1. INTRODUZIONE
Il Mar mediterraneo è piuttosto piccolo rispetto agli oceani ma
possiede caratteristiche fisico-chimiche e oceanografiche che lo
rendono un piccolo laboratorio naturale dove poter studiare facilmente
i processi tipici anche degli oceani come la variazione dei parametri
fisico-chimici, la circolazione delle masse d’acqua, e i processi che
avvengono nella colonna d’acqua. Pur coprendo meno dell’1% dell’acqua
presente sulla terra, ha biodiversità e numero assoluto di specie
piuttosto alti in rapporto ai grandi oceani. In quest’area si ha infatti
circa il 6% delle specie di tutta la terra (Fredj et al., 1992) e l’8% dei
pesci cartilaginei esistenti.
La biodiversità in Mediterraneo presenta un gradiente da ovest
verso est, probabilmente per la presenza degli stretti e dei canali
(Gibilterra, Suez, Sicilia, Bosforo), con andamento analogo a quello dei
nutrienti (Murdoch and Onuf, 1972). Il livello minimo di biodiversità si
raggiunge nel Mar Adriatico e nel Mar Nero (Fredj and Maurin, 1987;
Garibaldi and Caddy, 1998).
Nel Mondo ci sono circa 1770 specie di pesci cartilaginei, di cui 50
sono Chimere, 650 sono Batoidei e 470 sono squali. In Mediterraneo
sono presenti 7 ordini con 23 famiglie e 42 generi per un totale di 47
specie di squali, 34 Batoidei e 1 specie di Chimera. Tra tutte queste
specie probabilmente solo 4 specie di Rajidi sono endemiche.
1.1. I CONDROITTI
I Condroitti (dal greco chondròs, cartilagine, e ichthis, pesce)
costituiscono una classe di Vertebrati acquatici, di origine marina, la
cui caratteristica principale è quella di avere uno scheletro di
cartilagine, materiali flessibile e molto leggero, a volte rinforzato da
depositi di calcio, che aiuta a ridurre il peso del corpo dell’animale. I
Condroitti includono gli Elasmobranchi (squali e razze) e gli Olocefali
viventi (le chimere).
1.1.1. Differenze con i pesci ossei
Molte sono le differenze tra pesci ossei e pesci cartilaginei. La
differenza più evidente si ritrova nello scheletro. Mentre nei pesci
ossei è completamente ossificato, negli Elasmobranchi è costituito da
cartilagine. Il corpo degli osteitti è inoltre ricoperto da squame ossee,
assenti nei pesci cartilaginei ricoperti invece da dentelli dermici, le
scaglie placoidi, costituiti da radice, corona e smalto. Nei pesci
cartilaginei i denti sono inseriti direttamente nelle gengive e vengono
inoltre sostituiti in continuazione (dentizione a revolver); nei pesci
ossei i denti sono di tipo tecodonte, cioè infissi direttamente nelle
mascelle.
I pesci ossei possiedono vescica natatoria, un’evaginazione
dell’intestino posta vicino ai reni, con funzione idrostatica che
garantisce il mantenimento della posizione ad una data profondità
regolando la densità corporea del pesce tramite immissione o
espulsione di gas prelevato dal circolo sanguigno con cui è in contatto. I
condroitti , per alleggerire il corpo e diminuirne la densità, hanno
invece nel fegato numerose gocce di sostanza oleosa.
I Condroitti hanno, a seconda della specie, da 5 a 7 paia di branchie
e relative fessure branchiali. Ogni camera branchiale è separata
completamente dalle altre e possiede una propria apertura verso
l’esterno. I pesci ossei hanno 5 paia di branchie e un’unica apertura
verso l’esterno protetta da un opercolo osseo.
Nella maggior parte dei pesci cartilaginei la bocca e le narici sono
situate in posizione ventrale, ad eccezione della manta, lo squalo
Megachasma pelagios e il Chlamydoselachus anguineus che hanno bocca
terminale come nei pesci ossei.
1.2 GLI ELASMOBRANCHI
1.2.1 Origine e classificazione
Gli Elasmobranchi comprendono i moderni squali e razze e i loro
antenati fossili che comparvero nel Devoniano superiore (370-345
milioni di anni fa). Lo studio degli Elasmobranchi dal punto di vista
paleontologico è molto complesso e in continua evoluzione a causa della
rarità dei ritrovamenti fossili a causa della forte deteriorabilità della
cartilagine. Le parti del corpo dell’animale di cui si possono ritrovare
reperti fossili sono solamente le strutture ossee come denti, dentelli
dermici e il corpo vertebrale parzialmente ossificato. Gli
Elasmobranchi hanno mostrato nel corso degli ultimi cento milioni di
anni una grande costanza morfologica. dimostrata dagli Elasmobranchi
nel corso degli ultimi cento milioni di anni. Questa, non va intesa come
segno di primitività, bensì come “progetto” difficile da migliorare che
ha permesso loro di sopravvivere all’estinzione del Cretaceo e di
continuare a diversificarsi fino a produrre le oltre 1000 specie di pesci
cartilaginei viventi (Romer & Parson, 1986; Notarbartolo e Bianchi,
1998; Hamlett, 1999, 2005).
La grande diversità specifica e la rarità dei ritrovamenti fossili
hanno fatto si che ancora oggi esistano differenti classificazioni degli
Elasmobranchi che non riescono a mettere d’accordo i diversi autori.
Per maggiore informazioni sulla tassonomia di questo gruppo si può
fare riferimento a Tortonese, 1956; Hureau and Monod, 1979;
Whithead et al ., 1984; Fisher et al ., 1987; Fredj and Maurin, 1987;
Compagno, 1988, 2005; Nelson, 1994; Shirai, 1996; Mould, 1998.
La classificazione oggi più accreditata è quella di Compagno (2001,
1999), a cui si riferisce anche il recente lavoro di Serena (2005), che
innalza i Batoidei al grado di Ordine Rajiformi, appartenenti al
superordine Squalomorfi. Il gruppo comprendente i pesci sega è
innalzato all’ordine Pristiophoriformi.
Figura 1 Classificazione dei Batoidei (Compagno in Hamlett, 1999).
1.2.2 Vulnerabilità degli Elasmobranchi
Gli Elasmobranchi hanno una life-history caratterizzata da sviluppo
lento, taglia grande all’età adulta, bassa fecondità e avanzata età di
prima maturità (Hoenig & Gruber, 1990). Al contrario, la maggior parte
dei Teleostei ha sviluppo rapido, taglia adulta piccola, alta fecondità e
precoce età di prima maturità (Hoenig & Gruber, 1990)
In accordo con la teoria della selezione r/k di McArthur & Wilson
(1967), queste caratteristiche fanno degli Elasmobranchi un gruppo a
strategia K e dei Teleostei un gruppo a strategia r; inoltre rende gli
Elasmobranchi piuttosto sensibili all’ overfishing (Golden, 1973;
Golden, 1974; Fogarty et al ., 1989; Hoenig & Gruber, 1990). Di
conseguenza, questo gruppo è caratterizzato da scarsa capacità di
compensare gli effetti negativi di una pesca sregolata; una volta
sfruttate eccessivamente, le popolazioni di Condroitti necessitano,
infatti, di decenni per ricostituirsi. Il lungo periodo di tempo
necessario a raggiungere la maturità sessuale, e lo scarso numero di
uova prodotte, sono i fattori dominanti nel determinare una maggiore
sensibilità della popolazione allo sfruttamento (Fogarty et al ., 1989).
La relazione tra salute dello stock e reclutamento negli Elasmobranchi
è piuttosto diretta, a causa della loro strategia riproduttiva. Alla
diminuzione di individui adulti consegue pertanto una diretta
diminuzione del reclutamento (Hoenig & Gruber, 1990). Non tutti gli
Elasmobranchi sono però vulnerabili allo stesso modo e questo a causa
delle loro diverse abitudini di vita. Le specie che hanno uno sviluppo più
veloce, taglia adulta più piccola, fecondità più alta e raggiungono prima
la maturità sessuale riescono a contrastare meglio gli effetti negativi
dell’overfishing. Queste specie possono, infatti, sopportare meglio la
crescente pressione di pesca e avere così un incremento della
popolazione rispetto alle specie con caratteristiche diverse (crescita
lenta e bassa fecondità).
Diverse situazioni possono ricondurre all’individuazione di uno stock di
Elasmobranchi sofferente per un eccessivo sfruttamento della pesca
commerciale. Un primo segnale, come visto in precedenza, è la
diminuzione in abbondanza, in particolare delle classi comprendenti
esemplari di maggiori dimensioni (Russ, 1991). Un altro sintomo
negativo della salute di uno stock ittico è la variazione della
composizione di classe della popolazione in base alla lunghezza, verso
classi di taglia inferiore (Anderson, 1985; Walzer & Heessen, 1996;
Rago et al , 1998).
Per i Pesci in generale, cambiamenti di questo tipo possono essere
dovuti anche alle proprietà selettive di taglia delle reti utilizzate per
le catture. Esse possono, infatti, essere un fattore importante
riguardo l’output riproduttivo. La fecondità tende infatti ad aumentare
con le dimensioni del corpo cosicché, una popolazione con una
percentuale maggiore di individui di taglia grande, ha un potenziale
riproduttivo maggiore. Se una rete, perciò, ha come target esemplari
di dimensioni ridotte, che non si sono ancora riprodotti, la pesca
influenzerà il numero di giovanili prodotti, che non riusciranno a
ristabilire l’equilibrio della popolazione. Allo stesso modo, se il target
di pesca corrisponde ad individui di taglia grande, il potenziale
riproduttivo della popolazione diminuisce, anche in questo caso con
effetti negativi sulla resilienza dello stock allo sfruttamento.
Questa situazione non ha valore assoluto per i pesci cartilaginei in
quanto la pesca non è selettiva nei loro confronti come lo è invece per i
pesci ossei; vengono, infatti, comunque catturati in gran numero
indipendentemente dall’attrezzo di pesca utilizzato e dagli eventuali
aggiustamenti tecnici alla dimensione della maglia della rete. Questo è
dovuto al fatto che, pur non essendo target di pesca, i pesci
cartilaginei hanno ampie pinne, code lunghe e, come nel caso dei Rajidi,
numerose spine sulla superficie corporea, che ne aumentano il rischio
di restare impigliati nella rete anche se le dimensioni della maglia
permetterebbero teoricamente la fuga almeno degli individui più
piccoli.
Per quanto riguarda le specie di Rajidi, sembra inoltre che i fattori
chiave nel determinare una maggior resilienza allo sfruttamento da
pesca, siano l’aumento della sopravvivenza di giovanili e la
sopravvivenza netta alla maturità (Brander, 1981). In realtà, come
spesso accade, è la combinazione dei due fattori che favorisce la
sopravvivenza e il maggior recupero della specie.
È importante ricordare, infine, che anche sottopopolazioni della stessa
specie di Elasmobranchi mostrano differenze nei parametri della loro
life-history. Per esempio, la taglia massima di Raja radiata nel Mare
del Nord (circa 66cm, Vinther, 1989) è molto più piccola della taglia
massima raggiunta dagli esemplari nel Nord Atlantico, indicando
pertanto una differenza nella taglia-età di prima maturità. (circa
90cm, Templeman, 1984). La stessa tendenza è evidente nella
dimensione delle capsule ovariche (Templeman, 1984).
All’interno della catena alimentare, i Rajidi occupano un alto livello
trofico, rivestendo perciò un ruolo molto importante. Meriterebbe uno
studio a parte, L’indagine delle possibili conseguenze della rimozione di
questi predatori e delle loro prede, all’interno della catena alimentare
e delle più ampie reti trofiche, meriterebbe uno studio a parte.
1.2.3 Conservazione: necessità vs difficoltà
La conservazione delle specie marine, e in particolare degli
Elasmobranchi, non è ancora oggi un argomento a cui è rivolta la giusta
attenzione. Un punto centrale di dibattito riguarda l’esistenza o meno
di un concreto pericolo di estinzione per le specie marine. Lo
scetticismo a riguardo deriva dal loro amplissimo range di distribuzione
e dalle loro diverse abitudini di vita (Malakoff1997; McKinney, 1998;
Roberts & Hawkins, 1999). In secondo luogo gli interessi economici a
breve termine tendono sempre a prevalere, rispetto ad una prospettiva
di conservazione a lungo termine (Earll, 1994; Vincent & Clark, 1995;
Dayton, 1998; Mace & Hidson, 1999).
La prima importantissima prova che lo stato di conservazione di specie
marine oggetto di pesca doveva essere considerato, fu evidente
all’inizio degli anni 80 quando la razza comune, Dipturus batis , si
estinse localmente nel mare d’Irlanda (Brander, 1981). Da allora, anche
la razza di Barndoor, Dipturus laevis , è diventata sempre più rara, e
quindi vicino all’estinzione, in tutta la sua area di distribuzione lungo le
coste irlandesi (Casey & Mayers 1998). Infine, anche altre quattro
specie di razza hanno subito una drastica diminuzione in abbondanza
nel Mare del Nord, e ora si ritrovano solo in aree localizzate (Walzer &
Heessen, 1996; Rijnsdorp et al ., 1997; Walzer & Hislop, 1998). Un altro
lavoro, condotto nel Nord-est Atlantico, ha messo a confronto dati
relativi alla composizione delle catture di due campagne di
campionamento, la prima nel periodo 1959-1965, la più recente nel
periodo 1988-1997. Dal confronto dei dati è risultato che due specie di
Rajidi sono attualmente estinte ( Dipturus oxyrinchus e Rostroraja
alba ) e una è in netto declino ( Dipturus batis ). Viene inoltre messo in
evidenza che, tra le altre cinque specie di Rajidi presenti, le tre specie
di dimensioni maggiori hanno subito una drastica diminuzione, a favore
invece delle altre specie, di dimensione minore, che hanno mostrato un
netto aumento (Dulvy, et al , 2000).
La politica di conservazione di questi animali è ulteriormente
complicata dalla mancanza di dati precisi riguardo le catture. Non
viene, infatti, segnalato il numero preciso di esemplari per specie (
tranne che in Francia, Anonimo, 1997), ma vengono forniti solo dati
generici riguardanti catture di squaliformi e raiformi, senza alcuna
distinzione specifica. Questa situazione riguarda soprattutto gli
Elasmobranchi, a causa del loro basso valore economico e commerciale,
ma è soprattutto riferita ai raiformi, a causa della loro notevole
diversità morfologica, inter e intraspecifica, e la conseguente
difficoltà nella distinzione tra le diverse specie. Soprattutto i dati
delle catture degli stati che sfruttano maggiormente gli stock di
Elasmobranchi (Giappone, Taiwan), non sono utili al fine
dell’elaborazione di una statistica. Scarse sono soprattutto le
informazioni riguardanti lo stato degli stock delle singole specie. Solo
pochi stati, come la Francia e gli Stati Uniti, forniscono dati utili a fini
conservazionistici, o attuano politiche di gestione degli stock stessi.
Altri stati, come il Brasile, Venezuela, Perù, Maldive, Malta e le
Azzorre, solamente dopo aver scoperto che i loro stock erano stati
sovrasfruttati, hanno inserito le specie in pericolo nell’elenco della
CITES (Convention on International Trade in Endangered Species).
Una forma di gestione degli stock, come ad esempio la regolazione dei
target di pesca e l’istituzione dei periodi di fermo probabilmente
aiuterebbero a bilanciare la mortalità da pesca con la nuova produzione
di giovanili. Dove la spinta conservazionistica viene invece a mancare, la
nuova produzione non riesce a sopperire alla mortalità e il tasso di
crescita della popolazione rimane negativo, con pesanti conseguenze sul
futuro della stessa.
1.2.4. Iniziative di protezione
A livello globale l’iniziativa più importante in materia di protezione
degli Elasmobranchi è lo Shark Action Plan della World Conservation
Union (IUCN), in cui vengono stimati i rischi di estinzione, globale e
regionale, per tutte le specie e vengono indicate le azioni necessarie da
intraprendere riguardo la loro conservazione. Al termine dei lavori
viene compilata una “Red List”, aggiornata annualmente e consultabile
in rete (ww.redlist.org), non ancora riconosciuta legalmente, ma
comunque ampiamente usata per monitorare lo stato della biodiversità
e per porre priorità di conservazione e di gestione (Serena, 2005).
Per quanto riguarda il Mediterraneo, a Monaco nel novembre 1996 sono
stati firmati gli Allegati al “Protocollo sulle Aree Specialmente
Protette e sulla Biodiversità del Mediterraneo (Protocollo SPA),” della
Convenzione di Barcellona. Nell’ Allegato 2 sono elencate le specie
minacciate di Elasmobranchi per cui è necessaria l’applicazione di
misure di protezione e, nell’Allegato 3, le specie il cui sfruttamento
deve essere regolamentato. Malgrado le specie elencate in entrambi gli
Allegati indichino solo parte dei pesci cartilaginei minacciati in
Mediterraneo, il protocollo SPA rappresenta comunque uno strumento
giuridico di grande rilevanza, costituendo un importante precedente
nella normativa internazionale di conservazione di questi pesci
(Notarbartolo di Sciara, 1998). Altre specie di cartilaginei sono
elencate negli Allegati della Convenzione di Berna (sulla Conservazione
delle specie selvatiche europee e degli “habitats” naturali), della
Convenzione sulle specie migratorie (Convenzione di Bonn), la
Convenzione di Washington (CITES) e della Convenzione sugli “stocks”
ittici delle Nazioni Unite (Serena, 2005). Inoltre, è in via di
approvazione il Piano d’Azione Europeo, presentato al Convegno della
Commissione sulla Pesca FAO (COFI), avvenuto a Roma nel 2001
(Serena, 2005).
In Italia è in corso di definizione il Piano d’Azione Nazionale per la
conservazione dei pesci cartilaginei. Il piano sarà sviluppato in accordo
con le indicazioni contenute nel Protocollo SPA e le linee guida del
Piano d’Azione Internazionale per la conservazione e la gestione dei
pesci cartilaginei (IPOA-SHARKS) della FAO, adottato nel 1999
(Serena et al , 2002). Il Piano d’Azione Nazionale dovrà considerare con
particolare attenzione anche le specie endemiche mediterranee
presenti nelle nostre acque. Infatti il loro limitato areale rende queste
specie ancora più esposte al pericolo di rapido depauperamento causato
dalla pesca (Vacchi e Notarbartolo di Sciara, 2000). Nonostante alcuni
strumenti legali per la conservazione di diverse specie di
Elasmobranchi in Mediterraneo siano ormai attivi da più di otto anni, il
loro impiego non è ancora stato perseguito. Attualmente esiste quindi
la reale necessità di un’azione coordinata a livello regionale tra agenzie
ambientali e della pesca, per assicurare la conservazione e l’uso
sostenibile di questo gruppo di pesci e quindi il mantenimento della
stabilità degli ecosistemi mediterranei (Serena, 2005).
1.3. I RAJIDAE
1.3.1 Sistematica
La famiglia Rajidae fa parte dell’ordine dei Rajiformes ed è
rappresentata in Mediterraneo da 4 generi ( Dipturus, Leucoraja, Raja
e Rostroraja; Compagno in Hamlett, 2005) e 15 specie valide. Non
tutte le specie però, sono comuni e di facile reperibilità tramite
campagne scientifiche nei nostri mari. Di queste, solo 11 sono
registrate nell’ area di studio (Serena, 2005) (Figura 1).
All’interno di questo gruppo esiste inoltre un’ elevata variabilità
morfologica inter e intraspecifica che rende, pertanto, la
determinazione specifica difficoltosa e incerta, anche per la mancanza
di precisi riferimenti morfobiometrici che consentano di utilizzare
un’adeguata chiave dicotomica. Sono notevoli infatti le differenze
riscontrabili tra individui della stessa specie a livello di dimensioni,
colore e pattern del dorso e del ventre, presenza, numero, forma e
dimensioni degli ocelli, presenza, numero e disposizione di spine sul
corpo…etc. Alcune specie sono poi tanto rare in natura da rendere
difficoltosa la cattura attraverso campagne scientifiche. La
descrizione specifica a volte è oltremodo complicata anche all’interno
della stessa specie, essendo notevoli le differenze intraspecifiche
legate alle caratteristiche biologiche (età, sesso, etc.) e alle condizioni
ambientali.
1.3.2 Morfologia
Il corpo dei Rajidi è appiattito dorsoventralmente e può essere
suddiviso in tre regioni: regione cefalica, dal rostro alle fessure
branchiali; regione addominale, dal cinto pettorale al ventre, dove sono
racchiusi i visceri; regione caudale, posteriore agli sbocchi
dell’intestino e dell’apparato urogenitale.
Nella regione cefalica ritroviamo la bocca, gli occhi, gli spiracoli,
branchie e narici.
La bocca ventrale ed è dotata di numerosi denti variabili per forma
e dimensioneTutti gli elasmobranchi hanno denti disposti su più file,
lungo il bordo delle mascelle inferiore e superiore. La dentatura della
maggior parte delle razze consiste di più file di denti piatti, poligonali
e contigui fra di loro come le tessere di un mosaico (Fisher et al .,
1987b); essi costituiscono due piastre masticatrici atte a triturare
prede con guscio duro.
Figura 2 Da sinistra a destra, bocca di esemplare femmina e maschio di R. asterias (in alto) e R. clavata (in basso) (foto C. Cuoco).
Figura 3 Da sinistra a destra, bocca di esemplare femmina e maschio di R.miraletus (in alto) e R. polystigma (in basso) (foto C. Cuoco).
Gli occhi sono situati lateralmente e hanno solo palpebra inferiore.
Sul fondo dell’occhio, dietro la retina, è inoltre presente una serie di
piastre riflettenti che formano il tapetum lucidum. Questa struttura
funziona come uno specchio che riflette anche la più debole radiazione
luminosa, di nuovo verso la retina, amplificando lo stimolo finale. I
Batoidei, a differenza degli squali, non possiedono una vista acuta. Gli
occhi hanno un’ organizzazione simile a quella di tutti i Vertebrati,
anche se il loro potere diottrico è affidato al movimento del cristallino
che, spostandosi più o meno vicino alla retina, permette di mettere
meglio a fuoco oggetti vicini o lontani. In posizione di riposo l’occhio è
accomodato per la visione da lontano, e con l’azione di un muscolo
protrattore, posso essere messi a fuoco anche oggetti vicini.
In posizione posteriore rispetto agli occhi è situato lo spiracolo,
un’apertura a funzione respiratoria, derivante da una modificazione
della prima fessura branchiale. Lo spiracolo è dotato di valve
respiratorie, due membrane che chiudendosi, durante il ciclo
respiratorio, possono impedire il reflusso di acqua.
Figura 4 Particolare di occhio e spiracolo di Raja asterias (foto Fabrizio Serena).
Le narici esterne sono divise in due regioni distinte da due lembi di
pelle che permettono così il flusso sia in entrata che in uscita. La loro
funzione è esclusivamente olfattoria e per questo sono tappezzate da
cellule sensoriali capaci di percepire bassissime concentrazioni di
sostanze disciolte nell’acqua. Le narici non comunicano internamente
con la cavità boccale, ma possono essere esternamente collegate ad
essa mediante solchi labiali che aiutano il flusso d’acqua, dalla bocca
alle narici utile soprattutto quando l’animale è immobile sul fondo.
La regione addominale racchiude la cavità del corpo contenente i
visceri ed è l’area di impianto delle pinne pari. Le pinne sono appendici
che agiscono come dispositivi di stabilizzazione, contro il rollio e il
beccheggio, e di regolazione della posizione del corpo durante il nuoto,
per i cambiamenti di direzione e per gli spostamenti di quota. Mentre
negli squali contribuiscono poco alla propulsione dovuta essenzialmente
ai movimenti di ondulazione laterale della parte posteriore del tronco e
della coda, nelle Razze la coda è molto lunga e sottile e la propulsione
è affidata solamente all’azione delle pinne pettorali.
Negli Elasmobranchi le pinne pari, le pinne impari mediane e la pinna
caudale sono formate da una piega cutanea sostenuta da raggi
connettivali detti ceratotrichi, che partono da una base scheletrica.
La struttura è resa ulteriormente forte da raggi posti distalmente
detti attinotrichi.
Lo scheletro delle pinne pari è ancorato al cinto pettorale, un
complesso scheletrico inserito nella parete del corpo immediatamente
dietro la testa, che si articola con le pinne e che ha la funzione di
assorbire le sollecitazioni che tali appendici subiscono.
Figura 5 Schema dello scheletro dei Rajidi.
Nei Condroitti, il cinto pettorale è formato solo da cartilagini e
comprende scapola, sovrascapola e coracoide. È costituito da un anello
incompleto cartilagineo immerso nella massa muscolare. Mentre negli
squaliformi il cinto pettorale non ha alcun rapporto con lo scheletro
assiale, nei Batoidei è sospeso alla colonna vertebrale mediante dei
legamenti per sopperire alle grandi dimensioni delle pinne pettorali. Le
pinne pettorali si articolano nella regione della scapola e del coracoide,
mentre le pinne pelviche si articolano con una prominenza della
porzione laterale o posteriore della piastra pelvica. Le pinne pettorali
delle razze sono amplissime, spesso si estendono in avanti a circondare
il capo, e all’indietro fino alle pinne pelviche collocate posteriormente
all’orifizio cloacale. Nei maschi il margine interno delle pinne pelviche si
prolunga e ripiega, da ambo i lati, a formare gli pterigopodi.
Le pinne impari sono localizzate lungo la linea mediana dorsale e
ventrale del tronco, e comprendono la prima e la seconda pinna dorsale,
la pinna anale e la caudale. I Rajidi hanno due pinne dorsali in posizione
caudale e non hanno pinna anale, come alcune specie di squali.
Il derma costituito principalmente da tessuto connettivo ricco di
fibre di collagene, e contenente vasi sanguigni, piccoli nervi,cellule
pigmentate, possiede infine antiche e persistenti potenzialità di
formare tessuto osseo.
Figura 6 Particolare degli pterigopodi di Raja asterias.
Testimonianza di questo è il fatto che il corpo degli Elasmobranchi è
ricoperto da scaglie placoidi, presenti già negli squali del Paleozoico, da
cui spunta poi una spina che attraversa l’epidermide affiorando sulla
superficie cutanea.
Figura 7 Sezione trasversale di una scaglia placoide.
La spina costituisce un dentello specializzato da cui derivano inoltre
le spine degli pterigopodi e le spine e spinule presenti sulla superficie
di molte razze. Le scaglie placoidi contribuiscono infine anche
all’idrodinamicità dell’animale. Quando infatti, uno squalo o un batoideo
nuota, le scaglie possono creare una serie di vortici dietro ogni scaglia,
aumentando l’efficienza del nuoto (Rashi & Tabit, 1992). La superficie
dorsale è ricoperta da una serie di spine e spinule: denticoli
piccolissimi,disposti in maniera lineare e con la punta curva in senso
posteriore. Gruppi di spinule molto sottili si trovano in alcune aree
della testa, il rostro o le ali; mentre spine più sporgenti e appuntite
sono situate in diverse posizioni: rostrali, pre- e post orbitali,
interspiraculari, scapolari, interscapulari, malari, nucali, mediane,
interdorsali, alari.
Figura 8 Lato dorsale di un Rajidae.
Figura 9 Lato ventrale di un Rajidae.
La presenza, disposizione e numero di queste spine varia con l’età, il
sesso e maturità sessuale, rendendo difficile una descrizione univoca
per ogni specie. La colorazione del dorso è molto variabile anche tra
individui della stessa specie; il lato ventrale è solitamente chiaro per le
specie costiere, e più scuro per le specie che vivono lungo la scarpata
continentale o nel batiale per una questione di mimetismo.
1.4. RIPRODUZIONE
I pesci cartilaginei sono caratterizzati da una life-history K-
selezionata: crescono lentamente, raggiungono tardi la maturità
sessuale, partoriscono pochi piccoli con basso tasso di mortalità e la
loro popolazione aumenta molto lentamente.
1.4.1 Diverse tipologie riproduttive
I Condroitti viventi comprendono circa 110 specie di elasmobranchi e
più di 30 specie di Olocefali (Compagno, 1990; 2002). Sebbene il
numero di condroitti viventi sia esiguo rispetto ad altri gruppi di
vertebrati, essi hanno evoluto un elevato numero di diverse strategie
riproduttive (Wourms, 1977). Lo stesso autore nel 2002 affermava
che queste si possono suddividere sostanzialmente in due categorie
basate sul tipo di nutrizione fetale: la lecitotrofia e la matrotrofia.
Mentre nel primo caso il sostentamento del feto è totalmente a carico
del vitello, nel secondo la madre ne contribuisce almeno in parte. In
questo gruppo di animali, il feto può svilupparsi sia all’ interno
(viviparità) che all’ esterno (oviparità) della madre.
L’oviparità è una tipologia di riproduzione lecitotrofica. Tutte le uova
di condroitti che vengono deposte possiedono un guscio protettivo con
struttura molto complessa e resistente nel tempo (Hamlett and Koob,
1999). L’oviparità può poi essere singola (esterna) e multipla (interna)
(Nakaya, 1975; Compagno, 1990). Nell’oviparità singola, le uova vengono
deposte una alla volta, ognuna prodotta all’interno di ogni ovidotto,
solitamente in coppia. Durante un’intera stagione riproduttiva possono
essere deposte decine e decine di uova. Questo tipo di riproduzione è
tipica degli Heterodontiformi e dei Batoidei. In altri gruppi compare
associata ad altre tipologie riproduttive. L’oviparità multipla è tipica
solo di alcune specie di sciliorinidi ed è caratterizzata dalla ritenzione
nell’ovidotto di un gruppo di circa 10 uova che vengono deposte sul
fondo solo in prossimità della schiusa.
La viviparità può essere sia lecitotrofica che matrotrofica (Wourms,
1977,1981; Compagno, 1990; Wourms and Lombardi, 1992) per un
totale di 4 tipologie differenti. La viviparità lecitotrofica (yalk-sac
viviparity) prevede la ritenzione nell’utero delle uova fino a completo
sviluppo con il solo nutrimento derivato dal sacco vitellino e nessun
input materno. Durante la gestazione la madre può perdere più del 20%
del suo peso corporeo. Questa tipologia di riproduzione è la più
diffusa, essendo presente in tutti gli Ordini viventi ad eccezione degli
Eterodontiformi (ovipari) e i Lamniformi caratterizzati da una forma
più avanzata di viviparità (Compagno, 1990).
L’istotrofia è caratteristica dei Miliobatiformi che producono un
liquido ricco in lipidi e proteine simile al latte che arriva all’embrione
attraverso villi specializzati detti trofonemata.
Nell’ oofagia l’embrione inizialmente trae nutrimento attraverso il
sacco vitellino e successivamente si nutre delle uova non fertili.
Questa è la tipica riproduzione dei Lamniformi, ma si è anche evoluta
in un’unica famiglia di carcariniformi, gli Pseudotriachidi (Yano, 1992,
1993). L’ultima strategia riproduttiva è detta viviparità placentare e
si è evoluta solo in cinque famiglie di carcariniformi (Compagno, 1998).
In questo caso l’embrione si nutre attraverso il sacco vitellino o
tramite istotrofia fino alla completa formazione della placenta, per poi
trarre completamente nutrimento da questa (Hamlett, 1989; Hamlett
and Hysell, 1998; Hamlett and Koob, 1999).
1.4.2. Aspetti generali della riproduzione nei Rajiformi
I Rajiformi hanno riproduzione ovipara singola e producono un gran
numero di uova lungo tutta la stagione riproduttiva. Questa
specializzazione si ritrova soprattutto in specie di piccole dimensioni (<
100cm TL) (Callard et al ., 1995) che, se vivipari, avrebbero pertanto
avuto bassa fecondità. Per questo l’oviparità in queste specie sembra
essere un adattamento per aumentare la fecondità (Golden, 1973).
Questa condizione sembra inoltre aumentare la loro fitness. Le specie
di piccole dimensioni hanno probabilità maggiore di essere predate di
quelle più grandi (Peterson and Wroblewsky, 1984; Chen and
Watanabe, 1989; Cortès, 2004). A parità di dimensioni, l’oviparità
garantisce però una maggiore possibilità di procreare e avere quindi
fitness più alta rispetto alla viviparità (“bet hedging”, Stearns, 1992).
Se una specie vivipara viene infatti predata durante la gestazione, la
sua fitness è uguale a zero. È molto probabile invece che una specie
ovipara abbia comunque già deposto delle uova qualora venisse predata,
e la sua fitness sarebbe positiva. Questa considerazione è valida anche
considerando che tra il 20-60 % delle uova viene mangiato da predatoti
e non svilupperà discendenza (Frisk et al ., 2002).
Nei Rajidi la fecondazione è interna ed avviene grazie agli
pterigopodi dei maschi, modificazioni della base interna delle pinne
pelviche, che facilitano la copula, rilasciando gli spermi direttamente
all’interno della cloaca della femmina (Compagno, 1999a).
L’apparato riproduttivo femminile è costituito da una coppia di ovari
e di ovidotti differenziati in ostio, ovidotto anteriore, ghiandola
nidamentale, utero e seno urogenitale comune.
Figura 10 Apparato sessuale femminile di Raja asterias.
Capsula in formazione Utero
Ovario
Seno urogenitale
comune
Ghiandola nidamentale Oociti
L’ovario ha tre funzioni principali: la produzione di cellule germinali,
l’acquisizione e l’accumulo di vitello, la biosintesi e la secrezione di
ormoni. Nella maggior parte delle razze entrambi gli ovari partecipano
alla produzione di uova mature, mentre tra le specie vivipare è
frequente l’atrofia dell’ovario sinistro.
L’utero in tutti gli Elasmobranchi svolge numerose funzioni: protegge
e supporta l’embrione in sviluppo e le uova, garantisce l’apporto di
ossigeno al lumen uterino, biosintetizza e secerne materiali strutturali
o sostanza nutritive necessarie allo sviluppo (Hamlett and Koob, 1998).
Nelle specie ovipare l’utero alloggia le capsule ovariche durante la loro
sclerotizzazione, fino alla deposizione (Hamlett and Hysell, 1998). Nei
Rajidi possiede pieghe longitudinali altamente vascolarizzate e ricche
di cilia e microvilli e contribuisce a determinare le caratteristiche
chimico-strutturali delle capsule e può facilitarne i processi biochimici
di polimerizzazione, incluso il rifornimento di ossigeno e l’assorbimento
di acqua (Koob and Hamlett, 1998; Hamlett and Koob, 1999).
L’uovo è fecondato nella parte più alta dell’ovidotto; è circondato
completamente dal tuorlo, da cui trae nutrimento, e dall’albume, che lo
protegge dagli urti meccanici ed è preposto agli scambi osmotici, che
va a riempire tutta la capsula comprese le corna. Il tutto è racchiuso in
una capsula chitinosa prodotta dalla ghiandola nidamentale.
La capsula si sposta poi lungo l’ovidotto fino ad uscire dalla cloaca
della femmina. Nelle specie ovipare le dimensioni della ghiandola
nidamentale aumentano con lo sviluppo dell’ovario e raggiungono la
massima dimensione prima dell’ovulazione, per poi andare incontro a
fluttuazioni durante il ciclo ovulatorio.
Questa ghiandola è caratteristica fondamentale di tutti i Condroitti
viventi (Hamlett et al .,1998; Hamlett and Koob, 1999) ed è una
struttura complessa che deriva dalla parte più anteriore dell’utero dei
pesci cartilaginei. Questa struttura è sotto controllo endocrino e
produce tutte le componenti che rivestono l’uovo sia nelle specie
Figura 11 Capsula ovarica e ghiandola nidamentale di Raja asterias.
ovipare che in quelle vivipare (Hamlett et al ., 1998°; 1999; Hamlett and
Koob, 1999). La ghiandola, in direzione antero-posteriore, è divisa in 4
parti: la zona club prossimale, la zona papillare, la zona baffle e la zona
terminale (Hamlett et al ., 1998). La zona club e quella papillare
producono la sostanza gelatinosa che protegge l’uovo all’interno della
capsula (Koob and Straus , 1998). La zona baffle costruisce la capsula
che ricopre l’uovo e gli strati gelatinosi (ovipari) e le membrane con la
medesima funzione nei vivipari. La zona terminale è deputata invece
alla formazione delle componenti filamentose che adornano l’esterno
della capsula. La ghiandola nidamentale ha struttura generale comune a
tutti gli Elasmobranchi ma esistono differenze in dimensione e
specializzazioni tra diversi gruppi di elasmobranchi (Hamlett et al .,
1998).
1.4.1 Le capsule ovariche
Le capsule ovariche dei Condroitti hanno morfologia molto variabile
pur avendo tutte la stessa funzione protettiva dell’embrione.
Nonostante ciò la forma e la presenza di strutture accessorie a
funzione diversificata sono peculiari della specie. Di seguito sono
riportate alcuni esempi di capsule ovariche di pesci cartilaginei
mediterranei e tropicali:
Figura 12 Capsule ovariche di Scyliorhinus stellaris (a sinistra) e Scyliorhinus canicula (a destra).
Figura 13 Capsule ovariche di Chimera monstrosa (a sinistra) e Galeus melastomus (a destra).
Figura 6
Figura 14 Capsule ovariche di Heterodontus galeatus.( a sinistra) e Heterodontus portjacksoni (a destra, foto e disegno).
Le capsule ovariche dei Rajidi hanno una forma piuttosto particolare
come rappresentato in figura 15
Figura 15 Esempi di capsule ovariche di Rajidi.
Sono secrete dalla zona baffle della ghiandola nidamentale. Una
ghiandola tubulare produce collagene e altre proteine accessorie che
fluiscono all’interno di un dotto escretore per poi andare a formare la
capsula. Inizialmente si formano sottilissimi filamenti che man mano si
uniscono in stringhe più ampie successivamente unite a formare delle
lamine. Le lamine sono le componenti fondamentali delle lamelle, le
unità strutturali che, distribuite secondo una struttura piuttosto
complessa, formano la capsula.
Nell’utero della femmina, la capsula è orientata in maniera specifica:
le corna prossimali, rivolte alla cloaca, sono le prime ad uscire e, alla
schiusa, tra di esse si farà strada il piccolo appena nato.
Figura 16 Porzione prossimale di capsula ovarica in uscita dalla cloaca di una femmina