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Capitolo 3

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Academic year: 2021

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Capitolo 3

Robot subacquei in controllo remoto: stato dell’arte

3.1 Introduzione

Sebbene gli oceani coprano più del 70% della superficie del pianeta, gran parte di essi sono stati esplorati solo superficialmente e di fatto gli oceani, con il 99% dei loro fondali inesplorati (secondo i dati del Committee on Exploration of the Seas and the National Research Council, 2003), si pongono come ultima frontiera della terra con largo potenziale per nuove scoperte in numerosi campi quali biologia, chimica, fisica e geologia marina.

Per le crescenti necessità degli studi di ricerca, ma anche per l’aumento dell’importanza delle tecnologie offshore e dei trasporti marittimi, un’ampia classe di robot sottomarini innovativi ha trovato sempre maggiori applicazioni. Tali dispositivi vengono denominati in modo generico come Unmanned Underwater Vehicles (UUVs, veicoli subacquei “senza equipaggio”).

Il loro rilievo è dovuto al fatto che possono essere usati per compiti complessi in ambienti scarsamente accessibili e magari poco sicuri per l’uomo: possono essere impiegati per l’osservazione oceanografica (che comprende indagini su salinità, temperatura e velocità delle correnti oceaniche), ma anche per sorveglianza militare, controllo dei condotti petroliferi o esplorazione di imbarcazioni affondate.

In realtà gli UUVs comprendono due grandi categorie: i Remotely Operated Vehicles (ROVs, veicoli operati in controllo remoto) e gli Autonomous Underwater Vehicles (AUVs, veicoli subacquei autonomi) [51, 52].

I primi necessitano di un collegamento via cavo con un operatore; sono usualmente dotati di telecamere e bracci meccanici e vengono spesso utilizzati per monitorare le attrezzature sottomarine delle piattaforme petrolifere, oppure eseguire operazioni di manutenzione particolarmente difficoltose. Dati i numerosi task che sono chiamati a compiere, i ROVs sono in genere caratterizzati da basse velocità di manovra e di controllo; devono avere inoltre diversi motori che permettano di compiere attuazione in più direzioni. In genere questo si ripercuote sul loro design, che generalmente non è idrodinamico ed è definito in questo caso un “Box Design” (Fig.3.1). Esempi di ROVs di successo sono il Tiburon del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI) ed il robot Jason del Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) [53].

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Gli AUVs invece non hanno bisogno di essere collegati via cavo ad un pilota umano. Sono in grado quindi di far risparmiare il costo totale di una missione, non necessitando di una nave attrezzata e di personale qualificato per la guida a distanza del robot. Inoltre permettono di portare a termine missioni che sarebbe impossibile a causa del collegamento con la nave di supporto; un esempio tipico è l'esplorazione sotto il ghiaccio. Ovviamente i task che questi sono in grado di svolgere sono minori, infatti generalmente mancano di bracci robotici a bordo e sono specializzati nel monitoraggio di vaste aree. Per questa ragione hanno velocità di controllo molto più elevate rispetto ai ROVs e nella maggioranza dei casi sono caratterizzati da design idrodinamici, a missile, detti “Torpedo-like”; sono però più difficilmente manovrabili ed in genere non hanno bisogno di essere guidati molto poichè viaggiano per lo più a regime stazionario per lunghi tratti. I principali AUVs sono i robot ABE e SeaBED del WHOI ed il sottomarino OTTER (Fig.3.2) dello Stanford Aerospace Robotics Laboratory [54].

Fig. 3.1. Immagini relative al ROV Jason del WHOI, da [53]; si noti il design non idrodinamico ed il collegamento via cavo con l’operatore.

Fig.3.2. Immagini relative all’AUV OTTER dello Stanford Aerospace Robotics Laboratory; si noti il design idrodinamico, da [54].

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Il design idrodinamico e l’assenza di collegamento con l’operatore, fattori ottimi per la navigazione subacquea ad alte velocità ed in spazi ampi, rendono però problematico il mantenimento del robot in posizione statica, il controllo posizionale, l’inversione del moto ed il suo recupero; l’AUV Odyssey II del Massachussetts Istitute of Technology (MIT), ad esempio, ha velocità di manovra minima di 0.5 m/s e per virare deve avere

a disposizione un raggio di almeno 5 m [52].

In sostanza il controllo ed le procedure di recupero costituiscono la maggiore sfida per la progettazione degli AUVs. Per questa ragione presso l’Università del Colorado sono state recentemente realizzate delle piattaforme sperimentali per lo sviluppo e la valutazione di un robot sottomarino pilotabile a basse velocità (LMS, Low Speed Maneuvering) [51, 52, 55].

3.2 UUVs bioispirati a getto pulsato

Recentemente, accanto agli UUV più tradizionali, sono stati sviluppati anche robot acquatici in grado di impiegare strategie alternative di locomozione che prendono spunto dal mondo biologico, con lo scopo primario di ottenere maggior affidabilità e controllabilità in ambiente marino. Queste tecnologie bioispirate sono sostanzialmente costituite da elementi rigidi o semi-rigidi composti in modo da ottenere strutture che godano di una complessiva flessibilità; da questo punto di vista dunque il design di tali robot è basato sui principi della meccanica standard, applicati però in un contesto innovativo, al fine di replicare funzionalità proprie di certi sistemi biologici.

Gli studi più recenti hanno mostrato come sistemi di propulsione a getto, basati proprio sulla produzione dei vortex ring ottimali di cui ci siamo occupati, sono un’interessante alternativa alle soluzioni di propulsione acquatica tradizionale, in genere caratterizzate da sistemi a elica o comunque da locomozioni stazionarie e non pulsate. Proprio per questa ragione la dinamica della locomozione dei cefalopodi è stata studiata con rinnovato interesse, non solo da un punto di vista biologico, ma anche da un punto di vista ingegneristico. Sono stati infatti realizzati sistemi robotici in grado di produrre spinte sostenute con emissioni di getti ad alta frequenza, basati su Vortex Ring Thruster (VTR, propulsori a vortex ring) o Synthetic Jet Actuator (SJA, attuatori per getto artificiale).

Nel 2004 Mohseni ha realizzato un prototipo di SJA [51, 52] per migliorare la manovrabilità alle basse velocità e le capacità di station keeping dei tradizionali veicoli sottomarini, ma anche per flow control.

Il prototipo studiato da Mosheni per produrre un getto pulsato rappresenta un’alternativa più pratica del semplice meccanismo cilindro-pistone di cui si è

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discusso nel Capitolo 2, che pur è ottimale per indagini teoriche. Il sistema è costituito da una zona cava dotata di un orifizio sulla base superiore e di un diaframma su quella inferiore. Il diaframma consiste in un disco rigido circondato da materiale flessibile; il movimento del disco verso l’esterno della camera richiama il fluido, in cui è evidentemente immerso, nell’orifizio (Fig.3.3.a), mentre il suo spostamento verso l’interno permette l’espulsione del liquido (Fig.3.3.b), producendo così un getto le cui caratteristiche fluidodinamiche sono legate al numero di formazione (vedi sezione 2.6). La ripetizione ciclica delle due fasi produce un getto pulsato.

Il moto del diaframma può essere realizzato per mezzo di attuatori elettrostatici, piezoelettrici o con sistemi a solenoide, identici ai voice coil degli altoparlanti; in ogni caso il posizionamento preciso e veloce del diaframma è garantito da segnali di tipo elettrico. Il prototipo di Mohseni si basa sull’uso di un voice coil : la corrente fatta passare nel solenoide produce un flusso elettromagnetico; questo si concatena con il disco di materiale ferromagnetico e ne induce l’avvicinamento o l’allontanamento relativo, a seconda del verso della corrente. Il design del sistema è piuttosto flessibile, compatto (Fig.3.4), senza parti in movimento (fatta eccezione per il diaframma) e dà la possibilità di variare facilmente parametri fisici quali frequenza ed ampiezza d’attuazione, il profilo di velocità del diaframma, la geometria della cavità ed il diametro dell’orifizio di uscita. In tal modo è stato possibile, per Mohseni [51, 52], confrontare i presupposti teorici con i risultati sperimentali ottenuti per varie combinazioni dei parametri.

Fig.3.3. Schema di produzione del getto: (a) la corrente nel solenoide produce un flusso elettromagnetico che lo concatena con il disco e lo fa avvicinare; il fluido entra dall’orifizio; (b) l’inversione di corrente fa sì che il solenoide respinga il disco all’interno della cavità; il fluido esce e si forma un vortex ring (da [51]).

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Fig.3.4. Attuatore di getto sintetico a solenoide: (a) modello CAD; (b) rappresentazione degli elementi costitutivi separati; (c) attuatore reale assemblato (da [51]).

Quattro attuatori di questo tipo sono stati inseriti in un AUV tradizionale presso l’Università del Colorado [55], ottenendo così un veicolo in grado di procedere alle alte velocità secondo i principi di navigazione canonici, ma dotato della capacità di non affondare in condizione statica proprio grazie alle forze equilibrate di spinta prodotte dai quattro SJA, disposti lungo il diametro della struttura a missile, a diverse altezze (Fig.3.5).

In questo caso dunque il getto non è stato usato come principio di propulsione in senso stretto, ma come escamotage per garantire supporto idrostatico al veicolo.

Fig.3.5. AUV costruito all’Università del Colorado da Mohseni & al., dotato di quattro SJA: (a) disegno CAD; (b) prototipo reale; (c) particolare di un orifizio di uscita del getto pulsato (da [52]).

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Nel 2008 Krieg e Mohseni [56, 57] hanno sviluppato un VTR ispirato, in linea di principio, agli schemi di locomozione dei calamari, già ampiamente descritti nel Capitolo 2. In questo caso lo scopo del progetto è stato quello di realizzare un sistema attuativo per getto pulsato da usarsi come principio primario di navigazione e non come corollario.

Il sistema d’attuazione in questione è costituito da una parte cava, che nel parallelo biologico ricopre il ruolo del mantello, con un manipolatore fluidico al suo interno; questo è in grado di modificare il volume della cavità, forzando il fluido ad entrare ed uscire da un’apertura ad una sua estremità (Fig.3.6). Il manipolatore è costituito da uno stantuffo flessibile, a fisarmonica. L’apertura attraverso la quale viene fatto passare il fluido è di dimensioni modificabili e consiste in un piatto sottile con un orifizio circolare privo di rugosità superficiale. Grazie ad un meccanismo a controllo pneumatico lo stantuffo si assottiglia e si espande periodicamente, richiamando e espellendo l’acqua dall’orifizio, proprio come il calamaro espande e contrae le pareti del proprio mantello. A differenza dei cefalopodi questo sistema fa entrare ed uscire l’acqua da una stessa porta.

Fig.3.6. VTR di Krieg e Mohseni: (a) modello teorico dell’attuatore; (b) modello CAD del dispositivo; (c) sistema reale (da [56]).

Il funzionamento dell’attuatore è stato monitorato al variare di parametri operativi quali lo stroke ratio, ovvero il rapporto L/D (Fig.3.7.a), introdotto nella sezione 2.7, e la frequenza d’attuazione pneumatica (Fig.3.7.b). E’ stato inoltre sviluppato un modello analitico per predire la forza di spinta prodotta al variare dei vari parametri [56].

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Il thrust J è stato calcolato come:

= = 4

dove:

è il rate di massa trasferita istantaneamente dall’orifizio

• è la velocità media del getto, pari a , detta a l’area dell’orifizio

D è il diametro dell’orifizio

ρ è la densità del fluido

Il thrust mediato sull’intero ciclo di attuazione, caratterizzato da frequenza f e duty cycle pari a ½ (ovvero si ha che la fase di suzione e quella di eiezione durano entrambe un tempo pari a 1/2f) risulta:

=1 = 16

Lo stroke ratio L/D, che poi coincide con il tempo caratteristico adimensionale di formazione del vortice, è allora esprimibile come:

=

Il coefficiente adimensionale di thrust CT risulta :

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Fig.3.8. Esempi di andamenti teorici e sperimentali della forza di spinta del coefficiente di thrust per particolari condizioni di lavoro: (a) CT al variare dello stroke ratio; (b) thrust al variare della frequenza

di controllo pneumatico per L/D=3 (da [56]).

Dal grafico riportato in Fig.3.8.a si evince che il modello è in grado di predire accuratamente valori di CT per stroke ratio fino a 6, a partire dai quali si verifica il

fenomeno di pinch off; oltre il numero di formazione l’accuratezza del modello crolla poiché parte del fluido eiettato viene risucchiato nella cavità nella successiva fase di suzione. Quando questo accade si perdono i benefici derivanti dalla presenza dei vortex ring, discussi nella sezione 2.8, dato che il risucchio distrugge il contributo della sovra-pressione.

E’ stato inoltre determinato in modo empirico che il VTR ha caratteristiche ottimali di thrust per getti pulsati con valori di L/D pari al numero di formazione (che qui è leggermente superiore ai valori trovati da Gharib & al. [42, 43, 44, 45]) e frequenze d’attuazione a circa 15 Hz. Tale frequenza risulta un valore critico limite oltre il quale si incorre nel fenomeno di cavitazione, ovvero si ha la formazione di zone di vapore nel fluido che possono creare turbolenze che diminuiscono l’efficienza del trasporto di massa (Fig.3.9).

Fig.3.9. Bolle di cavitazione che si formano nella cavità del sistema d’attuazione, che sta operando a

f=17 Hz e L/D=4.3, da [56].

(b) (a)

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Krieg e Mohseni [56] sono riusciti inoltre dimostrare un altro vantaggio dei sistemi a getto pulsato rispetto a quelli ad elica tradizionali, mostrando che la prima soluzione riesce a ottenere tempi di scambio di momento tra getto e attuatore che lo ha generato, più brevi rispetto ai sistemi tradizionali (Fig.3.10).

Fig.3.10. Andamento del thrust nel tempo per un VTR, caso con L/D=5.9 e f=8.75 Hz, da [56]; si noti come i valori stazionari siano raggiunti molto rapidamente, entro 2 s, mentre l’80% del valore stazionario è raggiunto in soli 0.5 s.

Moslemi e Krueger [58] hanno invece realizzato un sistema autonomo per propulsione subacquea che è stato significativamente battezzato Robosquid (Fig.3.11 e Fig.3.12). In questo prototipo si ha un apparato cilindro-pistone implementato lungo una serie di valvole pilotabili elettricamente, le quali garantiscono l’unidirezionalità del fluido dall’orifizio di uscita, così come osservato nei calamari reali. Il movimento del pistone è realizzato grazie all’uso di un motore passo-passo.

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Fig.3.12. Rappresentazione schematica di Robosquid, D=1.91 cm, da [58].

In particolare Moslemi e Krueger [58] hanno indagato gli effetti dei programmi di velocità del pistone e duty cycle sull’efficienza propulsiva del sistema. Robosquid è stato testato per stroke ratio L/D compresi tra 2 e 6 e duty cycle StL tra 0.2 e 0.6. Si ricorda ancora una volta che L è la corsa del pistone e D è il diametro dell’orifizio di uscita del getto. Le velocità di controllo del pistone sono state definite con andamenti piramidali e trapezoidali (Fig.3.13). Grazie alla tecnica DPIV (Digital Particle Image Velocity) sono stati valutati impulso ed energia associati all’ andamento pulsato, così da calcolarne l’efficienza e poterla rapportare a quella di un sistema equivalente ma a getto costante, più tradizionale.

Fig.3.13. Andamenti trapezoidali e triangolari delle velocità del pistone, comandato con un motore passo-passo; tp è il tempo in cui il pistone avanza impartendo momento al fluido e tr è il periodo in cui

il pistone arretra; in tr la velocità è assunta nulla. La somma dei due tempi fornisce l’intero periodo T

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L’efficienza propulsiva è stata calcolata come rapporto tra la potenza propulsiva in uscita e la potenza in ingresso; applicando la definizione ai getti pulsati ed effettuando delle medie temporali si ottiene la seguente espressione di efficienza ηp:

"# = $ / &+$

dove:

• $ è il tasso di lavoro utile compiuto durante la propulsione, mediato sul tempo di pulsazione; coincide dunque con la potenza in uscita per ogni ciclo. Dette ̅ e rispettivamente forza di spinta ottenuta dall’attuatore e velocità del pistone, mediate nel periodo di pulsazione, si ha che la potenza media in uscita è pari a

̅

• & è il tasso con cui l’energia cinetica in eccesso viene rilasciata alla scia, mediata sul tempo di pulsazione; per una definizione formale si rimanda a [48]. La somma dei due termini, al denominatore, coincide con la potenza in ingresso.

Per relazionare l’efficienza del sistema pulsato con uno equivalente stazionario è necessario definire una velocità stazionaria di getto costante Uj,ss che consenta di produrre la stessa spinta media ̅ ottenuta con Robosquid; si ottiene risolvendo la seguente equazione di secondo grado:

̅ = ( ,**+ ,** − -

Si definisce a questo punto l’efficienza propulsiva del getto stazionario equivalente "#,**:

"#,** =1 + 2 ,**⁄

Il rapporto "#⁄"#,** è stato valutato al variare dei parametri di pulsazione, così da definire quali sono le condizioni di lavoro in cui la propulsione pulsata è vantaggiosa rispetto ad una stazionaria a getto continuo. Si è riscontrato un incremento di "#⁄"#,** all’aumentare del duty cycle ed al diminuire dello stroke ratio; per StL =0.5 e L/D = 2, in caso di velocità trapezoidale, si sono raggiunti rapporti pari a 1.2.

Si nota comunque dai grafici in Fig.3.14 che solo per una ristretta combinazione dei parametri la locomozione a getto pulsato bioinspirata può avere performances migliori, in termini di efficienza, rispetto ai sistemi meccanici a getto continuo, più tradizionali. Il fatto che l’efficienza sia maggiore nel caso di vortici prodotti con basso tempo

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caratteristico di formazione è perfettamente in linea con ciò che è stato affermato nelle sezioni 2.8 e 2.9.

Si è inoltre riscontrato che cambiamenti nel duty cycle hanno effetti più marcati di quelli prodotti da variazioni di L/D e che velocità di programma trapezoidali permettono di avere "# maggiori del 20% rispetto a quelle triangolari.

Fig.3.14. Andamenti di "#⁄"#,** al variare di L/D per tre diversi StL; (a) caso di velocità di

programma triangolare; (b) caso di velocità di programma trapezoidale (da [58]).

Nel Capitolo 2 e negli studi su Robosquid precedentemente riportati si è mostrato che effettivamente la formazione di vortici coerenti può incrementare l’efficienza propulsiva: nella sezione 2.8 si è visto come questo beneficio sia dovuto all’aumento del thrust generato dalla sovra-pressione nei pressi dell’orifizio di uscita ed alla diminuzione delle perdite di energia cinetica legate alla massa di fluido trascinato nella bolla del vortice in formazione.

In realtà gli studi valutati fino ad ora non considerano la dinamica complessiva di un veicolo subacqueo in movimento, ma si limitano ad analizzare la dinamica della vorticità di un sistema di propulsione stazionario; si è già evidenziato nella sezione 2.8, riferendoci però ai cefalopodi, come una caratterizzazione completa dell’influenza del getto pulsato sull’efficienza del moto debba invece necessariamente tenere di conto del flusso esterno che scorre oltre il sistema in movimento, sia questo biologico o artificiale.

In tal proposito Ruiz & al. [59] hanno realizzato un robot sottomarino a locomozione autonoma in grado di operare con una propulsione a getto sia continuo che pulsato. Una rappresentazione schematica del veicolo è riportata in Fig.3.15; in caso di funzionamento in modalità a getto continuo le valvole di ingresso dell’acqua sono tenute costantemente libere, mentre in modalità di getto pulsato le fessure (fluid inlets in Fig.3.16), vengono chiuse e riaperte in modo periodico grazie ad un meccanismo di

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tipo rotazionale [59]; ovviamente la frequenza del sistema influenza la frequenza di pulsazione.

Fig.3.15. Rappresentazione schematica del veicolo di Ruiz & al., in grado di realizzare una propulsione a getto sia stazionario che pulsato; le misure sono in cm (da [59]).

Fig.3.16. Principio di funzionamento a getto non stazionario: (a) rappresentazione in sezione e (b) vista laterale del veicolo; si noti che quando le aperture di ingresso sono bloccate il flusso in uscita dall’orifizio è ridotto, al limite nullo (da [59]).

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Si noti che le dimensioni caratteristiche del design consentono di avere, al variare del numero di giri del motore elettrico usato per la propulsione, tempi adimensionali di formazione dei vortici tra 2.5 e 3.4 (Fig.3.17); come ben noto un tale range di tempi di formazione conduce alla produzione di vortex ring coerenti, privi di trailing jet, per ognuna delle pulsazioni indotte.

Fig.3.17. Tempo di formazione adimensionale del veicolo di Ruiz & al., in modalità non stazionaria, in funzione del numero di giri del motore; ovviamente un aumento della velocità di rotazione del motore implica un incremento della velocità di navigazione del veicolo (da [59]).

Il campo di flusso intorno al veicolo in movimento è stato caratterizzato usando sistemi a fluorescenza indotta da laser, sistemi Doppler a ultrasuoni e tecniche DPIV (Digital Particle Image Velocimetry); tali mezzi consentono di valutare in modo diretto la dinamica dei vortici e la massa da essi trascinata durante la propulsione (Fig.3.18).

Fig.3.18. Immagini a fluorescenza indotta da laser dei getti prodotti in condizione di propulsione stazionaria (a) e non stazionaria (b); da [59].

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Il campo di pressione all’uscita del getto è stato valutato sfruttando il concetto di

added-mass di cui si è parlato nella sezione 2.8 e l’efficienza propulsiva è stata

calcolata con esperimenti di traino di carichi per valutare l’attrito idrodinamico, poiché si è considerato il lavoro compiuto per superare l’impuntamento statico del carico come “lavoro utile” che compare nelle classiche definizioni di efficienza .

In più l’efficienza complessiva del veicolo è stata monitorata valutando la potenza elettrica richiesta per il moto, sia in regime stazionario che pulsato, secondo il parametro Cp di cui si riporta di qui seguito l’espressione:

# =1 2345

2 ( 6

dove:

• 23 e 45 sono rispettivamente la corrente e la tensione richiesti dal motore in DC;

il loro prodotto è chiaramente la potenza elettrica da valutare;

6 è la velocità relativa della corrente che fluisce oltre il veicolo in movimento.

Tale misura è fondamentale poiché permette di valutare se, effettivamente, il costo energetico aggiuntivo legato alla creazione di una condizione di flusso non stazionario è ripagato in termini di performance migliorate del veicolo.

Gli andamenti di Cp, normalizzato rispetto al valore dello stesso parametro valutato in condizioni di getto stazionario (CpSWOS), è stato valutato al variare della velocità del motore; si ricorda che questa è proporzionale alla velocità di navigazione del veicolo. Ovviamente valori di Cp inferiori indicano costi energetici minori e dunque efficienze

di funzionamento maggiori.

Fig.3.19. Rapporto tra efficienza complessiva del veicolo in condizione non stazionaria e stazionaria al variare della velocità di rotazione del motore, da [59].

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Dal grafico in Fig.3.19 si evince che per velocità del motore sufficientemente elevate la formazione dei vortici riduce l’energia netta richiesta per la propulsione del 30% rispetto alla condizione di riferimento di getto stazionario. Tali miglioramenti sono imputabili al fatto che per velocità elevate di navigazione si ha una maggiore accelerazione nel flusso che si arrotola a formare i vortici, cosa che fa aumentare la sovrappressione all’orifizio di uscita e gli effetti legati alla added-mass.

Tali riscontri sperimentali sono stati confermati anche grazie a un complesso modello analitico sviluppato ancora da Ruiz & al. [59].

Si può dunque affermare che i risultati sperimentali ottenuti dalle ricerche sui veicoli con propulsione pulsata, o VTR, hanno dimostrato che i sistemi starting jet possono rappresentare un’alternativa appetibile ai sistemi autonomi di locomozione acquatica più tradizionali.

Nel presente lavoro, nei capitoli successivi, si cercherà di capire come i progressi nei VTR possono essere abbinati ad un contesto di soft robotics, con lo scopo di realizzare un nuovo tipo di UUV che contenga parti rigide in minor percentuale possibile e che può essere indicato come SUUV (Soft Unmanned Underwater Vehicle); per un progetto di questo tipo i cefalopodi, ma in particolare l’Octopus

Figura

Fig. 3.1. Immagini relative al ROV Jason del WHOI, da [53]; si noti il design non idrodinamico ed il  collegamento via cavo con l’operatore

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