzi.

4.1.2. Utilizzo di materiali, elementi e componenti ad elevato potenziale di riciclabilità

Requisito: URR.1.2.

"I materiali, gli elementi e i componenti de- vono avere un elevato grado di riciclabili- tà"15, in dipendenza da aspetti quali:

- l'ubicazione del cantiere rispetto alle attività di trattamento e recupero loca-

lizzate nel medesimo contesto territo- riale;

- disponibilità di spazi interni all'area di cantiere destinabili alla raccolta di rifiu- ti e materiali recuperati;

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- tecniche costruttive impiegate nella realizzazione dell'organismo edilizio;

- potenzialità offerte dai materiali recu- perati se avviati a processi di riciclo.

4.1.2.1. Recupero, riuso e riciclo

Al termine della vita utile di un elemento tecnico, sono riconoscibili due fasi (raccolta e gestione di fine vita) e tre possibili soluzio- ni per quest'ultima fase:

- il recupero di materia;

- il recupero energetico;

- lo smaltimento in discarica.

Il recupero di materia, l'opzione considerata dal presente requisito e privilegiata dall'esi- genza URR.1, deve essere distinto in riuso e riciclo dei materiali. Nel primo caso l'ele- mento tecnico viene riutilizzato in seguito ad un eventuale trattamento di ricondiziona- mento; nel secondo, un opportuno tratta- mento consente di riutilizzare la materia per ottenere un elemento tecnico differente.

Figura 4.3: Schema semplificato dei rapporti della gestione del fine vita di un materiale / elemen- to tecnico in riferimento ad una generica filiera produttiva (adattamento da Baldo G. L. ed altri, 2005, pag. 124).

Il recupero del materiale in senso stretto (e- scludendo quindi gli eventuali flussi recupe- rati a seguito del conferimento in discarica) consiste nella destinazione di un elemento giunto al termine della propria vita utile alla produzione di nuovi elementi costituiti dallo stesso materiale. È possibile classificare due tipologie di recupero:

- il riuso, ossia il riutilizzo dell'elemento tecnico per la stessa funzione svolta nel ciclo di vita concluso, senza l'apporto di modifiche sostanziali;

- il riciclo, vale a dire il riutilizzo del ma- teriale costituente i materiali smaltiti per la produzione di nuovi elementi, operando così un risparmio sulle mate- rie prime ed energetico e, in genere, diversi effetti positivi di carattere am- bientale.

Si distinguono due strategie principali di rici- clo del materiale recuperato, definibili in ba- se alla filiera tipica del materiale stesso:

- il riciclo chiuso, in cui il materiale avvia- to rientra nello stesso ciclo produttivo

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che lo ha in origine costituito, sosti- tuendo opportune quantità di materia- le vergine;

- il riciclo aperto, per il quale il materiale rientra in un processo diverso da quello originario, subendo una modifica delle proprie caratteristiche (ad esempio la frantumazione del calcestruzzo al fine di ottenere aggregati per la realizzazio- ne di strade).

Nell'ottica della formulazione del requisito URR.1.2., è importante ricordare che la mo- vimentazione ed il trasporto degli elementi a fine vita implicano sì un incremento di con- sumi energetici ed emissioni, ma comporta- no anche la riduzione degli impatti legati al minor volume di materiali vergini in ingresso al ciclo produttivo16.

È possibile differenziare il complesso concet- to di riciclabilità secondo diversi scenari. E- lementi tecnici e componenti possono esse- re riutilizzati mantenendo la stessa funzione, purché presentino adeguate caratteristiche (ad esempio coppi provenienti da edifici demoliti impiegati per nuovi manti di coper- tura); in altri casi, relativamente alle presta- zioni residue che presentano in seguito alla demolizione, possono svolgere una nuova funzione (ad esempio laterizi recuperati che non assicurino un'adeguata resistenza mec- canica possono essere reimpiegati per rea- lizzare pareti, seppur per usi non strutturali).

Infine, il materiale derivante dalla demoli- zione di manufatti edilizi (disassemblaggio di elementi tecnici e componenti) è impiegabi- le per la produzione di nuovi elementi tecni- ci, da solo oppure associato ad altre materie prime e/o materie prime secondarie.

E’ quindi da considerarsi riciclabile ogni ele- mento tecnico/componente/materiale che, in seguito a demolizione, sia nuovamente utilizzabile, direttamente o in seguito ad op- portune lavorazioni. La rosa dei materiali su- scettibili di riciclo è molto vasta; il novero è però ridotto a causa dei costi di lavorazione del materiale che si vuole riciclare, sia eco- nomici che ambientali.

Inoltre l’elemento tecnico considerato può essere stato realizzato mediante processi

meccanici o chimici irreversibili, per cui non è possibile, o conveniente, ricavare le singo- le frazioni, seppure potenzialmente riciclabi- li17.

4.1.2.2. Processi di riciclo dei materiali da costruzione

4.1.2.2.1. Inerti e calcestruzzo

La produzione di inerti avviene in impianti specifici diversificati per dimensioni e capa- cità, attraversando una sequenza organizza- ta di fasi produttive (precedute da un con- trollo della qualità dei rifiuti in ingresso):

- alimentazione;

- frantumazione;

- abbattimento delle polveri;

- deferrizzazione;

- vagliatura;

- lavaggio.

La funzionalità del processo richiede la pre- disposizione di un'area di stoccaggio provvi- sorio opportunamente attrezzata e indivi- duata in prossimità dell'impianto. Funzione primaria di quest'area è la ripartizione del materiale in ingresso in cumuli di natura merceologica omogenea; la natura di cia- scun cumulo determina il livello qualitativo del materiale riciclato.

Presso l’impianto si può scegliere, in base all’offerta di rifiu+ti da costruzione e demoli- zione, di ripartire i materiali in ingresso in sei macroclassi:

- materiali inerti puliti;

- materiali inerti misti di scavo;

- terra mista a limo ed argilla;

- terra sporca non riutilizzabile;

- terra vegetale;

- calcestruzzo.

4.1.2.2.2. Acciaio

A partire dal 2000 si è registrato un modera- to incremento nella raccolta dei rifiuti di im- ballaggio in acciaio, che raggiunge quasi il 70% sul totale immesso al consumo, sebbe- ne la pratica di recupero degli imballaggi

(12)

domestici si sia sviluppata solo di recente, con l’introduzione dei sistemi di raccolta dif- ferenziata dei rifiuti urbani.

La valorizzazione al fine del riciclo degli im- ballaggi provenienti da raccolte indifferen- ziate presenta maggiori problemi derivanti:

- dalla presenza elevata di frazioni estra- nee al rifiuto da isolare;

- dalla natura dell'imballaggio domesti- co, rivestito in stagno su ambo i lati e caratterizzato da un ridotto spessore ri- spetto al rifiuto industriale.

La lavorazione per rifusione dei rottami nei forni elettrici impiega, rispetto al ciclo di al- toforno, materia prima secondaria ed è quindi decisamente più attinente al processo di riciclo rispetto alla prima, che comunque provvede alla produzione di circa il 60%

dell'acciaio su scala mondiale.

I rottami ferrosi sono generati principalmen- te da scarti di produzione degli impianti si- derurgici (15%), da scarti delle industrie che impiegano prodotti siderurgici (20%), infine da ferraglie di recupero provenienti da beni di consumo a fine del loro ciclo vita per il ri- manente 65%.

L'individuazione e la separazione degli ele- menti in acciaio sono di semplice attuazione mediante magneti.

4.1.2.2.3. Alluminio e rame

L’alluminio riciclato pre-consumo (approssi- mativamente il 50% del totale recuperato) deriva da rottami da scarti di produzione e lavorazione (scaglie, trucioli, polveri, residui di taglio), oppure da prodotti con difetti di fabbricazione non idonei alla distribuzione.

Buona parte dell’alluminio riciclato post- consumo arriva invece dal settore dei tra- sporti, da cui è possibile recuperare circa il 90-95% della materia prima impiegata. Altri campi importanti sono quello edile, soprat- tutto per il recupero degli infissi, e quello degli imballaggi, in cui gioca un ruolo deter- minante la raccolta differenziata.

Il riciclo di questo materiale comporta note- voli vantaggi, prevalentemente a carattere economico: l'alluminio può essere riciclato al

100% e infinite volte senza perdere le sue caratteristiche originali, offrendo la possibili- tà concreta di risparmiare sia in risorse pri- marie (estrazione della bauxite), sia in ener- gia necessaria per ricavare un pari quantita- tivo di materiale vergine.

Attualmente un terzo del consumo totale di alluminio a livello mondiale viene soddisfat- to dalla produzione di alluminio riciclato o secondario.

Il rame recuperato pre-consumo deriva es- senzialmente dagli sfridi o dagli scarti delle lavorazioni a cui è sottoposto; il rame deri- vante da post-consumo è ricavato da cavi elettrici, tubazioni, componenti di apparec- chiature elettriche e altri oggetti dismessi.

Il rame è materiale facilmente riciclabile e attualmente è possibile recuperare, in prati- ca, il 100% della materia prima immessa al consumo. Grazie a questo trend, il contribu- to del rame all’incremento costante dei rifiu- ti solidi e industriali è praticamente trascu- rabile: questa materia prima può essere in- fatti riutilizzata infinite volte senza degrada- re le sue caratteristiche, con poco dispendio energetico, minimizzando il carico inquinan- te e contribuendo a ridurre il fabbisogno d'importazione.

4.1.2.2.4. Legno

Il legno riciclato pre-consumo deriva in larga parte dagli scarti di lavorazione delle seghe- rie o dei mobilifici ed è costituito principal- mente da trucioli, sfridi e segatura.

Il legno riciclato post-consumo deriva invece da due diversi canali di approvvigionamento:

- il canale industriale e commerciale, at- traverso cui vengono recuperati pallet, imballaggi industriali (casse e gabbie, selle e supporti, bobine, piccoli imbal- laggi per la vendita diretta, tappi di su- ghero), imballaggi ortofrutticoli e rifiuti edili (travi, infissi, pannelli isolanti);

- il circuito cittadino, da cui provengono rifiuti legnosi come beni durevoli e si- milari.

Il legno è riciclabile al 100% (se privo di trat- tamenti) e può subire vari cicli di recupero e

(13)

nuova lavorazione; al 2010, in Italia il 50%

circa del prodotto immesso sul mercato è recuperata a fine vita e avviata a riciclo.

Il recupero del legno da scarti industriali e da prodotti post-consumo è molto diffuso; il processo meccanico attraverso cui il mate- riale legnoso diventa materia prima seconda è costituito generalmente da tre fasi:

- sminuzzamento;

- rimozione delle sostanze non legnose (separazione magnetica per frazioni metalliche, classificazione ad aria per materiali leggeri);

- classificazione granulometrica per di- versificare i cicli di lavorazione, con e- ventuale mescolamento ed omogeneiz- zazione con altri residui).

4.1.2.2.5. Vetro

Il vetro recuperato pre-consumo, è princi- palmente ottenuto da vetro piano (residui di lavorazione delle lastre), oppure da scarti di produzione e prodotti con difetti di fabbrica- zione; il materiale post-consumo (il 50% del totale recuperato) deriva invece da prodotti giunti al termine del loro ciclo di vita, tra cui i serramenti.

Il vetro può essere riciclato interamente ed infinite volte senza subire l’alterazione o la perdita le qualità della materia prima vergi- ne di derivazione. Attualmente, viene avvia- to a riciclo quasi il 60% del vetro recuperato, mentre la parte restante viene smaltita in discarica.

I rifiuti di vetro provenienti dalla raccolta dif- ferenziata o recuperati da attività industriali o demolizioni possono essere:

- recuperati direttamente dall'industria vetraria;

- sottoposti a riciclo, per ottenere mate- ria prima seconda per la fabbricazione di materiali abrasivi e per l'edilizia.

4.1.2.2.6. Materie plastiche

La plastica recuperata pre-consumo viene ottenuta da sfridi di lavorazione (trucioli, materozze e residui di taglio) e da manufatti con difetti di fabbricazione non immessi sul mercato. La frazione di post-consumo deriva principalmente dalla raccolta differenziata urbana.

Pur ammettendo la necessità di una distin- zione del singolo prodotto, non tutte le pla- stiche sono riciclabili: si fa riferimento alle plastiche termoindurenti, che non possono subire ulteriori trasformazioni al termine della prima lavorazione; a ciò si aggiunge l'effetto negativo della grande varietà di pla- stiche raccolte, seppure in regime di raccolta differenziata e della massiccia presenza di materiali contaminanti.

Per migliorare la qualità della materia prima seconda e facilitare le operazioni di riciclag- gio, da più parti viene ribadita la necessità di privilegiare la raccolta delle frazioni di imbal- laggi a più alto valore aggiunto, come i con- tenitori per liquidi (bottiglie in PET e flaconi in HDPE) e a limitare invece l’allargamento della raccolta ad altre frazioni.

Nel valutare la riciclabilità dei materiali deve essere analizzato il grado di difficoltà pre- ventivabile per effettuare, in fase di demoli- zione, un’accurata separazione dei materiali;

questo concetto è strettamente connesso con le tecniche costruttive impiegate e con l’eventuale presenza di una fase preliminare di progettazione della fase di demolizione.

4.1.3. Utilizzo di tecniche costruttive che facilitino il disassemblaggio a fine vita Requisito: URR.1.3.

Il requisito richiede che "siano adottati si- stemi costruttivi in grado di facilitare la se-

parabilità dei componenti dell'edificio du- rante i processi di demolizione e recupero.

(14)

Le possibilità di recuperare i materiali da co- struzione alla fine del ciclo di vita dell'edifi- cio dipendono dalle caratteristiche costrutti- ve dell'edificio stesso"18.

La possibilità futura di riutilizzare materiali ed elementi tecnici impiegati nell'organismo edilizio dipende fortemente dalle tecniche costruttive adoperate: nel caso ad esempio di componenti pluristrato o composti da ma- teriali misti risulta più difficile, e conseguen- temente meno conveniente, il recupero de- gli stessi.

Per garantire la possibilità futura di poter reimpiegare un elemento tecnico è necessa- rio che esso sia facilmente smontabile. Tec- niche costruttive che permettono una sem- plice separazione dei vari materiali in fase di demolizione sono quelle che prevedono co- struzioni a secco, con l’impiego di chiodi, bulloni etc. (ad esempio strutture in legno o acciaio), e quelle che utilizzano prodotti na- turali e solvibili.

La fase preliminare di raccolta materiali che precede la demolizione vera e propria per- mette di individuare e smontare i materiali pericolosi e quegli elementi tecnici che pos- sono essere riusati direttamente; sono ele- menti tecnici generalmente riusabili i serra- menti, le porte, attrezzature esterne in ge- nere, ed ogni elemento dotato di prestazioni residue sufficienti da poter essere reimpie- gato, eventualmente in seguito a processi di pulitura, manutenzione o adattamento (de- finiti in genere azioni di ricondizionamento).

Nel valutare la riciclabilità dei materiali va quindi analizzato il grado di difficoltà pre- ventivabile per effettuare, in fase di demoli- zione, un’accurata separazione dei materiali;

questo concetto è strettamente connesso con le tecniche costruttive impiegate e con l'incidenza di una fase preliminare di proget- tazione della fase di demolizione19.

È di fondamentale importanza sottolineare, quindi, la dipendenza della valutazione della riciclabilità dall'analisi parallela dei materiali impiegati e delle tecniche costruttive adotta- te, soffermandosi sulla facilità di smontare o demolire separatamente i vari elementi tec- nici e componenti della costruzione.

4.1.3.1. Tecniche costruttive a secco Le tecniche costruttive che facilitano il disas- semblaggio e che maggiormente si prestano alla demolizione selettiva sono a struttura portante in acciaio ed in legno, in quanto concepite e realizzate prevalentemente con connessioni di tipo meccanico e prive di ma- teriali leganti. Vi è così la possibilità di scor- porare alcuni elementi per la sostituzione o la manutenzione, così come è possibile in linea di massima lo smontaggio dell’intero organismo, o di una sua significativa porzio- ne, al momento della demolizione.

Gli edifici realizzati con legno strutturale e non strutturale sono caratteristici di alcune zone geografiche; in Italia questa tecnica è praticata soprattutto nell’area del Trentino- Alto Adige, ma recentemente essa è in deci- sa espansione poiché ne sono stati compro- vati i vantaggi.

Tra gli aspetti positivi di questa tecnica co- struttiva è opportuno segnalarne la grande flessibilità, in quanto gli elementi tecnici co- stituenti l’edificio sono posti in opera a sec- co; ciò permette da un lato la rapidità di rea- lizzazione del fabbricato, dall’altro ne agevo- la la demolizione. La realizzazione a secco favorisce una più immediata separazione dei materiali costituenti i diversi strati funziona- li, consentendo l’individuazione di quegli e- lementi tecnici da considerarsi riusabili e di quei materiali da avviare in parte a riciclo, in parte a discarica. In particolare va evidenzia- to l’alto livello di riciclabilità intrinseca pro- pria del materiale legno, qualora esso sia privo di trattamenti con sostanze chimiche20. Le costruzioni in legno possono essere rea- lizzate in opera oppure prefabbricate; è pos- sibile inoltre individuare i seguenti sistemi costruttivi:

- a tronchi incrociati in legno massiccio, la tecnologia più antica;

- in legno compensato di tavole, a strut- tura scatolare;

- a telaio in legno massiccio o lamellare, in cui la struttura portante lineare è as- solta esclusivamente da travi e pilastri lignei;

(15)

- a tralicci di legno, in cui gli elementi tecnici lignei sono corroborati da con- troventature e diagonali lignei;

- ad intelaiatura di legno o timber frame, in cui la funzione portante è assolta sia

da elementi lineari che da elementi bi- dimensionali all’interno dei quali tro- vano posto lo strato per l’isolamento termoacustico e gli spazi destinati ad alloggio impiantistico.

1. tinteggiatura traspirante 2. rasatura e rete d’armatura 3. coibentazione termoacustica

in fibra di legno 4. listoni

5. coibentazione termoacustica 6. pannello in legno massiccio 7. pannello antincendio in car-

tongesso

8. rivestimento intonacato 9. pavimentazione lignea 10. sottofondo in pannelli im-

permeabili in cartongesso 11. coibentazione termoacustica

Figura 4.4: Esempio di soluzione tecnologica di una struttura ad intelaiatura di legno (fonte www.haus.rubner.com).

4.1.4. Utilizzo di materiali, elementi e componenti caratterizzati da un'ele- vata durabilità

Requisito: URR.1.4.

Il requisito esamina il tema della durabilità dei componenti fisici dell'organismo edilizio:

"i materiali, gli elementi e i componenti de- vono avere una vita utile durevole rispetto alla vita utile dell'edificio"21.

Nella definizione di qualità di un organismo edilizio deve quindi essere incluso il fattore temporale, valutando quindi che il sistema edilizio sia capace di mantenere inalterati nel tempo, secondo i profili di esercizio pre- visti, i livelli delle prestazioni definite in fase di progettazione22. La qualità delle presta- zioni nel tempo è un concetto complesso nel

quale si possono individuare quattro aspetti correlati:

- durabilità, ossia la capacità di un edifi- cio di svolgere le funzioni richieste e di resistere nel tempo di vita previsto alle sollecitazioni indotte dagli agenti previ- sti in fase di esercizio23;

- affidabilità, la capacità di mantenere invariata nel tempo la qualità presta- zionale in condizioni d'uso previste24; - manutenibilità, la conformità a condi-

zioni prestabilite durante il compimen- to delle operazioni di manutenzione25;

(16)

- adattabilità, ossia la predisposizione dei componenti ad essere integrati con nuovi componenti, subendo trasforma- zioni rese necessarie dall'obsolescenza funzionale o convenienti dall'evoluzio- ne della tecnologia26.

L'andamento nel tempo di durata di vita uti- le dell'edificio della qualità prestazionale è esprimibile attraverso due funzioni teoriche:

- la prima rappresenta la sommatoria delle prestazioni di componenti e sub- sistemi nel tempo;

- la seconda esprime la sommatoria nel tempo dei costi associati ai singoli componenti o subsistemi.

Le due curve presentano una tendenza di- scorde nel tempo, diretta verso il supera- mento di rispettive soglie di accettabilità.

In questa ottica è definita la vita utile dell'organismo edilizio e delle sue parti, il periodo di tempo successivo alla messa in funzione durante il quale essi mantengono livelli prestazionali almeno superiori ai limiti di accettazione27.

Figura 4.5: Andamento temporale delle prestazioni di componenti ed elementi tecnici (sopra) e dei relativi costi (sotto) (fonte Ciaramella A., Tronconi O., 2011, pag. 4).

In relazione alla durata del ciclo di vita di un organismo edilizio, se ne desume l'incidenza tecnica ed economica dell'insieme di attività denominato management (gestione) dell'in- volucro edilizio, delle strutture fisiche e degli impianti tecnici in esso contenuti.

Stabilire, fissare elevate prestazioni per i componenti ed i subsistemi costituenti l'or- ganismo edilizio equivale, in questa ottica, a incrementare la funzionalità dell'edificio du- rante la sua vita utile, riducendo i costi asso- ciati alla "gestione immobiliare".

La definizione delle esigenze dell'utenza, del- le prestazioni attese e la scelta dei materiali

costituisce il primo passo per la previsione della vita utile di un componente. Il suo stu- dio specifico tiene conto:

- dell'uso cui è destinato il componente;

- della sua configurazione tecnologica;

- delle condizioni ambientali circostanti l'elemento tecnico.

Per l'elemento tecnico, inoltre, deve essere individuato l'insieme di requisiti connotanti il comportamento delle classi di elementi tecnici ed i limiti ammessi alle prestazioni a loro correlate. Ad un insieme di requisiti connotanti corrisponde un insieme di fun- zioni tecnologiche offerte.

(17)

Funzioni di base

controllare la condensazione interstiziale controllare la condensazione superficiale

controllare l'inerzia termica isolare acusticamente dai rumori aerei

isolare termicamente portare carichi applicati tenere all'azione dell'acqua Tabella 4.2: Funzioni base per la classe di pareti perimetrali verticali (fonte UNI 11156:2006 parte 3, App. A).

classificazione Esempi

climatici

pioggia neve ghiaccio vapore acqueo sbalzi di temperatura

radiazione solare

chimici

solventi acido solforico acido carbonico

ossidi

artificiali esterni

stress meccanici discontinui

radiazioni elettromagnetiche

artificiali legati all'uso

detergenti acqua di lavaggio stress meccanici continui

biologici

animali vegetali Tabella 4.3: Agenti di degrado per la sti- ma della vita utile di elementi tecnici (fonte UNI 11156:2006 parte 3, par. 4.3.).

La durabilità di un elemento tecnico si confi- gura quindi come la capacità di sviluppare nel tempo, con intensità definita, le proprie funzioni connotanti28.

Successivamente si individuano i meccanismi di degrado che interessano l'elemento tecni- co, in base agli agenti significativi presenti nel contesto in cui l'elemento stesso è inseri- to ed alle variazioni significative inducibili sulle prestazioni tecnologiche.

Con l'individuazione dei meccanismi di de- grado è possibile procedere con una valuta- zione dei decadimenti prestazionali basata sulla letteratura o sulla simulazione di agenti sollecitanti significativi.

4.1.4.1. L'involucro edilizio e i requisiti inerenti la condensazione del vapore acqueo

Alla luce degli agenti di degrado individuati e nell'ottica dell'analisi dei requisiti connotanti enunciati dalla norma UNI 11277:2008, il principale agente degradante che interessa l'involucro edilizio è il vapore acqueo, sog- getto a trasporto attraverso le chiusure opa- che in condizioni variabili con il clima del sito e con le stagioni. Si parla quindi di compor- tamento igrometrico dell'involucro edilizio o, considerando la dipendenza dei fenomeni di trasporto di vapore agli stati termici che in- teressano l'elemento di involucro, di com- portamento termoigrometrico. Le prestazio- ni tecnologiche offerte per contrastare l'a- gente degradante vapore acqueo possono rientrare in tre diverse classi di esigenze:

- la presente classe di esigenza, inten- dendo tali prestazioni volte a garantire il mantenimento nel tempo dell'effi- cienza dell'involucro edilizio;

- la classe di esigenza benessere e salute dell'utente, in quanto l'involucro edili- zio si configura come pelle modulante per le condizioni climatiche esterne;

una prestazione non adeguata di con- trollo della condensazione dell'involu- cro edilizio può portare all'insorgenza di fenomeni superficiali capaci di creare

(18)

condizioni insalubri di qualità dell'aria interna;

- la classe di esigenza aspetto, in quanto a questi stessi fenomeni sono associate degradazioni dell'aspetto degli elemen- ti tecnici interessati, con una conse- guente decadenza della qualità visiva.

La problematica è ampiamente strutturata all'interno della normativa sull'efficienza e- nergetica negli edifici. Riprendendo i conte- nuti già espressi dal D. Lgs. 192/2005, il D.P.R. 59/2009 richiede di verificare l'assen- za di condensazioni superficiali sugli elemen- ti di'involucro edilizio e sulle partizioni che dividono ambienti riscaldati da vani non ri- scaldati, per interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione di edifici esistenti; inol- tre, le condensazioni interstiziali devono es- sere limitate alla quantità rievaporabile pre- vista dalla normativa tecnica in materia, la UNI EN ISO 13788:2003 [29].

La formazione di condensa da vapore ac- queo contenuto nell'aria ambiente si può manifestare:

- sulle superfici interne degli elementi d'involucro (condensa superficiale);

- all'interno delle stesse strutture (con- densa interstiziale).

Le manifestazioni dei fenomeni di condensa- zione del vapore acqueo interessano il pre- sente requisito in quanto:

- la condensa superficiale comporta il deterioramento delle finiture interne;

- la condensa interstiziale porta allo sta- zionamento del vapore acqueo in una delle interfacce determinando una ri- duzione della durata prestazionale di uno o più strati costituenti il pacchetto, più frequentemente lo strato termoiso- lante.

Le condizioni più frequenti che portano a insorgere fenomeni di condensa sono l'insuf- ficiente ventilazione degli ambienti confinati, un grado di isolamento termico basso (ivi compresi i ponti termici, in cui si manifesta- no le temperature superficiali più basse) e, infine, il non adeguato posizionamento dello strato di isolamento termico all'interno della stratigrafia degli elementi di involucro.

4.1.4.1.1. Condensazione superficiale Questo fenomeno ha luogo quando la tem- peratura superficiale interna dei componenti edilizi θSI è inferiore alla temperatura di sa- turazione θSAT dell’aria umida presente nell’ambiente interno. La norma UNI EN ISO 13788:2003 definisce una metodologia sem- plificata per la prevenzione del rischio di condensazione superficiale del vapore ac- queo: il procedimento consiste nel calcolare la minima temperatura superficiale ammis- sibile, confrontando poi questo valore con quello di esercizio, determinando il fattore di temperatura fR,SI, il parametro fissato dalla norma per individuare la performance igro- metrica dell’involucro edilizio:0

U R

f

SI

E I

E SI SI

R

= − ⋅

= − 1

,

θ θ

θ θ

( 4.1 )

nella cui espressione compaiono anche la resistenza termica superficiale RSI [m2∙K/W]

e la trasmittanza termica della parete U [W/m2∙K].

I valori più bassi di fR,SI si riscontrano in pre- senza dei ponti termici, disuniformità geo- metriche o costruttive.

La verifica, su base mensile, prevede poi la determinazione del valore massimo accetta- bile di umidità relativa interna φS alle super- fici:

- 100% per evitare la condensazione in corrispondenza dei serramenti;

- 80% per evitare il rischio di crescita del- le muffe;

- 60% per evitare fenomeni corrosivi sul- la superficie.

La norma definisce il fattore di temperatura di progetto minimo come

E I

E MIN SI MIN SI

f

R

θ θ

θ θ

=

,

,

, ( 4.2 )

dipendente dalla temperatura superficiale minima accettabile determinato in base al corrispondente valore di pressione di satu- razione. Viene definito come mese critico quello con il più alto valore fR,SI,MAX. Il valore

(19)

limite del fattore di temperatura fR,SI,LIMITE è quello per cui

E I

E SAT LIMITE SI

f

R

θ θ

θ θ

= −

,

, ( 4.3 )

La verifica è positiva se sono verificate

SI R MAX SI

R

f

f

, ,

, ( 4.4 )

SI LIMITE SI R

R U 1 − f

, ,

<

( 4.5 )

4.1.4.1.2. Condensazione interstiziale In presenza di condensazione interstiziale, dalla verifica termoigrometrica possono pro- spettarsi le seguenti tre condizioni:

- la quantità di vapore condensato non evapora completamente nei mesi esti-

vi: verifica non superata ai sensi del D.

Lgs. 59/2009;

- la quantità di vapore condensato eva- pora completamente nei mesi estivi, senza superare il limite ammissibile:

verifica superata;

- la quantità di vapore condensato eva- pora completamente nei mesi estivi, superando il limite ammissibile: verifica non superata.

La norma tecnica UNI EN ISO 13788:2003, all'Appendice Nazionale, stabilisce la quanti- tà di condensa accumulabile massima am- missibile MA è riportata nella Tabella 4.4.

Il rischio di condensazione interstiziale è senz’altro maggiore negli strati funzionali posti a contatto del lato freddo dello strato isolante, in quanto avviene un brusco abbas- samento della pressione di saturazione ΔpSAT rispetto al salto della pressione parziale di vapore Δp.

Materiale Densità [kg/m3] MA [g/m2]

laterizi 600÷2000 ≤500

calcestruzzi 400÷2400 ≤500

legnami e derivati 500÷800 ≤30⋅ρ⋅d

intonaci e malte 600÷2000 ≤30⋅ρ⋅d

fibre di natura organica

con collanti resistenti all’acqua 300÷700 ≤20⋅ρ⋅d fibre di natura organica

con collanti non resistenti all’acqua 300÷700 ≤5⋅ρ⋅d

fibre minerali 10÷150 ≤5000⋅ρ⋅d⋅[λ/(1-1,7⋅λ)]

materie plastiche cellulari 10÷80 ≤5000⋅ρ⋅d⋅[λ/(1-1,7⋅λ)]

d è lo spessore dello strato [m]; ρ è la densità [kg/m3];

λ è la conduttività termica dello strato [W/m K].

N. B. In ogni caso, non è ammissibile una quantità di vapore condensato superiore a 0,5 kg/m2.

Tabella 4.4: Valori limite della quantità di vapore condensato all'interno degli elementi struttura- li in funzione del materiale (fonte UNI EN ISO 13788:2003, Appendice NA).

(20)

Prevedendo un’adeguata sequenza degli strati all’interno del pacchetto, è possibile ridurre il rischio di condensa interstiziale:

- ponendo gli strati a resistenza termica maggiore verso l’esterno, o comunque imponendo una resistenza termica cre- scente dall’interno verso l’esterno;

- ponendo gli strati a minore permeabili- tà al vapore verso l’interno, o comun- que imponendo una resistenza al pas- saggio del vapore stesso decrescente dall’interno verso l’esterno.

Nel caso in cui ciò non sia possibile, per limi- tazioni di carattere tecnico o economico, si ricorre all’inserimento di una barriera al va- pore, o di un freno al vapore, sul lato caldo dello strato isolante, in modo da generare l’abbattimento della pressione parziale di vapore30. La distinzione tra gli elementi tec- nici che modulano il passaggio del vapore prevede la definizione di:

- un telo ad elevata traspirazione, se lo spessore equivalente d’aria31 è inferio- re a 10 cm;

- un freno al vapore, con uno spessore equivalente d’aria compreso tra 10 cm e 20 metri;

- una vera e propria barriera al vapore, di spessore equivalente d’aria superio- re ai 20 metri.

L’inserimento di una barriera al vapore deve essere valutato molto attentamente; ridu-

cendo la capacità traspirante della struttura si limitano le possibilità di asciugatura estiva e la facilità di smaltimento dell’umidità in- terstiziale. Sotto questa luce, la Norma UNI EN ISO 13788:2003 consiglia di adottare una barriera al vapore dotata di una resistenza al passaggio del vapore acqueo pari a 5÷7 volte la resistenza dello strato impermeabilizzan- te32; inoltre gli strati sottostanti la barriera al vapore devono avere una resistenza termica non superiore al 20% dell’intero pacchetto tecnologico.

L’adozione di un freno a vapore consente di controllare il passaggio del vapore stesso attraverso l’elemento costruttivo; questa scelta è generalmente preferibile rispetto a quella che contempla una barriera al vapore, in quanto è opportuno permettere un ade- guato passaggio di vapore anche nella dire- zione opposta, come avviene nel regime e- stivo. I teli ad alta traspirazione sono più frequentemente applicati sulla superficie fredda dell’isolante: nelle coperture fungono da barriera per l’acqua e per il vento incana- latisi dal manto di copertura33.

Le barriere al vapore e i freni al vapore pos- sono danneggiarsi durante l'installazione: se avviene una lacerazione, la loro applicazione è totalmente inefficace se non dannosa, in quanto si manifesta una condensa locale maggiore che non quella teoricamente pos- sibile in assenza di barriera.

4.2. U

TILIZZO RAZIONALE DELLE RISORSE DA SCARTI E RIFIUTI

E

SIGENZA

: URR.2.

L'esigenza URR.2, declinata in un unico re- quisito, esprime sostanzialmente la necessi- tà di favorire, attraverso una corretta diffe- renziazione, la raccolta separata ed il succes- sivo riutilizzo dei rifiuti prodotti durante la fase di gestione dell'organismo edilizio, allo scopo di ridurre il flusso di scarti dell'utenza verso gli appropriati organi ricettori e ridur- ne così il carico.

Il D.P.R. 915/1982 [34] per la prima volta de- finisce i 'rifiuti urbani' come insieme di tre categorie:

- i residui non ingombranti provenienti dai fabbricati o da altri insediamenti ci- vili in genere;

- i rifiuti ingombranti, quali beni di con- sumo durevoli, di arredamento, di im- piego domestico, di uso comune, pro-

(21)

venienti da fabbricati o da altri inse- diamenti civili in genere;

- i rifiuti di qualunque natura o prove- nienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree priva- te, comunque soggette ad un uso pub- blico o sulle spiagge marittime, lacuali e sulle rive dei fiumi.

La direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, introducendo una nuova disciplina sui rifiuti nel territorio dell’Unione Europea, de- finisce i criteri identificativi per considerare un prodotto come rifiuto, o meno; la defini- zione generica prevede che sia rifiuto qualsi- asi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfar- si35. In questo modo il rifiuto è distinto dal

“sottoprodotto”, il quale risponde positiva- mente a condizioni diverse tra le quali la principale è la possibilità di un successivo ulteriore utilizzo senza che sia necessario ricorrere ad alcun trattamento estraneo alla consueta pratica industriale; condizione ne- cessaria, inoltre, è che tale utilizzo soddisfi i requisiti riguardanti la protezione della salu- te e dell’ambiente. Un prodotto cessa di es- sere considerato come tale allorquando è sottoposto ad un’operazione di recupero o riciclaggio che riporti il prodotto ad uno standard prefissato accettabile per il merca- to e per l'uso previsto36. L'atto di 'disfarsi' di un prodotto considerato rifiuto da parte dell'utente è indipendente dalla possibilità che questo possa essere oggetto di recupero o riutilizzo, anche attraverso un intervento esterno. L'azione per cui un utente si disfa di un prodotto equivale quindi ad avviare un oggetto o un prodotto ad operazioni di smal- timento o di recupero37.

A livello italiano, nel D. Lgs. 152/2006, che si propone di costituire il riferimento unico per la disciplina italiana nel diritto ambientale38, riprende la distinzione tra rifiuto e sottopro- dotto, evidenziando per quest'ultimo ulte- riori condizioni quali:

- la certezza del futuro impiego per de- terminati processi di produzione;

- il soddisfacimento dei requisiti di pro- tezione della salute e dell'ambiente.

La gestione dei rifiuti, ossia l'insieme di pra- tiche volte a gestire l'intero processo dalla produzione fino al conferimento finale, av- viene secondo una scala gerarchica ben de- finita:

1. Prevenzione della produzione dei rifiu- ti, in base ad azioni su operatori del settore (promozione di strumenti eco- nomici, sistemi di certificazione am- bientale, sviluppo di un sistema a mar- chio ecologico per una corretta valuta- zione degli impatti sull'ambiente) e sul- le utenze (informazione e sensibilizza- zione dei consumatori). Tale fase consi- ste quindi in un insieme di politiche di- rette a disincentivare, con penalizza- zioni economiche o divieti, la produzio- ne di materiali dal ciclo di vita breve.

2. Riutilizzo dei prodotti ed azioni prope- deutiche al riutilizzo dei rifiuti. Tali a- zioni si esplicitano per strumenti eco- nomici, con misure logistiche volte a creare reti e nodi per la riparazione e/o il riutilizzo dei rifiuti.

3. Riciclaggio e recupero dei rifiuti, volti a ridurre la quantità finale di rifiuti avvia- ta a smaltimento. Per garantire rici- claggio rispondente ai criteri di qualità, le singole Regioni, sulla base delle indi- cazioni stabilite dal Ministero dell'Am- biente, provvedono a realizzare la rac- colta differenziata nel territorio.

4. Recupero di altro tipo, ad esempio co- me combustibile per la produzione di energia (termovalorizzazione, ossida- zione biologica a freddo, gassificazione, incenerimento).

5. Smaltimento, intesa come fase residua- le, in termini di azione e di quantità considerate, della gestione dei rifiuti.

La classificazione dei rifiuti operata dal De- creto all'art. 184 prevede la distinzione dei rifiuti in urbani e speciali, secondo l'origine, ed in pericolosi e non pericolosi, in base ai potenziali impatti dannosi sulla salute uma- na e sull'ambiente, e quindi:

- rifiuti urbani;

- rifiuti speciali, derivanti da attività agri- cole, attività di demolizione, costruzio-

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