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1.1 Il C-S-H, principale agente legante dei cementi 1. Introduzione

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Academic year: 2021

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Fig. 1.1 – Modello digitale di idratazione di un cemento mostrante, da sinistra a destra, le varie fasi di questo processo. A partire dalle particelle di cemento, poste a contatto con acqua (in nero), sono mostrate immagini con grado di idratazione pari a 32% e 76%. Alla fine le fasi più abbondanti sono rappresentate dal C-S-H (in giallo) e da una minor quantità di CH (in blu scuro) (da Bentz, 1997).

1. Introduzione

Lo studio dei silicati e degli alluminosilicati idrati di calcio è da tempo strettamente legato all’interesse riposto in queste fasi dai chimici dei cementi; esse sono infatti utilizzate per modellare l’assetto strutturale di una fase attivamente studiata ma ancora oggi poco compresa e che costituisce il principale agente legante dei materiali cementizi. Molti di questi composti possono inoltre formarsi per via idrotermale all’interno di cementi sottoposti ad elevate temperature, come ad esempio nei pozzi petroliferi o geotermici. Negli ultimi venti anni sono state messe in luce ulteriori interessanti applicazioni tecnologiche dei silicati idrati di calcio, correlate alla capacità di scambio cationico mostrata da un certo numero di questi composti.

1.1 Il C-S-H, principale agente legante dei cementi

La natura del principale agente legante dei cementi, noto con l’acronimo C-S-H (Calcium Silicate Hydrate), fu discussa già nel corso di un congresso tenutosi a Londra nel 1918 e che viene considerato come il primo di una serie di conferenze internazionali sulla chimica dei cementi. Ancora oggi le parole usate da Cecil H. Desch in apertura di quel congresso sono attuali: “our knowledge of the scientific nature

of the materials and processes involved is even yet imperfect, in spite of many excellent investigations covering various parts of the subject”

(Richardson, 2008). Il C-S-H si forma durante la fase di idratazione del cemento, ossia quell’insieme di

cambiamenti chimico-fisici che hanno luogo allorché un cemento anidro o una delle sue componenti reagisce con l’acqua (Taylor, 1964). Il cemento Portland, il tipo di cemento più

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Fig. 1.2 - Immagine ottenuta in microscopia elettronica a trasmissione mostrante la presenza di domini nanocristallini (NC) e di aree dotate di ordine a corto raggio (SRO) immerse in una fase amorfa (AM) (da Viehland et al., 1996).

Fig. 1.3 – Interpretazione schematica della mesostruttura del C-S-H (da Viehland et al., 1996).

utilizzato, è una miscela relativamente complessa e per tale motivo le sue componenti sono state accuratamente studiate. Tipicamente i prodotti di idratazione del Ca3SiO5 (C3S) e β-Ca2SiO4 (C2

Il C-S-H viene generalmente ritenuto un gel amorfo. Taylor (1993) ha riportato la definizione data da Everett di gel, come “una dispersione nella quale le interazioni attrattive fra gli elementi della fase dispersa sono così forti che l’intero sistema si comporta come un mezzo rigido e che, sotto piccoli stress, si comporta in maniera elastica”. Alcuni studi effettuati con il

microscopio a forza atomica (AFM) hanno evidenziato come i cementi siano formati da aggregati di nanoparticelle di C-S-H dispersi in un mezzo amorfo (Gauffinet et al., 1998); analogamente studi in microscopia elettronica a trasmissione mostrano una mesostruttura formata da una matrice amorfa con composizione fortemente variabile nella quale si osservano regioni, grandi fino a 50 Å (fig. 1.2, 1.3), con composizione omogenea e struttura ordinata sulla scala dei 10 Å (Viehland et al., 1996; Zhang et al., 2000). Pertanto, secondo Nonat (2004), il C-S-H può essere considerato un gel ma non necessariamente amorfo. Infatti, allorché i

S) sono rappresentati da C-S-H e da minori quantità di idrossido di calcio (CH, Calcium Hydroxide) (fig. 1.1).

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campioni siano composti solo da C-S-H ottenuto o per reazione fra CaO e SiO2 oppure per idratazione di C3

La natura scarsamente cristallina del gel C-S-H ha quindi richiesto, per il suo studio, l’integrazione di più tecniche analitiche; sulla base dei dati così ottenuti, sono stati proposti numerosi modelli per interpretare la nanostruttura di questo composto. I principali problemi da affrontare nella modellizzazione del gel C-S-H sono stati quelli di conciliare i modelli proposti con l’ampia variabilità chimica osservata e con il differente grado di polimerizzazione della parte silicatica; infatti il gel C-S-H ha generalmente un valore medio del rapporto Ca/Si pari a circa 1.75, variando fra 1.2 e 2.1 (Richardson, 1999), mentre i tetraedri silicatici tendono a formare delle catene di lunghezza pari a 2, 5, 8, …, (3n-1) tetraedri. Sono stati così proposti vari modelli per la nanostruttura del gel C-S-H, distinguibili in due tipi principali:

S, essi danno origine ad un diffrattogramma di polvere popolato da poche e larghe righe, caratterizzate da valori di 3.05, 2.81 e 1.82 Å, corrispondenti a riflessi hk0 della tobermorite, un raro inosilicato idrato di calcio. L’allargamento dei riflessi può essere legato alla piccola dimensione dei domini coerenti e/o alla presenza di difetti strutturali.

1) modelli basati su monomeri silicatici (Bernal, 1954; Shpynova et al., 1967; Grudemo, 1986); questi modelli si basano sulla struttura del Ca(OH)2

2) Modelli basati su catene tipo dreierketten. Questi modelli si basano sulle strutture di tobermorite 11 Å, tobermorite 14 Å e jennite. Il primo modello fu proposto da Bernal et al. (1952) i quali ipotizzarono che la fase C-S-H fosse simile alle fasi prodotte in soluzione e chiamate C-S-H (I) e C-S-H (II). In particolare, la fase C-S-H (I) presentava un diffrattogramma di polveri analogo a quello della tobermorite naturale e pertanto fu ipotizzata una relazione fra le strutture dei due composti. Taylor & Howison (1956) suggerirono che il rapporto Ca/Si potesse essere aumentato rispetto al valore di 0.83 della tobermorite descritta da Megaw & Kelsey (1956) andando a rimuovere dei tetraedri ponte nelle catene silicatiche ed introducendo dei cationi Ca

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nelle cavità strutturali. I vari modelli presentati nel corso degli anni sono generalmente basati sulle idee di Taylor & Howison (1956). I modelli di Kurczyk & Schwiete (1960; 1962) e di Stade & Wieker (1980) si basano anch’essi sul modello strutturale di Megaw & Kelsey (1956); per tenere in giusta considerazione la composizione chimica osservata nel gel C-S-H essi ipotizzano la presenza di strati contenenti H2O, Ca2+ e OH-. Un modello simile è stato proposto anche da Glasser et al. (1987). Taylor (1986) ha suggerito che i gel C-S-H con alti rapporti Ca/Si siano composti da unità strutturali derivanti dalla jennite e, in minor misura, dalla tobermorite 14 Å, con la progressiva rimozione dei tetraedri ponte. Pertanto si passerebbe da strutture con catene silicatiche infinitamente estese (nessuna rimozione) fino a soli gruppi disilicato (tutti i tetraedri ponte omessi). Richardson &

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Groves (1992, 1993) e Richardson (2004) hanno proposto un modello di gel C-S-H nel quale sono presenti elementi strutturali di tobermorite, jennite (o jaffeite) e portlandite. Esistono pertanto strette analogie fra i modelli proposti da questi ultimi autori e quelli di Taylor (1986), Cong & Kirkpatrick (1996a, 1996b, 1996c), Nonat & Lecoq (1998), Chen et al. (2004) e Pellenq et al. (2009).

1.2 Le proprietà di scambio cationico dei silicati idrati di calcio

La struttura di molti silicati idrati di calcio presenta cationi di tipo “zeolitico” potenzialmente scambiabili; la fase più importante in questo senso è rappresentata dalla tobermorite. Studi condotti su tobermoriti sintetiche hanno mostrato capacità di scambio cationico con vari metalli (Labhasetwar & Shrivastava, 1988; Al-Wakeel et al., 2001). Le possibili applicazioni vanno dalla rimozione degli inquinanti dalle matrici ambientali fino allo stoccaggio di elementi radiogenici. Šiaučiūnas et al. (2002) descrivono ad esempio la sintesi di una tobermorite sostituita con Na e Al utilizzata in condizioni statiche e dinamiche per l’eliminazione di ioni Co2+, Ni2+, Cu2+ e Zn2+ da soluzioni acquose, prospettandone quindi un utilizzo per il controllo della qualità delle acque. Altri studi vertono sulla immobilizzazione e sul sequestro di metalli pesanti dall’ambiente (Ziegler et al., 2001). Notevole interesse è stato suscitato dalla capacità delle fasi C-S-H di immobilizzare alcuni isotopi radioattivi come 137Cs (McCulloch et al., 1985; Shrivastava & Shrivastava, 2000), 90Sr (Shrivastava & Shrivastava, 2001) e 126

Queste proprietà di scambio cationico rendono la tobermorite simile alle zeoliti ed alle argille. Rispetto a queste ultime, tuttavia, la tobermorite mostra numerosi vantaggi tecnologici. Infatti può essere facilmente sintetizzata non soltanto sotto forma di polveri finemente disperse ma anche come nanofibre; inoltre, le tobermoriti sono stabili anche nelle malte cementizie mentre zeoliti ed argille tendono a degradarsi. La recente scoperta della bioattività delle nanofibre di tobermorite, ossia della loro abilità di legarsi a tessuti ossei viventi, ne consentirebbe l’uso per la rigenerazione di tali tipi di tessuti (Lin et al., 2007). Reinik et al. (2008) hanno anche evidenziato come la tobermorite possa essere utilizzata quale catalizzatore per la produzione di sostanze medicinali. Altri studi hanno mostrato l’azione battericida di tobermoriti scambiate con Ag

Sn (Bonhoure et al., 2003).

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e Zn2+

Infine, in un contesto in cui l’attenzione per l’ambiente e per l’utilizzo delle risorse è divenuto un’urgenza, si sono attivati processi mirati al recupero di materiale, prima destinato allo smaltimento, trovando nuovi impieghi in vari processi industriali; sono stati così sviluppati materiali da costruzione e scambiatori cationici a partire da macerie di demolizione, scorie di lavorazione dell’acciaio e scorie di inceneritori. Fra questi prodotti, i componenti principali sono nei confronti di

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rappresentati da tobermoriti contenenti Fe e Al. Un ulteriore esempio di riciclaggio di rifiuti è descritto da Coleman & Brassington (2003) e da Coleman (2005), i quali hanno studiato il processo di sintesi e la capacità di scambio cationico di tobermoriti ottenute a partire dal processo di riciclaggio della carta da giornale.

1.3 Studio dei C-S-H: finalità e difficoltà

Nella letteratura mineralogica ed in quella relativa alla chimica dei cementi, l’acronimo C-S-H viene utilizzato per indicare differenti fasi. Oltre ad indicare il principale agente legante dei cementi, tale sigla è impiegata anche per descrivere i composti sintetici che vengono generalmente suddivisi in C-S-H (I) e C-S-H (II). Infine esso viene esteso al gruppo dei silicati idrati di calcio, siano essi naturali o sintetici, indicati come “fasi C-S-H”.

Da quanto sopra descritto, è comprensibile come una dettagliata conoscenza delle proprietà cristallochimiche e del comportamento termico dei silicati idrati di calcio sia di fondamentale importanza per meglio comprendere le proprietà meccaniche dei cementi e le eventuali possibili applicazioni di alcune fasi C-S-H caratterizzate da proprietà di scambio cationico. In quest’ottica, lo studio dei minerali riveste oggi una grande importanza non solo per la ricerca di base ma anche per le sue possibili applicazioni tecnologiche. Infatti, come affermato da Chukanov & Pekov (2005), “the number of different combinations of structure types and compositions of non-zeolite

mesoporous minerals is still larger than the number of different synthetic materials of this type. In addition, whereas minerals are often available as crystals suitable for structural investigations, synthetic materials are often microcrystalline.” Lo studio dei campioni naturali di silicati idrati di

calcio, tuttavia, presenta alcune difficoltà che riguardano sia la morfologia dei campioni, spesso fibrosa e di difficile impiego per studi di cristallo singolo, sia la presenza di vari gradi di disordine strutturale, strettamente correlata con la cristallochimica di questi composti. Tale disordine strutturale è sovente descrivibile all’interno della teoria ordine-disordine (Dornberger-Schiff, 1956, 1964, 1966; Ferraris et al., 2004) che rappresenta pertanto un utile strumento teorico per la determinazione degli assetti cristallini di molte fasi C-S-H.

Questa tesi di dottorato vorrebbe fornire un contributo alla conoscenza dell’assetto strutturale e del comportamento termico delle fasi C-S-H, ponendo particolare attenzione alle fasi del gruppo della tobermorite. Dopo una sommaria descrizione delle tecniche analitiche impiegate durante questo lavoro di tesi (§ 2), viene proposta, nei capitoli 3 e 4, una panoramica sulle fasi C-S-H e sui loro assetti strutturali; in tali capitoli, a fianco dei dati di letteratura, talvolta discussi criticamente, vengono riportati anche nuovi dati frutto del lavoro sperimentale condotto nell’ambito del presente

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studio. Il capitolo 5 presenta invece un’ampia descrizione del gruppo della tobermorite nella quale trova collocazione anche una discussione sui problemi nomenclaturali di questo gruppo di minerali. A partire dal capitolo 6 vengono riportati dati e discussioni relativi allo studio termico di vari campioni di tobermoriti s.l., per terminare con i rapporti fra l’oyelite, indicata in letteratura come una “tobermorite 10 Å” naturale, e le fasi con la medesima periodicità basale ottenute però attraverso esperimenti di laboratorio (capitolo 9). Ad un capitolo conclusivo, nel quale si cerca di fornire un quadro sul comportamento termico dei minerali del gruppo della tobermorite, fanno seguito alcune appendici nelle quali sono riportati dettagli relativi a studi condotti su altre fasi C-S-H svolti nel corso di questa tesi di dottorato e che sono stati in parte brevemente descritti nei capitoli 3-4. L’auspicio è che la sintesi di dati strutturali, chimici e di comportamento termico, acquisiti attraverso l’impiego di differenti tecniche analitiche, ognuna delle quali rivolta alla soluzione di specifiche problematiche, possa contribuire ad una migliore comprensione della cristallochimica dei silicati idrati di calcio, anche alla luce della grande importanza tecnologica da essi rivestita.

Figura

Fig. 1.1 – Modello digitale di idratazione di un cemento mostrante,  da sinistra a destra, le varie fasi di questo processo
Fig.  1.2  -  Immagine ottenuta in microscopia elettronica a trasmissione  mostrante la presenza di domini nanocristallini (NC) e di aree dotate di  ordine a corto raggio (SRO) immerse in una fase amorfa (AM)  (da  Viehland et al., 1996)

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