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Discrimen » I percorsi di una egemonia

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Academic year: 2022

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GAETANO INSOLERA I PERCORSI DI UNA EGEMONIA

1. Una spiegazione. – Da intendersi come riflessione, come inizio di una rifles- sione sul contesto attuale dei protagonisti della giustizia penale.

Si parla di poteri nelle nostre istituzioni e si è inteso cominciare utilizzando una parola – anatomia – che desse il senso dell’indagine che, inizialmente, non coinvolge i suoi protagonisti.

2. Egemonia. – Ha indubbiamente a che fare con un discorso sui poteri effet- tivi, con la loro “microfisica” contrapposta ad una prospettiva ancorata ai vigenti profili istituzionali dalla sovranità.

3. È alla fine degli anni ’60 che si precisa, soprattutto nelle elaborazioni e nei programmi della corrente di sinistra, M.D., il ruolo politico del giudice. “Il colle- gamento con forze sociali e politiche per condurre insieme a queste la lotta per la trasformazione sociale. Si inaugura così la stagione del “collateralismo” ed un di- battito sempre più acceso sul ruolo del giudice e sulla politicità della sua funzio- ne. Esso favorisce il fenomeno della “supplenza” giudiziaria propiziata dalle dif- ficoltà del sistema politico di fronte ai conflitti e a nuove emergenze sociali ed e- conomiche, con l’abbandono della tradizionale dimensione esecutoria del potere giudiziario. Negli anni ’70 e ’80, ai sempre più ampi margini di “supplenza”, cor- risponde una generalizzata acquiescenza nei confronti della, nel frattempo ri- compattatasi, magistratura associata: il fatto è che di fronte ad una magistratura unita – almeno sui temi più corporativi – sta una classe politica divisa e in compe- tizione per ottenerne i favori.

E già a partire dagli anni ’80 la Magistratura si era schierata compatta contro qualsiasi ipotesi di riforma dell’ordinamento volta a marcare la distinzione tra funzione giudicante e requirente: assistemmo così al paradosso della gelosa con- servazione di un ordinamento pensato per un processo che contemporaneamente si voleva cambiato radicalmente quanto alle garanzie del cittadino.

Un tabu restò quella del reclutamento, della formazione e, in definitiva, della legittimazione dei giudici: nonostante l’adozione dell’accusatorio, il modello bu- rocratico di reclutamento indifferenziato quanto alle funzioni, trovò difensori che vi colsero, quasi con orgoglio nazionalistico rispetto al mondo anglosassone, la

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migliore garanzia da una “contaminazione” della politica. Quanto alla responsa- bilità, sufficiente la sottoposizione dei provvedimenti alla critica della opinione pubblica.

Ma il dato oggi nuovo, saliente è costituito dalla affermata crisi della legalità nella sua storica definizione giuspositivistica. Sono sempre più incalzanti le voci che ne rielaborano i contenuti, assegnando un ruolo cooperatorio, “concorrenzia- le” all’interpretazione giurisprudenziale.

Alla legge, alla legalità formale si vuole contrapporre ormai una legalità mate- riale, sorretta soprattutto da un dialogo diretto stabilitosi con le fonti giurispru- denziali sovranazionali, che consentirebbe di raggiungere livelli garantistici “per certi aspetti più elevati di quelli offerti dall’art. 25 della Costituzione”.

È conciliabile questa realtà con requisiti di legittimazione che si sono costruiti sulla ben diversa narrativa giuspositivistica, sulla separazione dei poteri, sulla soggezione del giudice alla legge, sulla modernità, insomma?

È in queste coordinate – in una democrazia rappresentativa, il potere giudizia- rio tendenzialmente si dovrebbe collocare in una prospettiva, se non omogenea, comunque coerente, non conflittuale, con legislativo ed esecutivo – che si defini- sce la specialità della situazione italiana.

È una vicenda storica che ci riporta al lungo tramonto della prima Repubblica, alla crisi dei partiti fondatori, che si espresse anzitutto, nei loro requisiti identita- ri, nell’esperienza del compromesso storico, sostituendo alla responsabilità delle scelte politiche, la frammentazione delle risposte nei capillari della giurisdizione.

Nonostante la diffusa opinione secondo la quale il fenomeno della c.d. sup- plenza giudiziaria non sarebbe nuovo, è nello scorcio dell’ultimo ventennio, che si è assistito a mutamenti straordinari.

L’affermarsi di una “cultura dei diritti” ha trovato nelle giurisdizioni-fonti so- vranazionali un potente combustibile e ha visto, in tutti i contesti nazionali, come attore principale, il potere giudiziario, con il suo controllo diffuso. Nella speciale realtà italiana quest’ultimo ha costituito inoltre un contrappeso nei confronti di una classe di governanti non più prodotta da élites credibili, responsabili e vocate alla legalità.

L’idea di una fisiologica supplenza giudiziaria, corrispondente ad una dere- sponsabilizzazione della politica (contro terrorismo, mafia, corruzione politica amministrativa, criminalità economica), nello sfacelo della seconda Repubblica, non coglie, tuttavia, come l’operato del potere giudiziario si presentati progressi- vamente in veste inedita.

Con un percorso esaminato in altre occasioni, l’attenzione deve anzitutto con- centrarsi sulla magistratura requirente e su ciò che avviene nelle indagini prelimi- nari. Mi sembra difficilmente confutabile che il baricentro non solo del processo, ma anche della punizione effettiva si sia infine collocato in quella fase.

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Sezione II – Le élite giudiziarie 373 Nell’operato del potere giudiziario non mi pare proprio che oggi si possa più cogliere una prevalenza di magistrati che orientino la loro azione verso prospetti- ve finalistiche influenzate da valori e idee guida coerenti con le ideologie – con diverse inflessioni, progressiste o conservatrici – rinvenibili nei partiti o in altre aggregazioni.

Si è da tempo conclusa la fase del “colletaralismo”, che si caratterizzò, anche per quello che concerne taluni settori della magistratura, come ruolo egemonico dei partiti usciti dalla guerra. Questo, quanto meno, in una lunga fase della prima Repubblica.

La fine dei partiti storici, il degrado nell’ultimo scorcio della prima Repubbli- ca e nella seconda, non ci consegnano un ritorno di élites provenienti anche dal potere giudiziario che si rapportano con la politica, con il legislatore.

È il potere giudiziario che direttamente fa azione politica mettendo in campo un formidabile armamentario di strumenti invasivi e coercitivi delle libertà indi- viduali. Quotidiani i conflitti con il legislatore e le sue opzioni politico criminali o quelle relative all’ordinamento giudiziario.

Le questioni della giustizia penale sono state, e sono, affrontate, nel corso del ventennio ultimo, come potente atout da giocare nel confronto e nella cattura del consenso. Uno scenario senza decisiva soluzione di continuità: il tratto saliente è costituito piuttosto dall’affermazione della supremazia del potere giudiziario e dei nuovi attori sulla scena penale [media, associazioni delle vittime, la rete], sull’onda lunga dell’antiparlamentarismo e dell’eterna utopia della democrazia diretta.

4. Egemonia nel rapporto che definisco “esterno” con la politica. – Quanto det- to ci riporta al fondamento politico della riserva di legge. Alla struttura della rap- presentanza politica che legittima la più invasiva tra le tecniche di tutela.

Il quadro dei poteri che ho descritto aggira questo passaggio.

Ciò è teorizzato (con la recente fascinazione per l’analogia) e praticato attra- verso l’interpretazione. Con soluzioni politico criminali antagonistiche rispetto al testo e all’intenzione legislativa (ultimo esempio in tema di falso in bilancio valu- tativo).

Con un rapporto sempre più diretto dei singoli o dell’ANM con i principali media.

5. Anatomia. – Se questo quadro ha un fondamento, se la produzione di pe- nalità e le strategie politico criminali sono anche solo codeterminate dal potere giudiziario [fine dell’ormai deriso veteroilluminismo dei giuristi]:

Come si definisce e costruisce al proprio interno, questa nuova attribuzione di sovranità?

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È ancora possibile sottrarre il Potere giudiziario a questo tipo di analisi, quan- do si mantiene solo l’apparenza di subordinazione alla legge?

6. Microfisica del potere

6.1. Quali sono i riferimenti sociali, gli interessi che orientano le idee e le solu- zioni del formante giurisprudenziale?

Già si è detto del ripetersi dell’antagonismo rispetto a proposte e soluzioni le- gislative. Esso si esprime anche nei confronti di interventi amministrativi e di go- verno dell’economia.

Quale è allora la base sociale, gli interessi che si esprimono nella azione giudi- ziaria?

6.2. Quali le modalità di reclutamento e di formazione di questo nuovo attore politico?

L’istanza di certezza che oggi si vuole garantita dall’intensificarsi della nomofi- lachia della Corte di cassazione, quanto è compatibile con la nuova attribuzione di poteri e con la liquidazione del “giuridismo”?

6.3. Quali sono, nella realtà, le dinamiche che presiedono alle carriere o ad in- carichi speciali, che governano la produzione di élite giudiziarie in funzione del definirsi in modo uniforme della nuova legalità?

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