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Gianfranco è sempre presente

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Academic year: 2022

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passodopopasso

Gianfranco è

sempre presente

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FISI Harakiri

L

a Federazione Italiana Sport Invernali - FISI, di cui facciamo parte come Sci Club dal 1979, sta attraversando un momento di grossa difficoltà per non dire di crisi, soprattutto esistenziale, perché ha a che fare con i valori da cui è nata, la sua identità, la sua missione. Ci sembra abbia dimenticato il proprio compito che è sempre stato innanzitutto quello, prima ancora di vincere medaglie olimpiche, di promuovere in Italia la diffusione e la pratica dello sci in tutte le sue forme, amatoriale e agonistica a livello amatoriale e di conseguenza quello agonistico. O mi sbaglio?

Questa impostazione ha da sempre trovato negli Sci Club, il punto più capil- lare di presenza sul territorio, un riferimento fondamentale ed un bacino insostituibile di alimentazione delle squadre nazionali. Più larga è la base e più alta è la piramide.

Una seconda considerazione riguarda la crisi dello sport praticato (lasciamo da parte i tifosi) in Italia, in generale quasi tutte le discipline registrano cali vistosi di adesione e partecipazione, i giovani non vogliono più fare fatica e difficilmente trovano negli adulti modelli di riferimento.

Ovviamente anche gli Sci Club rientrano in questa logica, sempre meno praticanti, sempre meno soci, sempre meno tesserati FISI.

Ebbene cosa sta facendo mamma FISI? Cito alcuni fatti:

y Chiede ad ogni sci Club un minimo di 35 tessere all’anno anche se il numero degli tesserati è inferiore, non le interessa, tu me ne paghi sempre e comunque 35.

Così se ci sono solo 10 persone che praticano attività agonistica (cioè partecipano a gare del circuito FISI), il povero Sci Club che notoriamente non naviga nell’oro e fa fatica a tirare avanti con le spese ordinarie, si trova costretto a pagare

una “tassa” di diverse centinaia di euro. Incredibile!

y Negli ultimi anni ha aumentato sensibilmente in due riprese il costo della tessera, in generale tutti i prezzi tendono a diminuire per effetto della crisi meno quello del tesseramento FISI. Pazzesco!

y Cosa fa la FISI per promuovere lo sci tra i giovani? Uno sconticino sulla tessera per gli “atleti” fino a 10 anni, poi tassa fissa per tutti, dagli 11 anni agli atleti professionisti dei gruppi sportivi militari.

Da non credere! Una riduzione seria del costo della tessera per incentivare la pratica sportiva giovanile (almeno fino a 15 – 16 anni) non richiede pensate da premio Nobel, recuperabilissima da un maggiore introito dalle tessere dei professionisti.

Conclusione: molti Sci Club, che si trovano in grossa difficoltà, anche grazie a questi motivi, si stanno chiedendo “ma vale la pena aderire alla FISI???” ed alcuni hanno già fatto la loro scelta, rinunciando.

Ma la cosa davvero triste è che si tratta sovente di Sci Club storici che magari da 50 anni e oltre erano parte della FISI e che si trovano costretti a questa scelta forzata pur di sopravvivere. Quindi sono in picchiata libera il numero dei tesserati e degli Sci Club che aderiscono alla FISI. Sembra che questo fatto non interessi la dirigenza, la storia e la tradizione non contano, meglio sopravvivere oggi, al domani ci pense- rà qualcun altro. E almeno un paio di strade per affrontare seriamente la situazione sarebbero percorribili: la ricerca di sponsor e una drastica riduzione delle spese di gestione del “carrozzone”, certo bisogna darsi da fare.

Il PdP per il momento non ha questo problema fino a che la base dei soci tesserati FISI ci sostiene, però la tendenza è di un calo costante e ci stiamo avvicinando al punto critico. La domandona quindi è dietro l’angolo, ce la porremo tra qualche anno ma non abbiamo nessuna intenzione di mantenere la FISI. Il presidente Flavio Roda è consapevole di questo problema? Ce lo auguriamo perché, proseguendo su questa strada tra una decina di anni questa FISI non avrà più ragione di esistere, ma “chi è causa del suo mal pianga se stesso”.

Con l’augurio di essere cattivi profeti.

Piero Radovan

EDITORIALE

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Sommario

4 La corsa di Gianfranco 5 Dalla parte di un outsider 6 I migliori, cioè tutti

7 Momenti magici 8 Buen Camino!

10 Santiago è per tutti 12 I Pellegrini del clima 13 Avanti, c’è sport

14 Sulla ciclabile Dobbiaco - Lienz 16 Io sono un albero

19 Sci di fondo in città

20 I due Lorenzo e il Granpa

24 Riflessioni su un incontro di viaggio 25 Maria Rita forever

26 Fotografondo al fotofinish 28 I nostri punteggiati FISI 29 Il calendario FISI

30 Calendario granfondo 31 Le News PdP

13 14 7

10

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GARA SOCIALE

C

he cosa abbiamo fatto di così speciale per meritarci tanta grazia? Niente, è puro dono piovu- to dal cielo la splendida giornata di sole e amicizia vissuta a Sormano 1000 domenica 11 ottobre. Quan- do i verdi prati e i boschi che la circondano sono baciati dal sole autunnale, Sormano 1000 è un pic- colo paradiso.

Questa edizione poi era vera- mente speciale, per la prima volta il nostro Gianfranco Sormani non era presente fisicamente ma il suo spirito aleggiava tra di noi, ci os- servava attentamente dall’Alto, si sentivano le sue parole “bravi ra- gazzi, bravi, dai che va bene così”.

Grazie Gianfranco, ci hai sempre incoraggiato e sostenuto fin dall’i- nizio, ci davi una mano ad orga- nizzare la gara, eri il protagonista anche se non correvi, ricordo che solo una volta, in una nostra par- tenza, hai fatto qualche decina di metri di corsa come per dire “sono con voi!”. A te non piaceva corre- re, tutte le tue energie, le tue risor- se, la tua passione erano solo per lo sci di fondo. Sei sempre stato pre- sente a Sormano 1000 fino a che hai potuto, l’ultima volta avevi la bomboletta di ossigeno a tracolla, ma c’eri.

Ha onorato degnamente la tua memoria la presenza e la vittoria di Simone Paredi, pluri campione mondiale di skirolldi di Sormano, è stato proprio bello e significativo che il primo Memorial Gianfranco Sormani sia rimasto a Sormano, il luogo a te più caro, dove è nata la tua passione, dove hai “creato” la tua Sormano 1000. Altro grandis- simo e graditissimo dono è stata la presenza della moglie con i figli Andrea e Paolo, Rita ha consegna- to commossa nelle mani del vin- citore Simone la coppa Memorial del suo Gianfranco.

Un doveroso e meritato ricono- scimento anche per lei, la fedelis- sima Rita, una targa con inciso il

senso di una vita “sempre presente accanto al nostro carissimo Gian- franco. Con riconoscenza e affetto.

Sci Club Passo dopo Passo”. Un gesto semplice ma sentito e soprat- tutto meritato.

Grazie Gianfranco, grazie Rita.

Tra gli atleti, pur non essendo numerosissimi, a fine giornata si sentivano solo commenti positivi

“è una corsa bellissima, bisogna farla conoscere in giro, deve veni- re più gente”. Terremo presente per le prossime dizioni. Il segreto per questo risultato? Non lo sappiamo, anche questo è una Grazia da acco- gliere e di cui essere grati.

La corsa di Gianfranco

Era “sua” anche se non l’ha mai fatta, ma ce l’aveva nel cuore.

E Simone Paredi l’ha onorata con la sua presenza e una prestazione

maiuscola, il Memorial Gianfranco Sormani è rimasto a Sormano.

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Alessandro a Sormano 1000 per la prima volta, ci racconta.

L

a genesi di questa giornata, per me un’esperienza del tutto nuova, risale all’inizio della scorsa torrida estate. Messa parzialmente da parte l’abitudine di andare per i monti in solitaria, eravamo in tre impegnati in un lungo avvicina- mento all’Adamello, quando appe- na sotto la cima conosciamo Ales- sandra. Concludiamo l’ascensione in compagnia e in breve scopriamo una certa affinità nel modo di vive- re la passione per l’alpe, ci scam- biamo gli indirizzi e ci salutiamo sulla vetta, poiché noi tre saremmo scesi per un altro itinerario. Ci ri- vedremo mai più? Rimaniamo un po’ in contatto all’inizio dell’esta- te poi ci perdiamo di vista ma alla ripresa del lavoro ricevo l’invito per Sormano 1000 organizzato dal Passodopopasso.

Cosa sarà mai? Una corsa in montagna? Di nove chilometri? Io che non ho mai corso nemmeno un chilometro in pianura? Ma la sfida è lanciata e l’entusiasmo è conta- gioso. Soprattutto la promessa di abbondanti libagioni post corsa non lascia dubbi: mi iscrivo. L’al- lenamento è un dettaglio trascura- bile. La cronaca che segue è più individuale che collettiva perché gli ultimi, come i primi, corrono in solitudine. Per molto tempo sono andato in montagna camminando, qualche volta arrancando, qualche altra arrampicando, ma mai cor- rendo. Questa volta dovrei correre e il riuscirci non è scontato. Arriva la data fatidica.

La mattinata è limpidissima, l’aria frizzante, la sede lariana del- lo Sci Club è al limite di un prato verde, grande, pianeggiante e lu- minoso che inatteso si apre al ter- mine di una stradina scura e stret- ta. Davvero un bel posto. Ritrovo Alessandra che mi presenta ai suoi amici, mi accolgono come se fa- cessi parte da sempre del gruppo.

Il giorno prima le avevo estorto dei consigli sull’abbigliamento e

sull’attrezzatura. Zaino? Bastonci- ni? Ma quando mai, la corsa è una cosa troppo seria e veloce per es- sere appesantita da attrezzi inutili!

Mi presento con un abbigliamento apparentemente corsaiolo, scar- pette incluse, un’apparenza che nasconde un’inesistente sostanza.

Scopro che devo fare tre giri di tre km. ciascuno. Intanto la macchina organizzativa della corsa procede inesorabile e presto si avvicina il momento della partenza, i concor- renti si preparano riscaldandosi mentre io pigramente presumo che anche il riscaldamento sia un detta- glio trascurabile.

Al via parto ben attestato nelle retrovie. Faccio il giro del campo, supero di slancio il muretto erboso iniziale e forse non sono proprio l’ultimo. Alla successiva salita sono preso dall’affanno e costretto al passo ma tutto sommato reggo e riprendo la corsa non appena la pendenza si attenua. Il tracciato nel bosco inizialmente fitto è piacevo- le, per un lungo tratto è un sentiero che poi si trasforma in una strada lastricata e poi di nuovo in sentiero prativo, più largo ed aperto. Il pas- saggio dalla strada al sentiero non è intuitivo e quindi è segnalato da un piccolo presidio. Un giro, due giri. Alla fine del mio primo giro molti concorrenti sono già alla fine del secondo mentre i candidati vin- citori sono ancora più avanti. Il se- condo giro è quello che mi riesce meglio, mi sono riscaldato ma non sono ancora stanco, nei punti più stretti mi fermo per dare strada ai più veloci, che non sono pochi ! Prima della fine del secondo giro mi superano alcune agguerrite concorrenti. Durante il terzo giro silenzio e solitudine diventano pal- pabili, mi sembra di essere tornato ai tempi delle solitarie in monta- gna, il presidio che segnala la de- viazione non c’è più e la sua assen- za suscita un vago ma inesorabile sospetto, confermato al traguardo

ove sono registrato, fotografato ma anche applaudito, come ultimo assoluto e ultimo di categoria. Mi vengono in soccorso De Coubertin con il suo motto e le endorfine ge- neratesi nel mio corpo ‘a prescin- dere’ dal piazzamento. La corsa è conclusa. Dopo la messa, il ricordo toccante dell’amico Gianfranco e la commozione dei suoi familiari coinvolgono i presenti.

Durante la premiazione, con premi per tutti, si materializza la presenza di tanti bambini che por- tano freschezza ed allegria. Dopo la premiazione inizia il pranzo, un enorme tavolo traboccante di ogni ben di Dio. Allora la promessa ini- ziale è stata mantenuta e superata!

Alla fine ovvio, non rimane nulla.

Mi siedo ad un tavolo con Ales- sandra e Duilio, durante la conver- sazione si parla di vari progetti e mi si invita a dedicarmi al fondo, per consolidare il sodalizio. In conclusione questa sfida, da mol- ti coscienziosamente preparata e per me improvvisata e accettata con spirito goliardico, è stata un’e- sperienza intensa e coinvolgente.

E una splendida giornata, in un ambiente rilassante, un presidente carismatico, una consigliera in- stancabile, una perfetta organizza- zione e tanti nuovi amici che fanno di tutto per farti sentire a tuo agio sin dalla prima volta che li cono- sci. Ritorno a casa e trasmetto un involontario entusiasmo al punto che, senza nemmeno chiederglielo, i miei due figli, 13 e 10 anni, mi promettono che alla prossima edi- zione 2016, parteciperanno anche loro. Riconoscente auguro onore e gloria al PassodopoPasso.

Dalla parte

di un outsider

GARA SOCIALE

Alessandra e Alessandro sorridono prima della fatica

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GARA SOCIALE

I migliori, cioè tutti

Ma un plauso speciale a chi è riuscito a salire sul podio.

Cuccioli F 1°- Citterio Emma Cuccioli M 2°- Bini Lorenzo Ragazzi M 1°- Pozzi Pietro Allievi F 1°- Pozzi Alice Allievi M

1°- Ingrillì Davide 2°- Luciani Francesco Senior F

2°- Gobbi Cecilia 3°- Gobbi Rosa

Master 50

3°- Sormani Andrea Master 60

2°- Vistarini Mauro Master 70

1°- Radovan Piero Dame C2

1°- Panvini Alessandra Dame C3

1°- Chini Maria Rita

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Momenti magici

Sono stati tantissimi, i più belli sono impressi nel cuore di ciascuno.

GARA SOCIALE

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PELLEGRINAGGI

F

inita la stagione invernale si comincia a pensare alle ferie estive: che fare? dove andare? Non avevo ancora trovato le risposte quando la mia amica Mara mi dice:

“Io ho deciso di fare il Cammino di Santiago, ti andrebbe di farlo in- sieme?”. Qualche giorno di rifles- sione e decido di accettare l’invito.

Subito mi viene in mente Piero che ricordo aver fatto più di una volta il pellegrinaggio, gli parlo del pro- getto e subito mi dispensa consigli e suggerimenti. Grazie Piero, per noi neofiti aver avuto l’appoggio di un esperto è stato di gran aiuto, la tua lunga esperienza e quella di Franca ha fatto in modo che tutto risultasse più semplice.

Ci rendiamo conto che sarà im- possibile fare tutto il cammino per- ché Santiago dista 800 km. da Saint Jean Pied de Port e se uno non è un marziano ci vogliono 29/30 giorni.

In settembre riusciamo ad avere 25 giorni di ferie e quindi bisogna decidere da dove partire. Dopo i primi allenamenti capiamo che 30 km. al giorno è il nostro limite pertanto fissiamo l’inizio a Burgos, saranno 500 km. Togliendo i giorni di viaggio e un giorno per visita- re Santiago, dovrebbe avanzare del tempo per per proseguire oltre e arrivare a Finisterre sull’Ocea- no Atlantico dove anticamente si pensava finisse il mondo. In estate proseguono le uscite per aumen-

tare progressivamente il chilome- traggio, il dislivello e il peso dello zaino e per rodare le scarpe, fattore fondamentale.

Il 29 Agosto si vola a Madrid e in pullman arriviamo a Burgos nel pomeriggio, giusto il tempo per visitare la bella Cattedrale. Poi cerchiamo l’ostello e cominciamo ad entrare nel clima del Cammino, si cena tutti insieme, si scambiano opinioni sulla tappa fatta e su quel- la del giorno dopo, poi velocemen- te nelle camerate perché la sveglia è alle 6. Non vediamo l’ora di co- minciare la nostra “avventura”! Il giorno dopo, sistemato lo zaino e fatta colazione, via si parte! Ci rendiamo subito conto che le indi- cazioni delle frecce gialle o delle conchiglie sono ovunque per indi- care ai pellegrini la giusta strada.

Le prime tappe attraversano le mesetas, infiniti altopiani collinari coltivati a grano o girasoli punteg- giati da paesi. In quelli più piccoli sembra che il tempo si sia fermato a qualche decennio fa, non è raro vedere abitazioni costruite con mattoni di argilla e paglia, l’unico sostentamento è l’agricoltura e i pellegrini che si fermano a man- giare o dormire. L’accoglienza è sempre calorosa, pur pagando cifre modeste un letto, una doccia calda e una cena abbondante sono sem- pre garantiti. Durante i primi gior- ni la fatica si accumula, all’arrivo non si vede l’ora di fermarsi per togliere scarpe e zaino e sdraiarsi sul letto per un meritato riposo.

Poi con il passare dei giorni il cor- po si abitua e arrivati a destinazio- ne, dopo aver sbrigato le faccende quotidiane (doccia, bucato e siste- mato il letto) si ha ancora voglia di fare due passi per vedere il posto dove si è arrivati.

Dopo una settimana raggiun- giamo Leon e visitiamo la bella Cattedrale, altri due giorni e sia- mo ad Astorga dove purtroppo

possiamo vedere solo da fuori la Cattedrale e il Palacio Episcopal di Gaudì perché chiusi nonostante fosse domenica. Ora il paesaggio comincia a cambiare perché ci si avvicina alle montagne della Gali- zia, presto arriviamo al punto più alto del Cammino a 1504 m. e uno dei più “spirituali”. Qui si trova la cruz de hierro (croce di ferro) in cima ad un palo di legno la cui base è formata da una montagnola di sassi lasciati dai pellegrini, un gesto che simboleggia il liberarsi dalle cose inutili. Una lunga disce- sa e arriviamo a Ponferrada domi- nata da un bel castello. Ancora due tappe e superiamo il cippo di pietra che segnala il confine della Galizia dove la vegetazione è abbondante e rigogliosa. La salita per arrivare al villaggio di O Cebreiro (1300 m.) è forse il tratto più bello del Cammino come paesaggio.

Da quì i cippi di pietra ci faranno compagnia, uno ogni 500 metri a scandire gli ultimi 150 km. Chi si lamentava dei cartelli ogni km. alla Vasaloppet? Le ultime tappe sono molto piacevoli e camminando su e giù per le colline avvolte da splen- didi castagni, verdi pascoli, campi coltivati a granoturco o boschi di conifere o eucalipti, raggiungia- mo Pedrouzo, ultimo paese prima di Santiago, 20 km. e la meta sarà raggiunta. Alla sera vediamo le previsioni del tempo, sembra non ci sia scampo: una forte perturba- zione è in arrivo dall’Atlantico. Al mattino partiamo prima del solito per arrivare a Santiago in tempo per assistere alla Messa del pelle- grino officiata tutti i giorni a mez- zogiorno. I meteorologi sono stati precisi e un’acqua intensa con un forte vento ci farà compagnia tutto il giorno. Ormai anche la mantella e il k-way hanno alzato bandiera bianca, non vediamo l’ora di entra- re in Cattedrale per trovare rifugio.

L’entrata in Santiago è lunga e dopo aver percorso numerose cal-

Buen Camino!

25 giorni lungo uno dei pellegrinaggi più famosi del mondo:

il cammino di Santiago. L’esperienza di Alessandro e Mara.

Alessandro e Mara in un momento di relax

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le (vie) ecco finalmente apparire le due torri che si affacciano sulla grande piazza Obradoiro. Purtrop- po una è in restauro così come il Portico della Gloria. Ormai bagna- ti fradici entriamo e riusciamo a sederci proprio di fronte all’altare principale dove alla fine della fun- zione assistiamo al rito del botafu- meiro, un enorme turibolo viene fatto oscillare lungo la navata tra- sversale per incensare i pellegrini.

Dopo essere passati dall’ufficio del pellegrino per ritirare la Composte- la, ancora sotto l’acqua cerchiamo il Seminario minore per trovare un letto ma soprattutto una doccia cal- da. Per il giorno dopo le previsioni del tempo sono ancora pessime e così decidiamo di non proseguire verso l’Oceano ma di prenderci un giorno di riposo. Dopo 17 giorni di cammino e quasi 500 km. non sembra vero poter dormire fino a tardi!

Nel pomeriggio il tempo miglio- ra, visitiamo Santiago e ci prepa- riamo per riprendere il cammino.

Visto che stiamo bene, decidiamo di non andare direttamente a Fini- sterre ma di passare da Muxia, pic- cola cittadina più a Nord anch’essa sul mare, oltre Santiago saranno quindi altre 4 tappe per 120 km.

Molto emozionante è stato scor- gere il mare attraverso le piante di un bosco. Dopo aver attraversato le infinite pianure, scavalcato le montagne e passeggiato sulle col- line, finalmente anche l’Oceano si unisce ai paesaggi del Cammi- no. A Muxia siamo fortunati e dal promontorio con il santuario co- struito sul mare assistiamo al sole che scompare. Eravamo abituati a vedere il sole sorgere poco dopo l’inizio di ogni tappa, ora abbiamo anche un bel tramonto.

Il giorno dopo arriviamo a Fini- sterre e il Cammino ha proprio ter- mine, il paese è situato tra l’omo- nimo capo e un’immensa spiaggia, ne approfittiamo per raccogliere

delle conche (conchiglia, il sim- bolo del Cammino) e per bagnare i piedi, sarebbe stato bello fare il ba- gno, ma l’acqua è veramente fred- da! Alla sera percorriamo a piedi i 3 km. che separano la città dal capo dove intorno al Faro si radu- nano pellegrini e turisti per vedere il tramonto: fantastico! La mattina seguente prendiamo il pullman per rientrare a Santiago e dedichiamo il pomeriggio nuovamente alla visita della città e per un po’ di shopping. Il giorno dopo l’aereo ci aspetta per rientrare in Italia e al solito tran tran: passare da un gior- no all’altro da 8 ore di cammino a 8 ore di videoterminale, non è così banale. La mente ripercorre i mo- menti più belli. Gli incontri spon- tanei fatti mentre si cammina sono tantissimi, con alcune persone si scambiamo solo quattro chiacche- re poi ognuno riprende il suo ritmo e non ci si vede più. Con altri si instaura un legame più stretto e si condividono più tappe, ci si scam- bia il numero di telefono o l’email per restare in contatto anche oltre il Cammino.

Piacevole e di grande sorpresa reincontrare a fine Cammino per- sone che avevi visto nelle prime tappe: sembra di conoscersi da una vita tanta è la spontaneità. Molto bello dialogare con persone prove- nienti da tutto il mondo: dall’Ar- gentina al Canada, dall’Australia alla Corea del Sud e da ogni stato europeo. Si conoscono motivazio- ni diverse che spingono la gente a camminare per giorni, si conosco- no culture e modi diversi. Partico- larmente interessanti sono le cene comunitarie, in molti ostelli ci si siede tutti intorno a un tavolone e si condivide quello che viene cu- cinato. Si parla in tutte le lingue ma ci si capisce al volo, ognuno ha

qualcosa da raccontare, da condi- vide, da chiedere: davvero un bello spirito d’unione. Ovviamente qual- che momento difficile c’è stato, qualche infiammazione ai tendini per entrambi e un paio di vesciche per Mara vengono prontamente su- perate con una buona pomata, uno spillo ma soprattutto con la voglia di andare avanti.

Concludendo posso dire che il Cammino è quasi per tutti, abbia- mo incontrato ragazzi di 13 anni e persone di oltre 70, ognuno cam- mina ogni giorno quanto si sente, non è una gara con un tempo li- mite! Non bisogna essere atleti, qualche uscita prima di partire per abituarsi alle scarpe e allo zaino, è sufficiente. E anche se si percorre il Cammino non per motivi reli- giosi, è comunque un’esperienza coinvolgente e unica che rimane dentro per tutta la vita. Da provare.

Buen Camino a tutti!

Mara, Io non ho molto da aggiun- gere a quello già scritto da Ales- sandro, vi lascio solo una consi- derazione tratta dal mio “quader- no del pellegrino”: ...oggi mentre camminavo è arrivato persistente un pensiero, l’importanza del “qui ed ora!”, l’importanza di vivere appieno il “momento”! Tutti que- sti posti, sono posti che probabil- mente non vedrò più. Le persone che ho incontrato e che incontrerò probabilmente non le vedrò più.

Non so cosa sarà di noi domani, ma dovremmo godere della nostra compagnia “oggi”.

Godere del momento. Godere ora di questo sole. Godere ora di que- sto vento. Godere ora di questi panorami. Assaporare tutto quello che avviene ora, perché domani non so se ci verrà riproposto!

Buen Camino... e buona vita!!!

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PELLEGRINAGGI

L

uciano ha 83 anni e Gigi 78, non è un dettaglio trascurabi- le per chi si pone l’obbiettivo di percorrere il classico Cammino francese, la via più frequentata per arrivare a Santiago, sono 750 km., tanti anche in mountain bike.

Ha proprio ragione Alessandro (vedi l’articolo Buen Camino!) quando dice che l’andare a Santia- go è per tutti, basta essere consape- voli delle proprie possibilità.

Certo che il Cammino di Santia- go con la sua tradizione millenaria ha proprio un fascino straordina- rio, ognuno lo percorre con dentro di sé un richiamo che è unico, solo suo, le motivazioni sono diverse, chi lo fa come ringraziamento per un dono ricevuto, chi per doman- dare una grazia, chi per mettersi alla prova in un’avventura ricca di incognite, chi per calare la pancet- ta, chi per…

Qualsiasi motivo per partire è vali- do perché “è il Cammino che ti fa, con i suoi incontri e i suoi imprevi- sti, non sei tu che fai il Cammino”.

Di certo si ritorna diversi da quan- do si è partiti. Ce lo confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, i no- stri due amici Gigi e Luciano.

Già dal 2010 l’andare a Santiago era a tema tra di loro, almeno come desiderio, ma c’era sempre qualco- sa che non quadrava e costringeva al rinvio. Ma quando una convin- zione è seria, sentita, convinta pri- ma o poi si realizza. L’idea stava particolarmente a cuore a Luciano, sempre alla ricerca di qualcosa di importante e di impegnativo da fare, mai cose semplici o scontate (ad esempio l’ascensione sui monti Elbrus, Kilimangiaro, Ruvenzori), con Gigi pronto ogni volta al suo fianco.

Così è stato, la loro pazienza è sta- ta premiata e finalmente quest’an- no si sono realizzate le condizioni per partire.

La preparazione, seria e metodi- ca, è durata 3-4 mesi con pedalate solitarie o in compagnia sulle colli- ne pavesi. Partenza da Roncisvalle,

sul confine tra Francia e Spagna, il 1° luglio. Si erano organizzati con l’appoggio di una roulotte per il vitto e alloggio per evitare (giusta- mente) il rischio dell’affollamento nei numerosi rifugi del pellegrino che si trovano lungo il Cammino.

La giornata iniziava alle 6 (come quella della maggior parte dei pel- legrini) e dopo una sana e ricca colazione per la necessaria scorta di energie, si iniziava a pedalare per 30-40 km. al giorno con sosta volante e visita alle tante cose in- teressanti che si incontravano sul percorso, antichi ponti romani, eremi, monasteri, santuari, castelli, chiese, e i tantissimi segni lasciati nel corso dei secoli quando i pel- legrini prima di recarsi a Santiago, magari partendo da Roma, faceva- no il testamento.

I nostri due amici procedono grintosi ma tranquilli, senza fretta, con grande attenzione a cogliere l’eredità della storia e della tradi- zione millenaria. Il loro percorso si snodava in parte sulla carretera (strada asfaltata), in parte sul sen- tiero del Cammino vero e proprio dove incontravano e salutavano calorosamente i pellegrini a piedi, tantissimi con diversi italiani, di tutte le razze e età con prevalen- za di giovani. Si scambiavano le impressioni e molti erano stupiti, meravigliati e ammirati quando scoprivano l’età di Gigi e Luciano.

Nel procedere, di tanto in tanto una sorso dalla borraccia e una barret- ta rigenerante. Sosta obbligata ai punti dove veniva rilasciato il sello (timbro) da porre sulla credenziale, marchio inconfondibile di prova del passaggio del pellegrino da esibire per il rilascio della Compostela.

Di solito la pedalata terminava nella mattinata, quindi pranzetto in roulotte, il doveroso riposino, vi- sione delle fotografie dei vari punti incontrati e sopraluogo turistico nei dintorni. Non c’era che l’im- barazzo della scelta quando passa-

Santiago è per tutti

Gigi Meroni e il suo amico Luciano, due ex ragazzini molto in gamba, affrontano e vincono una bella sfida lunga 750 km. in mountain bike per arrivare alla meta di molti, Santiago de Compostela.

Luciano e Gigi sotto sforzo

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vano da Pamplona, Burgos, Leon, Ponferrada.Il ritmo e l’intensità della fatica di Luciano e Gigi era assolutamente adeguato alla loro condizione, senza mai strafare, il loro segreto era ogni giorno la giu- sta dose di chilometri.

Ma alla terza tappa è successo un grave e doloroso imprevisto: a Gigi è giunta la notizia della morte della cara mamma centenaria.

Pianta tutto, prende il primo volo per Milano, arriva in tempo per l’ultimo saluto. Poi riprende l’a- ereo di ritorno per la Spagna, il Cammino continua con un motivo in più da portare a Santiago.

Tanti gli spunti da immortalare, la fontana del vino ad uso esclusi- vo dei pellegrini (si, una fontanella pubblica da cui invece dell’acqua scende vino), in Galizia il paracar- ro degli ultimi 100 km., un mo- numento da immortalare segnato da mille firme festanti, soprattut- to quelle di chi ne ha già percorsi 700, i giovani biker inglesi incon- trati lungo il Cammino.

Il profumo di Santiago si sente quando si arriva al Monte do Gozo, mancano solo una decina di km., è un luogo sacro immortalato dal passaggio di S. Francesco d’Assi- si e da Giovanni Paolo II. E infine l’abbraccio della piazza do Obra- doiro, l’arrivo ti lascia senza fiato, le sensazioni interiori si accavalla- no senza tregua, l’emozione è for- tissima e misteriosa, indecifrabile.

L’ingresso nella imponente Cat- tedrale di Santiago, che raccoglie le spoglie di S. Giacomo, richiede una lunga coda, è il 25 luglio, pro- prio la festa di S. Giacomo, i pelle- grini sono il doppio del solito.

Gigi e Luciano partecipano com- mossi e grati alla S. Messa del Pellegrino, con il suo rito del bo- tafumeiro, il grande turibolo con incenso che all’origine serviva per nascondere almeno in parte il “pro- fumo” dei pellegrini. Poi non può e non deve mancare la Compostela,

il documento che testimonia che il pellegrinaggio è stato portato a termine come si deve. Tutto è compiuto ma non è finito. Gigi e Luciano vogliono arrivare a Fini- sterre, la fine del mondo nell’anno 1000, all’Oceano dove si gusta la tradizionale sopa del pulpo.

Infine il rientro a casa, non si pe- dala più sulle strade del Cammino ma su quelle ben più impegnative della vita, il Cammino lascia in tut- ti un segno indelebile, ciascuno ha il suo. Luciano e Gigi dicono a noi e a tutti:

“Siamo felici!!”.

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PELLEGRINAGGI

Giorgio Bianchini, oltre che valente fondista, è vicepresidente WWF Sud Milano e cammina per un giorno con “un gruppo arcobaleno animato da una straordinaria tensione morale”.

G

iovedì 22 ottobre insieme ad amici del WWF ho accompa- gnato i Pellegrini del clima, capi- tanati dal filippino Yeb Sano, da Melegnano a Rogoredo passando, dove possibile, per i sentieri del Parco Sud Milano e camminando per una ventina di chilometri.

Ci tenevo a camminare con loro in quanto condivido in pieno l’o- biettivo di questo movimento di persone appartenenti a diverse comunità religiose che da tutto il mondo si mettono in cammino verso Parigi per esprimere pacifi- camente la propria preoccupazione verso gli effetti dei cambiamenti climatici sul futuro dell’umanità e del pianeta.

Lo scopo è arrivare a Parigi per la Conferenza del clima per chiede- re impegni concreti e planetari, il protocollo di Kyoto, seppur di effi- cacia parziale, è in scadenza.

A fine novembre,la conferenza delle Nazioni Unite di Parigi rap- presenterà l’ultimo treno per evi- tare catastrofi irreversibili. Se nuo- vamente non si farà nulla, l’inerzia dei cambiamenti climatici sarà inarrestabile. Il leader Yeb, che ha già compiuto diversi pellegrinaggi, è stato vice ministro per l’ambien- te filippino e dopo aver partecipato a tanti inutili congressi per il cli- ma, in un memorabile discorso alle Nazioni Unite ha proclamato che si sarebbe dimesso da tutti gli inca-

richi e che avrebbe iniziato a cam- minare per scuotere le coscienze e proporre soluzioni.

Al di là del significato del ge- sto, mi permetto due righe in più per accennare a qualche aspetto fisico-sportivo che ho riscontrato.

La ventina di persone che sta ac- compagnando Yeb è quanto mai eterogeneo: italiani, filippini, ame- ricani, britannici, dai 19 ai 60 anni.

Yeb sta camminando da Roma dal primo di settembre per arrivare a Parigi a fine novembre, alcuni lo accompagnano dall’inizio, altri per tratti più o meno lunghi. La media del chilometraggio giornaliero, con qualsiasi tempo, è di 20-25 km., con un camper a supporto.

Da notare che quando arrivano nel- le città e paesi fanno serate, incon- trano amministratori, associazioni, scuole, centri spirituali, chiedendo ogni volta ospitalità gratuita.

Una piccola osservazione:

sul percorso non è stato possibile passare per cascina Molinetto e cascina Carlotta, poiché il proprie- tario della Molinetto per l’enne- sima volta ha negato il permesso di superare il cancello che sbarra l’accesso alla sua proprietà, da più parti ritenuto abusivo.

Il gruppo ha poi visitato le abbazie di Viboldone e Chiaravalle, accolto in entrambi i casi con calore dalle comunità religiose, per poi recarsi in treno a Segrate dove ha trascor- so la notte. La cosa che più mi ha

colpito è la capacità di camminare per così tanti giorni, sopportando uno sforzo da accumulo notevole:

il problema più rilevante sono le tendiniti in cui sono incappati in diversi, le calzature sono ovvia- mente basilari.

Sono mossi da una motivazione notevole che fa sopportare loro la fatica che si accumula giorno dopo giorno. Non ammettono di essere stanchi, sono sereni, gioiosi, “spi- rituali” ma giustamente, a parte qualche eccezione, tendono a par- lare poco anche se, quando si parla in inglese o in spagnolo, il “fee- ling” è immediato.

Si tratta di un gruppo arcobaleno animato da una straordinaria ten- sione morale e a turno uno di loro si impegna a stare in silenzio per 24 ore per ricordare le vittime dei cambiamenti climatici.

Ognuno tende ad andare al pro- prio passo e ogni tanto ci si aspetta, Yeb attacca della musica, non usa le cuffiette ma canzoni ritmate ad alto volume.

Alla fine della giornata ho avuto ancor più nei loro confronti ammi- razione, sia per la tensione morale che per l’impegno fisico. Ai salu- ti finali, abbracciandomi, hanno preso un pezzo di me che arriverà con loro fino a Parigi, cercherò di seguirli sul web. Tra tutte queste emozioni mi sono sentito come se avessi fatto un bel lungo in vista della prossima Marcialonga.

I Pellegrini del clima

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I

l mondo dello sport paralimpico si è dato appunta- mento a Milano il 17 e 18 ottobre. La piazza Città di Lombardia, sede della Regione, si è trasformata in una vera palestra a cielo aperto (meglio dire “coper- to”, grazie alle strutture dei palazzi non si era a rischio acquazzone). Èstata l’ultima tappa di un’interessante iniziativa presente a Mantova, Salò, Angera e Lovere, per finire in bellezza nella nostra Milano.

Il percorso rientrava nel progetto “Col CIP c’è sport… EXPOrt”, cogliendo l’occasione di EXPO 2015, per opera del Comitato Italiano Paralimpico Regionale Lombardia.

I momenti più coinvolgenti:

y Campionato italiano di calcio balilla per disabili con premiazione dei titoli di serie B e A. Girovagando tra i biliardini si potevano ammirare precisione di tiro e concentrazione a livelli pazzeschi. Presente Fabio Cassanelli campione del mondo in carica.

y Ultima tappa del Giro d’Italia di handbike con ben 110 atleti coinvolti. Assegnate le maglie rosa maschili e femminili in base alle varie categorie.

La sera del sabato, ballerini (disabili in carrozzi- na, down, non vedenti e normodotati) e ginnasti han- no dato prova della loro bravura. Avrebbero meritato un po’ di pubblico in più. La piazza era una miscella- nea di atleti, giovani e meno giovani, in un susseguir- si di pratiche sportive tra le più disparate: campo di basket, di calcio, di bocce e di golf, per citare alcune delle 22 discipline presenti. Poi Karate, canottaggio, scherma e pesi, persino una palestra di arrampicata sportiva e due tavoli da ping-pong per non vedenti: si chiama Showdown, andate a vederlo su google! Non è per niente facile. In totale, erano coinvolti più di 400 atleti e 300 accompagnatori/volontari. In rappre- sentanza di Regione Lombardia era presente Antonio Rossi, Assessore allo Sport e Politiche per i Giovani, il CONI era rappresentato da Oreste Perri, Presidente del Comitato lombardo.

E gli sport invernali? Il nostro sport era rappresen- tato da Matteo Fanchini (vedi pdpnews 28) biatleta non vedente che ha fatto parte della Nazionale Biath- lon, fin quando c’era ma questo è un discorso a parte.

Era aiutato da Alessandra Panvini Rosati, segretaria del Gruppo Sportivo Passo dopo Passo e fondista di- lettante ma con buona mira nel biathlon, insieme han- no fatto provare la carabina biathlon per non vedenti.

Può sembrare assurdo: un cieco che scia? Un cieco che spara? Ebbene si! Anche chi non vede può mirare a un bersaglio. Se poi si è bravi, come Matteo, lo si può anche colpire! E Matteo, non sbaglia un colpo.

I normodotati che si fermavano davanti al poligono,

montato per l’occasione in mezzo al Palazzo della Regione, erano un po’ perplessi! I non vedenti, inve- ce, consapevoli del loro potenziale, erano interessati a mettersi alla prova. Come si fa? In cosa consistono lo sci nordico e il biathlon per non vedenti? Prima di tutto, nel fondo i non vedenti gareggiano sciando con una guida che li precede. Vi sono gare su varie distanze, inoltre prendono parte a staffette in tecnica classica o libera.

Lo sci nordico/biathlon è regolato dal Comitato Paralimpico Internazionale Sci Nordico. Nel biathlon si utilizzano fucili dotati di visori elettro-acustici a fibre ottiche, che consentono di prendere la mira at- traverso l’udito (puntamento acustico). Più il fucile punta al centro del bersaglio, più intenso è il segnale acustico che s’irradia nelle cuffie indossate dall’atleta.

I diversi segnali emessi muovendo il fucile permetto- no al tiratore di individuare il centro del bersaglio che ha un diametro di 30 mm. per gli atleti con disabilità visive. L’arma è lasciata al poligono, anziché traspor- tata sulla schiena, durante la fase di sci.

Curiosità: la tecnica skating paralimpica è stata am- messa in gare ufficiali soltanto nel 1992 ai Giochi Pa- ralimpici di Albertville. Ma quelli di Lillehammer del 1994 hanno segnato un punto di svolta anche sotto altri aspetti dello sci nordico paralimpico con l’intro- duzione del biathlon maschile e femminile E per la prima volta gli sciatori nordici hanno gareggiato nello stesso sito utilizzato per i Giochi Olimpici invernali.

Il primo campionato italiano di biathlon paralimpico si è disputato nel 2006 ad Arpy (AO). Ci auguriamo che qualcuno, normodotato o diversamente abile, si avvicini a questo meraviglioso sport: avanti!

AL TRI SPOR T

Avanti, c’è sport

Normodotati e diversamente abili.

C’è poi così tanta differenza?

I Pellegrini del clima

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GRANDI VIAGGI

Q

uest’anno dopo tanti anni in cui abbiamo fatto la settima- na bianca a Dobbiaco che, quindi conosciamo solo nella versione in- vernale per lo sci di fondo, abbia- mo deciso di conoscere Dobbiaco anche nella versione estiva, accet- tando la proposta di nostri amici, il cui figlio è attualmente compagno di classe di Andrea. Ho sempre in- terpretato le vacanze in montagna come occasione per camminare, ma quest’anno i nostri figli non vo- levano una vacanza in montagna.

La proposta dei nostri amici però è piaciuta subito, sia per la com- pagnia che per il posto. Purtroppo i nostri amici (le tre C visto che si chiamano Cristian, Cristiana e Cri- stopher) non sono degli sportivi, tranne il figlio: sapevamo che farli camminare sarebbe stato difficile, ma scopriremo che sarà proprio impossibile. Stranamente sono in- vece attirati dalla bici così ci por- tano sulla ciclabile fino a Lienz, che forse non avrei fatto perché, pur conoscendola di fama, la rite- nevo monotona e poco interessan-

te visto che la zona fino a Sillian l’avevo percorsa diverse volte in auto per fare acquisti (ed il pieno, visto i bassi costi della benzina in Austria).

La pista ciclabile da Dobbiaco (1230 m.) a Lienz (670 m.) di circa 51 km., tutta asfaltata, fa parte del- la pista ciclabile della Drava, le cui sorgenti sono tra Dobbiaco e San Candido: complessivamente il per- corso è lungo 366 km. attraversa il Tirolo Orientale e la Carinzia fino a Maribor in Slovenia. Dalla cartina scopro che con un percorso di 180 km. potrei raggiungere anche la zona della Carinzia del Klopeiner- see dove, come al solito, eravamo stati in vacanza poche settimane prima. La sera prima ne avevamo parlato ma nulla era stato deciso per il giorno seguente. Ma il mat- tino dopo, una splendida giornata, i nostri amici partono subito con- vinti, ci mandano un messaggio, ci stanno aspettando per fare que- sta gita ed hanno già preso le bici dell’albergo, mettendoci un po’ di fretta. Io sono l’unico ad avere la

bici personale e dell’albergo solo tre bici sono utilizzabili, ma le devo sistemare per i tre ragazzi. Quella di Andrea aveva un solo freno fun- zionante, ma non mi preoccupo più di tanto perché ritengo (erronea- mente) il percorso facile e con bas- sa pendenza.

Teresa ed i nostri amici vanno invece in auto a San Candido per noleggiare delle bici e risparmiarsi un tratto del percorso visto che non sono sicuri di arrivare in fondo. Io ed i ragazzi partiamo dall’albergo di Dobbiaco e prendiamo la cicla- bile vicino alla stazione. Conoscen- do il percorso, continuo a fare con- fronti tra la pista ciclabile e la pista da fondo, per me la zona d’estate è una scoperta. Così scopro che il percorso ci porta vicino al Poligono di tiro per poi scendere ed affianca- re la ferrovia. C’è parecchia gente in bici nei due sensi di marcia, bi- sogna fare un po’ di attenzione per il traffico. Alla stazione di San Can- dido perdo Andrea ed il suo amico che erano più avanti. Poi rintraccia- mo i nostri amici e Teresa che era- no andati a noleggiare le bici vicino all’Acquafun e all’ospedale (posto che purtroppo abbiamo conosciuto bene io e mia sorella questo inver- no per gli infortuni). Gli amici han- no noleggiato due bici elettriche a pedalata assistita: per fortuna, altri- menti non saremmo mai arrivati a Lienz!

Riprendiamo la ciclabile ed il tratto per un po’ di chilometri è ter- ribile e stressante: in leggera disce- sa, con qualche strettoia, un traffico eccessivo e caotico, con pochi che vengono nel senso opposto ma che rischiano spesso l’incidente per la folla e lo scarso rispetto delle rego- le. Nonostante mi sgoli, i miei figli dimostrano di non comprendere le regole del traffico e quando sor- passano non guardano chi viene in senso opposto beccandosi qualche accidente dai ciclisti interessati.

Daniele riesce a far infuriare una

Sulla ciclabile

Dobbiaco – Lienz

Roberto e famiglia con amici in una giornata di vacanza con tante pedalate e un po’ di suspence.

Roberto, Andrea e Daniele in attesa del treno

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signora ma anche Andrea non è da meno, d’altronde questa estate a Riccione era riuscito a passare un incrocio in bici col rosso perché non aveva manco visto che c’era un semaforo! Dopo 7 km. da San Candido facciamo una sosta a Prato Drava, prima del confine.

Nonostante abbiano le bici elet- triche i nostri amici sembrano già stanchi e dubitano di farcela ad ar- rivare a Lienz. Insisto per provar- ci, dalla cartina vedo che da metà percorso le pendenze in discesa aumentano rendendo il percorso meno faticoso. È il caldo, giornata limpida, a cuocerci un po’, faccia- mo più soste.

Mancano delle fontanelle per l’ac- qua, la prima la troviamo in Au- stria, dopo Sillian (vicino alla Loa- cker). Il percorso diventa più bello accanto al fiume, con un po’ di bo- sco e meno gente anche se sempre troppa, e non attraversa i paesi.

Le ore passano e l’obiettivo è ancora lontano, gli amici mi chie- dono regolarmente quanti chilo- metri manchino, baro un po’ sulle distanze. Poi la pendenza cambia ed il percorso è bello, più veloce, meno faticoso, in mezzo al bosco, quindi più fresco. Per fortuna, al- trimenti non saremmo mai arrivati in fondo! In discesa bisogna fare un po’ di attenzione perché qual- cuno fa il percorso inverso. An- drea ha qualche problema in più con un solo freno, che per fortuna funziona bene. Vediamo diversi posti per picnic ma non abbiamo niente da mangiare ed i punti di ri- storo sono rarissimi. In discesa mi stacco e vado avanti ad esplorare il percorso anche per stimolare gli altri a proseguire e cercare un posto dove mangiare qualcosa visto che è tardi. A 10 km. dalla meta vicino a Thal trovo un bel posto, una specie di oasi nel bosco con piscina e ri- storante, accanto alla Drava ormai un vero fiume, ovviamente gremito di gente. Facciamo una breve sosta per non arrivare tardi alla meta.

Finalmente cominciamo a vede- re i cartelli dell’obiettivo anche se mancano ancora 2/3 km. alla sta- zione di Lienz. C’è traffico, una folla di gente in bici ha invaso il paesino, quasi tutti italiani. Pres- so la stazione c’è il centro noleg- gio bici, lo stesso di San Candido, dove riprendono le bici a noleggio, le caricano su furgoni e le riporta- no a San Candido, organizzatissimi ed efficienti. Sono ormai le 15 ab- biamo impiegato 5 ore per fare 51 km. non è una grande prestazione, ma ce l’abbiamo fatta tutti, anche i nostri amici un po’ esausti. Io ed i ragazzi invece dobbiamo portar- ci dietro le bici per girare il centro del paese invaso dagli italiani, non sembra di essere in Austria. Cer- chiamo un posto dove mangiare.

Inizialmente volevo tornare in bici, ma pensavo fossero meno i km. e minore il dislivello.

Era ormai un po’ tardi e non ero sicuro che sarei stato in grado di fare i 50 km. in salita senza an- dare in crisi, 100 km. non li faccio da anni, così rinuncio e decido di tornare in treno con gli altri. Alle 16.30 andiamo alla stazione e fac- ciamo la coda per i biglietti. C’è un treno ogni ora per San Candido appositamente per il trasporto bici, sugli altri non è garantito. Ci affret- tiamo pensando di prendere quello prima e consegniamo le nostre bici che vengono caricate su un vago- ne apposito, ci sediamo nel vago- ne passeggeri convinti di non aver preso il treno speciale. Invece era quello delle 17.15 per le bici, così dobbiamo aspettare quasi mezz’ora dentro un vagone caldissimo che si affolla sempre più dei ciclisti che tornano. È la prova più dura della

giornata, una vera sauna, quasi rim- piango di non essere tornato in bici.

Fa molto caldo a Lienz, il sole è molto forte. La situazione migliora un po’ quando il treno parte ed en- tra un po’ di aria, all’inizio calda e poi più fresca salendo di quota.

Il treno è lento, impiega un’ora per arrivare a San Candido, il ca- polinea di questi treni speciali, per fortuna a San Candido la tempera- tura è più accettabile. Il problema adesso è recuperare le bici, ci sono diversi vagoni pieni solo di bici e bisogna trovare le nostre. Essendo stati tra i primi a salire le nostre sono in fondo al vagone con tutte le altre davanti. La gente è dubbio- sa perché non c’è nessuno a sca- ricare, alla fine si capisce che è a self-service. Così salgo sul vagone merci ed comincio a scaricare bici.

Andrea mi chiede cosa sto combi- nando e gli spiego che se non scari- chiamo le bici davanti è impossibi- le accedere alle nostre, così aiutano un po’ anche loro a terra. Per fortu- na altri collaborano, così riusciamo a svuotare il vagone in fretta.

Io ed i ragazzi torniamo in bici a Dobbiaco, altri 6 km., così per me ed i ragazzi sono 57 km. in tutto mentre 44 km. per gli altri. Daniele è un po’ stanco e fatica nell’ultimo tratto in lieve salita. Andiamo di fretta perché nel nostro albergo si cena alle 19 e siamo al limite ma arriveremo prima noi degli altri in auto perché c’è una bella coda sulla strada per Dobbiaco, sarà un incon- veniente costante che ci perseguite- rà anche nei giorni seguenti, ma è il periodo di ferragosto.

Che bei posti

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RACCONTO

Chi dice che le cose non hanno un’anima?

Alessandra ci fa riflettere.

N

on so che genere di albero io sia. Credo di non essere un gran bell’albero perché nessuno si ferma mai a osservarmi davvero, soltanto qualche cane mi utilizza e non specifico per cosa. Ieri un gattino si è arrampicato fino al mio ramo più alto, sentendosi molto un tigrotto di Mompracen. Io però sono cresciuto, si fa per dire, tra due bidoni di raccolta differenziata, un marciapiede che a ogni inverno si riduce malamente, un muretto di avanzo di quello che era stato il re- trobottega in un salumiere.

Non sono alto né robusto, mi sono mancate le vitamine nel mo- mento del bisogno e credo di esse- re rachitico. La padrona del gattino l’ha recuperato senza tanta fatica;

una sedia su cui appoggiare un pie- de, due braccia tese e oplà…il gat- tino era già tornato a fare “miao”

(ma in cuor suo ruggiva!). Mi sento sempre fuori luogo. Che ci faccio, qui? Sono inopportuno, do anche fastidio. Quando passa il camion della nettezza urbana ne ho la con- ferma. A causa mia l’autista non può accostare ma deve fermarsi in mezzo alla via creando code tra gli automobilisti costretti ad attendere lo svuotamento dei bidoni. E che ci vorrà? Cinque minuti? Sono le sei del mattino, non è proprio ora di punta, eppure sento che la colpa è mia, che tutti mi guardano e pre- ferirebbero non vedermi.

Ecco, quello là sulla Smart bian- ca. Sta pensando “Perché non lo buttano giù ‘sto tronco rinsecchi- to?”. “Rinsecchito sarai tu” vorrei urlargli, cioè lo sto facendo ma lui non può sentirmi! Posso giusto far cadere tre foglie con spietato or- goglio! Il risultato non è proprio

lo stesso. Se il buongiorno si vede dal mattino, ho già capito come gi- rerà il fumo oggi per me. Si fanno le otto. La biondina che abita al civico numero quattro passa col figliolo. Lui sta imparando ad an- dare in bicicletta ma ancora fa fa- tica; gli hanno tolto una rotellina e sbanda tutto a sinistra. Eccolo, eccolo… sbaam. Mi ha inferto un colpo tremendissimo con la ruota davanti! Poi si riprende, piccolo ometto alle prime prove di sconfit- ta, insegue la madre pedalando su tre ruote. Ripasserà dopo la scuola e mi rifilerà un altro colpo.

Dalle nove transitano davanti a me i passeggiatori canini che si dirigono verso il parco. Bello il parco, dove vivono i miei fratelli altolocati e ben pasciuti, è proprio vero che i ricchi si riconoscono.

Credetemi, non ne sono invidio- so, a conti fatti si devono sorbire tutte le loro deiezioni. Va bene, sei un faggio tonico e brillante, ma sei immerso in un mare di...! Io, al contrario, devo essere talmente brutto che si ferma solo il cane del Giuseppe, il portinaio del civico numero quindici. È messo molto male povera bestiaccia: displasia dell’anca mi pare, per quello che un vegetale possa saperne. Malat- tia classica dei pastori tedeschi, solo che lui è un bastardone, mica un ariano! Mi fa talmente pena, lo sento quando arriva dal trascinar- si della zampa che, nella rigidità articolare, gratta le unghie sul ce- mento. Cercate di capire, mi piscia addosso… però come potrei dirgli di no?

Io sono un albero e vivo in que- sta via anonima di una città che è stata bella, adesso è devastata dai tentativi di renderla “internaziona- le”. Una volta i bambini guarda- vano in alto, vedevano i rami dei miei fratelli svettare dai vialoni signorili e dalle piazze. Adesso, nessun bambino guarda più in là del suo tablet. Se anche avesse uno

Io sono un albero

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sprazzo di curiosità alternativa e guardasse in alto, vedrebbe solo un succedaneo di panorami “ar- tificiali”. Grattacieli, palazzi che non hanno un senso, forzature in un contesto che non è il loro. E noi alberi, cioè “loro alberi” (io sono quello che sono), siamo ridotti come pigmei. Forse, avendo una mentalità da pianta, non capisco.

Egoisticamente, non mi lamento.

Attorno a me ci sono solo palazzi di massimo quattro piani e il quar- tiere è ancora vivibile. Da anni ne osservo il cambiamento.

Le espressioni di rassegnazio- ne, fatica, tristezza oppure di gio- ia, stupore, amore, gaiezza sono le stesse, ma i segni somatici sono diventati parecchi; la cosa mi in- curiosisce. Osservandoli, trascorro il tempo tra una fotosintesi e l’al- tra. Anche noi alberi siamo mul- tietnici, che credete? Non parlo per me, che non so nemmeno chi siano stati i miei genitori! Tra la

“mia gente” ci sono tipi strambi che vivono al mare, ai limiti dei deserti e addirittura sulla neve! Mi pare si chiamino mughi, rododen- dri…? Mi piacerebbe vederli al- meno una volta. Quanto pagherei per vedere la neve, quella vera. Mi sto esprimendo male: la neve l’ho vista. Qui, d’inverno, qualche volta cade. Gli umani vivono male questo evento atmosferico, non capisco.

Pare che vogliano che nevichi solo dove “possa servire a qualcosa di ludico”, altrimenti ne sono infasti- diti. Bisogna pur ammettere che, dopo mezza giornata, in città diven- ta una terrificante poltiglia nerastra.

No, sul serio: vorrei essere som- merso dalla neve, quella vera. Sen- tirmi le radici infreddolite ma te- nute ben salde dalla fodera bianca che tale rimane per mesi. Soppor- tarne il peso sui miei sparuti rami e pazienza se qualcuno si spezze- rà; il dolore fa parte della vita ed io so, in cuor mio, che apparterrei a

“quella vita”. Sogno. Attività gra-

tuita anche per noi alberi. Immagi- no i miei cugini che vivono in mon- tagna e che hanno nomi come car- pino, abete rosso o bianco (come il vino), cirmolo. Che dire delle betulle? Sono un po’ prepotenti.

Arrivano, si piazzano e si moltipli- cano subito! Ne sentivo parlare da Elisa, la studentessa di agraria del civico numero dieci che a volte lega il suo scooter al mio tronco (per far- vi capire di che impegnativa circon- ferenza stiamo parlando). Dice che le betulle sono piante infestanti; che brutto termine.

Sarebbe bello se una di loro de- cidesse di nascere e crescere qui, vicino a me. Le farei un po’ di spa- zio, ho radici misere, e me ne in- namorerei perdutamente. Sogno, a occhi aperti anche se non li ho. Mi piacerebbe vedere una distesa di abeti, li immagino bellissimi, pri- ma di un temporale, quando inizia a farsi quel buio strano, quando si percepisce odore di pioggia elettri- ca e il vento fa smuovere le loro fronde ritmicamente, un’indemo- niata danza verde. Ne parlavano Luca e Nik, i due ragazzi appas- sionati di alpinismo che abitano al civico numero undici. Tornando da un’escursione si erano rintanati in una grotta all’arrivo di un forte temporale osservando infreddoliti quello che io non potrò mai vedere.

Anche qui si sente il vento, ma non è la stessa cosa.

Tra i muri e le auto, la sua forza si disperde e l’odore che traspor-

ta non è da ricordare. Tuttavia non mi lamento, sono brutto e scomodo (per quelli della nettezza urbana) ma non mi lamento mai. Quando hanno dismesso il negozio del sa- lumiere, avrebbero potuto segar- mi! La salute è buona, nonostante non abbia un humus in cui sguaz- zare e la sete si faccia sentire, ec- come, nei mesi estivi. Tra una fo- glia che cade e l’altra, si sono fatte le cinque del pomeriggio.

Oggi la via è stranamente più vuo- ta del solito, anche se siamo in set- timana. Ho rivisto il futuro ciclista tornare pedalando dalla scuola, mi pare stia già migliorando, con buona pace della mia corteccia. Il bastardone del Giuseppe si è ritra- scinato a svuotarsi la vescica.

Il sole sta calando dietro il palaz- zo piastrellato, in fondo alla via, all’angolo con la rotonda che porta verso la zona industriale.

Il tramonto, in inverno, è un mo- mento poco piacevole: senza sole m’infreddolisco e divento rigido, quella poca linfa che ho si congela.

Da solo, devo affrontare le intem- perie senza paura.

Lo scorso Natale volevo rinsec- chirmi di vergogna.

Le maestre della scuola, qui vici- na, hanno deciso di addobbarmi da “albero di natale” (proprio una bella idea), coinvolgendo i bambi- ni di terza. È venuta fuori una cosa orrenda: sembravo un trans a fine carriera. Va bene che sono orfano e che non incuto alcun timore, ma mi hanno appeso quattro palline

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striminzite! Le quali, naturalmen- te, sono rimaste tristemente appese fino a febbraio. Quando sono state rimosse, la mia gioia era talmen- te tanta che non ricordo nemmeno chi sia stato a restituirmi la mia onorabilità.

Al contrario in estate, quando finalmente il sole scivola dietro le case, tiro un sospiro di sollievo.

I muri della via sono infuocati, l’asfalto si scioglie, la spazzatura nei miei due bidoni emana pessimi odori. Mai nessuno che venga ad annaffiarmi. A volte sento le forze venir meno. Poi arriva il tramonto e mi rinverdisco, un po’. Ricordo un paio di estati fa. Dopo una prima- vera piovosa e mite, avevo tirato in piedi delle foglie pazzesche! Luci- de, grosse, pulite. Mi sentivo quasi bello. Quell’estate ho potuto essere utile. Io, umile albero urbano. La signora Luciana del civico nume- ro sedici aveva preso l’abitudine di venire verso sera e sedersi con un seggiolino pieghevole sotto di me. Poggiava la borsetta di fianco, sulla mia pseudo radice e reclinava la schiena al mio tronco.

Leggeva una rivista, si guardava attorno come in attesa. So cosa penserete, stava mica facendo

“quel lavoro lì”? No, non lei e non in quella via. Luciana voleva solo stare un po’ al fresco, che io (udite udite) le procuravo.

Sembravamo un faro e il suo guardiano. Le facevo compagnia un’oretta, non di più; poi una si- gnora è bene che rincasi. Scambia- va qualche chiacchiera col Giusep-

pe che, chiusa la portineria e mes- so a cuccia il displasico, andava al bar per un “caffè col resentìn” di fine giornata. Ho detto bar: inten- do proprio un bar. Non è un pub, non è un lounge, non si fa l’happy hour, non si guardano le partite di Champions, non ti danno la birra cruda.

C’è l’odore del frigo dei gelati, quello con lo sportello orizzontale, il rumore delle stecche che cozza- no le palle di biliardo nel retro e, se chiedi un rabarbaro, te lo servo- no con il ghiaccio senza guardarti storto...

Tornando le domandava sempre:

“Allora, Signora Luciana, come va?” “Prende il fresco?”

La risposta era scontata, come lo stracchino il giorno prima del- la scadenza: “Buonasera Signor Giuseppe, tutto bene e lei?”. Non proprio un dialogare sui massi- mi sistemi, però non potevo in- tromettermi. A volerla dire tutta, secondo me, c’era del tenero tra i due. Vi rendete conto che cosa sarebbe significato, per me, ve- der nascere una cosa bella sotto le mie fronde cittadine, periferiche e sfigate? Non si sono mai “avvici- nati”. Troppa paura di provare a volersi bene e allungare reciproca- mente una mano. Col senno di poi, potevo far cadere un ramo in testa a uno dei due, magari vedeva la luce? Io sono solo un albero, me- glio non intromettermi. Che bel- la che fu… quell’estate. Mi sono sentito meno solo. Adesso stiamo per affrontarne una nuova ma, al momento, credo che non ripeterò

l’exploit di due anni orsono. Chia- mo all’adunata le mie foglie ma le sento svogliate, apatiche.

La veritàè che stiamo diventan- do vecchi. C’è dell’altro: siamo in odore di riqualificazione urba- nistica. AHIA! Ho visto passare furgoncini strani, geometri del Co- mune. Il retrobottega del salumiere fa gola a molti. Se decidessero di costruire un box, io sarei tagliato fuori – nel vero senso del termine.

Potrebbero anche valutare l’ipote- si di creare un micro spazio verde:

un’aiuola con due panchine. Sa- rebbe un po’ desolante ma farei la mia porca figura! Magari, Luciana e Giuseppe, potrebbero riprovarci?

Non sempre in un amore è “buona la prima”! Purtroppo non ho alcun potere decisionale. Mi dispiace- rebbe finire nel camion della net- tezza urbana. Potrei almeno servi- re a bruciare in un camino oppure a cuocere due pizze. Impensabile che venga sradicato e messo altro- ve. Se solo potessi scegliere!

Via da qui, trascinerei le mie ra- dici per andare a trovare i miei cu- gini al nord. Che speranza, l’essere piantato in montagna, da qualche parte! Provare a sentirmi come loro, tra loro, pur sapendo che non resisterei, non ne avrei la tempra.

Essere piantato vicino all’abete bianco più alto d’Europa, che vive da noi, in Italia. L’ho saputo da Elisa, sempre lei, l’agronoma del civico numero dieci. È alto cin- quanta metri, una circonferenza di quattro e un’età intorno ai due- centotrenta anni! Mi ci vedete? Io si. Invece devo stare qui e pure da precario! Si è fatta la notte, io sono un albero, nonostante tutto.

Nel caso peggiore ricordatevi:

“Se un albero muore, piantatene un altro al suo posto.” (Linneo)

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Al Centro sportivo Manin di Sesto S. Giovanni

D

omenica 20 settembre la Geas, squadra locale di rugby, organizza una giornata promozionale gio- vanile. Siamo a Sesto S. Giovanni e quindi il Gruppo Sportivo Alpini viene coinvolto per una prova con gli skiroll per ragazzi sulla pista di atletica che da mesi è a disposizione dei fondisti per gli allenamenti.

Già alla mattina il centro sportivo è letteralmente bru- licante di rugbisti in erba e di piccoli fondisti, deside- rosi di cimentarsi con questi sport.

Risultato: come partecipazione ha stravinto il rugby e per fortuna non tutti hanno provato gli skiroll, ma se solo 1% di questi dovesse fare sci di fondo, la Norve- gia dovrebbe cominciare a tremare. Non sarà così, me lo dice l’esperienza, ma se anche uno solo di questi si appassionasse allo sci di fondo, ne sarà valsa la pena.

Nella City a Milano

Il fine settimana successivo si replica ma stavolta con lo sci vero e proprio in quanto la regione Lombar- dia organizza per venerdì, sabato e domenica la festa dello sport e della montagna in piazza della regione, ampio spazio coperto nella nuova city.

Diverse discipline sportive possono essere provate dai cittadini ed il collegio regionale dei maestri di sci ha a disposizione una pista in plastica di 200 m., con Dameno Sport che si occupa dei materiali. I maestri di sci nell’arco dei 3 giorni si sono alternati sotto il co- ordinamento dell’istruttore nazionale Marco Ranaldi.

Hanno messo ai piedi gli sci stretti un buon numero di ragazzini dai 3 anni in su e di adulti accompagnati uno ad uno lungo la pista dai maestri. Alla fine abbia- mo avuto tanti ragazzini entusiasti (in fondo è un gio- co), genitori contenti di poter provare lo sci di fondo in città e operatori stanchi ma soddisfatti di far cono- scere “l’altro sci” a tanti giovani discesisti.

Una considerazione finale: a fianco della pista di fondo ne era posizionata una per lo snowboard, un ragazzino ci ha stupito, dopo aver provato la tavola e lo sci di fondo ha detto ” questo sì che è sciare “.

SKI ROLL

Sci di fondo in città

Due manifestazioni promozionali per far conoscere e provare

questo nostro splendido sport, con l’aiuto di Dameno Sport.

(20)

I

nizia la stagione alpinistica (esti- va) ed è tutto un florilegio di pro- poste, inviti, desideri avveniristici, buoni propositi e agende che si riempiono come album di figurine Panini: “Ce l’ho! Ce l’ho! Manca!”.

L’esperienza mi dice che noi tutti faremo il 60% di quello che ci sia- mo prefissati.

Vuoi perché:

y il meteo non sarà sempre “alpinist friendly”;

y ci saranno impedimenti familiari o lavorativi;

y il desiderio sarà più allenato del sistema cardiovascolare;

y le magagne fisiche si presenteran- no senza bussare;

Come se non bastasse, siamo tutti alla ricerca del nuovo, del mai sali- to prima, del mai fatto così “di not- te, bendato, saltellando a piè pari, cantando la Canzone del Piave che è il centenario”.

Siccome io sono come tutti gli altri, quando Lorenzo mi telefona e mi propone di accompagnarlo a “fare il Gran Paradiso” (perché si usa dire così? Il buon vecchio Granpa si è fatto da solo, noi al massimo ci limiteremo a cammi- narci sopra, cercando di non distur- bare), mi si palesa un’espressione tra l’annoiato e il supponente. Il GranPa? Ancora? Già fatto e stra- fatto, manco fosse un tossico resi- duato degli anni ’70! Meno male che l’espressione facciale non si vede al telefono. Dopo due secondi di titubanza balbettante, rispondo con un “Sì, va bene”. Non ha altri amici disposti ad accompagnarlo e a “rifarlo” (appunto!).

Può sembrare strano, quella cima ancora manca al suo album di figurine, dopo alcuni insuccessi. È pur sempre un 4000, tecnicamen- te facile ma con un dislivello rag- guardevole: 2100 metri in positivo e altrettanti in negativo. Di certo farà allenamento ma, soprattutto, cos’è ‘sta mania del non rifare le cime? L’amicizia vorrà pur dire qualcosa!

“L’amicizia è una presenza che non ti evita di sentirti solo ma rende il viaggio più leggero.”(D. Trueba) So bene che cosa significhi l’a- verti davanti una montagna che

‘fa l’altezzosa’. Concede i suoi ac- cessi a tanti ma non sempre, non a tutti. Pazienza se avevi solo quel fine settimana, se poi davano piog- gia fino all’eternità, se ti sentivi in forma che nemmeno Ben Johnson ai tempi del doping a Seul. Lei ti ha chiuso la porta in faccia, non le eri gradito… via, andare, sarà per un’altra volta! E magari anche la prossima ‘altra volta’ ti fa capi- re che sì, insomma, le sei già più simpatico però... no dai, lasciamo perdere. A quel punto, ti resta quel pallino, quel ‘non so che’ d’irri- solto, di lavoro non andato a buon fine. Ok Lorenzo, andiamo a ter-

minare il lavoro, a portare a casa la figurina! Decidiamo l’ora dell’in- contro per il giorno dopo e non sarà nemmeno troppo presto.

Si deve solo salire al Rifugio Vit- torio Emanuele. Lui, infatti, decide per il percorso più classico.

Onestamente, è quello che mi piace di meno perché, dopo la pri- ma mezz’oretta di salita, tutta la via è a vista e mi abbatte, psicologica- mente. Vedo sempre la Madonna, lassù, ma tra me e lei ci sono ram- pe, rampe e rampe… di neve! Dal Rifugio Chabod non è così, anche se è notevolmente più crepacciata e lunga; e si vede la parete nord! È un mio problema. Ormai ho detto di sì. Sabato. Via verso la Val d’A- osta: regione dominata dai 4000 e dai pedaggi autostradali più cari d’Italia. Si accettano spiegazioni.

Giornata di sole. Arriviamo a Pont in Valsavaranche. È esattamente come l’avevo lasciata molti anni prima: una splendida vallata ri- masta pressoché integra, dove gli stambecchi ti accolgono al par- cheggio, finalmente sicuri di non ricevere una pallottola in fronte.

Sulla strada, poco prima dell’ul- tima curva, attraversa tranquilla anche una marmotta. Poca gente, poche auto, aria frizzante. Il tor- rente Savara è agitato.

Mi affiorano ricordi che rendono i miei occhi lucidi, solo per un atti- mo; Lorenzo non se ne accorge.

Terminata la vestizione dell’al- pinista, messo in spalla lo zaino che inspiegabilmente non riesce a essere leggero, iniziamo la sali- ta al rifugio. Il sentiero è davvero incantevole: ben tenuto, pulito, con pendenza costante e mai ec- cessivamente faticoso. Qualche stambecco ci controlla a debita di- stanza. La mulattiera sale regolare lungo i fianchi della valle. Chissà come doveva essere quando, fino a 10.000 anni fa, era coperta dai ghiacci! Cominciamo a vedere di fronte a noi la cima del Ciarforon

I due Lorenzo e il Granpa

Scampagnata estiva sui 4000 di Alessandra, ogni volta è una storia nuova che vale la pena raccontare.

GRANDI IMPRESE

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