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2. UNE VIE DE BOY DI FERDINAND OYONO

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2. UNE VIE DE BOY DI FERDINAND OYONO

2.1. Ferdinand Oyono: uomo politico

Ferdinand Oyono nasce nel 1929 in un paesino vicino a Ebolowa, capitale della Provincia del Sud del Camerun. Oyono e sua sorella abbandonano, da piccoli, la casa paterna insieme alla madre che, divenuta credente cristiana, lascia il marito poiché poligamo. Per mantenere i due figli, la donna lavora come sarta ambulante, portando con sé i bambini in ogni spostamento. La figlia inizia a lavorare alla missione religiosa, mentre Ferdinand entra prima a far parte del coro della chiesa e in seguito lavora come boy dei missionari che lo inizieranno alle lettere classiche. Conosce così quel mondo e quel mestiere di boy sul quale svilupperà anni dopo il suo primo romanzo Une vie de boy

1

.

Oyono completa gli studi primari in Africa ottenendo buoni risultati.

Intraprende gli studi secondari a Ebolowa, ma li completa in Francia, a Provins, dove il padre, seguendo l’esempio di altri genitori, decide di mandarlo per far impartire al figlio un’istruzione migliore. Successivamente Oyono si iscrive alla facoltà di giurisprudenza a Parigi e in seguito all’École Nationale d’administration con indirizzo diplomatico. Nello stesso tempo

1 J. CHEVRIER, Ferdinand Oyono, Nathan, Paris 1964, p. 3.

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utilizza i momenti liberi per scrivere Une vie de boy e per abbozzare la sua seconda opera Le vieux nègre et la médaille, pubblicata anch’essa nel 1956.

Il primo romanzo presenta molti elementi biografici, mentre nel secondo Oyono prende spunto dalla figura del padre. Assieme al romanzo Chemin d’Europe (1960), i tre libri ritraggono la vita quotidiana nel Camerun all’epoca coloniale. Nel tempo libero Oyono coltiva la passione per il teatro e recita in alcuni spettacoli andati in scena al teatro dell’Alliance française, riscuotendo un discreto successo come attore.

Sul finire degli anni ’50 torna al paese natale. In seguito all’autonomia interna riconosciuta al Camerun nel 1958 e alla totale indipendenza conquistata nel 1960, Ferdinand Oyono interrompe l’attività di scrittore per impegnarsi attivamente in politica. Molti scrittori della sua generazione seguono lo stesso percorso. Nel 1959 ha inizio per Oyono una brillante carriera come alto funzionario di stato, e in seguito come ambasciatore del Camerun in parecchi stati e presso le Nazioni Unite. A partire dal 1985 riveste varie funzioni di governo nel suo paese, tra cui quella di ministro degli affari esteri e della cultura che ricopre tutt’ora

2

.

2.2. Ferdinand Oyono: cronista della realtà

La produzione letteraria di Oyono si colloca nel periodo appena antecedente l’indipendenza del Camerun (1960). La forte instabilità politica di quegli anni spinge gli scrittori a comporre opere sempre più realistiche e politicamente impegnate. I tre romanzi di Oyono soddisfano questa necessità, infatti lo scrittore camerunense, attraverso il racconto delle

2 Cfr. http://www.spm.gov.cm/

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esperienze di personaggi colonizzati, presenta uno spaccato della situazione coloniale del Camerun a partire dal 1946 (anno dell’annessione all’Union française e quindi dell’incorporazione nel quadro istituzionale che la Francia imponeva alle colonie)

3

. Oyono si serve di tale spaccato per registrare non solo l’evoluzione delle vicende storiche, ma anche i miglioramenti delle condizioni di vita nei villaggi africani grazie alla costruzione di ospedali, scuole, circoli ricreativi e strade ad opera dei colonizzatori, tenendo sempre conto però della politica di segregazione razziale subita dai colonizzati.

Sotto questo punto vista è possibile individuare anche nelle opere di Oyono che sono romanzi, perché mirano all’identificazione emotiva del lettore con uno o più personaggi, alcuni punti di contatto con la chronica latina

4

. Anzitutto l’autore, attraverso l’artificio narrativo adottato (il ritrovamento del diario), garantisce la veridicità degli eventi su cui si sviluppa la storia. Inoltre nella narrazione l’autore si eclissa e lascia parlare gli avvenimenti, dando la possibilità al lettore di giudicare autonomamente fatti e personaggi. In particolare la voce narrante di Une vie de boy, l’africano Toundi, registra per gran parte della narrazione in maniera oggettiva gli eventi che si producono davanti ai suoi occhi, senza commentarli. Nel romanzo Oyono adotta lo stile storico, proprio della chronica, infatti si serve dei principali tempi verbali storici: il passato remoto e l’imperfetto. Tuttavia affiancando a essi il passato prossimo, Oyono fa emergere i pensieri dei protagonisti, e quindi la dimensione letteraria del testo, senza mai comunque inserirvi il suo punto di vista.

3 S. A. OJO, Ferdinand Oyono, chroniqueur de la réalité coloniale au Cameroun, in

«Présence francophone» 20, (1980), pp. 31-56, qui p. 34.

4 Ibidem qui p. 31.

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2.3. Struttura dell’opera

Une vie de boy, pubblicato nel 1956, è uno dei primi romanzi della letteratura dell’Africa sub sahariana. Insieme ad altre opere del periodo diventa in pochi anni un classico della letteratura africana. L’opera si inscrive nel filone del romanzo di formazione africano: tema principale del libro è infatti il drammatico percorso iniziatico del giovane indigeno Toundi che si chiude con la sua morte.

Il romanzo si presenta tripartito: si apre con un prologo, seguito dal diario di Toundi suddiviso in due parti. Il prologo svolge la funzione di cornice in quanto in esso viene narrato il ritrovamento del diario di Toundi da parte della voce narrante. Protagonista e narratore nel prologo è un ragazzo del Camerun in vacanza nella Guinea spagnola (odierna Guinea equatoriale). La sera prima del ritorno in Camerun, il ragazzo sente risuonare un tam-tam che, come spiegano gli spagnoli di cui è ospite, annuncia la presenza di un ‘francese’ in agonia in un villaggio vicino. Il ragazzo, mosso da pietà per il connazionale in fin di vita in terra straniera, decide di raggiungerlo guidato dagli spagnoli. Arrivato finalmente a destinazione incontra il connazionale in agonia in una case del villaggio.

Dopo aver brevemente conversato con lui, l’agonizzante muore. Gli spagnoli consegnano al ragazzo un pacchetto contenente il diario di Toundi diviso in due quaderni. Il ragazzo afferma che è scritto in ewondo e decide di tradurlo in francese per far conoscere la storia del suo connazionale.

L’espediente del ritrovamento di un manoscritto, in questo caso di un

diario, nella cornice del romanzo è un artificio letterario che Oyono prende

in prestito dalla tradizione letteraria francese. La teorizzazione del concetto

di ‘realismo’ in letteratura tra ‘700 e ‘800 porta all’adozione di forme o

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espedienti narrativi che conferiscano veridicità al racconto. Adottando questa tecnica Oyono si allinea anche con la tendenza degli scrittori della sua generazione di comporre opere realistiche. L’adozione del diario come forma del romanzo concilia due bisogni: da una parte lo sviluppo della narrazione autobiografica che permette all’io di emergere, dall’altra la necessità di utilizzare una struttura che permetta di riprodurre l’illusione realistica.

Nei due quaderni che compongono il diario di Toundi, il boy diventa il nuovo narratore auto diegetico. Dopo aver abbandonato la propria famiglia e cultura d’origine, in quanto attratto dal mondo dei Bianchi, Toundi vorrebbe costruirsi una nuova identità tra gli occidentali che tanto ammira.

Lavorando come boy prima per il prete missionario Padre Gilbert e poi per il comandante della colonia, la coscienza di Toundi da ingenua riesce a farsi sempre più critica e a svelare la natura ipocrita dei Bianchi. Prima nell’ambiente ecclesiastico e poi in quello urbano Toundi riuscirà a demistificare i comportamenti dei colonizzatori e a rovesciarne i cliché dimostrando l’infondatezza del giudizio dei Bianchi sui Neri.

L’avvenimento che segna l’apice della conoscenza raggiunta da Toundi e

che ne causa il lento cammino verso la morte è la scoperta del tradimento

della moglie del comandante presso cui lavora. Tale episodio sancisce

l’ennesima caduta di un’illusione che il boy si era costruito sui Bianchi. Da

quel momento Toundi diventerà un testimone così scomodo da subire

violenze sempre più pesanti da parte dei padroni, finché non sarà arrestato,

sospettato di essere complice della fuga di un’africana che ha derubato il

proprio padrone. Toundi finisce pertanto in prigione dove riceve continui

maltrattamenti che lo porteranno lentamente alla morte durante la fuga

disperata nella Guinea spagnola.

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XXVIII

Sebbene la morte del protagonista sia annunciata già dalle prime pagine, la costruzione narrativa adottata non impedisce lo sviluppo drammatico del racconto. Pur utilizzando uno stile sobrio, Oyono fa emergere tutta la drammaticità della storia, in primo luogo perché la vittima delle violenze è un ragazzino e in secondo luogo perché la narrazione assume spesso un tono amaro vista la sottile ironia che fa da sostrato all’iniziazione di Toundi.

2.4. Une vie de boy: il diario di formazione

L’elemento iniziatico è presente nel romanzo africano perché costituisce una realtà antropologica fondamentale nella società africana

5

. La pratica dell’iniziazione è un passaggio obbligato per ogni individuo poiché permette l’accesso alla comunità adulta e a una conoscenza superiore.

L’abbandono della famiglia, che può essere visto dal lettore occidentale come un dovere brutale, in realtà è considerato un avvenimento naturale nella società africana. Inoltre il giovane non viene abbandonato a se stesso, ma è ‘adottato’, cioè seguito, da nuove guide che si prendono cura della sua iniziazione. Sebbene in Africa tale pratica stia scomparendo, in Une vie de boy è possibile trovarne veri e propri indizi, più che semplici allusioni.

Anzitutto è possibile individuare nel testo di Oyono i punti chiave del romanzo di formazione: l’eroe è affiancato da guide spirituali, deve possedere qualità eccezionali che lo differenziano dagli altri personaggi, deve affrontare prove e sofferenze prima di accedere a un nuovo statuto

5 R. CHEIMAN, L’imaginaire dans le roman africain, L’Harmattan, Paris 1986, p. 242.

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ontologico

6

. Le guide di Toundi sono dapprima il reverendo padre Gilbert, considerato dal protagonista come «mon bienfaiteur»

7

, poi il comandante di Dangan e Gola d’Uccello. Attraverso queste persone Toundi spera di colmare lo scarto tra la sua condizione di Nero e quella dei Bianchi. Sin dall’inizio Toundi si sente superiore ai suoi ‘connazionali’ perché ha imparato a leggere e a scrivere e pertanto il suo padrone, padre Gilbert, lo presenta come il suo capolavoro. Passato al servizio del comandante, anche questo elogerà le sue qualità durante il colloquio di lavoro: «Tu es intelligent, les prêtres m’ont parlé de toi en termes élogieux. Je peux compter sur petit Joseph, n’est-ce pas?» (VB, p. 35).

Il viaggio fisico e le conoscenze acquisite lungo il cammino hanno inizio dalla debolezza di Toundi: l’ingordigia. Tale elemento è funzionale per dare il via al percorso. Attratto dai cubetti di zucchero che padre Gilbert lancia ai ragazzini africani, Toundi decide di lasciare la propria case per la missione cattolica proprio alla vigilia dell’iniziazione. Diventa così il boy del missionario, si sente orgoglioso della posizione acquisita ed è impaziente di conoscere i Bianchi:

Nous rentrions à la Mission Catholique de Dangan. J’étais heureux, la vitesse me grisait. J’allais connaître la ville et les Blancs, et vivre comme eux. Je me surpris à me comparer à ces perroquets sauvages que nous attirions au village avec des grains de maïs et que restaient prisonniers de leur gourmandise. Ma mère disait souvent en riant «Toundi, ta gourmandise te conduira loin… (VB, pp. 22-23)

6 J. O. NWABUEZE, «Quête» et «Initiation» in Une vie de boy, in «Neohelicon», XXII, 2, (1995), pp.155-169, qui p.158.

7 F. OYONO, Une vie de boy, Juillard, Paris 1956, p. 29. (Da ora in poi citato mediante la sigla: VB).

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XXX

Già al servizio di padre Gilbert, Toundi viene a conoscenza della segregazione razziale che vige nella chiesa cattolica di Saint Pierre a Dangan: «Les Blanc ont leur Sainte Table à part» (VB, p. 23), che verrà descritta minuziosamente in seguito

8

. Inoltre scopre le pratiche brutali che padre Vandermayer riserva solo alle indigene adultere «Il a la manie de battre les chrétiennes adultères, les indigènes bien sûr…» (VB, p. 25). Altro comportamento scorretto di cui Toundi è testimone è quello di padre Vandermayer che non solo tira calci al capo dei catechisti, accorso ad annunciare la morte di padre Gilbert, ma lo ricopre anche di insulti.

D’altronde anche la situazione di Toundi tra i Bianchi non è delle migliori:

mangia addirittura gli scarti dei preti, in quanto il cibo che gli viene preparato non è abbastanza buono, mentre nella case con la sua famiglia poteva gustare prelibate pietanze. Inoltre Toundi confessa di aver ricevuto calci da padre Gilbert e quando accorre all’ambulanza che trasporta il missionario, viene spinto via più volte dai Bianchi. In generale lungi dall’essere delle guide moralmente integre, i missionari non perdono occasione di brutalizzare, senza motivo, i Neri.

Con la morte di padre Gilbert la scena cambia, Toundi si trova a vivere in un nuovo ambiente: la città dei colonizzatori, e in particolare nella Residenza del comandante di Dangan. Tale cambio di scena è funzionale per far avanzare il protagonista nel suo percorso di iniziazione, stavolta guidato da un comandante bianco. Per l’autore lo spostamento è necessario per demistificare questa volta la vera e propria società dei colonizzatori e soprattutto per ribaltare i cliché attraverso i quali i Bianchi giudicano i Neri.

Ancora una volta, Toundi è orgoglioso dell’incarico che gli è stato affidato e infatti dichiara: «Je serais le boy du chef des Blancs : le chien du roi est le

8 Vedi ibidem p. 23.

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roi des chiens. […] C’est une nouvelle vie qui commence pour moi» (VB, p.

32). I Bianchi come di consueto trattano con violenza i Neri, tirano loro calci, o aizzano contro di loro i cani, come fa per puro divertimento M.

Janopoulos: «Il a la manie de lancer sur eux [les indigènes] son énorme chien-loup. Le sauve-qui-peut devient général parmi les Noirs. Cela amuse les dames» (VB, p. 43).

Le scoperte capitali per l’iniziazione di Toundi sono due: il comandante incirconciso e il tradimento della moglie di quest’ultimo. È solo a partire da queste scoperte che il protagonista inizia a vedere con sguardo critico, e non più ingenuo, le situazioni della vita di tutti i giorni. Significativa di tale cambiamento è la reazione alla vista del comandante incirconciso:

Non, c’est impossible, me disais-je, j’ai mal vu. Un grand chef comme le commandant ne peut pas être incirconcis. […] Cette découverte m’a beaucoup soulagé. Cela a tué quelque chose en moi… Je sens que le comandant ne me fait plus peur. (VB, p. 45)

L’adulterio di Mme Decazy si presenta come il culmine della conoscenza che Toundi acquisisce durante l’iniziazione. Se da una parte i preti bianchi punivano severamente i peccati di adulterio dei coloni, tra l’altro da poco convertiti al cattolicesimo, dall’altra sono i Bianchi stessi a macchiarsi di queste di colpe senza essere puniti se non momentaneamente.

L’ipocrisia del mondo bianco è finalmente messa a nudo non solo dalle

esperienze di Toundi ma anche da altri africani che lo aiutano ad aprire gli

occhi. Primo fra tutti Baklu che descrive in maniera cristallina il mondo

manicheo in cui vivono Bianchi e Neri: «Il y a deux mondes, le nôtre est

fait de respect, de mystères, de sorcellerie… Le leur laisse tout en plein jour

même ce qui n’a pas été prévu pour ça» (VB, p. 123). L’inconciliabilità dei

due mondi è finalmente chiara agli occhi di Toundi tanto che ormai riesce a

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demistificarli da solo senza l’aiuto dei suoi compatrioti che, pur non giocando ruoli principali, rappresentano una sorta di coro, di voce che consiglia l’eroe lungo l’iniziazione. Coro che non a caso è composto proprio da quei compatrioti da cui il protagonista ha deciso di allontanarsi, ma con cui manterrà vivi i contatti. La visone manichea del mondo è corretta e infatti, poiché è uno stereotipo dei Bianchi, è condivisa anche da Mme Decazy che durante una conversazione col boy afferma: «Tu sais que la sagesse recommande à chacun de garder sa place… Tu es boy, mon mari est commandant… personne n’y peut rien» (VB, p. 88). Avendo raggiunto un livello di conoscenza troppo elevato, Toundi diventa un testimone scomodo la cui presenza è considerata pericolosa per la stabilità del mondo dei Bianchi.

Ultima fase del percorso del boy è la condanna per aver scoperto l’ipocrisia di quel mondo, per averla svelata ai propri compatrioti, o per lo meno a quelli che gli stanno vicino, e per aver rigettato il ruolo di boy che la società bianca lo obbligava a svolgere per sopravvivere. Le ultime guide di questa fase sono Gola-d’Uccello, l’ingegnere agricolo e l’amministratore della prigione, M. Moreau. Quest’ultima prova è quella che rinforza lo statuto di Toundi di eroe di un percorso iniziatico

9

. Segni della maturazione interna si trovano già nella riflessione di Toundi davanti alle punizioni carnali che M. Moreau infligge ad alcuni indigeni, solo sospettati di aver commesso un furto:

On ne peut avoir vu ce que j’ai vu sans trembler. C’était terrible. Je pense à tous ces prêtres, ces pasteurs, tous ces Blancs qui veulent sauver nos âmes et que nous prêchent l’amour du prochain. Le prochain du Blanc n’est-il que son confrère ? Je me demande, devant de pareilles atrocités, qui peut être assez sot

9 J. O. NWABUEZE, cit, qui p. 166.

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XXXIII

pour croire encore à tous les boniments qu’on nous débite à l’Église et au Temple… (VB, p. 115)

Negli ultimi spostamenti verso la prigione e l’ospedale, due luoghi di estrema sofferenza fisica, si verifica la piena maturazione della coscienza critica dell’eroe. Toundi sopporta stoicamente le torture dei Bianchi e nei dialoghi mantiene la calma dimostrandosi alle volte ironico, come accade nell’interrogatorio su Sophie:

— Avoue! Tonna-t-il en m’obligeant à respirer son haleine fétide, mais avoue donc!

Une terrible envie de rire me prit. Les Blancs en parurent sidérés. L’amant de Sophie me relâcha. Gosier-d’Oiseau haussa les épaules.

— Ce n’est pas mon genre de femme… dis-je en m’adressant à Gosier- d’Oiseau. Ce n’est pas mon genre… Je l’ai toujours écoutée sans la voir…

(VB, p. 162)

Quando è sotto tortura Toundi non grida e non tenta neppure di piangere, nonostante Mendim me Tit gli implori di farlo per salvarsi.

Addirittura quando Toundi è costretto a svolgere un lavoro faticoso come la corvè dell’acqua si compiace della propria superiorità fisica rispetto ai Bianchi: «J’ai éprouvé un certain plaisir à penser que ni le commandant, ni M. Moreau, ni l’amant de Sophie… ni aucun Blanc de Dangan n’eussent tenu le coup à notre place…» (VB, p. 174). In realtà Toundi riflette sulla propria condizione basandosi sullo stereotipo romantico occidentale che considerava il Nero simile a una bestia, dotato quindi di una forza bruta che lo rendeva resistente agli sforzi fisici e che legittimava anche le violente percosse subite dai Bianchi

10

. Spesso nel romanzo i colonizzatori

10Cfr. F.-L. HOFFMANN, Le nègre romantique, Payot, Paris 1973.

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XXXIV

legittimano le violenze sui Neri rifacendosi al suddetto stereotipo. È il caso della scena della bastonata in cui M. Moreau ordina di picchiare i neri sui reni e non sulla testa in quanto sostiene che ce l’hanno troppo dura per sentire dolore.

Anche in quest’ultima fase del percorso Toundi è affiancato da

‘aiutanti’ che gli consigliano le mosse da compiere e che non a caso sono sempre africani. Mendim me Tit fa solo finta di frustarlo e infine l’infermiere della ronda notturna gli consiglia la fuga. Accanto ai loro consigli fioriscono spontanee le manifestazioni di solidarietà dei Neri.

Quando Toundi è arrestato Kalisia scoppia in lacrime, d’altronde era stata la prima a consigliargli la fuga: «Si j’étais à ta place je m’en irais maintenant alors que la rivière ne t’as pas encore englouti entièrement» (VB, pp. 151- 152). Durante lo spostamento di Toundi dalla Residenza alla prigione i compatrioti africani in apprensione si chiedono cosa sia successo al boy. La sorella e il cognato stanno vicino a Toundi facendogli visita in carcere, non esitando a giurarne l’innocenza su Dio.

Emblematiche del nuovo statuto ontologico di uomo maturo dell’eroe

sono le domande pronunciate da Toundi in letto di morte nel prologo e che

fanno eco alle stesse pronunciate dal cognato poco prima verso la fine del

romanzo: «Mon frère, […] que sommes-nous? Que sont tous les nègres

qu’on dit français?» (VB, pp. 12-13). Domande lasciate senza risposta dai

protagonisti, ma su cui il lettore ha il dovere di riflettere al termine del

percorso di Toundi. Tali interrogativi mettono in evidenza che se Toundi è

riuscito a capire chi sono i Bianchi, non è riuscito a capire ‘chi’ è il Nero

ma solo ‘cosa’ è diventato il colonizzato con l’arrivo del colonizzatore. O

meglio Toundi ha raggiunto la consapevolezza che nella società il

colonizzato è visto e può sussistere solo all’interno della funzione che gli

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XXXV

ritaglia il Bianco e che il tentativo di affermare la propria identità al di fuori di quegli schemi porta all’autodistruzione. Per questo la morte dell’eroe si configura come una vittoria in campo conoscitivo ma anche come una sconfitta materiale di chi ha creduto che per emanciparsi e costruirsi una nuova identità fosse indispensabile tagliare i rapporti con le proprie radici.

Gli altri personaggi del romanzo che già possiedono questa conoscenza agli occhi del colonizzatore giocano il ruolo da lui imposto, ma continuano internamente a possedere uno sguardo critico su se stessi e sul sistema coloniale e a modo loro ad affermare la propria identità. Da questo punto di vista attuano quel doppio gioco che Toundi non è riuscito a portare avanti a causa dell’ingenuità e del ruolo di boy.

Come accennato in precedenza, la narrazione è disseminata di allusioni alla reale pratica di iniziazione africana. Alcuni studi comparando il romanzo con le descrizioni etnografiche hanno messo in luce tali indizi

11

. Ecco alcuni punti di contatto: l’iniziato ha un protettore, nel caso di Toundi è Mendim me Tit; il rituale prevede l’uso della frusta sull’iniziato che deve essere anche picchiato sulla testa, Toundi subisce varie fustigazioni; gli iniziati dormono sulla pancia, lo stesso avviene per Toundi in prigione;

l’iniziato deve arrampicarsi su un albero, Toundi in fin di vita lo immagina, ecc. È bene notare che Oyono non dispone tali indizi nell’ordine cronologico previsto dalle fasi dell’iniziazione

12

. Pertanto l’intento dell’autore, non è esaltare i valori tradizionali, ma piuttosto lasciare qua e là indizi per la precisa decodifica del testo da parte del lettore africano e per creare l’effetto di realtà. Poiché la morte simbolica è il momento dell’iniziazione che sancisce la maturazione interna dell’iniziato e prospetta

11 Cfr. J. BOURGEACQ Jacques, The eye motif and narrative strategy in Oyono’s «Une vie de boy», an ethno-cultural perspective, in «The French Review» 66, 1992/93.

12 J. BOURGEACQ, cit., qui p. 797.

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per lui l’inizio di una nuova vita, la morte reale di Toundi può essere ironicamente interpretata come la sua vittoria simbolica sui Bianchi colonizzatori, perché il personaggio non accetta passivamente la sorte, ma, grazie alle conoscenze acquisite, denuncia la brutalità e l’ipocrisia dei Bianchi.

2.5. «L’œil du sorcier»: la comunicazione non verbale

«Pour lui tu seras… je ne sais comment appeler ça… tu seras quelque chose comme l’œil du sorcier, qui voit et qui sait» (VB, p. 152). È con queste parole che Kalisia giudica la posizione di Toundi che continua a lavorare per il comandante, finalmente al corrente del tradimento della moglie, e a essere sempre più vittima dei suoi maltrattamenti. Per capire quali effetti possa sortire posare lo sguardo da sorcier sui Bianchi, è necessario analizzare il significato dello sguardo nella cultura africana.

Toundi afferma di essere di origine Maka e Djem, due società che in

generale fanno parte della cultura Bantu del Camerun meridionale. Tale

cultura affida agli occhi un ruolo particolare e ne prevede anche delle regole

comportamentali. Anzitutto gli occhi sono uno strumento privilegiato della

conoscenza, inoltre sono espressione esterna di una qualità interna

dell’individuo detta djambe. Coloro che sviluppano tale qualità amplificano

la propria percezione della realtà, arrivando a individuare anche realtà non

visibili. Quando il djambe si manifesta esternamente attraverso gli occhi,

questi sono direttamente associati agli occhi dello stregone, che, poiché

iniziato a misteri di ordine superiore, ha una perfetta conoscenza della realtà

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sensibile e di quella immateriale

13

. All’inizio del romanzo lo sguardo di Toundi è innocuo perché rivela la sua ingenuità, inoltre il personaggio agisce secondo i codici comportamentali del mondo africano, per cui i giovani devono abbassare lo sguardo in presenza di una persona più grande in segno di rispetto

14

.

Tantissimi sono gli esempi di questo tipo, esemplare è il colloquio di lavoro con il comandante. In questo passo in realtà entrano in gioco due codici: quello di Toundi, appena descritto, e quello del comandante che attraverso la comunicazione non verbale intende chiarire la gerarchia tra i due: «[Le commandant] Après m’avoir longuement observé […] il me regarda un moment […]. Il s’assit. Je baissai la tête. Je sentais son regard sur le front. […] Il se pencha vers moi et releva mon menton. Il plongea ses yeux dans les miens» (VB, pp. 33-34), «il me pénétra de son regard de panthère […]. Il se leva et commença à tourner autour de moi […]. Il recula de quelques pas et me toisa de nouveau» (VB, pp. 34-35). È chiaro che se Toundi tiene lo sguardo basso per educazione, il comandante sfrutta il proprio sguardo per definire i ruoli degli interlocutori: lui è il comandante, mentre Toundi è «la chose qui obéit» (VB, p. 34) cioè il suo boy, se non addirittura la sua preda.

Lo stesso rapporto gerarchico viene stabilito tra M. Moreau e Toundi durante un incontro:

[M. Moreau] m’empoigna par la nuque et me força à le regarder. La cigarette que j’avais gardée derrière l’oreille tomba. Pour ne pas le regarder, je voulus me baisser pour la ramasser […] Il me lâcha le cou et me regarda en roulant de grands yeux (VB, p. 117)

13 J. BOURGEACQ, cit., qui p. 790.

14 Ibidem.

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XXXVIII

Il ribaltamento di questa gerarchia e la trasgressione del codice comportamentale africano da parte di Toundi avviene con la scoperta che il comandante è incirconciso. Toundi si rende conto di non aver più paura del padrone, e infatti sotto il suo sguardo giura di esser rimasto impassibile

15

.

Lo sguardo di Toundi riesce a reagire in modo pratico a questa lezione solo dopo l’incontro con Madame. La moglie del comandante, a differenza degli uomini, non riesce ad affermare la propria superiorità sul boy, in quanto prova imbarazzo a guardarlo. Toundi fa leva su questa debolezza e sul proprio coraggio per diventare un osservatore più critico

16

. In particolare inizia a essere ossessionato dal tradimento della donna: «Il fallait que je voie les manières de Madame au retour de son mari, maintenant qu’elle l’avait trompé» (VB, p. 103), «C’est curieux, les milles expressions qui peuvent se succéder sur le visage d’une femme ces moments-là» (VB, p.

109). Gli altri servi avvertono Toundi del pericolo che corre adottando un simile comportamento, il boy dovrebbe guardare senza giudicare come gli suggerisce Baklu: «Les affaires sont comme elles sont […] Si je parle, c’est parce que j’ai une bouche. Si je vois, c’est parce que j’ai des yeux. L’œil va plus loin et plus vite que la bouche, rien ne l’arrête dans son voyage…»

(VB, p. 95). Ma Toundi, avendo raggiunto quella conoscenza approfondita del mondo dei colonizzatori che è propria dello stregone, non gli dà ascolto e utilizza lo sguardo per mettere in soggezione i Bianchi. Da questo momento in poi il suo sguardo si fa consapevole e quindi pericoloso per il comandante e la moglie che non riescono più sostenerlo. In particolar modo Madame non riesce più a dominare il boy visivamente non appena quest’ultimo diventa l’intermediario della relazione adultera: «Elle guettait

15 Vedi VB, p. 44.

16 A. FLANNIGAN, The eye of the witch, non-verbal communication and the exercice of power in «Une vie de boy», in «The French Review» 61, 1982/83, pp. 51-63, qui p. 57.

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XXXIX

mon retour en faisant semblant de s’occuper des fleurs. Elle vint au devant de moi puis son sourire se figea. Elle devint toute rouge. Elle essaya sans succès de soutenir mon regard» (VB, p. 118). Madame concede a Toundi una posizione gerarchica dominante, adottando anche un finto tono gentile quando lo inizia a chiamare «Monsieur». La situazione precipita quando Toundi scopre i preservativi, segno tangibile del tradimento di Madame. Da quel momento in poi lo sguardo della padrona si farà sempre più sfuggente perché è consapevole di essere stata messa a nudo dal suo boy.

La posizione di Toundi si aggrava ulteriormente quando decide di assistere all’incontro tra Madame e il comandante, ora consapevole del tradimento: «Je m’éternisai au salon, auprès de ce réfrigérateur qui était mon vieux prétexte» (VB, p. 147). Assistere all’umiliazione del comandante e alla vergogna di Madame è la più grave trasgressione di Toundi. La sua conoscenza, troppo elevata, sancisce la sua condanna. Come spiega Kalisia, Toundi è come l’occhio dello stregone che sa tutto, inoltre è il rappresentante dei Neri e quindi di una comunità intera con cui si suppone condivida i segreti dei Bianchi. Ma la cosa peggiore è che la trasgressione di Toundi è così grande che i Bianchi non la potranno dimenticare facilmente, come spiega Kalisia al boy:

puisque tu connais toutes leurs affaires, ils ne pourront jamais oublier tout à fait tant que tu seras là. Et ça il ne te le pardonneront pas. […] Pour eux c’est toi qui as tout raconté, et malgré eux ils se sentent jugés par toi… Ils ne peuvent admettre ça… (VB, pp. 152-153)

Nonostante ciò Toundi decide di rimanere alla Residenza, pagandone la

decisione a caro prezzo: il comandante ricomincia a trattarlo con violenza in

quanto è l’unico modo per ristabilire la sua posizione dominante nella loro

gerarchia, dopo che il boy ha osato spingersi troppo oltre con lo sguardo. In

(18)

XL

seguito il comandante non ci penserà due volte a consegnare il boy a Gola- d’uccello che lo accusa di essere complice della fuga di Sophie. All’interno della prigione non c’è più spazio né per il dialogo, né per il contatto visivo, la gerarchia è riaffermata unicamente con l’inasprimento delle pene corporali a cui il giovane è sottoposto.

2.6. Tempo e forma

In Une vie de boy i tempi verbali più ricorrenti sono il passato remoto, l’imperfetto, il passato prossimo, il presente e il futuro. Se gran parte del romanzo è occupata dal racconto e quindi dall’avanzamento dell’azione, alcune parti sono dominate dal discorso del narratore, ovvero dai suoi pensieri e giudizi che emergono in primo piano. Ogni tempo verbale riveste pertanto uno statuto particolare all’interno di un romanzo: o concorre all’avanzamento del racconto, o a dar voce al discorso del protagonista

17

.

Il passato remoto e l’imperfetto sono utilizzati come tempi della narrazione: infatti presentano un evento come concluso nel passato.

L’utilizzo del passato prossimo racconta sì un avvenimento concluso, ma recente o comunque ancora vivo nella memoria del narratore. Tuttavia il passato prossimo può anche introdurre i pensieri del narratore anziché far avanzare la narrazione. Assieme al presente e al futuro, il passato prossimo permette al discorso di inserirsi nel racconto. L’opposizione racconto/discorso appare chiara analizzando il brano in cui Toundi scopre che il comandante è incirconciso:

17 K. BRITWUM, Temps et fiction dans «Une vie de boy» de Oyono, in «Présence francophone» 21, (automne 1980), pp. 47-52, qui p. 47.

(19)

XLI

Il m’envoya chercher un flacon […] Je revins quelques instants plus tard et frappai à la porte. Le commandant m’ordonna d’entrer. Il était nu sous la douche […] Non, c’est impossible, me disais-je, j’ai mal vu. Un grand chef comme le commandant ne peut pas être incirconcis! (VB, pp. 44-45).

All’inizio le azioni di Toundi sono scandite dal passato remoto che fa avanzare la narrazione. Successivamente il narratore dà sfogo ai suoi pensieri in una sorta di monologo interiore che, servendosi del presente e del passato prossimo, assume la forma del discorso. Il passaggio dal racconto al discorso crea l’illusione nel lettore dell’immediatezza della cosa narrata

18

. Quando utilizza i tempi del racconto, Toundi assomiglia di più a un narratore-testimone che si colloca a una certa distanza dall’evento narrato, quando adopera i tempi del discorso Toundi si esprime come un narratore-attivo che giudica gli eventi.

Nella cornice narrativa, sebbene prevalga il racconto, è possibile sentire in un paio di punti la voce narrante emergere. Nell’ascoltare il messaggio del tam-tam, il narratore, servendosi dell’imperfetto commenta: «Le sort de cet homme qui ne m’était rien, que je ne connaissais pas, provoqua dans mon esprit un véritable désarroi. Ce message d’agonie qui, au Cameroun, n’eut provoqué en moi qu’un semblant d’émotion — cette pitié lointaine que l’on ressent à l’agonie des autres — m’assommait sur cette terre espagnole» (VB, p. 13). Dal passo si evince non solo lo sviluppo dell’azione ma soprattutto la reazione emotiva del narratore. Questi prende nuovamente la parola alla fine della cornice quando afferma la propria strategia traduttiva: «Je me suis efforcé d’en rendre la richesse sans trahir le récit dans la traduction que j’en fis et qu’on va lire» (VB, p. 14). In tal caso il discorso si serve del passato prossimo per ridurre lo scarto temporale tra

18 Ibidem, qui p. 49.

(20)

XLII

tempo reale e tempo della narrazione e per connotare come ancora viva nella mente del narratore l’esperienza della traduzione. È bene sottolineare che utilizzando il pronome indefinito ‘on’ seguito dal predicato verbale ‘va lire’ il narratore abbandona la propria funzione per divenire anche lui lettore dell’opera.

Nel diario è possibile anche individuare dei segmenti in cui lo scarto temporale tra tempo della scrittura e quello della narrazione quasi si annulla. Per esempio al momento dell’arresto di Toundi: «On m’a arrêté ce matin. J’écris ces lignes, les fesses meurtries dans la case du chef des gardes qui doit me présenter à M. Moreau dès qu’il sera revenu de la tournée» (VB, p. 158, sottolineatura mia), e anche durante la prima passeggiata con Madame : «Elle s’accroupissait devant chaque fleur et en respirait profondément le parfum. J’étais de l’autre côté du carré en face d’elle. Elle avait oublié ma présence. En écrivant ces mots, je me sens encore […] malheureux» (VB, p. 75, sottolineatura mia). Il momento vissuto è quasi coincidente col momento della scrittura. Le sensazioni provate in questi due passaggi da Toundi, grazie alla coincidenza temporale, prendono nuovamente vita nella memoria del narratore-scrittore.

In generale Toundi gioca un doppio ruolo: è al tempo stesso l’autore del

diario e il narratore del racconto. Nella dimensione privata del diario,

Toundi oltre a essere il narratore è l’interlocutore a cui il proprio ‘monologo

interiore’ si rivolge. Nel racconto, con l’utilizzo del passato remoto e degli

altri tempi della narrazione, Toundi si sdoppia: è al tempo stesso il narratore

che prende distanza dagli eventi narrati e il loro protagonista. Tale scarto

temporale è funzionale per trasformare il progetto di Toundi di redigere un

diario, in quello di scrivere un racconto. Naturalmente dietro questa

(21)

XLIII

finzione narrativa si cela l’autore, il quale utilizza il diario come un artificio per rendere verosimile il racconto.

2.7. Lingua scritta ereditiera della tradizione orale

Nella narrazione Oyono adotta uno stile basso. La lingua impiegata è semplice così come l’andamento sintattico. In generale prevale la paratassi e le proposizioni sono solitamente brevi. Nella cornice il registro linguistico è medio, si registra un abbassamento per lo più negli interventi dei personaggi. Nel diario invece il registro linguistico è basso-colloquiale, numerosi sono i termini e i modi di dire che derivano dalla lingua familiare.

Il lessico è ricco di parole che rinviano a significati concreti più che a concetti astratti.

È possibile tuttavia individuare nel passaggio che presenta il primo incontro tra Madame e il boy un’importante variazione di registro

19

. Dall’annotare semplicemente gli avvenimenti esterni, Toundi passa a dar voce alla sua interiorità. Nel descrivere i sentimenti per Madame si serve di un registro romantico-cortese. Sebbene la sintassi si mantenga paratattica, le proposizioni si arricchiscono di parallelismi, anafore e paragoni che ne innalzano il tono. Il lessico accoglie termini astratti tanto che Toundi si trasfigura nel poeta che canta l’amore per la donna, ma teme l’inadeguatezza del proprio canto. La metamorfosi della donna che è presente nella poesia cortese è qui riscritta in chiave esotica e crea immagini molto suggestive. La donna si metamorfizza agli occhi di Toundi- poeta con gli elementi della natura africana: capelli color ebano, occhi da

19 Vedi VB, p. 74.

(22)

XLIV

antilope, pelle color avorio, sorriso rinfrescante come una sorgente e sguardo tiepido come un raggio di sole al tramonto.

Un altro cambiamento significativo di stile si avverte nella narrazione delle visite ricevute durante il secondo giorno di carcere di Toundi

20

. Le proposizioni si fanno sempre più brevi, si susseguono in alcuni punti frasi nominali, frasi che presentano ellissi di articoli e addirittura alcune costituite solo da una parola. Il lessico si fa progressivamente più crudo in concomitanza con la descrizione delle sofferenze fisiche di Toundi, sottoposto a violenze e a lavori forzati.

Un ultimo mutamento di stile è presente durante un momento di delirio di Toundi

21

. Il lessico si fa astratto, visionario e la sintassi diventa meno spezzettata, le frasi si allungano e compaiono molti puntini di sospensione.

Analizzando la lingua di Une vie de boy non si può non parlare di plurilinguismo. Infatti il romanzo si configura come crocevia di culture ma anche di lingue. Sebbene sia scritto in gran parte in francese tuttavia sono presenti espressioni in spagnolo, in ewondo e in petit nègre. Il francese svolge il ruolo di lingua franca tra i camerunensi e gli spagnoli o i colonizzatori. Il petit nègre è usato dagli indigeni per comunicare in un francese approssimativo con i colonizzatori: «Y en a vérité, Sep» (VB, p.

39), «Movié! […] Zeuil-de-Panthère cogner comme Gosier-d’Oiseau! Lui donner moi coup de pied qui en a fait comme soufat’soud’… Zeuil y en a pas rire» (VB, p. 40). Si rivela essere però un’arma a doppio taglio perché alle volte il petit nègre è usato dai francesi non solo per farsi capire meglio dagli africani ma soprattutto per scimmiottare la loro parlata come fa Gola-

20 Vedi VB, pp. 174-176.

21 Vedi VB, p. 182.

(23)

XLV

d’Uccello «Mon z’ami» (VB, p. 77). La presenza di espressioni in ewondo e spagnolo fa emergere la ricchezza degli elementi culturali nel testo.

La lingua di Une vie de boy è pregna di elementi provenienti dalla sfera dell’oralità. Questo testimonia il radicamento della letteratura scritta nella tradizione orale e soprattutto indica che il primo pubblico a cui i romanzieri si rivolgono è quello africano, l’unico che individua e decodifica immediatamente e correttamente tutti i referenti culturali del mondo africano

22

. L’immissione di tali elementi nel testo ha anche la funzione (come la cornice al racconto) di creare l’effetto di realtà della narrazione.

Une vie de boy fa propria una serie di modelli letterari tradizionali: miti, leggende, racconti, canzoni, proverbi. Nelle prime pagine il narratore fa riferimento ai racconti della foresta e alle avventure della tartaruga e dell’elefante che sono i cicli in cui si raggruppano i racconti orali

23

.

Inoltre sono presenti le trascrizioni di tre canzoni: il messaggio quotidiano suonato da Ondua

24

col tam-tam, lo sproloquio di Akoma, re dei Sos

25

, e il motivetto religioso che ricorda Toundi

26

. La particolarità di queste trascrizioni è che, pur essendo ben inserite nel corpo della narrazione e funzionali a mettere in evidenza alcuni aspetti della società africana, spiccano sulla pagina, perché riportate in corsivo. Tale procedimento di messa in evidenza tipografica di segmenti narrativi è frequente nei testi africani. Se da una parte viene applicata a trascrizioni orali, dall’altra evidenzia i luoghi del testo in cui la voce del narratore emerge e con essa la sua soggettività: in Une vie de boy è il caso del prologo con cui si apre il

22 N.-A. KAZI-TANI, Roman africain de langue française au carrefour de l’écrit et de l’oral (Afrique noire et Maghreb), L’Harmattan, Paris 1995, pp.41-42.

23 Vedi VB, p. 8.

24 Ibidem, p. 47.

25 Ibidem, p. 55.

26 Ibidem, p. 122.

(24)

XLVI

romanzo, in esso non solo vengono narrati una serie di eventi, ma il narratore-personaggio li commenta, così come avrebbero fatto un conteur o un griot durante una performance

27

.

Infine la lingua di Une vie de boy è ricca di massime e proverbi che servono a demistificare l’etnocentrismo europeo portato dalla colonizzazione. I personaggi utilizzano i proverbi per mettere in guardia velatamente gli altri personaggi, per esempio: «Depuis quand le pot de terre se frotte-t-il contre les gourdins» (VB, p. 98), pronunciato da Baklu e rivolto a Toundi, oppure: «Hors de son trou, la souris ne défie pas le chat» (VB, p.

132) pronunciato dal cuoco e rivolto sempre a Toundi. Altri proverbi invece servono per esprimere considerazioni di portata generale, per esempio: «Le chien peut-il crever de faim à côté de la viande de son maître! On n’enterre pas le bouc jusqu’au cornes, on l’enterre tout entier…» (VB, p. 67) sono pronunciati da Sophie per criticare il comportamento dell’amante bianco, o

«Le rivière ne remonte pas à sa source» (VB, p. 88) serve a Toundi per spiegare a Madame che ormai è e rimane cristiano.

2.8. Stile ironico

Lungo tutto il romanzo Oyono utilizza il linguaggio per creare uno stile ironico grazie al quale smontare gli stereotipi che i Bianchi applicano al mondo africano, stereotipi concepiti per dare fondamento all’esistenza delle razze e alla legittimità dello sfruttamento dei Neri. Per Oyono le relazioni all’interno del sistema coloniale sono governate da cliché: caricature imposte all’altro, che distorcono la percezione dell’altro privandolo della

27 N.-A. KAZI-TANI, cit., pp. 62-63.

(25)

XLVII

propria umanità e individualità

28

. L’ironia verbale consiste nell’affermare una cosa ma intendendo l’opposto. Tale tecnica presuppone la capacità del lettore di afferrare lo scarto tra quanto è detto superficialmente e quanto è sottinteso. In particolare Oyono si serve dell’ironia che deriva dal dislivello in cui si collocano narratore-protagonista e lettore. Il narratore-protagonista che ha uno sguardo e una coscienza ingenua coglie solo il livello superficiale dei discorsi e degli eventi della vita quotidiana, mentre il lettore, dotato di uno sguardo critico, riesce a concepire il senso profondo di tutto. Inoltre essendo già a conoscenza della fine tragica del protagonista ne vede chiaramente tutti i passi falsi che lo condurranno lentamente alla morte.

Nelle prime pagine del romanzo Toundi accetta il ruolo che gli è stato dato dai Bianchi: Padre Gilbert lo tratta come un animaletto domestico, come suo capolavoro perché è riuscito a istruirlo ed educarlo a dovere. Il comandante lo vede solo attraverso il mestiere di boy, come fa del resto anche con gli altri indigeni. È Baklu che chiarisce a Toundi tale posizione:

«Quand comprendras-tu donc que, pour le Blanc, tu ne vis que par ses services et non par autre chose! Moi, je suis le cuisinier. Le Blanc ne me voit que grâce à son estomac…» (VB, pp.131-132).

In generale i Bianchi vedono i Neri attraverso stereotipi: l’africano è considerato un selvaggio sporco, puzzolente; è incapace di sfruttare la natura per le proprie esigenze; è incapace di percepire tempo e spazio in maniera pragmatica; è associato a una grande libertà sessuale. I Neri pertanto sono come intrappolati nella visione che gli altri hanno di loro, così come avviene nella filosofia di Sartre.

28 G. H. STORZER, Narratives Techniques and Social Realities in Oyono’s «Une vie de boy» and «Le vieux nègre et la médaille», in «Critique Studies in Modern Fiction» 19, 3, (1977), pp. 89-102, qui p. 90.

(26)

XLVIII

Nel secondo quaderno lo sguardo di Toundi si fa cosciente e demistifica uno per uno tutti gli stereotipi imposti a lui e ai suoi simili. Per esempio il cibo che nella visione occidentale e religiosa dovrebbe essere elemento di unione, assume una funzione inversa

29

. La comunione anziché essere momento di riconciliazione tra Dio e i credenti mette in evidenza la segregazione razziale che vige in chiesa in cui «Les Blancs ont leur Sainte Table à part» (VB, p. 23) e la natura ipocrita dei missionari che predicano l’amore per il prossimo ma lo trattano male. Stesso trattamento riceve Toundi che, una volta accolto da padre Gilbert, riceve da mangiare solo i resti del pasto del missionario: «Il me donna les restes de son repas qui me parut étrange et délicieux» (VB, p. 21).

Oyono si serve nuovamente del cibo per rovesciare un altro cliché occidentale quello per cui il selvaggio è considerato ghiotto di banane

30

. Nel romanzo l’unico personaggio che prova piacere a mangiare banane è Gola-d’Uccello, infatti durante la prima perquisizione Toundi racconta:

Il [Gola-d’Uccello] dit à l’un de ses hommes de retourner le tas de régimes. Il cueillit un fruit et l’avala goulument […] Il cueillit une autre banane et commença à la manger. […] Au cours de sa rafle d’hier soir, Gosier-d’Oiseau n’a eu personne. Il a mangé des bananes… (VB, pp. 38-40).

Quando Gola-d’Uccello torna nella capanna della sorella di Toundi per una seconda perquisizione, questa ammonisce lui e i suoi uomini e li mette in ridicolo dicendo: «Qu’ils ne mangent pas mes bananes! […] Que Gosier- d’Oiseau ne mange pas mes bananes!», esclamazioni che scatenano una risata generale tra gli indigeni che assistono alla scena. Non solo Gola-

29 H. L. HARRISON, Myths and metaphors and food in Oyono’s «Une vie de boy», in

«The French Review» 74, (2000/2001), pp. 924-933, qui p. 926.

30 Ibidem, qui p. 927.

(27)

XLIX

d’Uccello è colpevole di furto proprio mentre è in servizio, ma viene intrappolato nel cliché occidentale del nero mangiatore di banane che si rivela essere più appropriato a lui che agli africani.

Allo stesso modo Oyono rovescia il luogo comune della libertà sessuale dei Neri. Nel romanzo sono di gran lunga i Bianchi ad essere ossessionati col sesso. Mme Decazy è adultera, sebbene la religione e la società occidentale rigetti le relazioni extraconiugali. L’ingegnere agricolo ha un’amante nera Sophie. La relazione amorosa tra i due sfocia nella disumanizzazione della donna, vista solo come oggetto su cui si concentrano gli appetiti sessuali dell’ingegnere e non i suoi sentimenti.

Sophie racconta a Toundi: «Mon bon ami a commencé à m’appeler par les noms des choses à manger. Ça, c’est son habitude quand il veut manger la bouche ou quand il gémit en faisant la chose, il m’appelle ‹mon chou›,

‹mon chevreau›, ‹ma poule›… » (VB, p. 68). Inoltre l’ingegnere agricolo è geloso di Sophie che custodisce come fosse un oggetto. Naturalmente la società occidentale non ammette di avere un’amante, che l’ingegnere per nascondere, fa passare per cuoca. La sessualità diviene un gioco tra due marionette incapaci di relazionarsi l’un l’altra se non a livello di oggetti

31

. È chiaro che sono di gran lunga i Bianchi a concedersi delle libertà in campo sessuale, sebbene vogliano apparire puritani.

È interessante notare non solo l’evoluzione di Toundi verso uno stato di maggiore coscienza di sé, ma soprattutto il fatto che molti personaggi già possiedono uno stato di consapevolezza della realtà sin dall’inizio. Grazie ad essa i Neri riescono a guardare con ironia ai Bianchi. Possiedono infatti quella visione da prospettive diverse che sta alla base del concetto dell’ironia e che dà il via alla riflessione sul reale. In presenza dei Bianchi, i

31 G. H. STORZER, cit., qui p. 93.

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L

Neri fanno finta di accettare i cliché occidentali, mentre internamente continuano a conservare una specifica identità personale. Tale posizione privilegiata è dovuta alla conoscenza di due codici linguistici e comportamentali: il proprio e quello dei Bianchi. Un chiaro esempio è il personaggio di Ondua, il suonatore di tam-tam. Da una parte fa finta di svolgere il lavoro per cui i Bianchi l’hanno voluto con loro: richiamare al lavoro gli operai, ma dall’altra trasmette messaggi rivoluzionari agli indigeni. Anche l’affibbiare nomignoli ai Bianchi deriva dallo sguardo ironico che i Neri proiettano su di loro. Se i Bianchi disumanizzano e riducono i Neri a oggetti, anche questi ultimi fanno lo stesso: il commissario di polizia è chiamato Gola-d’Uccello per il suo collo simile a quello delle bufaghe, mentre M. Moreau è definito elefante bianco per la propria corporatura.

Attraverso tale procedimento Oyono vuole mettere in evidenza

l’infondatezza dell’intero processo di assimilazione dei Neri alla vita dei

Bianchi. Tuttavia Oyono non intende idealizzare i comportamenti dei

camerunensi: il padre di Toundi è un tiranno, e Sophie sfrutta la relazione

con l’ingegnere agricolo solo per arricchirsi; al contrario l’autore incita i

propri connazionali a guardare in maniera più critica anche se stessi.

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