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VULNERA   MENTIS       DEL   PATROCINATORE   DEL   DANNEGGIATO   IL   RISARCIMENTO   DEL   MACRODANNO   DAL   PUNTO   DI   VISTA

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Collana Medico‐Giuridica n.10 

VULNERA MENTIS 

‐ Associazione M. Gioia ‐ 

IL RISARCIMENTO DEL MACRODANNO DAL PUNTO DI VISTA  DEL PATROCINATORE DEL DANNEGGIATO 

 

Avv. Francesco Costantino*   

Per  inquadrare  correttamente  il  problema  del  risarcimento  del  macrodanno  occorre  muovere  da  alcune  considerazioni  di  carattere  generale  che  hanno  lo  scopo  di  puntualizzare  l’esatta portata della questione. 

Innanzitutto  è  doveroso  premettere  una  distinzione  fondamentale:  il  macrodanno,  generalmente,  comporta  insulti,  alla  persona  che  ne  rimane  vittima,  sia  nel  corpo  che  nella  psiche. 

Ciò  nondimeno  possono  sussistere,  ed  è  sotto  gli  occhi  di  tutti,  complicazioni  di  carattere  psichico (o meglio, come vedremo, psicologico), anche in assenza di lesioni dirette al cervello. 

È  questo  il  caso,  generalmente,  del  macroleso  vertebrale,  o  di  colui  che  ha  subito  amputazioni traumatiche agli arti e menomazioni in genere. 

Diverso,  a  mio  giudizio,  rimanendo  sempre  nella  generalità,  è  il  caso  del  macroleso  cerebrale. 

In queste ipotesi il danno si concretizza sostanzialmente nell’apparato cerebrale che viene  danneggiato  direttamente  e  la  vittima,  di  solito,  rimane  insensibile  alle  conseguenze  di  carattere psicologico (ovviamente con le possibili eccezioni, che dovranno essere considerate e  valutata di volta in volta). 

Non v’è chi non veda che le due situazioni sono e debbono essere considerate e valutate in  maniera del tutto diversa. 

Nel  primo  caso,  quello  in  cui  la  psiche  viene  soltanto  indirettamente  coinvolta,  più  che  parlare  di  un  danno  psichico  sarebbe  più  corretto  e  attinente  alla  realtà  parlare  di  un  danno  psicologico, che si differenzia dal primo in ragione della sua origine. 

Mentre infatti il danno psichico è strettamente collegato ad una patologia del cranio, quello  psicologico  trova  generalmente  origine  in  altro  tipo  di  lesione,  quale  ad  esempio  quella  midollare e quella anatomica. 

Il  danno  psichico  è  collegato  direttamente  ad  una  lesione,  quello  psicologico  deriva  indirettamente da una lesione come conseguenza psichica connessa con la lesione stessa. 

Proviamo a pensare ad un midollo leso costretto per il resto dei suoi giorni su una sedia a  rotelle, senza il controllo degli sfinteri, magari giovane e appena coniugato. 

Mi  pare  di  poter  affermare,  senza  tema  di  essere  smentito,  che  la  situazione  di  questo  danneggiato  sia  profondamente  diversa  da  quella  di  un  macro  leso  cerebrale,  anche  se  le  valutazioni  medico  legali  possono  in  sostanza  coincidere  per  entrambi:  90%‐100%  di  danno  biologico e 100% di invalidità lavorativa specifica. 

Al contrario, però, del macroleso cerebrale, il tetraplegico vivrà giorno per giorno, per tutto  il  resto  dei  suoi  giorni,  la  sua  condizione  di  handicappato;  egli  si  duolerà  di  non  poter  più  partecipare  a  competizioni  sportive,  di  non  poter  più  fare  un  bagno  con  i  suoi  amici,  di  non 

* Avvocato – Ferrara. 

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poter  più  andare  in  discoteca,  di  non  poter  più  avere  rapporti  sessuali  e  così  via,  fino  a  rimpiangere, in qualche caso, di essere rimasto in vita. 

Questo, a mio avviso, è il danno psicologico del macroleso, e questo tipo di danno fin ad ora  non ha trovato la sua giusta collocazione nell’ambito delle sentenze di risarcimento. 

Trattasi in sostanza del cosiddetto danno conseguenza, solo apparentemente contrapposto  al danno evento. 

Se i danni debbono in via generale intendersi come le conseguenze del fatto illecito, danno  devono  essere  considerate,  nell’ottica  civilistica,  tutte  le  conseguenze,  sia  pur  molteplici,  legate  da  un  rapporto  di  causalità  adeguata  all’evento  generatore;  le  conseguenze,  quindi,  a  mio avviso, vanno tutte risarcite e tutte rientrano nella previsione dell’art. 1223 c.c. richiamato  dall’art. 2056. 

Questa soluzione, soprattutto in un periodo storico in cui in subiecta materia assistiamo ad  una vera e propria proliferazione del diritto vivente, può apparire semplicistica. 

Può  anche  apparire  irriverente  nei  confronti  della  Magistratura  e  della  Dottrina  le  quali,  entrambe, sono alla ricerca di nuove poste di danno, sia esso esistenziale, riflesso, di rimbalzo,  nonché della loro collocazione in una previsione normativa anziché in un’altra. 

Ad  avviso  di  questo  modestissimo  operatore  del  diritto  che  vi  parla,  abituato  quotidianamente  a  vivere  casi  concreti  talvolta  veramente  tragici,  la  sentenza  184/86  della  Corte  Costituzionale,  che  ha  dato  luogo  al  riconoscimento  del  danno  alla  salute  lasciando  intatto il codice civile, ha aperto una breccia nel muro della responsabilità aquiliana, ma poi gli  operatori  di  questa  materia  hanno  voluto  e  vogliono  oltrepassare  questo  muro  aprendo  altre  brecce,  rifiutandosi  stranamente  di  “passare”,  allargando  quella  originariamente  aperta  dalla  Corte Costituzionale. 

Gli  operatori  della  materia,  a  mio  avviso,  hanno  perso  di  vista  che  non  ci  sono  tanti  danni  alla persona (biologico, patrimoniale, morale, esistenziale, psicologico, psichico, futuro e così  via); c’è, invece, un solo danno alla persona, espressione sintetica della vulnerazione da questa  subita, sintetica così come lo è la persona rispetto alle qualità che la costituiscono (Castronovo  Danno biologico senza miti Riv. Critica dir. Privato 1988). 

Il  danno  è  unico  ed  è  sostanzialmente  patrimoniale,  anzi,  tutto  patrimoniale  e  tutto  rientrante nelle previsioni degli artt. 1223 e 2056 c.c.. 

Ovviamente, nel caso in cui il fatto costituisca reato, a questo danno nella sua interezza si  aggiunge il danno morale che, a mio avviso, nulla ha a che fare con le ripercussioni di carattere  psicologico connesse alla sussistenza del macrodanno. 

Sotto questo punto di vista è pienamente condivisibile la recente sentenza 28 ottobre 1999  – 7 febbraio 2000 n. 1223 del Tribunale di Milano. 

L’estensore è stato di una semplicità chiarificatrice: il danno psicologico altro non è che un  danno biologico, e ciò non può essere revocato in dubbio giacché influisce sulla salute; esso è  da considerarsi conseguenza del fatto illecito generatore del danno fisico, anche quando detto  danno  ha  riguardato  soggetto  diverso  ma  affettivamente  e  materialmente  legato  agli  altri  familiari, quindi, risarcibile ex art. 1223 e 2056 c.c.. 

Altra cosa è il danno morale, il quale, quindi, va risarcito a parte ex art. 2059 c.c., e riguarda il  patema sofferto per le condizioni del familiare. 

Il danno psicologico non va quindi confuso col danno morale, il quale, anzi, può costituire il  suo antecedente logico. 

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Ciò  che  colpisce  negativamente  in  questa  sentenza  è  la  mancanza  di  ogni  e  qualsiasi  riferimento,  sia  pur  al  solo  fine  di  escluderlo,  al  danno  psicologico  del  soggetto  colpito  dall’azione diretta del danneggiante. 

Viene quindi da pensare che non fu proposta alcuna domanda sotto questo aspetto. 

È proprio questo il problema fondamentale. 

Basti  pensare  che,  in  un  recentissimo  studio,  l’Associazione  Italiana  Difesa  Consumatori  e  Ambiente (ADICONSUM) ha rilevato che, su un totale di 28 sentenze pronunciate su ipotesi di  macrolesioni, in ben 16 casi non sono state risarcite le spese future, in quanto tali voci di danno  non erano state richieste dalla parte attrice. 

Chi  vi  parla,  con  sentenza  parziale  n.  232  del  23.3.1994,  confermata  nel  1998  da  quella  definitiva,  ha  ottenuto  per  la  prima  volta  dal  Tribunale  di  Ravenna  la  liquidazione  del  danno  psicologico, sia pure sotto forma di danno biologico maggiorato, così come in effetti, dal punto  di vista giuridico, dovrebbe essere. 

Recita  la  sentenza:  “Tale  importo  (quello  liquidato  a  titolo  di  danno  biologico)  va  incrementato in ragione del 50% in riconoscimento dell’eclatante compresenza di alcune delle  componenti specifiche del danno biologico. 

La  danneggiata  si  trova  impedita  ad  ogni  attività  autonoma  della  vita  ma  –  e,  paradossalmente, forse, purtroppo – non in condizioni di vita meramente vegetativa bensì  in condizioni di comprendere e soffrire giorno per giorno la distruzione di se stessa e della  propria  famiglia,  ciò  a  decorrere  dall’età  centrale  della  persona  come  donna  e  come  madre”.  “Né  tale  stato  di  sofferenza  rileva  nei  soli  termini  del  danno  morale:  il  grave  perturbamento accertato integra l’autonoma componente del danno psichico”. 

Fin  dal  1994,  quindi,  i  giudici  del  Tribunale  di  Ravenna  avevano  inquadrato  il  danno  psicologico del macroleso come danno biologico, seppur suscettibile di autonoma liquidazione  nella misura del 50% di quanto liquidato per il danno biologico. 

Tutto questo seguendo le linee guida tracciate dalla Corte Costituzionale fin dal 1986, senza  ricorrere ad altre figure di danno e facendolo rientrare, come dicevo all’inizio, nella previsione  generale dell’art. 1223. 

Con la stessa sentenza i giudici ravennati ebbero a riconoscere, ancor prima della Corte di  Cassazione (sentenza 4671/96), la sussistenza del danno sessuale al coniuge della danneggiata,  inquadrando  anche  questo  nel  danno  biologico  subito  in  proprio,  senza  alcun  bisogno  di  doverlo etichettare quale danno riflesso o di rimbalzo. 

Il  Tribunale  di  Ravenna  affrontò,  nella  circostanza,  anche  il  problema  del  danno  patrimoniale  emergente  sotto  l’aspetto  del  cosiddetto  danno  futuro:  spese  di  carattere  sanitario,  (fisioterapia,  mutande,  traversine  assorbenti,  prelievi  di  sangue),  nonché  spese  di  assistenza personale domiciliare. 

Dette  spese  furono  riconosciute  nella  misura  di  50  milioni,  le  prime  sulla  base  di  un  supplemento  di  CTU  espressamente  richiesto  e  seguendo  il  metodo  della  capitalizzazione  anticipata; nella misura di 100 milioni le seconde in via equitativa. 

Era stato richiesto anche il rimborso dei costi per l’installazione di un ascensore. 

La  domanda  non  fu  accolta  con  la  seguente  motivazione:  “i  costi  di  installazione  dell’ascensore  nell’abitazione,  esulano  dal  paradigma  ex  art.  1223  c.c.  della  derivazione  immediata  e  diretta  dal  sinistro:  nell’originaria  residenza,  il  problema  dell’accesso  era  stato  risolto con la fornitura da parte dell’U.S.L., di apposito montascala mentre la diversa soluzione 

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abitativa,  poi  adottata,  che  ha  reso  necessario  l’impianto,  rientra  nel  novero  delle  autonome  scelte della persona”. 

La motivazione dell’esclusione altro non fa che confermare quel che si diceva innanzi e cioè  che  tutte  le  poste  di  danno,  purché  causalmente  legate  al  fatto  illecito,  rientrano  nelle  previsioni generali dell’art. 1223 c.c.. 

Ciò ci consente di poter affermare che gli strumenti a disposizione per ottenere l’integrale  risarcimento del danno del macroleso sussistono già nel nostro ordinamento giuridico. 

È  compito  dell’avvocato,  che  vuole  compiutamente  assolvere  il  proprio  mandato,  rappresentarne tutte le componenti al giudice. 

Egli deve indagare sulla sussistenza di ogni tipo di danno, ed in particolare sulla sussistenza  del  danno  psicologico  che,  per  sua  natura,  si  presta  maggiormente  a  simulazione;  deve  rendersi  conto  se,  di  quanto  e  come  è  mutata  la  vita  del  soggetto  leso  dopo  il  sinistro,  le  possibilità  di  reinserimento  nel  mondo  sociale  ed  economico,  nonché  del  costo  di  questo  probabile o eventuale reinserimento. 

Resosi  conto  del  mutamento  in  pejus  del  complesso  vitale  del  danneggiato,  egli  dovrà  formulare  le  relative  richieste  di  risarcimento  e  supportarle  con  ogni  mezzo  di  prova,  non  ultime le prove testimoniali sull’effettivo peggioramento della qualità della vita. 

Nel caso della sentenza del Tribunale di Ravenna, cui innanzi ho accennato, i giudici – dopo  aver pronunciato sentenza parziale sulla responsabilità e sui principi del risarcimento, rimisero  la causa in istruttoria, in accoglimento delle istanze della danneggiata, per l’espletamento di un  supplemento  di  CTU  sulle  spese  future  e  sul  radicale  mutamento  delle  condizioni  di  vita  del  soggetto leso. 

Fu  chiesto  al  consulente,  tra  l’altro,  l’accertamento  delle  previdenze  del  Servizio  Sanitario  Nazionale  in  favore  della  danneggiata;  ciò  al  fine  di  evitare  duplicazioni  di  risarcimento  o  la  corresponsione di somme non dovute. 

Al contrario, si legge in una sentenza del Tribunale di Ferrara, emanata nello stesso periodo: 

“(le  lesioni)  sono  tali  da  annullare  totalmente  non  solo  qualsiasi  attività  lavorativa  ma  anche  qualsiasi  possibilità  di  svago  e  anche  da  limitare  marcatamente  i  rapporti  sociali  dell’infortunato…… il quale è dotato di una modestissima motilità solo degli arti superiori del  tutto  inadeguata  alla  loro  utilizzazione,  trattandosi  di  forza  contro  gravità,  non  contro  resistenza;…. Egli deve essere continuamente assistito in ogni sua necessità fisiologica….”. 

Sulla  base  di  queste  premesse  i  giudici  liquidarono  soltanto  il  danno  biologico  e  quello  morale,  senza  cenno  alcuno  ad  altre  poste  di  danno,  anzi,  escludendo  il  risarcimento  delle  spese  future  “non  essendo  stato  fornito  alcun  elemento,  neppure  indiziario,  per  la  dimostrazione  di  dette  spese,  che  rappresentano  un  dato  assolutamente  incerto,  oltre  che  futuro  non  potendosi  escludere  che  il  danneggiato  possa  avvalersi,  anche  negli  anni  a  venire, dell’assistenza gratuita dei familiari”. 

Da queste due pronuncie, così diverse nella sostanza ma così vicine nei contenuti giuridici, si  ha  conferma  che  nel  campo  del  risarcimento  del  macrodanno  molto  è  demandato  alla  sensibilità  e  alla  tenacia  dell’avvocato,  il  quale  dovrà  sempre  tener  presente  che  il  giudizio  risarcitorio  è  un  giudizio  dispositivo,  nel  quale  la  decisione  è  fortemente  condizionata  dalla  domanda e dalle dimostrazioni del fondamento della medesima. 

 

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