PARTE IV: EMILIA
CAPITOLO 1: I SEMIRUTARUM URBIUM CADAVERA
Le città dell’Emilia sono state protagoniste di un lungo dibattito che ha riguardato la loro presunta morte. La nota epistola di Ambrogio a Faustino
1, come abbiamo già avuto occasione di notare
2, fa riferimento ai centri collocati lungo la via Emilia e li definisce cadavera. Tale immagine è stata interpretata in modi diversi ed è stata oggetto di molti studi. Ad esempio si può notare che la Cracco Ruggini ha dedicato un certo spazio delle sue ricerche a tale argomento. Già in Economia e Società dell’Italia Annonaria, viene preso in considerazione il rapporto che può esistere tra il contenuto dell’epistola e la situazione storica del periodo 388-394, ovvero del lasso di tempo in cui la lettera può essere stata scritta. La storica, dunque, lega la decadenza di queste città ai numerosi stanziamenti barbarici presenti nella regione
3. Addirittura individua nell’Emilia l’epicentro di una crisi più ampia che investe in questo periodo tutta l’Italia Annonaria: le testimonianze archeologiche attestano per la seconda metà del IVsecolo la distruzione di parecchi impianti agricoli posti sulla via consolare. L’Emilia, sottolinea poi la storica, risente maggiormente della crisi, perché è bisognosa di continue cure e bonifiche: venute meno queste crolla tutto
4.
Le città cispadane colpite dalla crisi si riprendono, comunque, abbastanza rapidamente:
alcuni studiosi pensano che la crisi sia da collegare alla discesa di Massimo e di Eugenio, cioè a eventi molto precisi, ben diversi da una decadenza generale. Nell’Emilia assistiamo alla costruzione di difese e ad opere di abbellimento: le città morte non sono più tali
5. In un secondo momento la Cracco Ruggini riprende l’analisi dell’epistola ambrosiana e, sulla scia delle argomentazioni precedenti, sottolinea il fatto che la resurrezione di alcune città emiliane è caratterizzata dal prevalere della dimensione militare: gli antichi centri diventano roccaforti e castella
6. Tale considerazione porta, quindi, a successive riflessioni:
una città che viene trasformata in un oppidum difensivo ha perso la sua dimensione urbana. Di conseguenza, la storica ipotizza che la particolare enfasi data da Ambrogio alla sua descrizione sia condizionata da tale mentalità, per la quale è morta una realtà, che, per gli scavi più recenti, è ancora vivace. Infine la Cracco Ruggini ritiene che la stessa epistola
1 AMBR., Ep. 39.
2 Si veda il capitolo due della prima parte.
3 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 61.
4 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 65.
5 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 75-76.
6 CRACCO RUGGINI, 1977, pp. 454-457.
vada, poi, presa con le dovute cautele: si tratta di un testo letterario che si rifà a modelli antichi ed è caratterizzato dalla pateticità tipica della consolatio
7.
CAPITOLO 2: RIMINI
Rimini è la prima città che sorge sulla via Emilia. Per quanto riguarda l’epoca tarda, possiamo notare, in primo luogo, la costruzione di una nuova cerchia muraria datata all’epoca di Aureliano
8: nella parte occidentale e meridionale il perimetro tardo coincide con il precedente, mentre a Nord e Est si verifica, invece, un ampliamento e vengono inglobati, all’interno della città, il porto con il quartiere circostante e l’anfiteatro, che diviene parte integrante delle nuove mura. L’esigenza di annettere tale struttura alla città ha diverse motivazioni: da una parte, possiamo pensare che tale elemento sia ancora funzionante e che vada dunque preservato; dall’altra, si deve considerare che tale scelta è militarmente strategica: si rafforzano le mura e, soprattutto, si toglie al nemico la possibilità di trasformare l’anfiteatro in un comodo fortilizio da utilizzare contro gli assediati. Una volta esauritasi la funzione ludica, infatti, la struttura viene saltuariamente utilizzata per scopi difensivi, come testimoniano i rifacimenti delle pareti esterne
9.
Rimini presenta, in questo periodo, una vivace attività edilizia: sono stati rinvenuti diversi complessi residenziali di lusso: un edificio con piscina presso l’attuale palazzo Gioia; una domus con peristilio sotto l’ex-vescovato e, presso l’arco di Augusto, un’ampia abitazione caratterizzata da nicchie ed absidi. Il lusso di tali edifici è garantito dal ritrovamento di raffinati tappeti musivi: il mosaico con scene nilotiche di via Bandiera ne è un esempio eccezionale
10. Si deve, del tutto, escludere l’ipotesi che interpreta tali ritrovamenti come complessi termali: si tratta, molto più probabilmente degli ambienti di rappresentanza delle dimore appartenenti agli alti funzionari che dimorano in città. Rimini, infatti, è occasionalmente sede del consularis della Flaminia et Picenum, come è testimoniato anche da Simmaco
11. Lo stesso senatore, poi, passa frequentamente da questa città: nei suoi frequenti viaggi a Milano percorre la Flaminia e poi l’Emilia, quindi si trova spesso a Rimini. Simmaco, poi, in un’altra epistola
12, assicura la presenza di contingenti stanziati in questo centro: non a caso chiede al governatore di esonerare la casa di un amico dal gravoso obbligo di alloggiamento dei soldati. Da tali testimonianze, emerge l’immagine di
7 CRACCO RUGGINI, 1983, pp. 64-68.
8 Forse da collegare con gli Alemanni: il carattere tumultuario delle mura farebbe pensare ad un’edificazione rapida dettata da un imminente pericolo.
9 CAPOFERRO CENCETTI, 1994, p. 305.
10 REBECCHI, 1993 B, pp. 212-214.
11 SYMM., Libro IX, Ep. 120.
12 SYMM., Libro IX, Ep. 48.
una città molto frequentata da militari, burocrati e viaggiatori, che, se da una parte creano disagio, portano anche quel benessere testimoniato dai ritrovamenti archeologici. Nello stesso tempo, però, si possono registrare anche fenomeni di degrado e abbandono come nel caso dell’area del porto, probabilmente già in fase di interramento.
Circa la topografia cristiana di Rimini, si può senz’altro notare che la tradizione riferisce di vescovi già nel III secolo. Di certo la città adriatica è un centro di una certa importanza da questo punto di vista, se nel 359 viene qui organizzato un concilio per discutere dell’eresia ariana. Per quanto riguarda le chiese paleocristiane, possiamo fare riferimento soltanto a tradizioni letterarie, purtroppo, molto successive. Una leggenda, ad esempio, tramanda che il primo vescovo, Stemnio, costruisca la chiesa di S. Colomba sul tempio di Ercole, già nel 313. Ancora, è giunta notizia che il vescovo Gaudenzio, morto nel 360, edifichi tre chiese fuori e dentro le mura e provveda alla distruzione del tempio di Marte nel foro. Infine, la più antica chiesa è, sempre secondo le notizie successive, la così detta Confessione dei Martiri
13.
CAPITOLO 3: CESENA
Proseguendo il percorso della via Emilia si può trovare Cesena
14. Secondo gli studi della Cracco Ruggini, tale città si trova, a metà del IV secolo, in una situazione abbastanza negativa, perché, è particolarmente oppressa dalle richieste fiscali. Tutta l’Emilia fino al 346 deve fornire vino fiscale all’annona vinaria romana: a partire da questo anno, una costituzione di Costante andata perduta permette a tutti i proprietari della regione di aderare tale tassa, con l’eccezione della città di Cesena che deve continuare a fornire all’erario vino in natura. Nel 354, poi, viene emanata una nuova costituzione
15mirata a regolare i prezzi di aderazione stabiliti da quella precedente e Cesena continua, così, ad essere l’unica città a non godere di tale vantaggio. L’onere ricade proprio su questo centro per delle ragioni di comodità: esso si trova piuttosto vicino al limite settentrionale della Flaminia ed è così ben collegato con Roma e in questo modo i proprietari che forniscono vino sono, da un certo punto di vista, agevolati, visto che le spese di trasporto sono a loro carico. Bisogna, poi, dire che nei secoli passati il mercato vinario dell’Urbe ha sempre attinto alle vigne dell’Emilia: la situazione ora è, però, molto diversa, visto che non si è in presenza di un libero mercato ma di forniture gratuite o semigratuite. Di conseguenza il commercio che un tempo aveva favorito queste zone, si dimostra ora un terribile peso, che
13 BUCCHI, , pp. 26-29.
14 MANSUELLI, 1949.
15 C. Th. XI, 1, 6.
si somma all’annona destinata all’esercito. Si assiste così all’abbandono delle vigne: tale coltivazione è talmente controproducente che risulta più remunerativo rinunciarvi del tutto. Dunque la situazione di Cesena è tutt’altro che positiva: la stessa curia perde molti dei suoi membri e lo Stato cerca di intervenire; non a caso la costituzione citata prima, presenta misure volte a rinsanguarne l’ordo
16.
Rebecchi, invece, sostiene che i lacerti musivi rinvenuti non lontano dalla via Emilia attestano la presenza di domus ricche, anche per questo periodo, che quindi apparirebbe tutt’altro che travagliato
17.
Nei pressi di Forlì, l’antica Forum Livii, sono state, poi, individuate le decorazioni musive di un ampio palazzo tardoantico, databile, però, al V secolo
18.
CAPITOLO 4: IMOLA
Forum Cornelii, l’attuale Imola
19, risulta caratterizzata da una forma di insediamento particolarmente sparso rispetto al centro citadino: da una parte abbiamo un campagna costellata di villae produttive e residenziali, dall’altra un centro direzionale provvisto quasi unicamente di edifici pubblici ai quali si aggiungono alcune vaste domus ad un solo piano. Totalmente assenti sono, poi, i quartieri a destinazione artigianale, poiché tali attività si svolgono nelle villae. Questa fisionomia, molto probabilmente, si conserva anche durante la tarda antichità.
Tale conformazione influenza anche la diffusione del cristianesimo, che si sviluppa fuori dalle mura, presso la memoria dedicata a S. Cassiano. La storia di tale santo è narrata da Prudenzio
20che ne ricorda il martirio e il luogo di sepoltura, presso il quale sorge il monumento visitato dallo stesso poeta. La memoria si trova in un luogo detto Castrum Sancti Cassiani, tra Bologna e Imola; qui riposeranno i resti del martitre fino al 1187, quando verranno trasportati a Imola
21.
Poco lontano, la città di Quaterna
22, l’antica Claterna, mostra, già nel IV secolo, una forte decadenza
23; dal punto di vista religioso, però, pare più importante della vicina Imola: da
16 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 44-56.
17 REBECCHI, 1993 B, p. 214.
18 REBECCHI, 1993 B, p. 214.
19 MANSUELLI, 1949.
20 PRUD., Pe IX, 1. Passio Cassiani Forocorneliensis. Unica tra le 7 passiones che cita la città del martire: Sylla Forum statuit Cornelius; hoc Itali urbem vocant ab ipso conditoris nomine.
21 LIZZI, 1989, pp. 43-46.
22 REBECCHI, 1993 B, p. 215.
23 REBECCHI, 1993 B, p. 214.
Ambrogio
24sappiamo che Forum Cornelii viene affidata alle cure di Costanzo, vescovo di una città vicina che va probabilmente identificata con Quaterna
25.
CAPITOLO 5: MODENA
Nella Tabula Peutingeriana la città di Modena
26è segnalata da una doppia torre: tale simbolo individua i nodi stradali più significativi. Dunque, è facile capire il significato strategico che tale centro può avere anche a livello militare: non a caso Massenzio schiera qui le sue truppe con l’intento di arrestare l’avanzata di Costantino. Dopo la caduta di Verona, però, Modena e tutte le altre città massenziane passano con Costantino. A tale imperatore va forse attribuito il restauro della città, ma non il sistema murario, che è precedente e risale al 259.
La posizione dominante sulla rete viaria continua a caratterizzare Modena per tutto il IV secolo: da una parte si può pensare al ritrovamento, intorno a questa città, di ben nove miliari, che testimoniano una continua e attenta manutenzione delle strade; dall’altra si devono considerare i gruppi di Taifali stanziati in questa zona dal 377
27.
La città presenta allo stesso tempo un certo spopolamento rurale e una buona vivacità urbana, ben testimoniata dalla presenza di un’industria tessile e ceramica ancora fiorente nel IV secolo.
Per quanto, invece, riguarda la forma urbis, i dati a nostra disposizione sono piuttosto scarsi, poiché la città romana giace a cinque metri di profondità sotto uno spesso strato alluvionale; inoltre gli edifici antichi sono stati spogliati nel medioevo e già nel basso impero: in costruzioni medievali sono stati rinvenuti elementi addirittura già reimpiegati nel tardoantico. Alcune statue marmoree di imperatori tardi e tratti di strade basolate sono stati, comunque, ritrovati nei pressi dell’ipotetico foro. Nella parte Nord della città è stato, poi, scoperto un lacerto musivo che potrebbe essere interpretato come cristiano: da qui l’ipotesi di una primitiva cattedrale intramuraria, poi sostituita da S. Gimignano, al tempo dell’abbandono del quartiere settentrionale
28.
Per quanto riguarda l’aspetto cristiano della città, bisogna, poi, considerare che già nel IV secolo si sviluppa un modesto sacello sulla tomba di S. Gimignano. Secondo Picard
29, si
24 AMBR., Ep. 36, 27.
25 Potrebbe trattarsi anche del vescovo di Bologna, ma Claterna appare più vicina a Imola.
26 REBECCHI, 1986.
27 AMM. MARC. 31, 9, 4.
28 REBECCHI, 1993 B, p. 222.
29 PICARD, 1988, p. 344.
potrebbe ipotizzare una situazione diversa, ovvero la sepoltura del santo all’interno della città e quindi una precoce presenza di reliquie nel contesto urbano.
Bisogna, poi, notare che l’aristocrazia senatoria di Roma crea molti legami con la città di Modena: importanti personaggi si imparentano con le importanti famiglie modenesi, i cui capitali appaiono, dunque, appetibili. Dopo la metà del IV secolo, durante la nota crisi dell’Emilia interna, tali interessi si spostano verso Ravenna, la futura capitale e vengono meno i legami tra senatori dell’Urbe e la città di Modena, come è attestato dalla scomparsa di epigrafi che testimoniano tali parentele
30.
CAPITOLO 6: PARMA
Il reticolo urbano della città di Parma è molto più conosciuto di quello di Modena; il foro è stato individuato, come anche un ponte sul torrente che dà nome alla città; nei sotterranei del Teatro Regio, poi, sono ancora visibili i resti delle mura tardoantiche
31. Mi pare piuttosto interessante considerare i due principali edifici di divertimento della città: il teatro e l’anfiteatro. Entrambi sorgono all’esterno della cinta muraria, ma in posizione diversa rispetto al centro abitato: tale fattore è particolarmente importante, perché segnerà il destino dei due impianti. Da una parte, il teatro si trova a Sud, piuttosto vicino alla città:
tale condizione permette agli abitanti di Parma di trasformarlo in un’agevole cava per materiali di ogni sorta, col risultato che il monumento viene completamente smantellato
32. Dall’altra parte, invece, possiamo osservare la diversa situazione dell’anfiteatro; tale struttura si erge a Est, in posizione periferica, poco a Sud della via Emilia, ed è piuttosto lontana dal centro urbano: tale collocazione si dimostra interessante, giacché la distanza eccessiva rende molto scomodo il trasporto di materiali dall’anfiteatro alla città, che, d’altronde potrebbe, nel tempo, diventare più lontana a causa della contrazione dell’agglomerato. Oltretutto, è possibile che tra le mura e l’anfiteatro si trovi un sepolcreto che creerebbe così un ulteriore filtro tra i due elementi. Di conseguenza tale struttura si salva e trova nuovi utilizzi: ai tempi delle guerre gotiche verrà utilizzata per un’azione militare, sotto i Longobardi diventerà un fortilizio e sarà trasformata in residenza imperiale da Barbarossa tra il 1158 e il 1162
33.
CAPITOLO 7: RAVENNA
30 Si pensi ad esempio a CIL IX, 831.
31 REBECCHI, 1993 B, p. 223.
32 CAPOFERRO CENCETTI, 1994, p. 324.
33 CAPOFERRO CENCETTI, 1994, pp. 323-325.
Ravenna vivrà il suo massimo splendore dal V secolo in poi, quando diventerà la capitale prima dell’impero d’occidente, poi del regno gotico e infine dell’esarcato. Tale importanza, però, affonda le sue radici nel IV, nei decenni in cui Ravenna assume un ruolo di tipo ideologico e politico in favore di Roma. Il legame tra le due città è piuttosto forte, basti pensare alla leggenda che vuole Ravenna fondata da Remo, ma al di là di tali considerazioni è facile notare che entrambe le città sono fortemente penalizzate da Milano e dall’asse Milano-Aquileia. Da una parte, Roma è privata del ruolo di vera capitale, rivestito dalla città lombarda, dall’altra Ravenna non riesce ad emergere nell’Italia Annonaria perché schiacciata da questa stessa metropoli e dal suo legame con Aquileia.
Tale situazione determina il destino di Ravenna durante il IV secolo: in questo periodo, infatti, la città romagnola passa continuamente da una provincia all’altra e dall’Italia Annonaria a quella Suburbicaria. All’inizio del secolo Ravenna appartiene alla Aemilia et Liguria; tra il 354 e il 395 diventa capoluogo della Flaminia et Picenum, una provincia che dal 357 si trova sotto la diocesi suburbicaria; tra 395 e 398 torna nell’Annonaria e passa sotto l’Aemilia; infine, dopo il 398 è caput della Flamina, che poco dopo sarà trasformata in Flaminia et Picenum Annonarium. Si potrebbe, ragionevolmente, ipotizzare che Ravenna, in un primo momento, si inserisca nell’Italia Suburbicaria perché nell’altra diocesi rimane completamente schiacciata da Milano. In seguito, una volta cresciuta, torna nell’Annonaria: la scissione tra Aemilia e Liguria le offre la possibilità di ritagliarsi uno spazio sufficiente per contrastare la stessa Milano e dare man forte a Roma, col risultato che nel V secolo l’asse Milano-Aquileiea sarà sostituito da quello Ravenna-Roma. Si pensi, poi che, nel IV, la città romagnola è cliente dell’antica capitale: come abbiamo visto per Modena, i membri dell’aristocrazia senatoria romana cercano di creare stretti legami in questa regione.
L’importanza di Ravenna, comunque, è evidente in tutto il corso del secolo, si pensi ad esempio a Diocleziano che, nel 304, assume qui il consolato; oppure si ricordi Severo, che in fuga da Massimiano si chiude in Ravenna: una piazzaforte già molto rilevante e significativa per la sua posizione a metà strada tra Roma e Milano. Nel resto del secolo, però, tale rilievo diminuisce e Ravenna rimane solo un’occasionale dimora imperiale, come è testimoniato dalle costituzioni imperiali
34.
34 Le presenze a Ravenna sono nettamente minori anche a quelle relative a città come Verona, Altino, Padova e più o meno sullo stesso piano di quelle relative a Concordia e Brescia.
L’immagine che emerge è quella di una Ravenna che a inizio IV risulta a metà strada tra Roma e Milano e che alla fine dello stesso secolo rappresenta una valida alternativa alla capitale annonaria, diventando così un terzo polo, su cui ricade la funzione di capitale
35. Per quanto riguarda l’assetto urbanistico, si possono rilevare vari quartieri. Il settore più antico presenta una struttura quasi quadrata e presentava in origine una cortina muraria, smantellata per la costruzione, in età imperiale, della porta aurea, che si erge a Sud-Ovest della città. Da tale nucleo si sviluppa nel tempo la città, che si articola in cinque regiones.
Mi pare significativo segnalare la progressiva estensione della città a Nord, caratterizzata dal sorgere delle regiones II e III. Circa la dimensione cristiana, la tradizione riferisce che, nella tarda antichità, il tempio di Apollo vicino alla porta Aurea venga demolito da S.
Apollinare, primo vescovo di Ravenna; la topografia cristiana è, inoltre, utile nell’individuazione del foro che potrebbe coincidere con la chiesa di S. Maria in Foris
36. Non bisogna, infine, dimenticare che Ravenna è provvista di un importante sistema portuale. La città probabilmente possiede due diversi invasi: da una parte, quello più antico di età classica sorge, probabilmente, a Nord-Est della città presso il mausoleo di Teodorico; esso è chiamato anche portus Coriandri e si può ragionevolmente supporre che in epoca tardoantica raggiunga una completa insabbiatura: non a caso Teodorico lo bonificherà con giardini e frutteti; dall’altra parte abbiamo il porto di Classe o novus portus, collegato a Ravenna dalla via Popilia e posto a Sud-Est della città: ha un aspetto di porto-canale ed è di epoca tarda, come è stato rilevato dagli scavi
37; tale canale serve i bacini lagunari che si estendono per ampio tratto intorno a Ravenna, che viene resa imprendibile dalla loro presenza; per farsi un’idea dell’ampiezza di questi acquitrini basti pensare che riescono a contenere fino a seicento navi. Si noti, poi, che il praefectus classis in età post-tetrarchica assume le funzioni di curator civitatis.
PARTE V: L’ITALIA NORD-OCCIDENTALE
1: TORINO
La città di Torino
38risulta piuttosto emarginata durante tutto l’alto impero, sia dal punto di vista della storia politica che da quello dell’economia. Tale situazione, però, si modifica
35 NERI, 1990.
36 REBECCHI, 1993 A, pp.121-128.
37 REBECCHI, 1993 A, pp.128-130.
38 SERGI, 1997 A.
sensibilmente durante la tarda antichità: il nuovo ruolo assunto dall’Italia Annonaria, porta beneficio a tutti i centri della regione ed anche, quindi, alla defilata Torino, che dal III-IV secolo emerge e vive, fino al tempo dei Longobardi, un momento positivo. Augusta Taurinorum, infatti, viene valorizzata per la sua posizione, che da sempre domina i flussi commerciali e tra Italia e regioni transalpine e che ora risulta più importante, visto il nuovo ruolo della pianura Padana; da tale città, infatti, parte la grande strada transalpina che per la valle della Dora Riparia, attraverso Susa, varca il Monginevro e giunge in Narbonense. Nel IV secolo dunque, la città piemontese si trova a metà strada tra Milano e le Gallie, che da qui possono essere ben controllate: Torino diventa, così, un baluardo contro gli usurpatori che si vogliono impossessare dell’imperium Galliarum. Dunque, nel torinese, divenuto una zona militarmente strategica, si concentrano molti contingenti e transitano numerosi eserciti: il passaggio dei militari è testimoniato dal rinvenimento, nella zona ad Ovest dal Po, di tesoretti monetali, tipica testimonianza di un pericolo incombente, che per la loro frequenza farebbero pensare ad un reiterato stato di emergenza. Si pensi, ad esempio, a Demonte, in provincia di Cuneo, dove è stato rinvenuto un ripostiglio contenente 1200 monete.
Durante il IV secolo, dunque, da Torino passano molti eserciti guidati da imperatori più o meno duraturi: già nel 290 Massimiano transita per Torino; nel 312 è la volta di Costantino, che nei pressi di questa città ottiene una vittoria contro i Massenziani; anche Costantino II e Magnenzio, forse, toccano tale centro nelle loro spedizioni partite dalla Gallia alla conquista dell’Italia; per il 355, è invece sicuro il passaggio di Giuliano che proviene da Milano e si dirige nella zona gallo-renana
39; circa Magno Massimo, infine, si può rilevare che gli scavi archeologici non hanno individuato tracce particolari che ne denotino il passaggio.
Tale regione è, poi, caratterizzata dalla presenza stabile di alcuni contingenti: fin dalla fine del III secolo è attestata a Torino la presenza del numerus Dalmatorum Divitensium. Più significativo è l’insediamento sarmatico, che coinvolge varie zone del Piemonte: corpi di gentiles vengono stanziati a controllo dei nodi stradali più significativi in tutta l’Italia Annonaria. Bisogna, però, sottolineare che in questa zona le difese sono esclusivamente costituite da stanziamenti di questo tipo e mancano, ad esempio, le fabbriche statali e tutte le strutture logistiche presenti più a Oriente; di conseguenza si può pensare ad un controllo più blando e ad una difesa leggera
40.
39 AMM. MARC., 15, 8, 18-19.
40 SERGI, 1997 B, pp. 303-315.
È, poi, interessante valutare la cristianizzazione di Torino e più in generale dell’Italia occidentale. Di certo, si può constatare che tale zona viene convertita in ritardo rispetto alle altre parti dell’Annonaria: nonostante la congiuntura economica positiva, il Piemonte resta comunque materialmente lontano dai flussi culturali più nuovi e, quindi, anche dal cristianesimo. Un tempo la critica era convinta che la diffusione di tale religione fosse dovuta all’opera evangelizzatrice di Ambrogio; tale opinione, però, è stata confutata e gli studiosi attualmente sono d’accordo nel vedere in Vercelli il centro da cui è partita l’evangelizzazione, per opera, soprattutto del vescovo Eusebio
41. Il primo vescovo di Torino è, poi, Massimo, morto tra il 408 e il 423, eletto, probabilmente, nell’ultimo scorcio del IV secolo. I suoi sermoni, come abbiamo già avuto occasione di notare, sono una fonte importante di notizie sulla società torinese tardoantica: da essi emerge una vivace vita urbana, condannata aspramente
42, e una forte persistenza del paganesimo nelle campagne
43. Un evento significativo dell’episcopato di Massimo è, di certo, il sinodo del 398, tenutosi proprio a Torino, per ricomporre lo scisma feliciano, che coinvolge i vescovi della Gallia divisi in due fazioni
44; tale concilio è organizzato in un primo momento da Ambrogio e, poi, guidato da Simpliciano: quindi Torino viene scelta perché, ancora una volta, si trova a metà strada tra le Gallie e Milano. Tale avvenimento, poi, fa pensare che a Torino esista una sala di rappresentanza o una chiesa abbastanza grande e confortevole da ospitare un numero, ignoto, ma considerevole di vescovi, che si trattengono qui per almeno due giorni; testimonianza dei problemi organizzativi ci proviene anche da un sermone di Massimo che invita i suoi fedeli all’ospitalità
45.
Per quanto riguarda la topografia urbana tardoantica, bisogna dire che ne rimangono scarsissime tracce; è emerso soltanto un piano basilicale, rinvenuto accidentalmente tra l’attuale Duomo e il teatro romano, forse da identificare con la cattedrale paleocristiana a tre navate: questo edificio di culto si trova al di sotto della chiesa di S. Salvatore, demolita nel XV secolo, e appartiene ad un complesso di tre chiese affiancate
46. La Cantino Wataghin propone di datare il pavimento alla fine del IV secolo, ma tale ipotesi è rifiutata
41 Tale vescovo è impegnato nell’evangelizzazione di tutta la Padania occidentale: tracce del suo operato si trovano anche a Tortona e a Novara, dove si trovano vescovi collegabili al sua entourage.
42 MAX. TAUR., Opera, P.L. 57.
43 Tale atteggiamento conferma per l’episcopato di Massimo una datazione piuttosto bassa: ai tempi di Ambrogio tali comportamenti non sono incoraggiati.
44 Da una parte si trova Felice, vescovo di Treviri, che ha appoggiato la condanna a morte di Priscillano da parte di Magno Massimo; dall’altra ci sono i vescovi della Gallia, tra cui Martino di Tours, che hanno biasimato tale atteggiamento e hanno negato la comunione ecclesiastica a Felice.
45 MAX. TAUR., Sermo 21, 1-2.
46 LIZZI, 1989, pp. 205-206.
dalla maggior parte della critica: alcuni propongono addirittura il VII. I sermoni
47di Massimo danno poche notizie a riguardo: sappiamo di benefattori che contribuiscono alla costruzione della basilica, ma non disponiamo di nessuna informazione più specifica;
inoltre, l’autenticità del discorso in dedicatione basilicae non è affatto sicura. Alcune chiese sono, comunque, attestate dalla tradizione: S. Agnese, S. Andrea, S. Stefano, le memoriae dei martiri locali Solutore, Ottavio e Secondo, nonchè il sacello di S. Massimo, da identificare con la basilica ad quintum lapidem, luogo di sepoltura del vescovo. A Torino, infine, sono presenti anche i culti dei tre Canzii e dei martiri della Val di Non.
CAPITOLO 2: VERCELLI
In passato si è parlato a lungo della supposta decadenza del centro di Vercelli
48: l’epistola I di Girolamo offre un quadro veramente desolato di una città in rovina, disabitata e danneggiata dagli eserciti. L’immagine che emerge dall’archeologia è, invece, tutt’altro che negativa: Vercelli è una città sede di una guarnigione, è popolata e culturalmente attiva. A tal proposito, si pensi, infatti, al vescovo Eusebio artefice della cristianizzazione di buona parte del Piemonte: probabilmente Tortona, Novara e Ivrea sono elevate a sedi episcopali per la sua azione
49. Dunque, ancora una volta ci troviamo di fronte ad un equivoco nato dal diverso punto di vista di antichi e moderni. Un’importante testimonianza ci arriva da Ambrogio
50: nel 396, dopo la morte di Eusebio, nasce un’aspra contesa per l’elezione del successore e due candidati sono appoggiati dalle rispettive fazioni
51; da una parte la plebe sostiene un rappresentante dell’aristocrazia terriera locale, dal quale spera di ottenere protezione; dall’altra il clero porta avanti l’istanza di un suo membro. Il quadro che emerge dall’epistola mostra una città caratterizzata da una particolare situazione economica, sociale, culturale e religiosa che denota una certa vivacità. Non a caso il vescovo milanese chiama Vercelli plena congregatio
52e si rammarica per la contesa. D’altro canto è anche interessante notare come certe istanze giovinianiste si siano radicate nella città: tali presenze non possono caratterizzare un centro emarginato e decaduto, ma vanno, anzi, considerate segno di vitalità. Inoltre, tale eresia potrebbe essere interpretata come una reazione alle tendenze ascetiche presenti a
47 MAX. TAUR., Sermo 87, 29-39; 60-65; 69-73.
48 CRACCO RUGGINI, 1977, pp. 450-454.
49 DEL COVOLO, 2002, pp. 232-233.
50 AMBR., Ep. 43.
51 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 184-190.
52 AMBR., Ep. 43, 3.
Vercelli, dove, infatti si trova il primo monastero urbano
53dell’Annonaria, ancora una volta, dunque, una prova a sfavore della decadenza
54.
Dopo la morte di Eusebio, viene costruita una grande chiesa in zona suburbana a lui dedicata, che coincide con l’attuale Duomo, ha cinque navate ed un’abside mosaicata.
L’antico centro episcopale, invece, si erge all’interno della città e possiede il nome di S.
Maria Maggiore. Degli altri edifici di culto non è pervenuto che il nome
55.
CAPITOLO 3 : SUSA
Tale centro sin dall’epoca romana possiede un importante ruolo per le vie di comunicazione: sovrasta e controlla la strada che porta al Monginevro e, quindi, alla provincia Narbonense; è inutile aggiungere che in un’epoca instabile come il IV secolo tale funzione è estremamente importante
56.
L’antica Segusio nel 312 ha un ruolo piuttosto significativo all’interno dello scontro tra Massenzio e Costantino: nei pressi di questa città si svolge la battaglia resa celebre dall’apparizione della croce.
Segusio, schieratasi con Massenzio, viene data alle fiamme dal futuro imperatore e in tale incendio le mura e le torri vengono danneggiate. Susa, comunque, risorge rapidamente e gode di una buona prosperità sotto i Costantinidi, che restaurano il sistema difensivo e edificano torri quadrate e ottagonali. Al tempo di Valentiniano e dei suoi figli archi ed edifici di vario uso sono costruiti nella città, tra di essi vanno ricordate le terme volute da Graziano.
Infine, bisogna ricordare che ancora nel IV secolo, si conserva la tomba di Cozio, come ci testimonia Ammiano
57, di certo una prova tangibile dell’orgoglio civico che caratterizza tale centro; l’arco di trionfo di Donno e M. Giulio Cozio è, invece, tuttora visibile nella città di Susa.
CAPITOLO 4: ANGERA
Angera
58è un piccolo centro situato sulla sponda orientale del lago Maggiore, quasi all’estremità meridionale. Gli scavi hanno rilevato caratteristiche interessanti per la fase tardoantica e altomedievale. Tale insediamento, infatti, dopo una crisi databile all’età
53 AMBR., Ep. 43.
54 Si ricordi, poi, che Ph. Levine ipotizza per Vercelli una scuola di calligrafia attiva tra 371 e 960. Tale ipotesi è, però, priva di valide argomentazioni. Si veda : CRACCO RUGGINI, 1961, p. 184.
55 KIRILOVA, 1974.
56 AMM. MARC., 15, 10, 2.
57 AMM. MARC., 15, 10, 7.
58 CANTINO WATAGHIN, 1996 B.
medioimperiale, vive nel IV secolo una vera e propria rinascita che è legata alla sua funzione di porto lacustre. Dal punto di vista archeologico, in area periferica è stato rinvenuto un settore piuttosto interessante, posto tra una grande necropoli e l’abitato: qui è emerso un edificio produttivo impiantato nel III secolo e ancora attivo fino al VI-VII.
D’altra parte, sotto l’attuale piazza parrocchiale, è stato individuato il centro monumentale romano caratterizzato da un edificio di funzione non chiara databile al II-IV secolo; poco lontano, poi, si trova un impianto produttivo attivo durante il IV e presumibilmente anche dopo la fine di tale secolo.
Dunque Angera offre un’ulteriore testimonianza di quanto possano svilupparsi i centri che si trovano favoriti rispetto ad una via di comunicazione.
CAPITOLO 6: ACQUI TERME
Il caso di Aquae Statiellae
59è significativo per comprendere la vitalità che può caratterizzare alcuni centri. Tale cittadina sorge nel Piemonte meridionale, in provincia di Alessandria, in una zona caratterizzata nel III secolo da una profonda crisi. Non a caso, in quest’epoca si verificano forti contrazioni ed è messa a rischio l’esistenza stessa di molte comunità che non sono più autosufficienti economicamente. La città di Acqui riesce, però, a riprendersi dalla crisi e a trovare un proprio posto all’interno dell’assetto tardoantico.
Infatti il controllo dei passi appenninici, che tanto l’aveva favorita durante l’alto impero, non è più utile in un periodo come questo che vede ridisegnati molti assetti. Aquae Statiellae, allora, riesce a riconvertire il proprio ruolo e a sfruttare la propria vicinanza a Dertona, il centro trainante della Cispadana occidentale; si può, quindi, vedere in Acqui un esempio di reazione alla crisi: mentre molti centri vicini sono ormai collassati, in questa cittadina è presente un praefectus Sarmatarum gentilium, sono attive le famose terme e si possono ipotizzare degli horrea. È interessante, infine, notare che qui abbiamo attestazioni del cristianesimo piuttosto precoci rispetto al resto del Piemonte meridionale:
già nel 401, un’epigrafe
60sepolcrale garantisce la presenza della nuova fede in tale centro.
CAPITOLO 7: GENOVA
Gli studi sulle città dell’attuale Liguria in età tardoantica non sono molto approfonditi e le notizie a nostra disposizione sono piuttosto scarse.
59 GIORCELLI BERSANI, 2001.
60 ICI 9, 4, 15-16.
Per quanto riguarda la città di Genua, possiamo dire che, dopo un periodo di decadenza, alla fine del IV secolo torna ad essere il naturale sbocco sul mare della pianura Padana centrale e, più in generale, diventa il porto che collega il Mediterraneo all’Europa
61.
Nell’epoca tardoantica, la zona di S. Lorenzo diventa un settore molto importante all’interno della città; secondo alcuni qui si potrebbe trovare la prima cattedrale
62di Genova, per altri, invece, il più antico centro episcopale va identificato con S. Siro
63. Un’ulteriore chiesa paleocristiana va vista in S. Sabina
64. L’edilizia civile è molto poco conosciuta: è stata trovata traccia di una domus ricostruita in un periodo databile al IV-V secolo e alla stessa epoca è stato datato anche un pavimento in cocciopesto
65.
Per quanto riguarda la Liguria costiera, possiamo osservare anche che, grazie alla presenza del mare e dei suoi transiti, il cristianesimo si diffonde in epoca anteriore rispetto alle regioni interne: l’iscrizione su tegola di Vada Sabatia, la più antica attestazione cristiana della regione, è datata al 362.
Sulla costa sono, poi, presenti numerosi castra, databili, però, ad epoche successive e specialmente all’età bizantina
66. Alcuni ritrovamenti, nella Riviera di Ponente, interessano ville con livelli d’uso tardoantichi, come nel caso della residenza di Alba Docilia, presso Albisola Superiore in provincia di Savona
67.
61 GIORCELLI BERSANI, 2001, p. 517.
62 MILANESE, 1993, p. 18.
63 REBECCHI, B, p. 225.
64 REBECCHI, B, p. 225.
65 MILANESE, 1993, p. 18.
66 FRONDONI, 2004.
67 BULGARELLI, 2001.
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