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Il ricorso del P.G. presso la S.C. ex art. 363 c.p.c.: funzione e limiti - Judicium

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OSARIO

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USSO

Il ricorso del P.G. presso la S.C. ex art. 363 c.p.c.: funzione e limiti

Nota a sentenza della Suprema Corte, Sez. U, n. 404 del dì 11/01/2011.

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La sentenza in commento. – 3. Valutazioni critiche. – 4. Conclu- sioni.

1. Davanti al Giudice di merito il Pubblico Ministero, agente (art. 69 c.p.c.) od interveniente (art. 70 c.p.c.), è custode dell’interesse pubblico e del rispetto dell’inderogabilità delle norme. Davanti alla Suprema Corte l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero (art. 379 c.p.c. e, in guisa omnicomprensiva, art. 76 ord. giud.) vale a dimostrare che «l’interesse principale che il giudi- zio mira a tutelare non è quello privato all’eliminazione della sentenza ingiusta o invalida, ma quello pubblico alla esatta interpretazione della legge, del quale il P.M. si fa portatore» 1; ‘por- tatore’ - può forse aggiungersi – professionale, disinteressato ed istituzionale nel settore civile ed in non diversa misura in quello penale. Estremamente rilevante appare poi la funzione del Pubblico Ministero in relazione alla funzione nomofilattica, che la Suprema Corte esercita con la formulazione dei principi di diritto; sui quali l’ordinamento ha 'investito' con piena consape- volezza del rapporto costi-benefici, come è dato leggere nella relazione a proposito del novella- to art. 384 c.p.c.: «Anche questo allargamento obbedisce all’esigenza di rafforzare l’efficacia della funzione nomofilattica. Esso è indubbiamente destinato ad appesantire il lavoro della Corte, almeno nel breve periodo, ma dovrebbe contribuire ad aumentarne la capacità di incidere sugli orientamenti dei giudici di merito e, quindi, spiegare effetti deflattivi nel medio – lungo periodo. Un più ampio reticolo di principi di diritto, enunciati anche in caso di rigetto dell’impugnazione, dovrebbe infatti scoraggiare la riproposizione di ricorsi già più volte respin-

1 A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, p. 507. Per lo «scopo schietta- mente pubblicistico», che subordina «l’interesse privato al servizio dell’interesse pubblico» cfr. Cfr. P. CALAMAN- DREI E C. FURNO, Cassazione civile, Nss. D.I., vol. II, Torino, 1968, p. 1054 e 1082; degli stessi Autori la tesi secon- do cui la Suprema Corte «rende giustizia ai singoli soltanto nei limiti in cui ciò le possa servire per raggiungere il suo scopo di unificazione della giurisprudenza» (corsivo nell’originale), ivi, pag. 1056. Ne è rimasta traccia nella forma del 'ricorso', sebbene esso debba essere notificato prima del deposito, assegnato all’atto introduttivo del giudizio di legitti- mità (art. 360, 1° c.p.c.). Secondo F.P. LUISO (in Diritto processuale civile, voI. II, Milano, 2009, pag. 435,

«l’anomalia terminologica ha ragioni storiche, perché il ricorso per cassazione, all’origine, era un mezzo d’impugnazione straordinario e veniva proposto al di là del giudicato formale, come «supplicatio» all’organo cui si ri- volgeva». V. da ultimo M. FORNACIARI, L’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c., in Riv. dir. proc. 2013, 32 ss.,ora anche sul sito http://www.judicium.it (diretto dal Prof. B. Sassani).

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ti con chiare affermazioni di principio»2. Ben vero, la funzione primaria della Suprema Corte è ormai decisamente quella di 'produrre' anche d’ufficio principi di diritto, ogni qualvolta, trattan- dosi di questione di particolare importanza, le sia possibile, a prescindere dalle sorti del giudi- zio, divaricandosi per tal via la funzione nomofilattica dalla formazione del giudicato: così nei casi d’inammissibilità del ricorso proposto dalle parti (art. 363, 3° c.p.c.); così non solo quando cassa ex art. 360, 1° n. 3 c.p.c., ma anche in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve comunque una questione di diritto (art. 384 c.p.c. cui faceva da necessario pendant, sul piano della corrispondente domanda, la prima parte dell’art. 366 bis c.p.c., ormai applicabile soltanto in via transitoria). Ma, per il fondamentale principio dell’alterità tra sog- getto postulante e soggetto decidente (art. 112 c.p.c.), la Suprema Corte non potrebbe espri- mere d’ufficio la funzione nomofilattica se: a) il ricorso davanti a sé (non sia proponibile, se- condo la Suprema Corte, e perciò) non sia proposto, neppure in via straordinaria (art. 111, 7°

Cost.), perché l’oggetto dell’impugnazione appare costituito da un provvedimento non in forma di sentenza, non definitivo né decisorio 3; b) ancorché ammissibile, il ricorso o non venga promosso 4 o venga successivamente abbandonato dalle parti, impedendo alla Corte qualunque decisione diversa dall’estinzione (art. 391 c.p.c.) 5. In questo secondo caso è teoricamente pro- spettabile che la Corte possa in altra successiva occasione esprimere comunque la propria fun- zione nomofilattica; che invece è fisiologicamente a priori impedita nella prima delle elencate ipotesi6. É stato necessario dunque, per consentire in entrambi i casi l’esercizio della mera fun- zione nomofilattica (cioè, senza incidenza alcuna sulla controversia e sul giudicato), 'inventare'

2 Relazione alla legge n. 80 del 2005, con cui venne conferita delega al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione.

3 Per esempio: decreto in sede di reclamo ex art. 666-terdecies c.p.c.; decreto camerale ex art. 739 c.p.c. di secondo grado in tema di interessi; provvedimenti con cui il G.I., nei giudizi di separazione, modifichi o revochi i prov- vedimenti presidenziali (art. 709, 4° c.p.c.).

4 In Dottrina si è fatto l’esempio scolastico della sentenza, non impugnata, che, decidendo sulla divisione di alcuni cespiti ereditari, privilegi nell’attribuzione alcuni dei coeredi sol perché professino una certa religione.

5 É l’ipotesi normativamente prevista sia dal codice di rito del 1865 (art. 519 ) sia da quello in vigore (v. in- fra nota n. 7). Ma tale limite è stato superato dalle Sezioni Unite: «La dichiarazione di estinzione del giudizio di cassa- zione, emessa dalle sezioni unite della Corte, sulla base della rinunzia al ricorso sopravvenuta alla emissione del decreto di fissazione della adunanza in camera di consiglio, non preclude alla medesima Corte, in composizione collegiale, di usare del potere di enunciare ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., su questioni di particolare importanza, il principio di diritto nell'interesse della legge, posto che nella dichiarazione conseguente all'esercizio del potere di rinuncia delle parti, così come nell'inammissibilità del ricorso, ciò che è precluso è solo la possibilità di pronunciarsi sul fondo delle censure con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio.» (Sez. U, Ordinanza n. 19051 del 06/09/2010, Rv. 614182). Sul con- nesso problema della ammissibilità della rinuncia al ricorso dopo la notifica della relazione ex art. 380 bis c.p.c. sia consentito rinviare a R. RUSSO, La rinuncia al ricorso per cassazione, in La riforma del giudizio di cassazione, a cura di FRANCO CIPRIANI, Cedam, 2009, pag. 389.

6 Si noti che l’art. 363 c.p.c. considera anche la possibilità che il ricorso straordinario sia ugualmente pro- posto in casi non consentiti secondo il noto orientamento della Suprema Corte; in tal evenienza la Corte lo dichiarerà inammissibile, ma potrà ugualmente dettare il principio di diritto, se riterrà la questione di particolare importanza (art.

363, 3° c.p.c.). Ovviamente il timore della condanna alle spese impedisce (o può ragionevolmente impedire) di fatto che in tali casi sia proposto ricorso per cassazione.

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un «promotore di giustizia» (ovvero se si vuole) un 'attore' che provochi o attivi l’intervento della Corte (evidente l’analogia con i casi di cui all’art. 69 c.p.c.); promotore e attore che non potevano che individuarsi proprio nel Procuratore Generale presso la Suprema Corte7. Si tocca qui l’acme della funzione nomofilattica, che a questo punto può ben qualificarsi 'pura': lungi dal potersi considerare meramente ‘platonico’, l’istituto «consente di scorgere nettamente deli- neata la separazione tra l’interesse pubblico alla esatta interpretazione della legge e l’interesse privato alla sentenza giusta. Mentre invero, quest’ultimo appare già soddisfatto dalla decisione alla quale le parti si sono acquietate; rimane invece da soddisfare l’interesse pubblico, che ora si mostra perfettamente isolato dall’interesse privato»8. Con l’illuminata iniziativa del Procuratore Generale presso la Suprema Corte, essa infatti fa a meno (prescindendone sia come presuppo- sto, sia negli effetti) dell’impugnazione delle parti (perciò affrancandosi dalla loro iniziativa) e supera i confini della stessa ricorribilità per cassazione ex art. 111, 7° Cost. (quali delineati fin qui dalla Suprema Corte), dacché quel che importa è che le Sezioni Unite siano poste in grado di sancire il principio di diritto (dotato della qualificata stabilità conferitagli dal novellato art.

374, 3° c.p.c.), 'vincolante' come precedente (alle note condizioni e con i previsti limiti) nell’intero universo giuridico, e cioè per la comunità e per i giudici di merito, anche su fatti- specie che giammai potrebbero fisiologicamente pervenire all’esame della Suprema Corte attra- verso l’ordinaria iniziativa di parte. In realtà dunque viene oggettivamente estesa, almeno po- tenzialmente, l’area d’intervento della Corte al di là dei limiti del ricorso straordinario; ma, in- vece di ampliarli tout court (come pure era stato proposto durante i lavori preparatori da cui è scaturito il D. lgs. n. 40 del 2006), si è preferito assegnare al Procuratore Generale il compito di selezionare i provvedimenti (se pure non ricorribili ex art. 111, 7° Cost.) meritevoli di esame in

7 Nato nell’ancien régime per assicurare il rispetto delle leggi di provenienza sovrana, e recuperato dai ri- voluzionari francesi per garantire il primato della legge e reprimere la ribellione dei giudici (anche quando le parti si fossero acquietate), il pourvois dans l’intérêt de la loi è ancora in vigore in Francia in forza dell’art. 17 della Loi n°67-523 du 3 juillet 1967 («Si le procureur général près la Cour de cassation apprend qu'il a été rendu, en matière ci- vile, une décision contraire aux lois, aux règlements ou aux formes de procéder, contre laquelle cependant aucune des parties n'a réclamé dans le délai fixé, ou qui a été exécutée, il en saisit la Cour de cassation après l'expiration du délai ou après l'exécution. Si une cassation intervient, les parties ne peuvent s'en prévaloir pour éluder les dispositions de la décision cassée»), su cui v. S. GUINCHARD e F. FERRAND, Procédure civile, Paris, 2006, pag. 1263.

Nel nostro ordinamento il ricorso nell’interesse della legge fu introdotto per la prima volta dall’art. 519 del c.p.c. del 1865:

«Quando nel termine suddetto non sia stato presentato ricorso per cassazione, o vi sia stata rinuncia al ricorso presentato, il ministero pubblico presso la corte di cassazione può denunciare d’ufficio la sentenza, se creda che debba essere annullata nell’interesse della legge.

In questo caso le parti non possono giovarsi dell’annullamento della sentenza.».

Prima della novella del 2006, l’art. 363 del codice di rito civile vigente era così formulato:

«Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, il procuratore generale presso la corte di cassazione può proporre ricorso per chiedere che sia cassata la sentenza nell’interesse della legge.

In tal caso le parti non possono giovarsi della cassazione della sentenza.».

Va rimarcato che, a seguito della riforma del 2006, il P.G. non chiede più che sia cassata la sentenza illegittima, ma postula soltanto l’enunciazione del principio di diritto; il che non è senza rilievo (v. infra sub par. n. 3.2.A).

8 P. CALAMANDREI E C. FURNO, loc. cit. pag. 1070.

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sede di legittimità, per impedire un indiscriminato proliferare di ricorsi 9. Non trattandosi di ve- ra e propria impugnazione, si comprende perché la pronuncia resa dalla Suprema Corte su ri- chiesta del Procuratore Generale della Repubblica non ha effetto sul provvedimento che ha dato spunto al ricorso ex art. 363, 1° c.p.c., valendo a creare soltanto un punto di riferimento, il più autorevole, per la successiva applicazione delle norme di legge in questione. Merita di essere segnalato che, per la prima volta nella storia del processo civile italiano, il Procuratore Genera- le presso la Suprema Corte da qualche anno ha rivitalizzato il rimedio dell’art. 363 c.p.c., invi- tando Avvocati, Docenti e Giudici a segnalare importanti casi di non sedati contrasti ermeneu- tici. I frutti sono stati talvolta clamorosamente positivi, come testimoniato dalla cospicua sen- tenza n. 13332 del 01/06/2010 resa a Sezioni Unite proprio a seguito di ricorso del P.G. ex art.

363 c.p.c.10.

2. Le Sezioni Unite hanno statuito che «Il ricorso che il P.G. presso la Corte di cassazione può promuovere, ai sensi dell'art. 363, primo comma, cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nell'interesse della legge, anche se non è in grado di incidere sulla fatti- specie concreta, non può tuttavia prescinderne; tale ricorso, pertanto, pur non avendo natura impugnatoria, non può assumere carattere preventivo o esplorativo, dovendo il P.G. attivarsi sol- tanto in caso di pronuncia contraria alla legge, per denunciarne l'errore e chiedere alla Corte di ristabilire l'ordine del sistema, chiarendo l'esatta portata e il reale significato della normativa di riferimento»11. Nella vicenda esaminata dalla Suprema Corte era accaduto che il Difensore del- la parte nei cui confronti era stata disposta consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c.

aveva segnalato al Procuratore Generale che - a suo avviso - il provvedimento ammissivo era erroneo e che sull’interpretazione ed applicazione di tale norma si riscontravano insuperabili

9 Il delicato meccanismo processuale vanta soltanto qualche limitata analogia con la saisine pour avis dell’ordinamento francese: art. 441-1 del Code de l’organisation judiciaire (Nouveau): «Avant de statuer sur une ques- tion de droit nouvelle, présentant une difficulté sérieuse et se posant dans de nombreux litiges, le juridiction de l’ordre judiciaire peuvent, par une décision non susceptibles de recours, solliciter l’avis de la Cour de cassation». Limitato alle questioni nuove, difficili e diffuse, l’avis non costituisce interpretazione autentica, perché non vincola né il giudice che l’ha richiesto né la Corte che lo ha emesso. Cfr. S. SONELLI, L’accesso alla Corte Suprema e l’ambito del suo sindaca- to, Torino, 200, pag. 145. Qualche accenno anche in B. SASSANI, Corte Suprema e jus dicere, in www.judicium.it/news/corte_suprema_e_jus_dicere.html. V. infra par. n. 4.

10 «In tema di adozione internazionale, il decreto d'idoneità all'adozione pronunciato dal Tribunale per i mi- norenni ai sensi dell'art. 30 della legge 4 maggio 1983, n.184, come modificato dall'art.3 della legge 31 dicembre 1998, n.476, non può essere emesso sulla base di riferimenti all'etnia dei minori adottandi, né può contenere indicazioni relati- ve a tale etnia, in quanto un provvedimento che attribuisca rilevanza ai dati razziali si porrebbe in contrasto con principi consolidati nel diritto interno e nel diritto internazionale, che individuano l'interesse del minore quale criterio guida cui deve uniformarsi il percorso decisionale, e violerebbe il divieto di qualsiasi forma di discriminazione o disparità di trat- tamento tra minori italiani e stranieri in materia di adozione, sancito da una serie di disposizioni costituzionali, interna- zionali e interne; ove, peraltro, il rifiuto degli adottanti all'accoglienza di un minore appartenente ad una determinata etnia si manifesti successivamente, attraverso una espressa opzione innanzi ad organi pubblici, il giudice non solo non può avallare tale opzione, ma deve apprezzare tale condotta nella complessiva valutazione della idoneità all'adozione, evidentemente compromessa da una disponibilità condizionata al possesso, da parte del minore da accogliere, di deter- minate caratteristiche genetiche. (Principio di diritto enunciato dalla S.C. ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ.)».

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contrasti tra i giudici di merito. Prendendo spunto da tale segnalazione, il Procuratore Genera- le, dopo avere scrupolosamente verificato che l’ambito di applicazione della predetta disposi- zione (anche in rapporto al rimedio previsto dall’art. 696 c.p.c.) era estremamente controverso tra i giudici di merito, instava davanti al Presidente della Suprema Corte affinché essa dirimesse tale contrasto e proponeva a questo scopo la pronuncia di adeguati principi di diritto12, alla cui stregua per altro il provvedimento emesso nel caso segnalato risultava legittimo. E il P.G. non mancava di precisare, per un verso, che tale questione era tra quelle che altrimenti mai la Su- prema Corte avrebbe potuto decidere a seguito di impugnazione e, per altro verso, che soltanto l’autorevole intervento chiarificatore della Suprema Corte avrebbe potuto agevolare la corretta diffusione del rimedio previsto dall’art. 696 bis c.p.c., quale (raro nel nostro ordinamento) me- todo di ADR (Alternative Dispute Resolution), volto a deflazionare efficacemente il contenzioso civile. Come si è anticipato, con la menzionata decisione le Sezioni Unite hanno dichiarato i- nammissibile il ricorso ex art. 363 c.p.c. del Procuratore Generale, «atteso che il PG non ha de- nunciato alcun errore del giudice di merito, ma si è limitato ad invocare delle affermazioni ge- nerali ed astratte con, se del caso, la risposta a dei quesiti privi d'immediata rilevanza pratica nella causa, in cui la consulenza preventiva è stata disposta proprio su richiesta della parte sulla quale doveva essere eseguita, cosicché appare da escludere, in mancanza di contrarie allegazio- ni al riguardo, che possa esservi stata una qualche apprezzabile invasione della sfera personale o patrimoniale della controparte».

3. Tale conclusione non sembra condivisibile per le seguenti ragioni.

3.1. Innanzi tutto, la Suprema Corte è tenuta ad emettere il principio di diritto su questioni di par- ticolare importanza ed efficacia nomofilattica:

3.1.A. allorché il ricorso si riveli inammissibile (art. 363, 3° c.p.c.); ipotesi in cui, non potendo valutare au fond il ricorso, è scontato che la Suprema Corte non può rilevare l’errore del giudice di merito e quindi la contrarietà alla legge del provvedimento impugnato;

3.1.B. allorché, pur avendo accertato positivamente che il provvedimento impugnato non è con- trario alla legge, rigetti il ricorso (art. 384, 1° c.p.c., nel testo novellato nel 2006), in quanto

«Un più ampio reticolo di principi di diritto, enunciati anche in caso di rigetto dell’impugnazione, dovrebbe infatti scoraggiare la riproposizione di ricorsi già più volte re-

11 Sez. U, Sentenza n. 404 del 11/01/2011 (Rv. 615718), Presidente: Elefante. Estensore: Tirelli F. Relatore: Tirelli F. P.M. Ciccolo PPM. (Diff.).

12 «In assenza del presupposto dell’urgenza, la consulenza tecnica preventiva, avente per oggetto diritti di- sponibili, non può essere disposta senza l’esplicito consenso dei soggetti nei cui confronti s’intenda avviare il procedi- mento, qualora il suo espletamento comporti l’invasione della loro sfera di libertà, patrimoniale o personale»;

«in assenza del presupposto dell’urgenza, la consulenza tecnica preventiva non invasiva, avente per og- getto diritti disponibili, può essere disposta senza limiti anche senza l’esplicito consenso dei soggetti nei cui confronti s’intenda avviare il procedimento».

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spinti con chiare affermazioni di principio» (Relazione citata retro sub par. n. 1, testo e no- ta)13;

3.1.C. in entrambi i predetti casi, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di accoglimento del ricorso (art. 384, 1° c.p.c. e 143 att. c.p.c.), la enunciazione del principio di diritto non ha una funzione interna (cioè finalizzata allo svolgimento del successivo giudizio di rinvio e perciò alla soluzione della controversia), ma soltanto esterna al processo in cui si innesta e perciò proiettata nel futuro, per diventare così regula iuris giudiziaria in altri processi, atteso il valore di precedente vincolante per i giudici di merito e, se emesso dalle Sezioni Unite, perfino per le Sezioni semplici (art. 374, 3° c.p.c.)14.

3.2. Non può pretermettersi che, stando alla dizione letterale dell’art., 363, 1° c.p.c., il Procurato- re Generale può invocare il principio di diritto «al quale il giudice di merito avrebbe dovuto at- tenersi». Ma, ciò nonostante, non sembra – contrariamente a quanto sostenuto dalle Sezioni Unite - che la richiesta del Procuratore Generale presupponga l’erroneità in iure del provve- dimento di merito emesso nella fattispecie da cui l’iniziativa ex art. 363, 1° c.p.c. abbia tratto (soltanto) spunto. Infatti:

3.2.A. tale richiesta ha per oggetto (non più la cassazione del provvedimento, come previsto dalla versione codicistica dell’art. 363 c.p.c., sibbene) la formulazione del principio di diritto nell’interesse della legge15; inoltre la particolare importanza della questione trattata è rile- vante tanto in sede di disciplina della richiesta del Procuratore Generale (art. 363, 2° c.p.c.) quanto ai fini della pronuncia d’ufficio del principio di diritto (art. 363, 3° e 384, 1° c.p.c.);

parimenti comune è la prescritta ininfluenza sul provvedimento di merito (art. 363, 4° c.p.c.);

3.2.B. perciò il «principio di diritto» postulabile dal Procuratore Generale ai sensi dell’art. 363, 1° c.p.c. non può essere diverso dal «principio di diritto» che la Suprema Corte è tenuta ad emettere anche d’ufficio ai sensi dei ricordati artt. 363, 3° e 384 c.p.c. e dell’art. 143 att.

c.p.c.; non può essere casuale che le due discipline siano accomunati nella medesima dispo- sizione sotto la medesima rubrica (art. 363 c.p.c.);

3.2.C. la richiesta del Procuratore Generale si limita a prendere spunto dalla vicenda processua- le segnalata soltanto per verificare se, essendo significativamente contrastata tra i giudici di merito la soluzione della questione giuridica in essa trattata, si renda necessario l’intervento risolutore della Suprema Corte. In altri termini, come è avvenuto nel caso esaminato dalle

13 Del resto la Suprema Corte (soprattutto a Sezioni Unite) ha avuto modo di applicare alla stregua sopra in- dicata i novellati artt. 363,3° e 384, 1° c.p.c. in un consistente numero di vicende, analiticamente passate in rassegna da A. CRISCUOLO, Il principio di diritto nell’interesse della legge, in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di G. IAN- NIRUBERTO e U. MORCAVALLO, Milano, 2010, pag. 57 e segg.

14 F.P. LUISO, loc.cit. vol. II, pag. 431 e 467.

15 V. retro sub nota n. 7.

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Sezioni Unite con la citata decisione, il Procuratore Generale ha legittimamente attivato il procedimento di cui all’art. 363, 1° c.p.c. non tanto (ovviamente) per convalidare o cassare il provvedimento emesso in quel determinato procedimento e neppure per segnalarne la giuri- dica erroneità, sibbene per fare intervenire la Suprema Corte sulle contrastanti decisioni e- messe in iure dai giudici di merito sull’art. 696 bis c.p.c.; su cui altrimenti mai essa sarebbe stata chiamata a decidere. Di tal che l’iniziativa del Procuratore Generale ha come legittimo presupposto soltanto la (selezionata) necessità di dirimere i conflitti interpretativi insorti tra i giudici di merito, quale che sia la legittimità del provvedimento emesso nel caso da cui tale iniziativa prende (soltanto) occasione, soprattutto perché l’invocato principio della Suprema Corte, ancorché correttamente applicato nella predetta vicenda, eodem tempore sancisce l’illegittimità delle non conformi decisioni emesse dai giudici di merito in altre diverse vi- cende giudiziarie, così comunque integrando il presupposto letterale dettato dall’art. 363, 1°

c.p.c.: infatti, in tali diverse vicende il «giudice di merito avrebbe dovuto attenersi» al prin- cipio di diritto fissato dalla Suprema Corte.

3.3. Al postutto va rilevato che:

3.3.A. allorché dichiari inammissibile la richiesta del Procuratore Generale siccome non ha per oggetto un provvedimento di merito giuridicamente errato, implicitamente (ma necessaria- mente) la Suprema Corte dovrà affermare – ed afferma – la legittimità del provvedimento stesso, così sposandone il principio giuridico che lo sorregge; come difatti si è verificato nella fattispecie oggetto della citata decisione delle Sezioni Unite: per sostenere che il prov- vedimento emesso nella specifica vicenda era legittimo la Corte ha dovuto confrontarlo con la corretta interpretazione dell’art. 696 bis c.p.c. (per altro coincidente con quella proposta dal Procuratore Generale), perciò implicitamente enunciata;

3.3.B. anche a fronte della predetta richiesta inammissibile, qualora la questione trattata rivesta particolare importanza nomofilattica, a stretto rigore la Suprema Corte dovrebbe comunque pronunciare il principio di diritto, giacché non v’è ragione per non applicare alla 'richiesta' del Procuratore Generale la regola dettata dall’art. 363, 3° c.p.c. per l’inammissibilità del ri- corso proposto dalle parti16; e perciò nella vicenda esaminata dalla citata decisione, la rile- vata inammissibilità della «richiesta» non esimeva la Suprema Corte dal dettare il più appro- priato principio di diritto.

3.3.C. Infine, l’interpretazione restrittiva adottata dalle Sezioni Unite nella citata decisione non sembra consona all’intento perseguito dai conditores, il cui dichiarato scopo fu quello di in- trodurre un «meccanismo – attivabile dal Procuratore Generale – analogo al vigente art. 363 c.p.c., che provochi una pronuncia della Corte di mero indirizzo, e cioè nomofilattica nel

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senso più pregnante della parola, senza incidenza nel caso concreto che ha dato occasione al- la pronuncia»17.

4. Deve dunque ritenersi che in presenza di una questione di particola importanza nomofilattica, anche nei casi in cui non si tratti di «rimediare all’errore commesso nella fase di merito»18 di un singolo procedimento (quello che abbia occasionato l’iniziativa ex art. 363, 1° c.p.c.), la Suprema Corte, tanto d’ufficio quanto per impulso della Procura Generale ai sensi dell’art. 363 c.p.c., è tenuta a pronunciare il corretto principio di diritto, 'vincolante' (alle note condizioni e con i previsti limiti) come precedente nell’intero universo giuridico. Ovviamente, come non a caso anticipato (v. retro sub par. n. 1) spetta in definitiva alla Suprema Corte (e prima ancora al Procuratore Generale che voglia promuoverne l’intervento) selezionare i casi in cui, soprat- tutto in rapporto alla riscontrata difformità di decisioni su questioni di diritto particolarmente importanti, si renda necessaria l’elaborazione del più appropriato principio di diritto. Soltanto in tal modo la meditata iniziativa del Procuratore Generale ex art. 363 c.p.c. vale a colmare par- zialmente il vuoto che nell’ordinamento francese è coperto dalla saisine pour avis19, di cui au- torevolmente talvolta si auspica l’introduzione nel nostro ordinamento20.

16 A. NAPPI, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Torino, 2006, pag. 288.

17 Relazione della Commissione Vaccarella alla proposta di legge delega n. 80 del 2005, sub art. 33 lett. g), .che si può leggere in http://www.risoluzioneconflitti.it/adr_conciliazione_controversie/conclusioni-della-commissione- vaccarella_27.html.

18 Cass. sent. n. 404 del 2011 cit.

19 V. retro sub nota n. 9.

20 M FORNACIARI, loc. cit., ultima pagina dell’articolo.

Riferimenti

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