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Per tutta la lunghezza dell’episodio della catabasi e del successivo ritiro triennale sui monti (vv

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Academic year: 2021

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CAPITOLO PRIMO Figli delle Muse

Per capire perché proprio Orfeo sia stato scelto tra i personaggi del poema per pronunciare «la più sostanziale digressione dalla sua principale dinamica storica»6, sono fondamentali le implica- zioni che derivano dalla sua genealogia. Per tutta la lunghezza dell’episodio della catabasi e del successivo ritiro triennale sui monti (vv. 1-85), non si hanno notizie sui genitori di Orfeo, neanche al momento della sua entrata in scena, dove una genealogia sarebbe stata canonica in contesto epi- co. All’inizio della sezione successiva, che prepara il lunghissimo canto del personaggio, l’ἔκφρασις di un vasto piano in cima a un colle definisce un cambio di scena e contemporaneamen- te di registro (vv. 86-90): Orfeo ha già introdotto tra i Traci l’amore per i giovinetti (vv. 83-85) e, mosso appunto da questa nuova passione, sta per cantare il suo nuovo canto. Non è forse un caso che proprio qui, in corrispondenza di un nuovo ‘inizio’, si abbia il primo accenno a una parentela del cantore, il quale, al momento di sedersi sull’erba e di muovere le dita sulla cetra per radunare un pubblico silvestre, è chiamato dal narratore principale dis genitus uates (v. 89)7.

I. Calliope madre

I due di che hanno generato Orfeo sono rivelati in seguito da Orfeo stesso nel suo canto. Il proe- mio accoglie nel primo verso l’invocazione alla madre (vv. 148-149):

‘Ab Ioue, Musa parens (cedunt Iouis omnia regno), carmina nostra moue.

6 Così Reed 2013, p. 195.

7 Forse troppo libera la traduzione di Gioachino Chiarini (per Reed 2013): «il vate divino». L’espressione latina pun- ta, almeno a livello letterale, al γένος del personaggio «generato da dèi, figlio di dèi, di stirpe divina» (ma vd. infra per il recupero di un’accezione metaforica dell’espressione). Si potrebbe pensare alla formulazione ovidiana come alla resa di un aggettivo greco del tipo θεογεν(ν)ής (si vedano anche i sinonimi θεόγονος e θεόγνητος).

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Il lettore non viene a conoscenza, né qui né in seguito, di quale Musa si tratti. È comunque del tutto probabile che, se si vuole dare un nome a questa Musa, le si possa dare quello di Calliope, che lun- go tutta l’antichità compare, quasi univocamente, come madre di Orfeo. Il più antico testimone per Calliope madre di Orfeo è per noi Timoteo (PMG 791, 221-224)8, ma questa parentela doveva esse- re tradizionale, poiché compare anche in Apollonio Rodio (I 23-25)9, che in tali faccende di solito segue appunto l’antica poesia epica10. Esiste una tradizione alternativa, invero rarissima, per cui la Musa in questione sarebbe Polinnia (Πολυμνία)11: nella preferenza per questo nome avrà giocato il ruolo principale la sua etimologia (< πολλοὶ ὕμνοι, «molti inni»), che bene si addiceva alla poesia innica tramandata sotto il nome di Orfeo12. Altrettanto rara è la tradizione per cui madre di Orfeo sarebbe la Musa Clio (Κλειώ)13: per giustificarne la scelta si può ricorrere all’etimologia del nome (da κλείω, forma epica di κλέω, «celebro», a sua volta da κλέος, «notizia», quindi «fama»)14, ma forse è più semplice pensare15 che la maternità di Clio sia stata trasferita a Orfeo a partire da uno dei suoi ‘fratelli’ mitici, tra cui, per esempio, Lino (vd. infra Capitolo Terzo).

8 πρῶτος ποικιλόμουσος Ὀρ- / φεὺς <χέλ>υν ἐτέκνωσεν / υἱὸς Καλλιόπα<ς ∪ − / − ∪> Πιερίαθεν [«Per primo Orfeo dal variato canto creò la lira, lui che era figlio di Calliope <…> dalla Pieria»]. Questo passo, per altro, è il primo tra i pochi testimoni della tradizione (su cui cfr. Ziegler 1939, pp. 1252-1253) che vuole Orfeo inventore del suo stesso strumento musicale (qui χέλυς), fatto che lo rende automaticamente il primo poeta (cfr. πρῶτος).

9 πρῶτά νυν Ὀρφῆος μνησώμεθα, τόν ῥά ποτ᾽ αὐτὴ / Καλλιόπη Θρήικι φατίζεται εὐνηθεῖσα / Οἰάγρῳ σκοπιῆς Πιμπληίδος ἄγχι τεκέσθαι [«Per prima cosa dunque ricordiamo Orfeo, che, si dice, Calliope stessa un tem- po, giaciuta con il trace Eagro, generò vicino al picco di Pimplea»]. È l’inizio del catalogo degli Argonauti. Non è un caso che Apollonio cominci proprio da Orfeo (cfr. πρῶτά νυν): questa posizione traduce l’importanza che il poeta mi- tico ha per il poeta autore. Orfeo è primo sia rispetto agli altri Argonauti, perché, in quanto poeta, è più intimamente vi- cino all’autore, poeta anch’egli, sia rispetto agli altri poeti, perché è considerato il primo poeta in assoluto.

10 Così Ziegler 1939, p. 1219.

11 L’unica fonte che la tramanda è lo scolio al passo di Apollonio appena citato (I 23-25 a, testo secondo Lachenaud 2010), che riporta tradizioni alternative su entrambi i genitori di Orfeo rispetto a quella scelta da Apollonio: ἔστι δέ, ὡς Ἀσκληπιάδης, Ἀπόλλωνος καὶ Καλλιόπης· ἔνιοι δὲ ἀπὸ Οἰάγρου καὶ Πολυμνίας [«Secondo Asclepiade, però, è figlio di Apollo e Calliope; alcuni, invece, lo dicono nato da Eagro e Polinnia»]. Si tratta di Asclepiade di Tragilo (FGrH 12 F 6 c), la cui affermazione sulla genealogia di Orfeo è riportata da altri due testimoni (12 F 6 a, b): la testi- monianza di questo studioso è fondamentale per la ‘famiglia’ di Orfeo, su cui vd. infra Capitolo Terzo.

12 Il titolo della raccolta dei cosiddetti Inni orfici, che gli studi più recenti considerano composta tra la fine del II e l’inizio del III secolo d. C. (cfr. l’introduzione a Fayant 2014), è tramandato dai manoscritti secondo tre formulazioni (Ὀρφέως ποιητοῦ ὕμνοι πρὸς Μουσαῖον, Ὀρφέως ὕμνοι πρὸς Μουσαῖον e Ὀρφέως τελεταὶ πρὸς Μουσαῖον), di cui due contengono appunto la parola ὕμνοι.

13 Essa è tramandata da due fonti imparentate: Sch. ad Il. X 435 Dindorf ed Eust. ad Il. X 435. Quest’ultimo in parti- colare, dopo aver riferito che Reso era detto anche figlio dello Strimone e di Euterpe, aggiunge (testo secondo van der Valk 1979, p. 107): ὁ μῦθος οὐ μόνον τὴν ῥηθεῖσαν Μοῦσαν Εὐτέρπην μητέρα ποιεῖ, ἀλλὰ καὶ ἑτέρας.

Καλλιόπης μὲν γὰρ ἢ Κλειοῦς Ὀρφεύς, Λῖνος δὲ Τερψιχόρης, Θαλείας Παλαίφατος, Ἐρατοῦς Θάμυρις, Μελπομένης καὶ Ἀχελῴου Σειρῆνες, Πολυμνίας Τριπτόλεμος [«Il mito racconta che non solo la suddetta Musa Euterpe fu madre, ma anche altre Muse. Da Calliope o da Clio, infatti, nacque Orfeo, Lino invece nacque da Tersicore, da Talia Palefato, da Erato Tamiri, da Melpomene e da Acheloo le Sirene, da Polinnia Trittolemo»].

14 Già in Omero gli ἀοιδοί cantano κλέα ἀνδρῶν (cfr. p. es. Achille suonatore di cetra: Il. IX 189 τῇ ὅ γε θυμὸν ἔτερπεν, ἄειδε δ᾽ ἄρα κλέα ἀνδρῶν [«Con essa egli allietava l’animo, cantava imprese gloriose di eroi»]) e contem- poraneamente κλείουσι l’argomento del loro canto (cfr. p. es. Penelope che si rivolge al cantore Femio: Od. I 337-338 Φήμιε, πολλὰ γὰρ ἄλλα βροτῶν θελκτήρια οἶδας / ἔργ᾽ ἀνδρῶν τε θεῶν τε, τά τε κλείουσιν ἀοιδοί [«Femio, co- nosci molti altri canti che affascinano i mortali, imprese di uomini e di dèi, che i cantori celebrano»]). Cfr. anche h.Orph. 76 [alle Muse], 11-12, dove si richiede alle Muse di venire tra gli iniziati portando, tra l’altro, εὔκλεια, «fama, gloria»: in quest’ultimo caso, il κλέος ricade non sull’argomento del canto, ma sul cantore stesso.

15 Così Ziegler 1939, p. 1220.

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Esiste, infine, una tradizione isolata, secondo cui Orfeo sarebbe figlio di una donna mortale16, Menippe, figlia di Tamiri. Già Apollodoro di Atene (FGrH 244 F 162 = Sch. ad [Eur.] Rh. 916a1, per cui vd. infra Capitolo Terzo) parlava di un Tamiri ἐκ τῆς Βισαλτίας τὸ γένος, ὄντα πατέρα τῆς Ὀρφέως μητρός, ma l’unico testimone del nome di questa madre è per noi Giovanni Tzetzes, che la cita tre volte in riferimento al figlio nelle sue cosiddette Chiliades (I 309, IV 282, VIII 1).

Interessante il primo passo, dalla historia 12 ΠΕΡΙ ΟΡΦΕΩΣ (I 308-310)17:

310

Ὀρφεὺς ἦν Θρᾷξ ἐξ Ὀδρυσσῶν πατρίδος Βισαλτίας, Μενίππης τῆς Θαμύριδος υἱὸς καὶ τοῦ Οἰάγρου, κἂν ἀλληγορικώτερον φασί, τῆς Καλλιόπης18.

Questa tradizione è importante per due motivi. Innanzitutto perché crea un legame di sangue tra Or- feo e Tamiri, un personaggio molto importante nel processo di costituzione dell’Orfeo ovidiano (vd.

infra Capitolo Terzo). Ma soprattutto perché svela, con un procedimento razionalizzante che ricorda quello di Palefato nel περὶ ἀπίστων, il significato ultimo della maternità di Calliope per Orfeo, cioè il duplice ragionamento per cui se un uomo è un bravo poeta, allora è figlio della Musa, e allo stesso tempo se è figlio della Musa, allora è un bravo poeta. Quella che Tzetzes chiama ἀλληγορία, è la semplice metafora all’origine della genealogia divina di Orfeo, il quale, proprio perché cantava ὀπὶ καλῇ19, allora doveva essere figlio di Καλλιόπη, «colei che ha una bella voce»20.

16 Un primo passo verso l’abbandono della genealogia divina è l’opinione riportata da Paus. IX 30, 4 πολλὰ μὲν δὴ καὶ ἄλλα πιστεύουσιν οὐκ ὄντα Ἕλληνες καὶ δὴ καὶ Ὀρφέα Καλλιόπης τε εἶναι Μούσης καὶ οὐ τῆς Πιέρου καί οἱ τὰ θηρία ἰέναι πρὸς τὸ μέλος ψυχαγωγούμενα [«Tra le molte cose non vere a cui i Greci prestano fede, c’è in particolare il fatto che Orfeo era figlio di Calliope la Musa e non la figlia di Piero, e che le fiere andavano dove il suo canto le attirava»]: Orfeo è umanizzato tramite l’umanizzazione di sua madre.

17 Testo secondo Leone 1968.

18 «Orfeo era Trace, del popolo degli Odrisi, originario della Bisaltia, figlio di Menippe, figlia di Tamiri, e di Eagro, e se si parla in modo più allegorico, figlio di Calliope». Degli altri due passi, il secondo (VII 1000-VIII 1-2, dalla histo- ria 157 ΠΕΡΙ ΤΟΥ ΘΕΛΓΕΙΝ ΠΑΝΤΑ ΟΡΦΕΑ) è di fatto una riformulazione di I 308-310: Ὀρφεὺς ἦν Θρᾷξ, ἐξ Ὀδρυσσῶν τῶν περὶ Βισαλτίαν, / Μενίππης τῆς Θαμύριδος υἱὸς καὶ τοῦ Οἰάγρου. / Ἀλληγοροῦντες δε [sic]

φασὶ παῖδα τῆς Καλλιόπης.

19 L’etimologia del nome di Calliope è già chiara in Esiodo, che in Th. 68 descrive le Muse mentre si dirigono verso l’Olimpo ἀγαλλόμεναι ὀπὶ καλῇ [«gloriandosi della voce bella»]: undici versi dopo (al v. 79) sarà fatto il nome di Calliope per la prima volta nel poema e nella letteratura a noi pervenuta. Ma l’espressione ὀπὶ καλῇ era già stata riferita alle Muse da Omero: cfr. p. es. Il. I 604, dove le Muse sono descritte mentre ἄειδον ἀμειβόμεναι ὀπὶ καλῇ [«cantava- no alternandosi con la voce bella»]. È Diod. IV 7, 4 a esplicitare l’etimologia di Calliope ἀπὸ τοῦ καλὴν ὄπα προΐεσθαι, «dal fatto che emette una bella voce».

20 Addirittura appare probabile che il nome stesso della madre mortale di Orfeo, Μενίππη (< μένος ἵππου, «forza di un cavallo»), non sia altro che una storpiatura di quello della madre divina, forse con un passaggio per Καλλίππη («bel cavallo»); secondo Ov. Met. V 303, d’altronde, la moglie di Piero, madre delle Pieridi, tra cui appunto la Calliope mor- tale di cui parla Pausania, si chiamava Euippe («buon cavallo»). Non è da escludere che nella scelta di nomi con riferi- mento al cavallo, abbia giocato un ruolo la notorietà di cui la Tracia godeva in fatto di razze equine.

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10 II. Calliope epica

Essere figlio di Calliope non significa semplicemente avere una bella voce. Calliope, infatti, è tradizionalmente la Musa più importante delle nove, già dalla sua prima apparizione in Esiodo, che la pone significativamente per ultima nel famoso elenco di Th. 76-80:

80

ἐννέα θυγατέρες μεγάλου Διὸς ἐκγεγαυῖαι, Κλειώ τ᾽ Εὐτέρπη τε Θάλειά τε Μελπομένη τε Τερψιχόρη τ᾽ Ἐρατώ τε Πολύμνιά τ᾽ Οὐρανίη τε Καλλιόπη θ᾽· ἡ δὲ προφερεστάτη ἐστὶν ἁπασέων.

ἡ γὰρ καὶ βασιλεῦσιν ἅμ᾽ αἰδοίοισιν ὀπηδεῖ21.

L’importanza di Calliope è sottolineata anche e soprattutto dalla posizione del suo nome, l’ultimo dei nove e l’unico cui è dedicato un verso intero, mentre gli altri otto sono stati precedentemente af- fastellati in due simmetrici versi con quattro nomi ciascuno22. Alla sua importanza rispetto alle so- relle corrisponde l’importanza dei suoi specifici protetti, i re, rispetto al resto dei mortali. Sotto que- sto aspetto Calliope è per le Muse quello che Zeus è per gli dèi tutti: entrambi, dunque, riservano una particolare protezione ai loro rappresentanti terreni, i capi, i potenti.

In linea con questa connotazione regale di Calliope si pone la tradizione, probabilmente ellenisti- ca, che le attribuisce una particolare competenza sulla poesia epica, sugli ἔπη23. Numerose sono le fonti che la tramandano24, e mentre per le altre Muse ci sono frequenti oscillazioni quanto all’area di competenza specifica di ognuna, per Calliope la tradizione è stranamente univoca, cosa che conforta ancora di più nell’idea che ella non potesse che essere associata a quel genere letterario. Una delle testimonianze probabilmente più antiche al riguardo è appunto lo scolio a Hes. Th. 76, appena cita- to, che si sofferma, come d’altronde Esiodo stesso, proprio su Calliope25:

76. ἐ ν ν έ α θ υ γ α τ έ ρ ε ς. εἰσὶ δὲ τὰ τῶν Μουσῶν εὑρήματα ταῦτα. Κλειὼ

21 «Le nove figlie generate dal grande Zeus, Clio ed Euterpe e Talia e Melpomene e Tersicore ed Erato e Polinnia e Urania e Calliope: quest’ultima è la più illustre di tutte quante. Ella infatti accompagna i re venerandi».

22 Lo stesso espediente è usato anche nel già citato inno orfico alle Muse (h.Orph. 76), in cui l’elenco delle nove dèe ai vv. 8-10 è ripreso di peso dal passo di Esiodo, con una variazione ‘orfica’ quando si arriva appunto a Calliope, madre del supposto autore dell’inno: Κλειώ τ᾽ Εὐτέρπη τε Θάλειά τε Μελπομένη τε / Τερψιχόρη τ᾽ Ἐρατώ τε Πολύμνιά τ᾽ Οὐρανίη τε / Καλλιόπῃ σὺν μητρὶ καὶ εὐδυνάτῃ θεᾷ ἁγνῇ [«Clio ed Euterpe e Talia e Melpomene e Tersicore ed Erato e Polinnia e Urania con Calliope, madre e potentissima dea pura»].

23 Per l’epica come poesia «sui re» (quindi «per i re»), cfr. Verg. Buc. 6, 3-5, dove si mostra Titiro che, mentre sta cantando reges et proelia, è ammonito da Apollo a coltivare invece un deductum… carmen. Non è da escludere che sull’attribuzione dell’epica a Calliope abbia influito in qualche modo anche l’assonanza [Καλλι]όπη-ἔπη.

24 Cfr. Weicker 1919, p. 1655.

25 Testo secondo Flach 1876.

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ῥητορικήν, Εὐτέρπη αὐλητικήν, Θάλεια κωμῳδίαν, Μελπομένη τραγῳδίαν, Τερψιχόρη κιθαρῳδίαν, Ἐρατὼ ποίησιν, Πολύμνεια [sic] γεωμετρίαν, Οὐρανία ἀστρονομίαν, Καλλιόπη ἔπη, ἣν καὶ προφερεστάτην εἶπε πασῶν, ὅτι πάσης ἐπιστήμης ὁ λόγος ἀνώτερος, ἢ διὰ τὸ τὴν ποιητικὴν ἀνωτέραν εἶναι26.

Innanzitutto, in questa testimonianza le singole ‘discipline’ nominate non sono attribuite alle singo- le Muse semplicemente come aree di competenza, ma addirittura come εὑρήματα, «invenzioni»:

ognuno di questi saperi – ma si tratta per lo più di generi letterari –, dunque, è presentato come di- vino. In questo contesto, è interessante notare come la superiorità di Calliope sulle sorelle si tra- sformi direttamente nella superiorità (ἀνώτερος è parola chiave) della sua invenzione su quelle del- le sorelle: in un gruppo di saperi divini, esiste un sapere più divino degli altri.

II.1. Orfeo epico

Non stupisce che tutti i componimenti poetici che l’antichità ha attribuito al figlio di Calliope, a partire dagli Inni orfici, siano in esametri, cioè siano ἔπη. La connotazione di Orfeo come poeta di ἔπη è arrivata fino alla Suida: nel lessico bizantino, che presenta niente meno che sette lemmi

‘Ὀρφεύς’27, ben quattro di essi sono definiti ἐποποιοί28. Perfettamente in linea con questa tradizio- ne, e anzi coronamento di essa, è la notizia per cui proprio Orfeo sarebbe l’inventore del verso esa- metro: poiché, infatti, Orfeo era di fatto il primo poeta, egli doveva avere inventato un qualche me- tro per poetare, e poiché tutti i componimenti poetici che circolavano sotto il suo nome erano in esametri, tale metro doveva essere appunto l’esametro. Questa conclusione, a quanto pare, era stata tratta già nel V secolo a. C., come testimonia il grammatico Mallio Teodoro29 all’inizio della sezio- ne De metro dactylico del suo De metris (Keil VI 589, 20-24):

Metrum dactylicum hexametrum inuentum primitus ab Orpheo Critias adserit, Democritus a Musaeo, Persinus a Lino, permulti ab Homero, qui profecto, cum heroum

26 «Le invenzioni delle Muse sono queste: Clio inventò la retorica, Euterpe l’auletica, Talia la commedia, Melpome- ne la tragedia, Tersicore la citarodia, Erato la poesia, Polinnia la geometria, Urania l’astronomia, Calliope l’epica, lei che il poeta ha chiamato la più illustre di tutte, perché la parola è superiore a ogni sapere, oppure perché l’arte poetica è superiore». Difficile determinare cosa intenda precisamente lo scoliasta per ὁ λόγος (si è tradotto nel modo più neutro possibile) o perché la ποίησις inventata da Euterpe sia diversa da tutte le altre forme poetiche nominate.

27 Questa proliferazione di Orfei è dovuta a vari problemi di cronologia mitica che il personaggio pone: per fare tutto ciò che la mitologia gli attribuiva, egli sarebbe dovuto vivere molto più a lungo di un uomo mortale, cosa che spesso è stata risolta dai mitografi con l’individuazione di più Orfei (cfr. Ziegler 1939, p. 1214-1215).

28 Ὀ ρ φ ε ύ ς (ΙΙ), Κικωναῖος ἢ Ἀρκάς, ἐκ Βισαλτίας τῆς Θρᾳκικῆς, ἐποποιός [...]. Ὀ ρ φ ε ύ ς (ΙΙΙ), Ὀδρύσης, ἐποποιός [...]. Ὀ ρ φ ε ύ ς (ΙV), Κροτωνιάτης, ἐποποιός [...]. Ὀ ρ φ ε ύ ς (V), Καμαριναῖος, ἐποποιός [...] (testo: Adler 1933).

29 Di solito identificato con Flauius Mallius Theodorus, console nel 399 d. C., sul cui consolato resta un Panegyri- cus di Claudiano, che ne loda la dottrina, sebbene non citi questo scritto.

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facta carmine suo explicare uellet, metri huius, quod ceteris omnibus longe pulchrius celsiusque est, aut repertor aut certe adprobator fuit.

La notizia del metricologo mette confusamente sullo stesso piano diversi livelli interpretativi: i pa- reri di Crizia (88 B 3 D.-K.), di Democrito (68 B 16 D.-K.) e di Persino30 (Kern Orph. test. 201) rispecchiano non tanto il dubbio sull’inventore dell’esametro, quanto quello sulla cronologia relativa tra i tre εὑρεταί nominati, Orfeo, Museo e Lino, tutti e tre intimamente legati alle Muse (Μουσαῖος addirittura nel nome), tutti e tre concorrenti al titolo di primo poeta, a tal punto simili tra loro che spesso finivano per sovrapporsi, scambiandosi tradizioni mitiche dall’uno all’altro (vd.

infra Capitolo Terzo); la quarta testimonianza, invece, riportata sotto un anonimo permulti, rispec- chia un punto di vista molto più letterario, per cui si era raggiunta la consapevolezza che, se Omero non aveva letteralmente inventato l’esametro, era sicuramente il primo poeta ‘storico’ di cui fosse pervenuta un’opera in esametri, il che in fondo era quello che contava davvero. Indipendentemente dalla soluzione dello ζήτημα sull’inventore dell’esametro31, è interessante notare che di questo me- tro è sottolineata la maggiore «bellezza» ed «elevatezza» rispetto addirittura a tutti gli altri metri (ceteris omnibus longe pulchrius celsiusque): gli ἔπη sono comunque superiori.

Avesse o meno inventato l’esametro, Orfeo agli occhi degli antichi aveva scritto ἔπη ed era fi- glio della Musa stessa degli ἔπη: la nobiltà, o meglio la regalità, dell’esametro era dovuta anche a quella di uno dei suoi primi utilizzatori, se non proprio del suo creatore, Orfeo, la quale a sua volta risaliva a quella di sua madre Calliope, e, tramite costei, a quella del di lei padre Zeus. Un filo con- tinuo, dunque, univa l’epica al padre degli dèi, passando di fatto per suo nipote, Orfeo. Ora, sembra scontato sottolinearlo, ma in effetti anche l’Orfeo di Ovidio canta ἔπη, perché il suo canto, inserito nel poema metamorfico, ne assume il metro. Per di più, in Ovidio non compaiono né Museo né Li- no né alcun altro poeta mitico alternativo a Orfeo, il quale assume così tutta la priorità possibile in questo contesto, se non altro rispetto al narratore principale ‘Ovidio’.

II.2. Orfeo nepos di Giove

Al momento di cominciare il suo canto (vv. 148-149), Orfeo è potenzialmente il primo (in ordine cronologico e di importanza) poeta epico, e non manca di asserire il suo diritto a questo titolo. In- nanzitutto, la topica invocazione alla Musa affinché ispiri il canto del suo protetto32, è orgogliosa- mente riformulata come un’invocazione alla Musa parens affinché ispiri il canto di suo figlio. Se si

30 Si tratta di Persino (Περσῖνος) di Mileto, un Orfico di età ellenistica (vd. Fornaro 2000).

31 Altri testimoni per Orfeo inventore dell’esametro sono Mario Vittorino (in dubbio tra Orfeo, Lino e Omero: Ars grammatica I 12 [Keil VI 50, 24-25]) e Damageto (Anth. Pal. VII 9, 6). In generale, per la questione, in cui rientra an- che l’invenzione della scrittura, cfr. Ziegler 1939, p. 1253-1254.

32 Cfr., all’origine del τόπος, Od. I 1 Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα.

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accetta che tale Musa sia Calliope33, Orfeo si sta rivolgendo alla Musa della poesia epica in persona, la quale, essendo contemporaneamente anche sua madre, avrà tutto l’interesse a ispirargli il miglior canto epico di sempre34. Rivolgersi alla regina delle Muse35, ispiratrice del canto regale per eccel- lenza, non può che includere un omaggio al di lei padre e re degli dèi, Giove, al cui regnum (v. 148 regno, significativamente a fine verso: il termine qui vale soprattutto come «condizione di re, rega- lità»)36 ogni cosa si sottomette, perché ogni cosa da esso deriva, e che infatti è origine anche di que- sto canto. Proprio questo canto, però, non deve a Giove solo il suo primo argomento (cioè il ratto di Ganimede: vv. 155-161; vd. infra per le implicazioni di questa scelta), bensì il suo stesso autore, perché Orfeo, come si è detto, non è altri che il nipote di Giove.

Un’allusione alla condizione di Orfeo come nipote di Giove potrebbe trovarsi nascosta proprio nelle prime parole del canto: se si legge il v. 148 senza interpunzione, come faceva il lettore antico, la sintassi potrebbe essere interpretata in modo che AB IOVE MVSA PARENS sia una frase nomina- le a sé, con il significato di «la Musa mia madre nacque da Giove»; il seguito del ragionamento po- teva essere benissimo qualcosa del tipo «se io, dunque, sono discendente di Giove, anche il mio

33 Si noti che nel verso ovidiano le parole Musa parens potrebbero essere sostituite benissimo dal vocativo Calliope.

Un altro indizio che fa capire che Ovidio quasi sicuramente pensava a lei come madre di Orfeo, è nella serie di gesti preparatori del canto che Orfeo compie ai vv. 145-147 (ut satis impulsas temptauit pollice chordas / et sensit uarios, quamuis diuersa sonarent, / concordare modos, hoc uocem carmine mouit), la quale è esemplata sulla serie di gesti compiuti appunto da Calliope prima di cominciare il suo canto nel libro quinto del poema (vv. 338-340 surgit et immis- sos hedera collecta capillos / Calliope querulas praetemptat pollice chordas / atque haec percussis subiungit carmina neruis; quest’ultimo verso sarà ripreso anche alla fine del canto di Orfeo, in XI 5 Orphea percussis sociantem carmina neruis). In questa direzione potrebbero andare anche i continui riferimenti alla uox di Orfeo, la cui «bellezza» è suggel- lata appunto nel nome di sua madre: è stato fatto notare (ultimamente da Reed 2013, p. 167) che il primissimo riferi- mento a Orfeo nel libro decimo non è al personaggio in sé, ma appunto alla sua voce (v. 3 Orphea nequiquam uoce uo- catur, con significativa figura etymologica, tendente quasi al poliptoto, nelle due parole finali del verso, quasi a suggeri- re un effetto di eco); ancora, nel citato v. 147, quando Orfeo si accinge a cantare, l’azione è descritta con la complicata espressione hoc uocem carmine mouit; continui riferimenti alla uox, infine, si trovano nella scena dell’uccisione di Or- feo (XI 1-43), in luoghi pateticamente sensibili (vv. 7-8 hastam / uatis Apollinei uocalia misit in ora; v. 11 concentu uictus uocisque lyraeque est; v. 20 etiamnum uoce canentis; v. 40 inrita dicentem nec quidquam uoce mouentem). In ogni caso, se Ovidio fa sì che Orfeo si rivolga a sua madre senza chiamarla per nome, è anche perché in effetti suona molto strano che un figlio si rivolga alla madre chiamandola per nome, ed è molto più naturale che la chiami semplice- mente «madre». Per le altre implicazioni di questo silenzio sul nome della Musa, vd. infra.

34 Non fa affatto meraviglia scoprire che, quando Eustazio di Tessalonica si chiede quale Musa sia invocata da Ome- ro nei proemi delle sue due opere, egli si risolve senz’altro per Calliope (van der Valk 1971, p. 16): πάντως δὲ καὶ ὁ ποιητὴς τὴν Καλλιόπην θέλων ἐπικαλέσασθαι οὐκ ἐκφωνεῖ αὐτήν, ἀλλὰ σεμνότερον ὀνόματι γενικῷ τῷ θεά χρῆται καὶ ἀφίησι ζητεῖν τὸν συνετὸν ἀκροατήν, τίς ἂν εἴη αὕτη, ἐμφήνας μόνον, ὅτι Μοῦσαν καλεῖ· Μούσης γὰρ τὸ ἀείδειν. ὥσπερ δὲ ὁ Ὅμηρος γενικῷ μὲν ὀνόματι ζῷον λογικόν ἐστιν, εἰδικῷ δὲ ἄνθρωπος, οὕτω καὶ ἡ Καλλιόπη γενικῶς μὲν θεὰ λέγεται, εἰδικῶς δὲ Μοῦσα, ὡς ἐν Ὀδυσσείᾳ [«Comunque anche il poeta, quando vuo- le invocare Calliope, non pronuncia il suo nome, ma, con uno stile più solenne, usa il nome generico dea e lascia che sia l’ascoltatore esperto a indagare chi sia questa dea, facendo vedere solo che la chiama Musa (cantare, infatti, è prerogati- va di una Musa). Come Omero con un nome generico si può chiamare animale razionale, ma con un nome specifico uomo, così anche Calliope è chiamata genericamente dea, ma specificamente Musa, come nell’Odissea»]. Il fatto, dun- que, che l’Orfeo di Ovidio si rivolgesse a una Musa senza farne il nome, poteva forse richiamare all’orecchio di un συνετὸς ἀκροατής addirittura l’inizio dei due poemi omerici, o se non altro dell’Odissea.

35 Così è chiamata Calliope in Hor. Carm. III 4, 1-2 Descende caelo et dic age tibia / regina longum Calliope melos.

Cfr. Anth. Pal. XVI 312 [di anonimo], 1 Καλλιόπη βασίλεια [«Calliope regina»].

36 È senza dubbio pensata sui canoni dell’epica la definizione di Giove quale rex superum sette versi più in basso (v.

155, significativamente a inizio verso), al principio dell’episodio di Ganimede: l’epica è la poesia dei reges per anto- nomasia, anche se questo rex sarà colto in un’impresa tutt’altro che epica (vd. infra).

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canto deve partire da lui», il che di fatto è quello che succede.Non si dimentichi, del resto, che sulla formulazione dei vv. 148-149 influisce anche Verg. Aen. VII 219-221:

220

ab Ioue principium generis, Ioue Dardana pubes gaudet auo, rex ipse Iouis de gente suprema:

Troius Aeneas tua nos ad limina misit.

A parlare è Ilioneo, ambasciatore di Enea presso il re Latino subito dopo lo sbarco dei Troiani nel Lazio: alla battuta precedente di Latino (vv. 195-211), il quale ha accolto benignamente gli avven- tori e ha ricordato che tra Troiani e Latini esiste anche un legame genealogico, perché Dardano sa- rebbe nato, come dice Latino, his… agris (v. 206), quindi sarebbe emigrato in Frigia, Ilioneo ribatte sottolineando l’origine da Giove della discendenza di Dardano, e quindi di Enea37, anch’egli, come Orfeo, nipote di Giove38. Il contesto, dunque, è fortemente incentrato sul genus39, e potrebbe aver influenzato in questo senso anche il proemio dell’Orfeo ovidiano40.

37 Si noti che Enea è chiamato rex, con grande enfasi sulla sua discendenza dal rex superum Giove: già solo la pre- senza di questo termine (con implicita assimilazione di Enea a Giove) rende il passo fortemente epico.

38 Enea è nepos di Giove in senso lato perché appunto per parte del padre Anchise discende da Dardano, figlio di Giove e dell’Atlantide Elettra. Questa discendenza molto lontana, tuttavia, è rafforzata dal fatto che Enea potrebbe esse- re considerato discendente di Giove anche per parte della madre Venere, secondo la tradizione omerica per cui Afrodite era figlia di Zeus e di Dione (cfr. l’espressione Διὸς θυγάτηρ Ἀφροδίτη, frequentessima clausola esametrica in Omero), tradizione cui si contrapponeva quella esiodea della sua nascita dalla spuma (ἀφρός) sorta attorno ai genitali di Urano che Crono aveva reciso e gettato in mare (Hes. Th. 188-200). Virgilio è abbastanza ambiguo al riguardo:

nell’Eneide, Venere chiama Giove genitor (I 237) e pater (X 18) e rivolgendosi a lui si definisce tua progenies (I 250), ma quando Nettuno la conforta a fidarsi del mare su cui viaggeranno le poche navi troiane superstiti, egli ricorda la di lei nascita appunto dal mare (V 800-801 fas omne est, Cytherea, meis te fidere regnis, / unde genus ducis). Nel contesto di VII 219-220, però, sembra chiaro che il rex Enea è stato messo in evidenza (cfr. ipse) rispetto alla Dardana pubes proprio perché egli gode di questa doppia discendenza da Giove, di cui dunque è nepos sia in senso lato sia in senso stretto. Un’allusione nascosta alla condizione di Enea «nipote di Giove» potrebbe essere nell’uso, a quanto pare insolito (cfr. Horsfall 2000, p. 174), di auus (v. 220) nel senso di «antenato», mentre il senso più comune è appunto quello di

«nonno»: laddove, insomma, per la Dardana pubes Giove è auus in senso lato, per Enea egli è auus in senso stretto (si ricordi che un lettore antico, leggendo GAVDET AVO REX IPSE senza interpunzione tra AVO e REX, aveva una mag- giore probabilità di cogliere questa ambiguità, attribuendo erroneamente GAVDET a REX).

39 Per l’espressione ab Ioue usata in senso prettamente genealogico, cfr. anche il ragionamento che Enea fa in Aen.

VI 119-123, in un momento in cui ha dei dubbi sul suo diritto a scendere nell’Ade: si potuit manis accersere coniugis Orpheus / Threicia fretus cithara fidibusque canoris, / si fratrem Pollux alterna morte redemit / itque reditque uiam to- tiens. quid Thesea magnum, / quid memorem Alciden? et mi genus ab Ioue summo. Tutti i personaggi nominati sono fi- gli di dèi: Orfeo di Calliope (ma, secondo una tradizione minoritaria, anche di Apollo: vd. infra Capitolo Secondo), Pol- luce di Giove, Teseo di Nettuno ed Ercole di Giove. Ma se si considera la preponderanza di Giove in questo contesto, non sarà assurdo ricordare che Orfeo appunto era anche nipote di Giove (teoricamente anche Teseo lo era, perché Giove era fratello di suo padre, cioè suo zio: nepos per il figlio di un fratello o di una sorella si trova già in Tacito), il che in fondo è lo stesso titolo che rivendica Enea quando dice che anche lui deriva ab Ioue summo (tramite sua madre, per al- tro, esattamente come Orfeo). Cfr. anche Aen. I 380 [parla sempre Enea] Italiam quaero patriam et genus ab Ioue sum- mo, dove tuttavia Conte 2009 ha espunto et – summo, immaginando un’intrusione da VI 123.

40 Dal passo dell’Eneide pare sicuramente derivare al passo ovidiano almeno la triplice ripetizione del nome di Gio- ve (di cui il passo di Virgilio sembra essere il primo esempio nella letteratura antica: cfr. Horsfall 2000, p. 173), che torna, con quasi le stesse posizioni metriche e forme del nome, in Ov. Met. X 148-149 Ab Ioue, Musa parens (cedunt Iouis omnia regno), / carmina nostra moue. Iouis est mihi saepe potestas: nel v. 148 sono mantenute le posizioni metri- che che il nome di Giove ha in Aen. VII 219, ma la seconda occorrenza cambia dall’ablativo al genitivo, mentre nel v.

149 è mantenuto il genitivo di Aen. VII 220, ma anticipato di una posizione (Iŏuĭs –, invece che Iŏuīs).

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L’altro passo virgiliano che concorre, per altro in misura del tutto maggiore, alla formulazione di Met. X 148-14941, è notoriamente Buc. 3, 60-61:

60 Ab Ioue principium Musae, Iouis omnia plena:

ille colit terra, illi mea carmina curae.

Questa è la punteggiatura di S. Ottaviano in Ottaviano-Conte 2013 (niente virgola tra principium e Musae), che accoglie l’interpretazione, proposta già da Servio, per cui Musae sarebbe un genitivo (in questo caso Musa è metonimia per «canto»)42, non un vocativo plurale. Al di là della questione, che si risolve benissimo ammettendo una voluta ambiguità (il lettore antico non aveva a disposizio- ne la punteggiatura), quello che interessa davvero in questa sede è il fatto che, dal punto di vista di Ovidio, che ha amalgamato questi due passi virgiliani di stampo arateo in una sintesi del tutto inno- vativa, il passo delle Bucoliche poteva effettivamente suonare come un perfetto corrispondente di quello dell’Eneide, per cui, se nel secondo si predicava che il genus di Enea aveva il suo principium in Giove, nel primo si poteva predicare che la Musa, intesa metonimicamente come canto, doveva anch’essa avere il suo principium in Giove. Il punto di unione tra le due affermazioni sta nel fatto che la Musa, se intesa come personaggio mitico, è effettivamente figlia di Giove, quindi in lui ha anche il suo principium genealogico, non solo poetico. Questo punto di unione in Ovidio si materia- lizza nel personaggio di Orfeo, figlio della Musa: egli discende ab Ioue e comincia ab Ioue. La sua invocazione alla Musa parens non è che la fusione dei due concetti che Ovidio trovava nei due passi virgiliani come ‘derivanti’ da Giove, cioè il genus (> pario) e appunto la Musa.

II.3. Ganimede epico nepos di Giove

Anche il protagonista della prima storia raccontata da Orfeo, Ganimede, fa parte della Dardana pubes cui appartiene Enea: il fanciullo, anzi, non solo Ioue gaudet auo, ma addirittura, per così dire, Ioue gaudet amante. Lo scenario troiano che si delinea nella prima storia raccontata da Orfeo43 de- riva, dunque, direttamente da Aen. VII 219-22144 e allo stesso tempo allude al primo e massimo poema epico dell’antichità, l’Iliade appunto (di cui l’Eneide si propone come un proseguimento).

Proprio nell’Iliade, per altro, il mito di Ganimede è raccontato per la prima volta, e lo racconta – guarda caso – proprio Enea, quando, in procinto di duellare con Achille, il principe troiano si mette

41 Ne ho analizzato a fondo le implicazioni per il testo ovidiano nella mia tesi triennale, “Giacinto tra Virgilio e Ovi- dio: una disputa sull’amore” (Anno accademico 2014/2015).

42 La metonimia Musa = canto risale per lo meno al V secolo: cfr. Aesch. Suppl. 694-695 εὔφημον δ᾽ ἐπὶ βωμοῖς / μοῦσαν θείατ᾽ ἀοιδοί [«I cantori facciano un canto di buon auspicio presso gli altari»].

43 Cfr. v. 155 Phrygii… Ganymedis.

44 Cfr., oltre a Dardana pubes al v. 219, anche v. 221 Troius Aeneas, e non si dimentichi che a pronunciare i tre versi virgiliani è l’ambasciatore Ilioneo (Ἰλιονεύς), l’«uomo di Ilio» di nome e di fatto.

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a elencare al nemico tutta la discendenza di Dardano, figlio di Zeus (XX 215-241): dal figlio di Dardano, Erittonio, nacque Troo che generò appunto Ganimede, rapito dagli dèi perché fosse il coppiere di Zeus (vv. 231-235)45; da un fratello di Ganimede, Ilo, nacque Laomedonte, da cui Pria- mo, da cui Ettore, mentre dall’altro fratello di Ganimede, Assaraco, nacque Capi, padre del padre di Enea, Anchise (vv. 236-240). Un’allusione nascosta al poema troiano, e dunque al fatto che il mito compaia per la prima volta appunto nell’Iliade, potrebbe essere colta nel patronimico con cui l’Orfeo ovidiano designa Ganimede al v. 160, cioè Iliaden (all’accusativo), una forma che non può non richiamare l’accusativo (latino) di Ilias, cioè Iliadem; l’allusione prende corpo se si considera che il patronimico sottintende una tradizione rarissima per cui Ganimede sarebbe appunto figlio di Ilo46, mentre la tradizione che assumeva onore da Omero, lo voleva figlio di Troo.

Ganimede, insomma, rappresenta la storia ideale con cui Orfeo può iniziare il suo canto: è una storia che ‘discende’ ab Ioue, perché Ganimede è nepos (in senso lato) di Giove; è una storia che, avendo Giove come personaggio, permette di ‘discendere’, cioè cominciare, ab Ioue; è una storia di ambito troiano, uno stabile ponte intertestuale tra Iliade ed Eneide, quanto di più epico un poeta di ἔπη, figlio della Musa degli ἔπη, possa sperare per l’inizio del suo canto in ἔπη.

III. La Musa madre

Nonostante tutta l’enfasi posta da Orfeo sulla sua origine da Calliope e, tramite la madre, da Giove, e nonostante tutte le conseguenti implicazioni di questa discendenza sul materiale mitico narrato da Orfeo stesso, è innegabile che il nome di Calliope possa comparire solo nell’apparato esegetico al testo ovidiano, perché Orfeo chiama sua madre semplicemente Musa e in seguito né lui né ‘Ovidio’ dànno un nome a questa Musa. In un proemio tanto personalizzato, dunque, da subito si

45 Un accenno precedente alla storia si trova sempre in un episodio in cui compare Enea: nel libro quinto, quando Diomede si accinge a colpire Enea in battaglia, egli raccomanda al compagno Stenelo di intervenire, dopo che l’eroe troiano sarà stato ucciso, per portar via i suoi due cavalli, che sono della razza di quelli che Zeus diede a Troo ποινὴν Γανυμήδεος, «per compenso di Ganimede» (v. 266). Questo legame, non solo genealogico, tra Enea e Ganimede era tematizzato anche nell’inno omerico ad Afrodite, dove la dea, dopo aver giaciuto con Anchise, predice a quest’ultimo che suo figlio Enea e tutta la sua discendenza saranno sempre simili agli dèi nell’aspetto (vv. 191-201): tale bellezza – continua la dea – è del resto sempre stata retaggio della stirpe troiana, come dimostra la storia di Ganimede, che qui per la prima volta è raccontata lungamente in tutti i suoi particolari, compreso il compenso dei cavalli per Troo (vv. 202- 217). Afrodite, raccontando questa storia ad Anchise come dimostrazione della futura bellezza di Enea, crea un paralle- lo tra quest’ultimo e il suo antenato Ganimede, parallelo che sarà stato avvertito con forza da un lettore dell’Eneide, o comunque da un lettore post-virgiliano, proprio perché contenuto in un testo che un Romano dell’epoca di Ovidio non poteva non considerare ‘eneadico’, quindi in qualche modo ‘nazionale’.

46 Se si esclude il verso ovidiano, la tradizione è attestata, a quanto pare, solamente in Tz. ad Lyc. 34. Ma c’è da dire che si potrebbe interpretare Iliaden come un papponimico, con un riferimento alla tradizione, risalente alla μικρὰ Ἰλιάς (fr. 29 Bernabé), per cui Ganimede sarebbe figlio di Laomedonte, il quale già nell’Iliade, come si è visto, è figlio di Ilo.

Esiste anche una tradizione per cui Ganimede sarebbe figlio di Assaraco (Hyg. Fab. 224), cosa che lo renderebbe fratel- lo del nonno di Enea, Capi (e non del bisnonno, Assaraco appunto), avvicinando i due.

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introduce surrettiziamente il germe della spersonalizzazione. In questo senso, la facile metonimia Musa = carmen, frequente nel linguaggio poetico augusteo47, permetteva un’interpretazione meno genealogica e più metaforica dell’apostrofe alla Musa parens: Orfeo era sì «figlio della Musa Cal- liope», ma era anche, in quanto poeta, «figlio della Musa» in generale, cioè «figlio della poesia».

Tale interpretazione metonimica andrà a intaccare la figura stessa del personaggio Orfeo, permet- tendo a un altro «figlio della Musa», a un altro poeta, cioè il narratore principale ‘Ovidio’, di parlare per bocca sua. Con questa operazione ‘Ovidio’ abbassa Orfeo al suo livello umano, e contempora- neamente innalza sé stesso al livello mitico di Orfeo, creando la base per una perfetta sovrapposi- zione. Lo snodo è appunto la figura di Orfeo, che a seconda delle esigenze del narratore agisce ora come figlio della Musa Calliope ora come poeta figlio dell’anomina Musa.

All’origine della ‘spersonalizzazione’ di Calliope c’è lo stesso testo che allo stesso tempo ne ha favorito la forte ‘personalizzazione’ come regina delle Muse, cioè la Teogonia di Esiodo. Dopo il succitato elenco delle nove dèe, concluso sul nome di Calliope, la più illustre di tutte, che per que- sto accompagna i re (vv. 76-80), Esiodo insiste lungamente sulla figura del re onorato dalle Muse:

sulla sua bocca le dèe versano dolci parole, con le quali egli è in grado di guidare il popolo riunito nell’assemblea, persuadendolo con gentilezza, e quando egli passa nel mezzo di un assembramento di persone, queste lo guardano come un dio (vv. 81-92). Dopo il lungo elogio del re ‘accompagnato’

dalle Muse, il poeta, con tono quasi riassuntivo, afferma (vv. 93-97):

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τοίη Μουσάων ἱερὴ δόσις ἀνθρώποισιν.

ἐκ γάρ τοι Μουσέων καὶ ἑκηβόλου Ἀπόλλωνος ἄνδρες ἀοιδοὶ ἔασιν ἐπὶ χθόνα καὶ κιθαρισταί, ἐκ δὲ Διὸς βασιλῆες· ὁ δ᾽ ὄλβιος, ὅντινα Μοῦσαι φίλωνται· γλυκερή οἱ ἀπὸ στόματος ῥέει αὐδή48.

La sezione doveva essere particolarmente famosa nell’antichità: le parole da ἐκ γάρ τοι Μουσέων fino a βασιλῆες sono citate, spesso con varianti testuali e comunque frequentemente riarrangiate,

47 La metonimia, già greca, era stata ampiamente usata da Virgilio nelle Bucoliche (cfr. p. es. 1, 2).

48 «Tale è il sacro dono delle Muse agli uomini. Dalle Muse, infatti, e da Apollo lungisaettante sono gli uomini can- tori sulla terra e i citaristi, da Zeus, invece, sono i re; ma beato quello che le Muse amano: dolce a lui dalla bocca scorre la voce». Il corso del pensiero sembra un po’ oscuro. West 1966, p. 186, interpreta così: «Le Muse conferiscono tutti questi benefici [scil. quelli elencati ai vv. 81-92] ai re: sebbene, infatti, i cantori provengano dalle Muse e da Apollo, mentre i re (non dalle Muse e da Apollo, ma) da Zeus, tuttavia il favore delle Muse è sempre proficuo (anche per un re, non solo per un cantore), e le parole scorrono dolci dalla bocca di chi lo riceve» [testo originale: «The Muses bestow all these benefits upon a king (93). For (although) singers are from the Muses, and kings are (not from the Muses but) from Zeus: nevertheless the Muses’ favour is always beneficial (even to a king), and the words flow sweet from the recipi- ent’s lips»]. La generalizzazione contenuta nell’ultimo verso della sezione, spiega West, serve «as a kind of pivot» che permette di far virare il discorso dai re ai cantori, introducendo, dunque, la sezione successiva (vv. 98-103), dove si ce- lebra la potenza terapeutica del canto di un cantore appunto.

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da numerosi testi in prosa successivi (Cornut. 32, Sch. Il. I 176, Themist. orat. 89c e 170b, Eust. in Il. I 176 [van der Valk 1971, p. 120], Sch. Pind. Pyth. 4, 313a49, Nem. 3, 1a50, Sch. Hes. Th. 3051).

L’impressione che si ha, soprattutto considerato che più di una volta queste parole sono citate senza specificare che si tratti di una citazione, è quella di una specie di proverbio, o comunque di una formulazione quasi assiomatica di un concetto ancestrale. Non stupisce, dunque, che proprio queste linee esiodee compaiano come fulcro di un brevissimo inno εἰς Μούσας καὶ Ἀπόλλωνα52 (appena sette versi, di cui i vv. 2-5 corrispondono appunto a Hes. Th. 94-97, con leggere varianti testuali) che si trova tra i cosiddetti Inni omerici (n. 25) e che è quasi sicuramente posteriore a Esiodo, co- struito come un patchwork a partire da questo e da altri passi di Esiodo53. Tutto ciò conferma il pro- fondo radicamento di questo concetto nella mentalità antica. Concetto che, per altro, era altamente ambiguo, sospeso sulla generalità di un’espressione quale εἶναι ἐκ + genitivo, che, se da Esiodo e dai suoi lettori aveva una grande probabilità di essere interpretata in senso genealogico54, era co- munque facilmente estensibile a un senso lato di ‘provenienza’, ‘derivazione’, se non addirittura di

‘ispirazione’. Il fatto poi che si parlasse di Μοῦσαι al plurale, con una denominazione generica e

‘spersonalizzata’ che inquadrava il gruppo più che le singole madri, favoriva l’interpretazione lata che faceva delle Muse la fonte divina dell’ispirazione poetica.

III.1. Nascita di una metafora

Il passaggio dall’interpretazione strettamente genealogica a quella metaforica del passo esiodeo avvenne tramite almeno un livello intermedio: il mito, infatti, conosceva figli carnali di Muse che erano anche cantori, Orfeo prima di tutti (ma si sono visti per esempio anche Lino, Palefato e Tami- ri), e qualora costoro avessero avuto figli cantori anch’essi, questi ultimi sarebbero stati comunque ἐκ Μουσέων in senso pienamente genealogico. È quello che si affermava proprio di Orfeo, a cui, attraverso numerose generazioni, era fatta risalire la genealogia di nient’altri che Omero ed Esiodo, i quali si ritrovavano così a essere effettivamente ἐκ Μουσέων, e precisamente ἐκ Καλλιόπης, e tramite lei direttamente ἐκ Διός. Sono note tre testimonianze su questa genealogia ‘orfica’ di Ome- ro ed Esiodo, risalente per lo meno al V secolo a. C.: la riporta Proclo nella Chrestomathia (pp. 99-

49 Lo scolio, diversamente da tutti i luoghi precedenti, non nomina Esiodo quale fonte della citazione, ma fa dipen- dere le parole da un generico λέγουσιν, confermandone la proverbialità. Questo scolio a Pindaro è fondamentale per la questione del padre di Orfeo e sarà analizzato molto approfonditamente infra (Capitolo Secondo).

50 Neanche in quest’altro scolio a Pindaro (per cui vd. infra) si nomina la fonte della citazione (che, per altro, qui si ferma a ἔασιν): essa addirittura è inserita nel corpo del testo senza alcun indicatore di citazione.

51 Neanche in questo scolio a Esiodo stesso si nomina l’autore della citazione (anche qui, per altro, solo fino a ἔασιν): essa, come nel caso precedente, è inserita nel corpo del testo senza segni particolari.

52 Altri manoscritti presentano il titolo più preciso εἰς Μούσας καὶ Ἀπόλλωνα καὶ Δία.

53 Questa l’opinione di West 1966, p. 186, che ricorda come molti altri inni brevi siano composti in questo modo.

54 Cfr. Th. 336 τοῦτο μὲν ἐκ Κητοῦς καὶ Φόρκυνος γένος ἐστί [«Questa è la stirpe di Ceto e Forci»], 590 ἐκ τῆς γὰρ γένος ἐστὶ γυναικῶν θηλυτεράων [«Da lei [scil. Pandora], infatti, proviene la stirpe delle donne femminee»], 869 ἐκ δὲ Τυφωέος ἔστ᾽ ἀνέμων μένος ὑγρὸν ἀέντων [«Da Tifeo viene l’umida forza dei venti spiranti»].

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100 Allen 1912), che cita la notizia come proveniente da Ellanico [FGrH 4 F 5], Damaste (di Sigeo) [FGrH 5 F 11] e Ferecide [FGrH 3 F 167], tutti e tre storici di V secolo; la riporta il cosiddetto Cer- tamen Homeri et Hesiodi (p. 227 Allen 1912; il testo è di età imperiale), che cita la notizia con un semplice φασι; la riporta, infine, la Suida, s. v. Ὅμηρος, che cita come fonte Carace di Pergamo [FgrH 103 F 62], anch’egli di età imperiale55. Si legga la testimonianza del Certamen Homeri et Hesiodi, che è la più articolata e soprattutto nomina esplicitamente sia una Musa sia Apollo, entrambi i ‘genitori’ prospettati per un poeta dal passo di Esiodo:

ἔνιοι μὲν οὖν αὐτὸν προγενέστερον Ἡσιόδου φασὶν εἶναι, τινὲς δὲ νεώτερον καὶ συγγενῆ. γενεαλογοῦσι δὲ οὕτως· Ἀπόλλωνός φασι καὶ Θοώσης τῆς Ποσειδῶνος γενέσθαι Λίνον, Λίνου δὲ Πίερον, Πιέρου δὲ καὶ νύμφης Μεθώνης Οἴαγρον, Οἰάγρου δὲ καὶ Καλλιόπης Ὀρφέα, Ὀρφέως δὲ Ὄρτην, τοῦ δὲ Ἁρμονίδην, τοῦ δὲ Φιλοτέρπην, τοῦ δὲ Εὔφημον, τοῦ δὲ Ἐπιφράδην, τοῦ δὲ Μελάνωπον, τούτου δὲ Δῖον καὶ Ἀπέλλαιον, Δίου δὲ καὶ Πυκιμήδης τῆς Ἀπόλλωνος θυγατρὸς Ἡσίοδον καὶ Πέρσην· Πέρσου δὲ Μαίονα, Μαίονος δὲ θυγατρὸς καὶ Μέλητος τοῦ ποταμοῦ Ὅμηρον.56

Secondo questa versione, dunque, Esiodo e il suo συγγενής più giovane Omero provenivano, in ul- tima istanza, ἐξ Ἀπόλλωνος (e, tramite costui, ovviamente ἐκ Διός), padre del capostipite della famiglia Lino; il nipote di quest’ultimo, Eagro, sarebbe giaciuto con Calliope, per cui il seguito del- la stirpe poteva anche dirsi ἐκ Μουσέων (e di nuovo, tramite le Muse, e a maggior ragione tramite Calliope, ἐκ Διός); Apollo, infine, ricompariva anche nei rami più bassi dell’albero genealogico, niente meno che come nonno di Esiodo (che in questo modo diventava niente meno che bisnipote di Zeus). Insomma, secondo questa versione, sia Esiodo sia Omero potevano dirsi a buon diritto ἐκ Μουσέων καὶ ἑκηβόλου Ἀπόλλωνος, cioè ἀοιδοί della miglior specie. Il punto di snodo della genealogia è proprio Orfeo57, l’ultimo personaggio ‘mitico’, dopo il quale si avvicendano meri nomi parlanti, o meglio ‘cantanti’58, che infoltiscono la famiglia di cantori per colmare l’intervallo tempo-

55 Per una trattazione esaustiva dell’argomento, cfr. Ziegler 1939, pp. 1222-1224.

56 «Alcuni, dunque, dicono che egli [scil. Omero] sia nato prima di Esiodo, alcuni, invece, che sia più giovane di lui e suo consanguineo. Tracciano così la sua genealogia: dicono che da Apollo e da Toosa, figlia di Posidone, nacque Li- no, da Lino Piero, da Piero e dalla ninfa Metone Eagro, da Eagro e da Calliope Orfeo, da Orfeo Orte, da lui Armonide, da lui Filoterpe, da lui Eufemo, da lui Epifrade, da lui Melanopo, da quest’ultimo Dio e Apelleo, da Dio e da Picimede, figlia di Apollo, Esiodo e Perse; da Perse Meone, dalla figlia di Meone e dal fiume Melete Omero».

57 La versione riferita da Proclo pone l’accento proprio su Orfeo (pp. 99-100 Allen 1912): Ἑλλάνικος δὲ καὶ Δαμάστης καὶ Φερεκύδης εἰς Ὀρφέα τὸ γένος ἀνάγουσιν αὐτοῦ [«Ellanico e Damaste e Ferecide fanno risalire la sua [scil. di Omero] stirpe a Orfeo»]. Sembrerebbe che tutte le generazioni intermedie servano solo a collegare Omero a Orfeo (la madre Calliope, che pure sarebbe stata più autorevole come antenata, non è neanche nominata!).

58 Per la genealogia ‘cantante’ di un cantore, classico il caso dell’ἀοιδός nella casa di Odisseo, Φήμιος (cfr. φήμη,

«voce»), che Omero chiama Τερπιάδης (Od. XXII 330), «figlio di Terpi(?)», da τέρπειν, «dilettare».

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rale tra l’epoca ‘mitica’ di Orfeo appunto, e quella ‘storica’ di Esiodo, confondendole, ma che so- prattutto contribuiscono a mantenere da una generazione all’altra il talento per il canto: in questo modo esso scende, insieme al sangue, per lungo / di magnanimi lombi ordine, veicolando l’idea che cantori – e cantori ‘nobili’, se non proprio ‘divini’ – si nasce.

Un simile assetto anagrafico opera in due direzioni, apparentemente opposte. Da un lato, esso rinforza il principio del genus, alimentando la prospettiva ‘personalistica’ sul canto: per tornare al proemio dell’Orfeo ovidiano, è come se il cantore, al momento di pronunciare l’invocazione Musa parens, ponesse l’accento su parens. Dall’altro lato, esso legittima il principio della metafora: se, infatti, l’albero genealogico di Omero ed Esiodo era formato da tanti nomi parlanti inventati con il chiaro e solo intento di riempire l’intervallo tra i due cantori storici e i cantori mitici nati dagli dèi della poesia in persona, allora sul modello di quell’albero genealogico si potevano immaginare tanti altri alberi genealogici rimpinguati di altrettanti nomi parlanti per collegare qualsiasi poeta ai suoi antenati mitici, se non proprio agli dèi della poesia in persona, le Muse e Apollo (e dietro di loro Zeus). Così facendo, perdeva senso la prospettiva genealogica (perché i nomi tra Omero e Orfeo erano palesemente inventati, cioè non rispecchiavano una personalità mitica o storica) e guadagnava vigore la prospettiva metaforica (perché i nomi inventati erano una palese trasposizione dell’abilità poetica, la personificazione di un talento nel canto): per usare di nuovo l’invocazione dell’Orfeo ovidiano alla Musa parens, è come se il cantore ponesse l’accento su Musa.

III.2. Metafora applicata

Quale delle due direzioni si scelga, il risultato in ogni caso è lo stesso: Orfeo diventa un corri- spettivo mitico di Omero e di Esiodo, e viceversa Omero ed Esiodo diventano corrispettivi storici di Orfeo. La prima prospettiva fa risalire gli ἔπη (cioè l’esametro) all’inventiva di Orfeo, che diventa l’ἐποποιός per eccellenza, primo per cronologia e per merito. La seconda prospettiva fa scendere la Musa dall’albero genealogico di Orfeo a quello di tutti i poeti (epici) successivi, rivelando la meta- fora insita in questa ‘maternità’. Esemplare in tal senso è un epigramma tramandato sotto il nome di Antipatro59, che fa di Omero il figlio di Calliope (Anth. Pal. XVI 296):

Οἱ μὲν σεῦ Κολοφῶνα τιθηνήτειραν, Ὅμηρε, οἱ δὲ καλὰν Σμύρναν, οἱ δ᾽ ἐνέπουσι Χίον,

59 È in dubbio se si tratti di Antipatro di Sidone o di Antipatro di Tessalonica: per la discussione cfr. Conca 2011, pp.

521-522. Il Sidonio morì probabilmente intorno al 125 a. C., o comunque i suoi epigrammi furono riuniti in una raccolta intorno a quella data; il Tessalonicese, invece, fiorì all’incirca tra il 20 a. C. e il 20 d. C., poco più di un secolo dopo il suo omonimo (cfr. Gow-Page 1965, p. 32). Entrambi, inoltre, vissero probabilmente anche in Italia, verisimilmente a Roma. Dunque, i testi di entrambi potevano più o meno essere a disposizione di Ovidio.

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οἱ δ᾽ Ἴον, οἱ δ᾽ ἐβόασαν ἐύκλαρον Σαλαμῖνα, οἱ δέ νυ τῶν Λαπιθέων ματέρα Θεσσαλίαν·

ἄλλοι δ᾽ ἄλλην μαῖαν ἀνίαχον. Εἰ δέ με Φοίβου χρὴ λέξαι πινυτὰς ἀμφαδὰ μαντοσύνας,

πάτρα σοι τελέθει μέγας οὐρανός, ἐκ δὲ τεκούσης οὐ θνατᾶς, ματρὸς δ᾽ ἔπλεο Καλλιόπας60.

Colui la cui patria è indicata ovunque, non può che essere onnipresente, come il cielo che, pur es- sendo uno, copre ogni terra. A un personaggio ‘celeste’ deve essere data un’origine ‘celeste’: nes- suna dea meglio di Calliope, la «più illustre di tutte quante» le Muse, e a quest’epoca già considera- ta la Musa degli ἔπη, poteva impregnarsi di questo fardello. Non è un caso poi che la rivelazione della vera patria e della vera madre di Omero venga da un oracolo di Febo Apollo, l’altro dio ‘geni- tore’ di poeti, che, così facendo, ha in fin dei conti ‘dato un figlio’ a Calliope. La sua autorità attesta la divinità di Omero, ma allo stesso tempo, considerata la consuetudine degli oracoli a parlare per immagini, svela il procedimento retorico dietro a questa divinità, la metafora61.

Ma come Calliope scende da Orfeo lungo la sua progenie fino a Omero, perdendo i connotati

‘personali’ e diventando invece ‘personificazione’ della poesia epica, così la Musa genericamente intesa scende dal mito, dove era madre di cantori primordiali, fino alla storia, diventando madre me- taforica dei poeti. Il processo è già compiuto in Pindaro (Nem. 3, 1-5)62:

5

Ὦ πότνια Μοῖσα, μᾶτερ ἁμετέρα, λίσσομαι, τὰν πολυξέναν ἐν ἱερομηνίᾳ Νεμεάδι ἵκεο Δωρίδα νᾶσον Αἴγιναν· ὕδατι γάρ μένοντ᾽ ἐπ᾽ Ἀσωπίῳ μελιγαρύων τέκτονες κώμων νεανίαι, σέθεν ὄπα μαιόμενοι63.

60 «Alcuni raccontano che tua nutrice, Omero, fu Colofone, altri la bella Smirne, altri Chio, altri Io, altri gridarono fortunata Salamina, altri invero la Tessaglia, madre dei Lapiti: chi proclamava una mamma, chi un’altra. Se però io de- vo dire pubblicamente i saggi oracoli di Febo, tua patria risulta il grande cielo, e non venisti al mondo da una puerpera mortale, ma dalla madre Calliope».

61 L’epigramma di Antipatro è anche citato da Plutarco nella sua Vita Homeri (Allen 1912, p. 243): ciò probabilmen- te significa che questa genealogia divina del poeta era abbastanza diffusa a livello scolastico. Essa torna nel Certamen Homeri et Hesiodi (Allen 1912, p. 226) e nella Suida (s. v. Ὅμηρος, che nomina Apollo come padre).

62 Testo secondo Race 1997. È l’ode per Aristoclide di Egina, pancraziaste: cfr. Pfeijffer 1999, pp. 195-421.

63 «O Musa signora, madre nostra, ti prego, vieni nel sacro mese nemeo sull’isola dorica di Egina dai molti forestie- ri: lungo l’acqua dell’Asopo, infatti, aspettano i costruttori di odi festive dal suono di miele, giovani uomini che brama- no da te la voce».

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Il contesto è similissimo a quello del proemio dell’Orfeo ovidiano: è l’inizio di un (nuovo) canto, e la Musa è invocata perché presti la sua voce a esso. L’invocazione di una singola Musa all’inizio del canto rievoca ovviamente la tradizione epica (cfr. Od. I 1)64. Il colorito epico è dato anche dall’epiteto πότνια, che, per altro, accostato a μᾶτερ, suggerisce la formula epica πότνια μήτηρ65. Questa madre dai connotati epici, tuttavia, non è la madre di un eroe o di un personaggio dell’epica, ma è la ‘madre’ del poeta: egli in questo modo abbassa la tradizione epica al suo livello mortale, e contemporaneamente innalza sé stesso al livello divino di quella. Proprio uno degli scolii a questo passo pindarico è tra le fonti, elencate supra, che citano il passo di Esiodo sui cantori «dalle Muse e da Apollo» (Th. 94-95). Ecco il testo (Sch. Pind. Nem. 3, 1a)66:

1a. ὦ π ό τ ν ι α Μ ο ῖ σ α , μ ᾶ τ ε ρ ἁ μ ε τ έ ρ α: μητέρα ἑαυτοῦ εἶπε τὴν Μοῦσαν ὁ Πίνδαρος, ὡς ἂν ἐπιπνεόμενος ἐκ τῶν Μουσῶν·

ἐκ γάρ τοι Μουσέων καὶ ἑκηβόλου Ἀπόλλωνος ἄνδρες ἀοιδοὶ ἔασιν.

ἢ τροφὸν, διὰ τὸ ἀποζῆν αὐτὸν ἐξ ὧν ἔγραφεν ἐπινίκων. ἄμεινον δὲ, ὅτι προσηνὴς ἦν αὐτῷ ἡ Μοῦσα, ὥσπερ Ὀδυσσεῖ ἡ Ἀθηνᾶ·

μήτηρ ὣς Ὀδυσσῆϊ παρίσταται ἠδ᾽ ἐπαρήγει [Il. XXIII 783]67.

Le tre interpretazioni che lo scolio fornisce, ovviamente non si escludono a vicenda68, ma non è for- se casuale che la spiegazione esiodea sia citata per prima, evidentemente come la più immediata.

64 Al tempo di Pindaro, quasi sicuramente le Muse non avevano ancora ricevuto una distribuzione dei ‘compiti’, per cui Calliope non era ancora la Musa dell’epica. Eppure si noti come in un’invocazione alla Musa che chiaramente si rifà alla tradizione epica, un riferimento nascosto proprio a Καλλιόπη possa essere colto nell’espressione del v. 5 σέθεν ὄπα, letteralmente «la voce che proviene da te», quindi «la voce bella» per antonomasia. Se è effettivamente così, ciò sarà dovuto piuttosto alla condizione di Calliope come Musa più illustre di tutte, Μοῖσα per antonomasia.

65 Cfr. p. es. Il. I 357 (Teti, madre di Achille), ma soprattutto il celebre passo di Il. VI in cui Ettore e Andromaca si incontrano, dove due volte (v. 413 e v. 429) torna la clausola πατὴρ καὶ πότνια μήτηρ, entrambe le volte pronunciata da un’angosciata Andromaca. Si noti che, scrivendo πότνια Μοῖσα e facendo seguire l’espressione da μᾶτερ, Pindaro gioca forse con la memoria acustica del lettore, il quale, quando sentiva ΠΟΤΝΙΑ Μ-, era probabilmente portato ad aspettarsi un seguito -ΗΤΗΡ, restando così deluso, e tuttavia essendo di lì a poco riconfortato nella sua aspettativa dalla presenza appunto di μᾶτερ. Un gioco simile potrebbe essere stato architettato da Ovidio, quando sulla bocca di Orfeo pone Musa invece che mater, ma fa subito seguire il sinonimo poetico parens.

66 Secondo Drachmann 1927.

67 «Pindaro ha chiamato la Musa sua propria madre, come a dire che riceveva ispirazione dalle Muse (dalle Muse, infatti, e da Apollo lungisaettante sono gli uomini cantori), oppure in quanto sua nutrice, per il fatto che egli viveva de- gli epinici che scriveva. Meglio però intendere che la Musa era con lui amorevole, come con Odisseo Atena: come una madre sta accanto a Odisseo e lo soccorre».

68 La seconda interpretazione (Musa τροφός, «nutrice», del poeta) avrà avuto come origine lo stesso ambito concet- tuale della prima. Si noti, in tal senso, il parallelo tra la concezione dei re «figli di Zeus» (Hes. Th. 96 ἐκ δὲ Διὸς βασιλῆες; cfr. anche l’epiteto omerico διογενής, «nato da Zeus», applicato a personaggi che sono anche βασιλῆες) e l’epiteto διοτρεφής, «nutrito da Zeus», formulare nelle clausole διοτρεφέες βασιλῆες, διοτρεφέος βασιλῆος e διοτρεφέων βασιλήων. Tale parallelo è provato dal fatto che, quando διοτρεφής compare per la prima volta nell’Iliade, ovviamente riferito ai re (I 176 ἔχθιστος δέ μοί ἐσσι διοτρεφέων βασιλήων [«Ma tu sei il più odioso per me tra i re nutriti da Zeus»]), lo scolio al verso glossa διοτρεφέων citando appunto Hes. Th. 94-96 (lo scolio, infatti, è

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